PS: 456 PC: 378 PM: 445 EXP: 107
Espira.
Inspira.
Espira.
Inspira.
Incredibile come si dia per scontata un’azione tanto semplice come il respirare; è un automatismo talmente banale per il funzionamento di un essere vivente che quando ci si concentra sull’azione in sé ci sembra una cosa assurda; nel farlo a volte si incespica persino, come se ci dimenticassimo come si fa nel momento esatto in cui ci pensiamo. Semplicemente non te ne rendi conto, ma succede.
Di conseguenza mi rendo improvvisamente consapevole del dilatarsi dei miei polmoni, dell’aria che fuoriesce dal naso, delle ciglia che coprono per un istante gli occhi neri di Sitra, della contrazione delle sue sopracciglia scure, del rossore che le tinge la pelle, dei dettagli del suo viso che non ho mai visto davvero, come quei piccoli nei vicino al naso.
Mi accorgo della ferita Sheiva ha lasciato in lei e che il solo pensiero di Sahid ha contribuito a risvegliare minando il suo autocontrollo di guerriera.
Mi chiedo se si sia resa conto di non possedere più controllo su di sé in questo momento, manche le emozioni, in fondo, sono degli automatismi, no? Nascono e vivono quando non ce ne si rende nemmeno conto: la paura, l’ansia, la felicità, l’odio,
l’amore.
Ed è il suo volto così vicino ed il suo respiro a farmi accorgere di tutto questo; è il suo tono morbido quando si rende conto di essere in realtà libera delle costrizioni del Legilimens. Eppure non aiuta, anzi. In un certo senso, il suo ribadire è come un pizzico sotto pelle. Sono sollevato che lei sia libera, ma non lo sono nel pensare che, se io porto ancora addosso i segni della Maledizione Cruciatus, lei invece trascina in sé la violenza della propria mente profanata. È talmente forte e radicato in lei che sento tutta la sua frustrazione nel ripetere che no, lei non è un punto debole.
« Non ho mai detto che lo sei. » Replico, atono.
Non voglio guardarti con questo gelo che invece ti rivolgo; voglio rispondere al tuo stesso modo, magari accarezzandoti una guancia per dirti con più dolcezza che lo so, tu non lo sei. Voglio ricordarti cosa ti ho detto nel tempio questa mattina, quando mi hai ringhiato che non sei una damigella indifesa.
« E tu credi che io ti abbia lasciata indietro perché ti reputo una damigella in pericolo? » Ti guardo, ancora seduto, e alzo un sopracciglio come a voler sottolineare l’ovvio.
« Tu sei la Prescelta che mia nonna non ha potuto vedere in me. » Dico triste: mi costa ammetterlo, ma mi sfioro la voglia rossa sotto l’occhio sinistro.
« Io sono stato consacrato ad Horo. Io sono il falco di Nekhen, tu la leonessa di Menfi, che lo vogliamo o no. »
Lascio cadere la mano in grembo, ma non abbandono il tuo volto.
« E proprio come lei, sei la più coraggiosa che io abbia mai conosciuto. » Dico serio, abbassando solo per un istante gli occhi.
« Quell’uomo ti è entrato nella testa, ti ha costretto a puntarmi un pugnale al fianco,
ti ha colpita. È che ho avuto … »
Silenzio. « … Ho avuto paura di perderti. Seriamente. »
Mando giù il groppo che mi sale in gola con l’immagine tua e di Ra feriti.
Ammutolisci, sembri divorare le mie parole una alla volta, impaziente al punto da avvicinarti di un passo.
La lunga veste candida fruscia a terra e ti sfiora le caviglie.
Capisco, dallo svanire del tuo cipiglio, che non sei più così arrabbiata.
« Ne ho avuta anche io… » Ammetti, con un fil di voce.
Arriccio un labbro e mi rialzo piano, maledicendo ancora questo residuo di debolezza.
Lazarus II« Ma ammettere le proprie debolezze non è così grave, Sitra.» Ribatto duramente, lasciando con riluttanza la presa sulla tua spalla un dito alla volta, compiendo un passo indietro. Comprendo il tuo astio, sta’ tranquilla.
«Non sei tu il mio punto debole. » Non sai che, mentre ti baciavo la fronte dopo averti adagiata ferita sul tuo letto, ho sottolineato che no, non sei debole e non lo sono nemmeno i legami; loro sono semplicemente pericolosi per me. Lo dimostra come tutta la mia stabilità sia stata minata dal momento in cui il nome di Emily è stato pronunciato.
«E non lo è nemmeno lei.» Riporto il braccio lungo i fianchi.
« Non più. » Aggiungo in inglese.
È solo Lui, adesso, il mio punto debole e del resto lo è sempre stato.
Mi costringo finalmente a voltarmi a guardarla: finora non l’ho più fatto nemmeno con la coda nell’occhio. È che anche in questo caso, l’automatismo è giunto a rivelarsi come il respirare, il battere delle ciglia, il pulsare del cuore.
Quell’automatismo –amarti– che ho riconosciuto quando John mi ha guardato oltre la tua spalla, il braccio attorno alla tua vita: è stato come respirare.
Ecco perché i ricordi tornavano continuamente a galla.
Ecco perché non sono riuscito a provare qualcosa per Sitra.
Ecco perché è stato così difficile dimenticarti in tutti questi anni.
Ecco perché la mia mano è scattata troppo tardi quel giorno al ballo.
Ecco perché è stato insopportabile restare in quella stanza con te.
Nel momento esatto in cui vi ho visto poco fa, ho compreso che è sempre stato lì il frammento che ancora giaceva in fondo alla mia cassa toracica. Ostinatamente ancorato in me, ha affondato le sue radici di parassita.
La differenza è che respirare è necessaria per vivere, ma amarti no.
Anzi, è pericoloso: proprio ciò che ti dicevo, Sitra.
Quando è successo? Da quanto è lì? Ma soprattutto… che cazzo ci fa?Ma la rabbia, ora, non è più una vampa incontrollabile: si è acquietata lentamente cullata dalla stanchezza e dal tocco rassicurante di Isabella. Di quella cenere è rimasto solo un senso di sofferenza che mi stringe lo stomaco. Poi, poco a poco, stravolto, scivolo nel sonno.
Quando sto per addormentarmi, sento Isabella sospirare, avvilita.
« Non hai mai smesso… »
–Erased [Endurance]Avevo giurato a me stesso che non avrei mai più ceduto, non avrei mai più accettato di fallire. Me ne ero così convinto da procedere senza rendermi conto che avevo dimenticato qualcosa, la stessa che come un simulacro mi porto ancora dietro, agganciato al lobo dell’orecchio sinistro.
Espira
Inspira
Espira.
Chiudi piano gli occhi,
riaprili.
« Se il Signore Oscuro non sa che siete qui, siete liberi di andare se è ciò che volete. » Esordisco dopo aver guardato velocemente mia nonna, accanto le Leonesse. Sto fissando Emily, ascolto il suo desiderio, ma non John perché non mi interessa cosa pensa lui, come non mi interessa la sua vita, i suoi patemi, il rapporto con suo padre. Voldemort non sa che sono lì? Tanto meglio.
Ma è inutile, non posso costringerla a rimanere qui, per quanto mi occorra l’Uas. Questo pensiero, lasciar andare non più lei, ma la reliquia, mi devasta.
Significa che ho contravvenuto alle mie stesse parole; significa che si allontana, di nuovo, una delle chiavi di cui ho disperatamente bisogno per liberare mio padre. Ora che è qui, ora che può essere nelle mie mani, mi basterebbe ordinare alle Leonesse di bloccare loro il passaggio, costringere Emily finché non cederebbe alla sua consegna.
So, però, che non lo farebbe mai.
E so che io non riuscirei mai a farle questo.
Trattengo a stento un sospiro stanco mentre mi volto e mi allontano di qualche passo. Cammino sentendo addosso un macigno che mi schiaccia a terra con la sua sola forza di gravità. Raggiungo uno dei piccoli altari fra le statue e da lì, da un piccolo scrigno di pietra, prelevo il manufatto con cui torno da lei. Mentre la supero, non guardo nemmeno Sitra.
Sono stanco.
Sono troppo stanco.Voglio solo che finisca, voglio solo chiudere gli occhi e tornare a dimenticarmi di come si respira.
« Questo è uno scarabeo di Kephri. » Lo mostro sul palmo della mano, l’amuleto di faience. Il coleottero è finalmente intarsiato, di magnifica fattura nella sua semplicità. Le ali incise ai lati sono ripiegate. Al di sotto, nella parte piatta, alcuni geroglifici ne descrivono il funzionamento che spiego brevemente.
« Serve a comunicare: basta tenerlo per pochi istanti fra entrambi i palmi finché le ali non spuntano fuori. Non saprò dove sarai tu e viceversa, ma potremo parlarci in caso di bisogno. Io avrò l’altro. »Se mi fermassi a pensare –ancora e ancora– accosterei questo momento a tutte quelle volte in cui ci siamo scambiati un regalo.
Se lo facessi, le ricorderei tutte una per una: le incursioni dell’Elfa nel cuore della notte perché lei non poteva venire nel mio dormitorio (e che gran disappunto provavo); le volte in cui la raggiungevo nell’ufficio dei Caposcuola o il ballo da cui eravamo scappati per rifugiarci all’aria aperta, il momento in cui mi ha donato il cuore della Banshee che conservo in una scatola a Villa Andromeda dove c’è Cora, l’Augurey di cui mia madre si prende cura e che io non ho il coraggio di guardare.
Ed, infine, il momento in cui ci siamo scambiati gli anelli che ancora portiamo, in un modo o nell’altro. Non ci penso adesso, ma tanto lo so che tutto questo giungerà come un’onda a travolgermi, per l’ultima volta naufrago nel tuo mare che mi accingo a lasciare
davvero una volta per tutte.
Non sono mai stato un naufrago, non ho mai voluto scendere nei tuoi abissi, non ho mai voluto l’oscurità: ho solo cercato di mostrarti che c’era luce al di fuori dei meandri bui di cui eri ammantata.
Poso lo scarabeo nella tua mano con una lentezza che vorrei non mi appartenesse. Oh, Amon, come non vorrei sentire ora le tue parole, osservare i tuoi gesti.
Tuttavia lo sguardo si posa sul gioiello al tuo anulare sinistro e il viso viene travolto da un fremito che non riesco davvero a fermare.
È così che gli Dei hanno deciso? Che questo momento non segua il corso del tempo normale, ma venga sancito dagli ultimi granelli di sabbia di quella clessidra che avevamo girato?
Così sia.
« Mi dispiace. »Non me le sento nemmeno pronunciare le parole che scivolano in un sussurro mentre, senza rendermene conto, sfioro con le dita la punta delle tue quando ritraggo la mano nel depositare il prezioso oggetto nel tuo palmo.
Alzo gli occhi le cui iridi, vedrai un’ultima volta, non sono più d’acciaio non per l’istante in cui li guarderai.
« Per… tutto. » Esalo, compiendo un passo indietro. E poi un altro, e un altro ancora.
Un’ultima volta, un’ultima volta avrai la precedenza.
« Tiye, Menhet. » Atono, chiamo le due sacerdotesse che alzano silenziose il mento.
« Per favore, potere rendere loro le bacchette e gli effetti personali prima di accompagnarli fuori? Grazie. » Le due donne annuiscono brevemente battendo appena la base della lancia, dopodiché si allontanano giusto il tempo di recuperare quanto richiesto. In silenzio seguo i loro movimenti, osservo le mani di Emily mentre riprende lo stiletto –proprio quello che le regalai io nel pieno delle paranoie perché convinto che fosse meglio di una stupida borsetta.
« Le Leonesse vi scorteranno fuori dal tempio. » Annuncio privo di qualsiasi inflessione. Quando le vedo avanzare in direzione del dromos e, poi, dei portoni, do loro le spalle. Ho già visto abbastanza.
Ti lascio andare, Emily.
È finita, sei libera.
E lo sono anch’io: ora posso dirlo.
Tengo gli occhi fissi sul viso di diorite di Sekhmet finché non odo i passi allontanarsi; alle mie spalle ci sono Sitra e a Meresankh cui però non rivolgo lo sguardo.
« Andrò da Sahid. » Dichiaro, consapevole che in realtà è la scelta meno saggia che potessi fare.
Forse è un po’ un segno di autolesionismo, questo: spingermi oltre il limite possibile del mio fisico e della mia mente. Magari, penso ingenuamente, posso riuscire a riprendere il controllo di me stesso perché in questo istante la consapevolezza più grande è averLo messo in secondo piano.
È questo che mi fa male, più di qualsiasi altra cosa. Andando da Sahid in queste condizioni, potrei espiare le mie colpe.
« Prima voglio stare un attimo da solo. » Dichiaro con durezza, quasi rimproverassi me stesso per la debolezza che ho appena ammesso.
Non ascolto eventuali risposte o repliche quando mi avvio nella piccola stanza dentro la quale solo pochi minuti fa io ed Emily parlavamo. Non voglio udire nessuno, nemmeno la voce degli Dei.
Quando mi chiudo la tenda alle spalle e mi addosso alla parete, alzo il viso coprendomelo con le mani gelide.
Una dopo l’altra le immagini di questi giorni si susseguono come una polaroid in un movimento perpetuo, sommandosi tra loro in una pila cui vorrei solo dar fuoco. Sono così tante che mi stupisco di quanto sia accaduto in così poco tempo.
Digrigno i denti mentre mi lascio scivolare a terra.
Sono stanco.