camillo breendbergh ▸ 20 anni ▸ mastrobarbone
«Brividi, spasmi e tremori!» Quando Camillo aveva sbirciato all’interno del Van, ci aveva riconosciuto immediatamente l’impronta indelebile del suo Sandro. La teoria che i luoghi – appartamenti, case, ville e castelli – non fossero altro che una manifestazione dell’anima del proprietario, nella narrativa, lo aveva sempre colpito, e da quando aveva iniziato a farci caso, volontà dell’autore o spinta dell’inconscio, era sempre riuscito a cogliere quello schema. E sì, questo principio, per quanto buffo, si applicava anche alle case mobili – come qualche film di animazione ci ha dimostrato.
Non gli capitava spesso di vederlo nella vita reale. Casa dei suoi, a discapito di quanto bizzarra fosse la famiglia Breendbergh, era così ordinaria. E avrebbe potuto dirlo di tante altre. Si salvava forse la propria stanza, ma anche lì non vi era uno specchio di sé, almeno non del sé adulto; anche se vi fosse stato, si sarebbe ridotto ad un abbozzo sbiadito di un marmocchio ormai invecchiato. E a renderla sua ci aveva provato e riprovato, senza mai riuscirci.
Ma con Lex era diverso. Quella regola, sin da quel momento relegata alle opere di fantasia, sembrava qualcosa di possibile anche nella vita reale. Un’assurdità. Forse era anche per quello che era stato colto all’improvviso da brividi, spasmi e tremori.
«Dici che sto per fare una sincope?» Commentò, buttando sgraziatamente la testa all’indietro e rivelando a Lex, che stava alle sue spalle, un sorriso divertito. Gli occhi accesi di entusiasmo, la schiena ormai inarcata. Pareva uscito da un Horror marcio, di quelli che passavano alle due di notte sui canali a tre cifre.
Quando si ricompose scrutò meglio l’interno del Van. In quel posto sperduto sembrava una piccola oasi di vitalità nel deserto dell’insofferenza, tra il manto d’erba e le fronde verdi del parchetto desolato. Una pennellata di vernice nel bel mezzo di una natura abbandonata a se stessa.
Alexander in quel letto non ci stava steso per lungo neanche per sbaglio, ma sembrava comodo e accogliente.
«Posso sedermi?». Gli aveva domandato voltandosi, frizzolo come un’ape, mentre scrutava con occhi attenti la reazione dell’amico. Aveva individuato anche uno schermo piantato sul soffitto, il che lo aveva portato a presumere fosse un tipo da Netflix and Chill. E sì, si era domandato se le serie tv sud-americane fossero brutte e pallose come quelle nostrane – The Crown, per dirne una –, ma qualcosa lo aveva portato a pensare che presto glielo avrebbe chiesto direttamente. E poi, per regola, più era brutta e pallosa una serie, prima si finiva a scopare.
Un giorno, si disse, sarebbe entrato nel Van con del luminol per scoprire i segreti che l’occhio umano, da sé, non poteva cogliere. Ma si era detto anche che Xanderino aveva costruito il suo mondo mobile per divertirsi, vivere, ed un po’ lo ammirava per questo.
Poi, se Lex gli avesse detto di sì, si sarebbe seduto, continuando a guardarsi intorno in cerca di quei dettagli piú minuziosi che era certo l’altro avesse disseminato in quello spazio, come indizi di ciò che negli anni era diventato, che forse era sempre stato.
Quel Van gridava Alexander ed in effetti lì dentro sarebbe mancato solo lui a quel punto.
Il fu tassino avrebbe quindi allargato le braccia, spazi permettendo. Non serviva che lo invitasse ad entrare in casa sua – ci mancherebbe – ma lo stava invitando ad entrare nella sua vita e quello che gli mancava veramente era un suo abbraccio. Uno di quelli forti, che ti toglievano il respiro, e che piú che un semplice gesto d’affetto, diventavano piú una promessa. Perché lui voleva che fosse così. E non pretendeva rimanesse con lui per sempre, gli spiriti liberi non si potevano certo ingabbiare, ma che almeno restasse, fintantoché il cuore così gli diceva di fare. Nella sua vita, insieme a lui. E se mai gli fosse venuta voglia di mettere in moto l’affare e sgommare on the road, mai gli avrebbe perdonato la mancanza di un po’ di posta via condor, pellicano o qualunque altro volatile fosse autoctono dell’area che visitava.
Pena la caccia selvaggia, sarebbe andato a ripescarlo in capo al mondo, su qualunque piano astrale, solo per dirgli in faccia che era un pollo.
«Vié qua, bestia del demonio». Gli avrebbe detto, con il suo solito tono scherzoso, come a dargli il via. Ripensava agli anni di silenzio radio e la cosa gli faceva venir voglia di stritolarlo come una lattina, spremerlo come un tubetto di cheddar e accartocciarlo tipo la stagnola del kebab.
van(o)