Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.
Trovo rassicurante il silenzio che mi assale in cabina. A porte chiuse si sente poco o niente di ciò che mi accade intorno. È come se la mancanza di sonno e certezze non fossero nemmeno più chissà quale problema, ma so che si tratta di un momento effimero. Passerà e, presto, insieme al caos degli studenti entusiasti, tornerà a valanga tutto ciò che mi porto dietro da settimane…
Mi tengo impegnato.
Sistemo la gabbia di Donut su una delle rastrelliere. Approfittando del fatto che stia ancora dormendo profondamente e si trovi, quindi, impossibilitato ad aggredirmi come suo solito, insinuo una mano tra le sbarre per assicurarmi di non aver dimenticato il suo cuscino preferito. Tiene talmente tanta roba nella sua cuccia che ho sempre timore, durante gli spostamenti, di dimenticare dei pezzi. Il cuscino c’è: è a forma di topo. Forse, considerando l’effettiva presenza di topi domestici nel castello di Hogwarts, avergli regalato quel coso non è molto educativo; ma chi se ne frega. Nonostante sia ridotto a brandelli, non abbia più la coda e gli manchi un occhio, non ho mai sentito di un topo vero con tali ferite di guerra in tutti questi anni di scuola. Posso stare tranquillo che non sia un serial killer.
Dorme appollaiato su una mia t-shirt. Sempre la stessa da anni, quella che indossai il giorno in cui andammo a prenderlo a Il Serraglio Stregato insieme a quella strega di Lilien, quando ancora si comportava vagamente come una nonna per bene.
Sotto di lui poso la borsa scolastica. Tolgo la spilla da Prefetto dal petto e la nascondo al suo interno.
Direi che il mio lavoro qui è finito. Mi ritengo in ferie.
Lì di fianco, a occupare un intero sedile, ci piazzo il baule. Lo distendo sui sedili di sinistra in modo che occupi più di metà dello spazio. Un vecchio trucco babbano, seppur cafone, per lasciare intendere a chiunque possa venire in mente di entrare qui che non c’è posto.
Sfilo la toga e la ripiego alla bell’e meglio, ossia appallottolandola, per inserirla di forza da un angolo aperto del baule. Prima o poi dovrò ricomprarlo, inizia a soffrire i primi segni dell’età. È difettoso, si chiude a stento e, quando si chiude, l’angolo destro in basso resta sempre un po’ aperto. Dev’essersi gonfiato con l’umidità; non è che manchi nel dormitorio Serpeverde, anzi.
Mi liscio la t-shirt, che sgualgita era e sgualgita rimane, poi mi accomodo sui sedili di destra.
Non ho niente da fare nell’attesa che arrivi Megan e il treno si riempia dei soliti schiamazzi molesti.
Ora che ho tempo di riflettere con calma e sento lo stomaco brontolare, segno che alcune priorità stanno prendendo il sopravvento tra mente e corpo, oltre a pentirmi di non aver fatto colazione, mi rendo conto che chiuso in questa cabina 3x2 completamente da solo finirò per impazzire.
Mi rimetto in piedi. Le mie Vans rosso bordeaux fanno scricchiolare un’asse sul pavimento in parquet. Quanto cazzo è vecchio questo treno a vapore?! Non sarebbe mai considerato a norma di legge dai babbani.
Mi affaccio in corridoio. Il suono della porta scorrevole mi rimbomba nelle orecchie. Quando non dormo, divento iper-sensibile ai suoni. Sarà un lungo viaggio. Intravedo altri studenti bazzicare tra dentro e fuori le varie cabine che mi precedono e seguono. Evito i loro sguardi come si tende a evitare il vaiolo di drago...
Sto solo cercando la signora del carrello.
Temo sia troppo presto per vederla già in giro.
Oltretutto, se la mia pessima memoria selettiva non mi inganna, su questo treno vendono solo dolci. Di ogni tipo, certo. Un vasto assortimento con un presumibile incantesimo estendibile nel carrello per poter accontentare i gusti di tutti, tranne i miei.
Lo stomaco brontola di nuovo, forse offeso dal fatto che seleziono con troppa schizzinosità cosa intendo ingerire.
Richiudo la porta scorrevole con un tonfo e torno a sedermi sui sedili di destra, distendendo le braccia sul poggia testa. Riesco quasi a coprire in lungo, per l’intera estenzione, il sedile a tre posti. Credo di essere cresciuto ancora. La toga mi arriva a mezzo polpaccio già da qualche settimana. I pantaloni della divisa sono corti sulle caviglie, le camicie corte di maniche. Anche le scarpe, per quanto ammorbidite dall’usura, mi stanno un po’ strette.
Quando sarò a Londra mi farò misurare da Eliana. È piuttosto alta, più o meno come Megan, e perlomeno non piccola e minuta come mia madre a cui, per poter arrivare a toccarmi sulla cima della testa, temo serva una scaletta.
Incrocio le luuuunghe braccia al petto e scivolo sul sedile per potermi appoggiare con la nuca al poggiatesta.
Forse potrei dormire. Fingere di non essere cosciente quando Megan arriverà, così da godermi solo la parte bella del viaggio insieme a lei, tra coccole e baci.
Qualcosa mi fa comprimere la bocca dello stomaco. E non è la fame.
È simile alla sensazione che ho provato ieri sera e nelle ultime settimane tipo a giorni alterni. È una sorta di consapevolezza di aver mandato tutto a rotoli; anche se non so come o, più probabilmente, non so accettarlo. Sensi di colpa? Io non provo sensi di colpa. Mai. Al massimo, rimorsi e rimpianti risolvibili, sparsi qua e là…
Uno sbuffo mi sfugge incontrollato dalle labbra mentre chiudo gli occhi.
Forse riesco ad addormentarmi e il tempo sembra passare velocemente. Forse è per una strana sensazione da dormiveglia e in realtà sono trascorsi solo pochi minuti. Fatto sta che non passa molto, prima che senta aprirsi le porte.
Gli occhi si riaprono carichi di aspettativa. Sento già le labbra pronte a tendersi in un sorriso per accogliere l’arrivo di Megan. Improvvisamente dimentico dell’idea di fingermi morto. Rialzo la testa e rivolgo la mia attenzione sulle porte scorrevoli.
Tutto svanisce con un battito di ciglia e la messa a fuoco sulla figura davanti a me. Non è Megan, è una delle sue compagne di stanza. Quella petulante.
Solo soletto?
Mentre sciolgo le braccia dal petto e mi raddrizzo con la schiena, mi sfugge uno sbadiglio. Il tempismo è impeccabile.
La ragazza inclina la testa di lato e sorride squittendo.
Se hai bisogno di compagnia, non hai che da chiedere.
Sto bene così.
Per ora, quantomeno...
Sostengo il suo sguardo, in silenzio. Sul viso la mia solita espressione impassibile. Non ho niente da dirle. Non ho niente da dirle mai, non solo in questo momento. Ogni volta che mi si avvicina provo ribrezzo, il tono della sua voce mi dà sui nervi. Ascoltarla è fastidioso, risponderle mi indispettisce.
Potresti cambiare idea più tardi.
Con una scrollata di spalle e un altro sorriso scialbo, si gira e se ne va. Lascia anche le porte aperte e il gesto mi fa incazzare più di quando lo fa mia madre uscendo dalla mia camera.
Mi alzo e le richiudo. Di nuovo lo stridio dello scorrimento nelle orecchie, il tonfo delle due ante che si accostano come un’eco nel cervello.
Mi ributto di peso sul sedile. Un altro sbadiglio mi porta a chiudere gli occhi e mi ovatta le orecchie. Chino la testa in avanti e sfrego il viso tra le mani. Resto così per qualche istante, a contemplare le forme caleidoscope di luce dietro le mie palpebre.
Sento le porte scorrere di nuovo e il mio sguardo saetta aggressivamente su di loro. Ho la fronte corrucciata, le iridi iniettate di veleno, ma tutto sparisce nel vedere che stavolta, per davvero, è Megan.
I lineamenti del viso si lisciano, un angolo delle labbra si curva a ricambiare il sorriso timido che la vedo rivolgermi e, prontamente, la testa si muove da sola per annuirle.
Buongiorno... – esordisco, alzandomi in piedi per andare a tenerle aperta una delle porte, così che possa entrare nella cabina più facilmente.
Osservo il suo baule incantato e penso che, nonostante gli anni passati a Hogwarts, non smetterò mai di restare affascinato dalla naturalezza con cui i maghi, non cresciuti tra i babbani, riescano a usufruire della magia anche per compiere semplici azioni: con un colpo di bacchetta, e senza smadonnare nel tentativo di incastrarlo come si deve, il baule raggiunge la rastrelliera in un batter d’occhio.
A quanto pare, la mia mente ha deciso di volermi far concentrare su cose irrilevanti piuttosto che darmi il sostegno cognitivo necessario per affrontare l’elefante nella stanza.
Richiudo le porte e abbasso le tendine, in modo da rendere chiaro a chiunque che quella cabina è occupata. Non voglio sorprese, né rotture di coglioni di alcun tipo.
Sul serio? Grazie. Non ho mangiato, infatti… – le rispondo, stupito, tornando ad appoggiarmi a braccia conserte contro lo schienale dei sedili. Avevo altre priorità stamattina; assicurarmi di avere una cabina solo per noi era più necessario del cibo.
Me ne sono pentito? Ovviamente, no. Ho fame? Ovviamente, sì.
Ma passa tutto in secondo piano quando mi concedo un calmo sguardo su di lei, sulla gonna che indossa, le gambe scoperte, il passo posato con cui mi si avvicina e il seno prosperoso che intravedo dal colletto della felpa quando si china in avanti chiedendomi un bacio.
Resto un attimo intontito.
Questa ragazza ha in mano la sopravvivenza della mia sanità mentale. E di tutto il resto.
Mi ci vuole un istante di troppo per riuscire ad alzare lo sguardo a incontrare il suo, perché eccola lì la parte di lei che mi rende più debole… I suoi occhi. Dove risiedono tutte le sue emozioni.
Mi rendo conto che ho paura, ricordando il luccichio di rabbia e dolore che vi ho visto ieri sera.
Annullo l’esigua distanza e lascio posare le mie labbra sulle sue. Sanno di caffè e sorrido; almeno uno di noi ha già fatto colazione.
La prendo per mano e la spingo delicatamente verso il sedile al mio fianco.
Dormito bene? – azzardo a chiederle, mentre mi volto dall’altro lato per aprire il sacchetto con il sandwich. Sento le parole salirmi in gola, l’impulso spingermi a volerle confessare che io non ho proprio dormito, perché pensavo di essere elettrizzato all’idea di passare con lei tutta l’estate e, solo adesso, mi rendo conto di non aver chiuso occhio per timore di questo momento.
Non volevo rischiare di arrivare tardi e non trovare una cabina in cui starcene per conto nostro. Ho avvisato tutti i primini ieri sera di farsi trovare pronti ancora prima dell’arrivo delle carrozze. Sono stati bravi, anche se non saprei dire se li ho portati tutti o ne ho lasciato qualcuno indietro… – dico, invece, prima di dare un morso alla mia agognata colazione.
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Edited by Draven. - 9/10/2023, 00:15