And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.
Ora che so come sono andate le cose con sua nonna, dovrei aver quietato la coscienza. Invece, non è cambiato un cazzo. Sento ancora quel peso come un mattone sullo stomaco. Forse avrò sopperito alla mancanza di non averla mai ascoltata propriamente a riguardo, prendendo sottogamba la loro condizione, ma c’è ancora così tanto da risolvere da darmi la nausea. Più ci penso, meno riesco a capire quando, esattamente, le cose tra di noi si sono fatte così complicate; non che siano mai state semplici, ma perlomeno inizialmente dovevo occuparmi solo di me, affrontando la sua indifferenza o qualsiasi cosa fosse ciò che faceva pur di tenermi a distanza. Crederle è sempre stato difficile, eppure, ormai, ha accumulato abbastanza fatti da potermi concedere di darle fiducia. Non ci riesco perché ha un modo tutto suo di aprirsi ed è evidente che, unito alle mie incapacità, la questione inizi a rendersi problematica. È sempre stato motivo di frustrazione non riuscire a esprimere ad alta voce ciò che penso con lei ed è sicuramente una di quelle cose appartenenti alla comunicazione che intendo migliorare, ma non è nemmeno questo il punto.
E allora qual è?
Seguo con lo sguardo i suoi movimenti, la sento cambiare il peso sul materasso nel momento in cui mi emula distendendosi al mio fianco. Mi dice che le dispiace di aver litigato e sento, da quella stessa coscienza che mi sta torturando, un’ondata di fastidio; l’ennesimo, negli ultimi giorni. A me non dispiace affatto di aver discusso, anzi; cazzo, mi sono tolto di dosso il peso di un sacco di parole che non sono mai riuscito a dire prima, perché troppo preoccupato all’idea di sbagliare il modo. Non credo di aver provato sollievo, sul momento, ma di sicuro l’ho provato una volta sceso dal treno, come se in quel vagone c’avessi lasciato quella parte di me che mi gravava nel petto.
Vorrei farmi meno pensieri a riguardo e imparare a dire le cose quando le penso, nel modo in cui le penso, come faccio con chiunque altro, fregandomene del loro giudizio. Il fatto è che col resto del mondo mi viene spontaneo, naturale, proprio perché non me ne frega niente di piacergli, anzi, sto meglio se pensano che sia uno stronzo acido e scorbutico che va evitato; con lei non è così. Non esito per apparire migliore ai suoi occhi; è proprio come un blocco mentale che non riesco a controllare, tantomeno a superare.
Piego la testa di lato, appoggio la guancia destra sul lenzuolo fresco. È un bene che non sia una giornata troppo calda, altrimenti questa stanza sarebbe un forno. Mi concedo un istante per guardarla e mi sembra così assurdo, irreale, ritrovarmi a essere preoccupato perché ha paura dei suoi sentimenti per me, quando c’è stato un tempo, molto lungo, in cui pensavo che questo giorno non potesse essere altro che un sogno.
“Disarmato” era l’unica parola che poteva descrivere il mio cuore mentre era accanto al suo, penso.
Cazzo, non so davvero quantificare quanto male sia empatizzare con Sylvia Plath in così tante occasioni vissute con Megan, ma schiudo le labbra, sto per dirlo ad alta voce, quando riprende a parlare e porca puttana… O sta troppo zitta o parla troppo. Stava andando così bene, cazzo. Ma no, doveva rimetterci in mezzo il discorso che è spezzata, che ha una vita di merda… E lo sto facendo di nuovo. Sottovaluto il suo dolore, solo perché consapevole, dalla mia stessa pelle, che non è l’unica ad averne provato. Merlino, quant’è difficile.
Riporto lo sguardo sull’amaro soffitto bianco, unica fonte di luce in una stanza altrimenti cupa, resa tale da anni e anni di disordine organizzato e pareti malamente dipinte da un me novenne in crisi prepuberale.
Non lo sopporto questo peso nel petto e le sue parole non fanno che accrescerne la misura.
Ricordi quando ci siamo conosciuti? Beccasti me e Narcissa sulla torre di divinazione a ridosso del coprifuoco. Era terrorizzata all’idea di una punizione e, prima di alzare lo sguardo su di te, ricordo che pensai solo di dover trovare un modo per sfangarla per entrambi. Un modo che rendesse onore ai Serpeverde. Avevo nella testa un solo tarlo, all’epoca, che mi imponeva di rigare dritto, di studiare sodo. Al mio primo anno a Hogwarts avevamo ricercato, insieme a un’amica, tutti i lavori nel mondo magico e da allora mi ero fissato con l’idea di diventare Spezzaincantesimi. Lei mi prendeva in giro costantemente: “Tu che viaggi? Fuori dalla tua comfort zone? A parlare con le persone o addirittura a doverci collaborare?” Non sapevo mai che cazzo risponderle, perché tutta quella roba mi dava… mi dà, ansia. Alzavo le spalle e basta. Mi piaceva l’idea di poter lavorare su di me per diventare un adulto in grado di essere un ottimo Spezzaincantesimi. Era il mio scopo nella vita. Nel momento in cui ci beccasti, pensai solo che una punizione sul mio curriculum avrebbe potuto ledere la mia immagine professionale. Quell’ambizione era l’unica gioia che avessi mai provato. In questo quartiere, in questa città, tra i babbani, non ho mai trovato il mio spazio. Mi sono sempre sentito fuori posto. Dopo essere stato in orfanotrofio è stato anche peggio. Cecilia era peggio. Hogwarts, invece, mi concedeva un futuro al quale non avrei rinunciato per nulla al mondo. E in quel momento in cui sentii addosso la pressione di ricevere una punizione, pensai solo di doverne uscire pulito. Aprii la bocca e ti raccontai la storiella di come avessi seguito la povera Narcissa addolorata, sebbene fossi uscito per mio interesse, perché non riuscivo a dormire, volevo solo un posto isolato in cui fumarmi una canna e non avevo idea che anche lei fosse in giro a rischiarsela. - dico, fermandomi un breve istante solo per riprendere fiato. Sospiro, stringo i denti e deglutisco. So dove voglio andare a parare e, per quanto mi scocci esprimermi così tanto a parole, ne sento l’esigenza. Sarà forse merito di quella dannata coscienza o forse per richiamo al senso di benessere provato dopo il nostro litigio solo perché sono riuscito a sputare fuori tutta una serie di verità, ma non intendo fermarmi.
Il viso torna di lato. Lo sguardo di nuovo a incontrare il suo.
Ho alzato gli occhi e ho incontrato i tuoi. Non sapevo nemmeno il tuo nome. Caposcuola e Prefetti all’epoca mi sembravano semidèi irraggiungibili al punto da non dedicare loro il benché minimo interesse. Volevo essere uno di loro, uno di voi, per cui vi evitavo. Non ti avevo mai vista, per davvero. Ma in quello sguardo mi hai detto tutto ciò che poteva interessarmi. Mi sono innamorato del dolore nei tuoi occhi ancora prima di conoscere te. Tutto quello che avevo voluto fino a quel momento, passò immediatamente in secondo piano. Per cui non venirmi a dire che la tua vita fa schifo e che dovrei andarmene, perché in qualche modo l’ho sempre saputo e mi hai inchiodato a te con un solo sguardo. Dove cazzo vuoi che vada, a questo punto?! - proseguo, il tono di voce stabile e apparentemente disinteressato, come mio solito.
Voglio comunque diventare Spezzaincantesimi. E sono ancora parecchio incazzato che mi hai mentito sul tuo ex, per cui, a tal riguardo, se ci sono altre teste di cazzo o incontri segreti di cui dovrei venire a conoscenza, dimmelo adesso. Senza girarci intorno. E non mentirmi è un buon punto di ripartenza. - concludo, tenendo gli occhi dritti nei suoi.
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