Ti attende un lungo viaggio.A distanza di tempo, le parole della Chiromante Morwenna si rendono veritiere. Ho come l'impressione di tornare indietro, di ritrovarmi al banchetto dai ricami arcobaleno — i Tarocchi si svelano ancora una volta. La voce di Morwenna culla le mie notti per lungo andare. Mi si imprime in memoria, talvolta tangibile al punto da insinuarsi al velo del risveglio. Lei è una costante, in questi mesi. Diventa un punto di riferimento, una certezza. Morwenna, d'altronde, è come me.
Il mondo è una giostra spenta, lo è stato per tante settimane. Si consuma in una routine che ora, più che mai, non riesco a ricordare nitidamente. Ne traccio un reticolo piuttosto scarno, di visioni, figure ed impegni di seguito: biblioteca, rive del Lago Nero, Sala Comune. Ho saltato tanti, forse troppi pasti, e i segni si ripercuotono terribilmente sul corpo. Ho perduto peso, più del solito. Gli occhi si sono assottigliati, permeati da una perenne, malinconica tristezza. Perfino l'insonnia si è rafforzata, spingendomi alle più disparate soluzioni. Sei tu, Sirena. Tu sei l'origine di ogni tensione. Ho creduto che il distacco fosse finalmente esauritosi, dopo il nostro ultimo incontro. Se chiudo gli occhi, posso rivivere ogni singolo dettaglio passato: il sospiro del vento d'inverno, l'increspatura del ghiaccio, il tuffo nel cuore degli abissi, e tanto, tanto altro. Posso ritrovare te, in presente. Con Kherné, l'Avvincino, hai rappresentato un'autentica speranza. La stele, il viaggio, la promessa di partire e ritrovarci, tutto è parte di un firmamento che spesso, ahimè, ho ritenuto miraggio. Nei giorni peggiori — appena l'abbandono tornava — ho ritenuto di aver soltanto sognato; eppure, il cappotto che ho lasciato dietro la quercia custodisce un ciottolo del lago, e io ho la Pietra oramai tradotta tra le mani. C'è un sentiero, ora. Il Mar Rosso, l'Oltreoceano. Ho comandato al tempo di seguirti, in eterno. Di vederti, e ritrovarti, e sentirti.
Voce, la tua, che è già più familiare per me. Lingua, la tua, che comincio finalmente a parlare e comprendere meglio. Non basta, Sirena. Voglio di più, voglio che tu diventi presenza. Mi hai chiesto di aiutarti. Tu, che vivi un mondo che mi è lontano, mi chiedi di interrompere la mia vita, di porre un freno e partire all'avventura. Io, che sono... umano, soltanto umano. E tu, Sirena, che hai riposto in me il tuo futuro. Come avrei potuto tirarmi indietro?
Shà, Kàhla. Sempre. Mai avrei potuto rinnegarti, mai. La verità è che questo viaggio sia forse pure per me. Io ho bisogno di fare i bagagli, di gettarmi a capofitto in luoghi misteriosi; ho bisogno di gridare, e perdermi, e allontanarmi. Se fosse dipeso soltanto da me, sarei partito l'indomani stesso: ci sei tu, Sirena, che mi indichi la via. Non potrei metterti in pericolo, pur detenendo — tu, Guardiana — ogni potere maggiore. Accuratamente, allora, ho pedinato stelle, costellazioni e mappe di navigazione; ho circondato il mio mondo di bussole, calendari, carte geografiche. Ho perduto tanto, fino ad oggi. Ho perduto perfino me stesso. Tu, Sirena, sei l'identità che mi resta.
Ho le tasche piene di conchiglie, una più colorata dell'altra. Si uniscono a frammenti di vetro iridescente, a granelli di sabbia e steli d'alghe marine. La giacca a vento che porto con me è più pesante del previsto e sarà la prima cosa, in effetti, di cui presto saprò liberarmi. Il mio viaggio è stato lungo, benché la magia avrebbe potuto favorirmi in più circostanze. Nessuna Passaporta, nessuna Materializzazione, il mio è un viaggio via mare. Ho racimolato l'essenziale, uno zaino oltremarino alle spalle, una schiera di manufatti stregati portati al collo e alle mani, i più invisibili. Tutto, in me, acquisisce infine l'impronta leggera che mi è stata tirata via. Mi è bastato il saluto del mare per ritrovare lucidità, sento difatti d'essere sulla giusta strada e di farcela.
Devo farcela. Ho indagato le acque tormentate, ho trascorso lunghe notti al ponte delle navi. Oltre il volo di rondini in alto, non c'è stato tanto altro. Eppure, è l'inizio: il tempo è in visibilio, lo sento sottopelle. Le rune, tra le conchiglie delle tasche, mi invitano a credervi profondamente. C'è un senso di cambiamento, nell'aria. Di certo è molto intimo, così viscerale da togliermi il fiato. Ma va bene, anzi. La vita si svela in modo nitido, al di là dei banchi di nubi temporalesche. Lasciare le coste britanniche è l'esordio, il primo nodo. Il buio s'offusca come cenere brillante, le stelle impreziosiscono la volta celeste e tutto, ora, mi si porge in benvenuto. Questo è il percorso che ho intrapreso, non desidero più essere altrove.
Così, l'Oriente accoglie anche me — il figlio viandante.
Al porto d'approdo, l'Isola di Socotra è un caleidoscopio. Nulla, ad oggi, mi è mai apparso così bello. Tra la folla scivola un labirinto di colori, di musiche e voci; difficilmente colgo il senso delle loro parole, eppure non importa. Il profilo delle scogliere, della battigia e del mare, tutto è incantesimo. Il mercato centrale, poi, è un idillio a pieno titolo. Vorrei fermare il tempo per davvero, girovagare — come turista, uno tra tanti — via da una bottega all'altra. Vorrei tentare di mescolarmi alla cornice pittoresca, trattare il prezzo di un tappeto orientale, sfiorare con le dita i cumuli di spezie scintillanti; vorrei passeggiare, come mai prima di oggi. Vorrei, vorrei, vorrei. Il Canto del Mare è il richiamo, per me. Mi porto avanti, sguscio in silenzio; divento un'ombra, una stoffa azzurra lungo la fronte: un pirata, un tesoriere, forse un sognatore, nulla di più. Sono tutto, oggi. Guadagno lo spazio più libero, mi isolo così dal resto. Alle mie spalle, è un'oasi d'altri mondi. Infilo le mani in tasca, solletico le conchiglie.
Shà, Kahla. Sono arrivato. Ovunque, ci sono. C'è un ché di differente, lungo il pontile. Scorgo l'orizzonte, lascio che lo sguardo si disperda come in magia; e inspiro l'aria salmastra come un navigante in fervida attesa. Poi, l'acqua mi attira rapidamente. Non dico nulla.
Il Canto del Mare mi chiama.