Shelter, privata.

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 10/1/2024, 00:59
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



Itenui raggi del sole si posano sulle lenzuola e riflettono su muri, mobili e specchi nella stanza in penombra. Il canto degli uccelli risuona lontano fuori dalla finestra di casa e il suono arriva attutito nella stanza al secondo piano.
Mi giro lentamente nel letto, gli occhi ancora chiusi e il torpore lungo tutto il corpo che tento fastidiosamente di sciogliere. Borbotto qualcosa di indecifrabile, un flebile suono che mi sfugge dalle labbra appena porto le mani tra i capelli e le lascio scorrere sul viso. Apro gli occhi e le pupille si stringono quando la luce le attraversa, li richiudo l’istante seguente per poi schiuderli lentamente ed abituarmi al giorno.
Faccio leva con le braccia e mi siedo sul letto. Il dolore al fianco mi toglie il respiro, conduco il palmo a premere sulla pelle e soffoco un grido. Le dita dei piedi nudi accarezzano il pavimento freddo, rabbrividisco e con un piccolo sforzo e mi trascino fino al bagno nell’esigenza di fare una lunga doccia. Lascio cadere la maglia a terra, apro l’acqua e appena la sento scorrere sulla pelle e accarezzare il corpo, i pensieri seguono la stessa evoluzione.
Ritorno con la mente a ieri, a ciò che è accaduto: la preoccupazione come inevitabile conseguenza dopo lo scontro con Draven e le nostre ultime parole prima di scendere dal treno; poi, Evie ed Elizabeth.
Socchiudo le palpebre. Ripercorro ogni singolo istante mentre abbandono le spalle contro le mattonelle e respiro a fatica.
Le urla, il senso di paura che mi stringe le viscere e la nausea che risale lungo la gola con il cuore che pompa forte nelle tempie; poi, la calma.
Non ricordo cosa sia successo dopo la caduta e sono abbastanza confusa da non riuscire a mettere in fila il benché minimo pensiero a riguardo, ho solo un nugolo di sensazioni che mi tormenta e fa male da morire.
Sono sfinita.

«Signorina Megan!»
Chiudo il rubinetto. Le lacrime che solcano il mio viso si confondono con le gocce d’acqua calda che ora lo bagnano. So che devo prendere una decisione, so che non ho altra scelta che quella di dare ad Elizabeth ciò che vuole; vorrei poter fare diversamente, avere il potere di decidere per me stessa. Mi piego appena, attutisco un colpo allo stomaco che non esiste eppure c’è ed è presente: la consapevolezza di vedere ogni cosa spazzata via; ogni ricordo rimasto dentro ad una casa abbandonata che, per scelta, non ho più voluto rivedere.
«Cosa c’è?» chiedo.
«La sua medicina, signorina Megan. Ieri è finita sul pavimento e non ha voluto in alcun modo prenderla, è importante se vuole guarire» risponde l’Elfa con assoluta apprensione. Piano esco dalla doccia facendo attenzione a non fare movimenti bruschi, avvolgo l’asciugamano attorno al mio corpo e lo stringo appena. A quanto pare mi sono rifiutata di prendere qualunque cosa abbia cercato di darmi Elizabeth, non me ne stupisco.
«Non ho bisogno di niente» rispondo, la voce esce più severa. Mi spingo ad aprire la porta con enorme difficoltà; la piccola creatura mi guarda con gli occhioni grandi e verdi, le orecchie appuntite si abbassano ed indietreggia appena per farmi spazio. «Come vuole signorina. L’aiuterebbe a sentire meno dolore, la poggio qui nell’eventualità. Ho a cuore la salute della signorina Megan e sono certa anche la signora Milford la pensa così» risponde mentre posa il bicchiere sulla scrivania.
«È stato uno sciocco incidente» insiste tornando a guardarmi.
Certo, una serie di stupidi incidenti ribatto in silenzio, mentre uno sbuffo esce dalle mie labbra e mi fa contrarre.
«Grazie, Evie. Ho bisogno di sapere dove è la mia bacchetta, lo sai?» le chiedo mentre mi spingo verso il letto; non è sul comodino, né sulla scrivania.
L’elfa scuote la testa. «Io non posso dirlo, padrona dice conseguenze gravi. Dice che la bacchetta serve a Hogwarts non qui» dondola sul posto come un pendolo rotto. «Ok, nessun problema» scuoto la testa, «ora vai, non ho bisogno di altro».
«Signorina Megan, un’ultima cosa: ieri mi ha detto di ricordarle di un telefono ma noi non abbiamo telefoni» alza le spalle e con un pop svanisce.
Il cellulare! Uno spasmo mi fa urlare, porto la mano alla bocca e mi trascino verso la scrivania. Apro il cassetto e prendo il cellulare in mano. Lo accendo, tempo qualche secondo e due messaggi di Draven mi appaiono sullo schermo.
Tremo e ancora una volta soffoco una fitta. Qualsiasi tipo di movimento sta diventando impossibile man mano che il corpo si sveglia dal torpore della notte.
Cazzo! Devo andare da lui!
Mi giro in direzione della scrivania e calcio, senza volerlo, un peluche che rotola e si ferma vicino alla gamba del letto. Lo riconosco, è l’orsetto di pezza che avevo quando ero piccola e alla quale ero molto affezionata. Seguo il percorso all’inverso, lo sguardo si ferma in direzione dei piedi: uno scatolone rovesciato lascia spuntare fuori una serie di libri e il bordo di un album.
Spingo la copertina con la pianta del piede tirandola a me e mi maledico l’istante seguente; poi, piego leggermente le ginocchia, cerco di respirare e tenere il più possibile la schiena dritta - fa malissimo! - e afferro l'oggetto con le dita ritornando su.
Apro la prima pagina e i miei occhi si soffermano su una foto che ritrae i miei genitori, credo che qui abbiano più o meno la mia età. L’immagine si muove e nella scena Carl sussurra qualcosa all’orecchio di Eloise che ride di gusto. I loro sguardi si incrociano e l'intensità che ne evince mi fa sorridere e arrossire nello stesso istante. Il senso di pace che mi travolge per pochi attimi lascia che dimentichi il dolore per la loro assenza: li immagino così, felici, ovunque essi siano.
Dipoi, le parole di Draven mi tornano nella mente. Guardo il cellulare e lo stomaco si stringe al solo pensiero di non essere riuscita a rispondergli; i messaggi che mi ha scritto in tarda notte, la speranza di una risposta che non è mai arrivata. Lo infilo nella borsa e così faccio con l’album, temo che Elizabeth possa mantenere la parola ed io ho bisogno di salvarlo.
Apro l’armadio e lascio cadere l'asciugamano a terra, il mio corpo nudo presenta un’ematoma laddove le costole paiono essersi rotte: lato destro, in basso. Toccando la parte lesa sento le ossa scavallare scomposte sotto le dita e quasi mi viene da dare di stomaco per il ribrezzo.
Mi vesto con tutta la fretta che posso concedermi: un vestito nero che arriva a metà gambe, scollo quadrato e maniche corte a sbuffo. Niente calze, indosso calzini bianchi poco più su delle caviglie e un paio di mocassini a carroarmato neri.
Prendo la medicina. È l’unico modo che ho per raggiungere il lato sud di Kensington senza stramazzare al suolo e non credo che mia nonna stia tentando di uccidermi, almeno non nell’immediato. Spero che la pasticca possa in qualche modo lenire - seppur consapevole che sia una temporaneo - la sofferenza.

«Evie è importante che tu non dica niente a Elizabeth, se dovesse tornare prima di me. Ti vieto di dirle che sono uscita. Devi dirle semplicemente che sono in camera mia e che sto riflettendo sulla decisione, o che sto troppo male per mangiare qualsiasi cosa.»
«Come vuole signorina Milford, lo farò. Evie consiglia di non uscire, dovrebbe riposare. A Evie dispiace molto ciò che è accaduto ieri sera, Evie vuole che la signorina Megan guarisca ma non può darle le giuste cure» abbassa gli occhi e le manine si stringono. Io non mi fido comunque.
«Immagino che ti sia stato vietato e che la pagherai cara se dovessi aiutarmi a guarire in fretta» rispondo con un velo di ironia, «non preoccuparti, va già meglio con quella pasticca. I babbani hanno ottimi antidolorifici».

Il sole accarezza le grigie palazzine della città e il caldo fa la sua parte, costringendo molti cittadini a ripararsi nelle zone d’ombra. Io seguo lo stesso flusso e percorro la strada sotto i tendaggi dei negozi dove possibile. Il tragitto fino a casa di Draven mi appare più lungo di quanto non lo sia. Zoppico appena, ogni passo è una fitta che - nonostante il palliativo utilizzato - è inevitabile non sentire, seppur con minore intensità.
"Mi dispiace Drav, non ho potuto accendere il telefono", scrivo quel messaggio mentre cammino; non voglio che pensi che io lo stia evitando, non voglio che ci siano altri problemi tra noi.
Ho il fiato corto. Giunta al vicolo tra Earl’s Court e Gloucester, affretto il passo e costeggio il piccolo parco per un paio di metri prima di attraversare la strada. Alcuni ragazzi giocano nel campo sportivo ed io mi soffermo a guardare il tempo che basta per capire che non c’è traccia di Draven lì, spero sia a casa.
Entro nel viale che anticipa il portone della piccola palazzina, il citofono a fianco è occupato da solo un cognome in basso, Enrik, le restanti caselle sono vuote. Premo il pulsante con il cuore in gola e mi asciugo un rivolo di sudore che mi cola lungo il collo con la punta delle dita. Non so che faccia abbia ma spero di non lasciar trapelare la mia condizione e che il colore del poco trucco che ho messo sul viso non mi tradisca.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 11/1/2024, 00:53
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



Le cuffiette sono andate perdute tra i cuscini già da un paio d’ore, ma il fastidio non è stato abbastanza forte da destarmi del tutto. Quando mi sveglio per davvero è solo perché lo stomaco brontola fino a farmi male. Con un occhio semi-aperto e l’altro ancora chiuso, mi sporgo verso la pila di libri che mi fa da comodino e prendo in mano il cellulare: sullo schermo sono segnate quasi le due di notte. Mi sfrego le palpebre tra due dita e mi costringo ad alzarmi. Non avevo previsto di dormire così tanto; l’intento era di riposare una mezz’ora, cenare, lavarmi, sistemare il gatto, la roba nel baule e poi mettermi a dormire. Invece, oltre che con una fame da lupi, mi sveglio in piena notte che il baule è ancora chiuso ai piedi del letto e il gatto è particolarmente adirato mentre mi giudica dall’altro lato della stanza. La compagna di mia madre è allergica al suo pelo, quindi mi sa che è stato relegato qui dentro per tutte queste ore, senza cibo né acqua.

Scusa, Donut. Non è stato premeditato. - bofonchio, ancora assonnato, mentre mi avvicino al baule e lo setaccio in cerca dei suoi croccantini preferiti. Gliene verso un po’ sul pavimento in segno di pace, poi apro la finestra della mia camera per permettergli di uscire e sparire per i prossimi due mesi, come al suo solito. Sono convinto che sia entrato a far parte di una qualche gang di quartiere, perché nell’ultimo anno non è mai rimasto con me per più di un giorno nei periodi che passiamo a Londra.
Esco dalla mia stanza e viro verso quella di mia madre, che dorme pacatamente a porta aperta. Come cazzo facciano certe persone a dormire con la porta aperta mi perplime non poco. Comunque, è da sola; Eliana dev’essere ancora di turno al bar. Non ho visto nessuna delle due quando sono tornato a casa, perché erano ancora a lavoro, e dubito fortemente che abbiano tentato di svegliarmi anche solo per venirmi a salutare, visto che avevo la catena alla porta inserita; un utilissimo gadget acquistato su Amazon circa otto anni fa all’esiguo costo di sette sterline e venti, che ancora svolge egregiamente il suo sporco lavoro di tumularmi nella stanza senza rotture di coglioni.
Riaccendo lo schermo del cellulare mentre mi trascino in cucina. Nessuna notifica da parte di Megan. Le scrivo un paio di messaggi, poi porto a compimento l’esigenza che mi ha distolto dal mio sonno profondo. Mi siedo al tavolo della cucina e mando giù più di mezza scatola di cereali, prima di sentirmi abbastanza soddisfatto da andare a farmi una doccia.
Il letto mi riaccoglie a sé dopo scarsa una mezz’ora di lontananza, ne stavo già iniziando a sentire la mancanza. Non che quello che ho a Hogwarts sia scomodo, tutt’altro direi… È che il mio letto è il mio letto! Sarà per la posizione sotto la finestra, il modo in cui nel caos organizzato della camera ci siano solo le mie cose e il fatto che non abbia baldacchini tutt’intorno o reti sotto il materasso. Ma come dormo su questo letto, da nessun’altra parte. Forse in comodità lo batte solo il super-mega-enorme-lettone che ha Megan a casa sua.
Controllo di nuovo il cellulare nel caso in cui per la notifica dei messaggi l’abbia svegliata, speranzoso che possa avermi risposto. Ma niente.
Mi rituffo a pancia in giù tra lenzuoli e cuscini. Tempo di uno sbadiglio e mi trovo di nuovo tra le braccia di Morfeo.
Incredibile quanto, nonostante la mole di pensieri, non abbia avuto alcun problema a dormire nelle ultime settimane. L’insonnia che mi ha tormentato per anni sembra appartenere a un'altra vita. Nulla tange il mio riposo di bellezza, ultimamente; nemmeno il rumore dell’aspirapolvere che si fa sempre più molesto a un certo punto di quella che presumo essere, per via della luce che percepisco dalle palpebre chiuse, tarda mattinata. Devo aver lasciato aperta la summenzionata catena di sicurezza. Mi fingo morto perché spero di ricadere presto addormentato… Mia madre non sa nemmeno che abbiamo un’aspirapolvere, quindi la molesta dev’essere Eliana. La sento bazzicare tra le mie cose e, normalmente, mi darebbe un fastidio immenso; me ne dà anche adesso, ma non ho le energie sufficienti per ribellarmi. Il massimo che riesco a fare è un lamento smorzato dalle federe tra cui sembra stia soffocando.

Sì, lo so, lo so, scusa. Ma ho pulito tutta la casa, non so che altro mettermi a fare. Non riesco a dormire, ho ancora adrenalina dal turno di notte. Ho fatto anche il caffè, te ne porto un po’? Stiamo un po’ insieme?

Non bevo caffè.

Non ti piace?! Non ne avevo idea. Non c'ho mai fatto caso. E come sopravvivi a scuola?

Scrollo le spalle, o meglio: mi muovo nel lenzuolo con quell'intento.

La caffeina mi dà la tachicardia.

Come fai ad avere il corpo di un adolescente, l’indole di un infante e le problematiche di un ottantenne tutto insieme?!

Con la faccia ancora tra i cuscini, mi sforzo di sollevare un braccio solo per poterle mostrare il dito medio.
Qualsiasi cosa accada dopo, porta il silenzio che agogno. A tentoni cerco di nuovo il cellulare. Apro un occhio e ancora nessuna notifica da parte di Megan. Non è nemmeno mezzogiorno. Per quanto mi sembri strano, preferisco credere che stia ancora dormendo piuttosto che mi stia evitando. Anche se, vista la discussione in treno di ieri, non mi stupirebbe. Le scrivo un altro messaggio per chiederle di chiamarmi appena si sveglia e, solo a quel punto, riesco ad addormentarmi di nuovo.
La linea di confine tra veglia e sonno si assottiglia al suono del campanello. In qualche modo, il mio cervello costruisce tutto un sogno inerente una banda che irrompe in casa, mentre è solo Eliana che apre la porta di casa e accoglie qualcuno con fin troppo entusiasmo.

Bentornata, cara. È bello rivederti, entra pure. Trovi la larva umana in camera sua. Anzi: sveglialo. Ti prego. Ho paura possa perirci tra quei cuscini. Resti per cena? Avviso Cici. Draven sarà felicissimo. Stavo giusto uscendo a fare spesa. Preferenze?


© Esse | harrypotter.formucommunity.net



Edited by Draven. - 11/1/2024, 01:08
 
Top
view post Posted on 15/1/2024, 01:01
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



È Eliana ad aprire la porta, il suo sorriso mi mette di buon umore e per un breve istante mi appare semplice poter dimenticare tutto ciò che è successo nelle ultime ventiquattr’ore. Sfiora la mia spalla sinistra con una carezza, si sposta di lato per farmi entrare e, infine, indica la camera di Draven. La osservo, il tempo utile per regalarle un sorriso sincero prima di sentire lo stomaco contorcersi. Non so minimamente quale espressione si legga sul mio volto, tuttavia l’unica cosa adesso che mi preoccupa è varcare quella maledetta stanza.
«...Preferenze?»
«Cos…? Ah, no» torno con lo sguardo su di lei, mortificata. «Grazie» incalzo con più decisione cercando di inghiottire il senso di colpa per averla ignorata almeno per metà del discorso, credo.
«Ok, ci vediamo dopo. Torno direttamente più tardi con Cici, se Draven dovesse chiederselo. Ma tanto non se lo chiederà. Intanto lo sai, almeno tu.» mi accarezza il braccio e si avvicina per scoccare un bacio sulla mia guancia. Mi spingo verso di lei ad imitare il gesto e il movimento mi costa una pressione al fianco che mi fa sussultare appena. «Ci penso io» abbozzo un sorrisino per mascherare la sofferenza, poi mi spingo oltre la soglia e la porta si chiude alle mie spalle.
Ho il cuore in gola. Fino a pochi minuti fa ero convinta di ciò che stavo facendo ma adesso... Tutto sembra crollarmi addosso. Barcollo nell’incertezza; detta lei ogni singola azione ed io, spettatrice, rimango in balia delle sue regole. Respiro. Cerco controllo senza alcun risultato.
Dopo quello che è successo tra me e Draven, ogni cosa ha assunto una sfumatura diversa e mi appare più terribile e più temibile in egual misura, rispetto a prima. Trovo conforto nel posare lo sguardo lungo le pareti, il profumo di detersivo impregna lo spazio man mano che avanzo: Gelsomino? Forse vaniglia. Riesco a deviare i pensieri il tempo di qualche passo fino a giungere davanti alla stanza di Draven. Ci siamo. Dapprima esito. Non sono mai stata in camera sua e sento di invadere uno spazio per lui prezioso, non condiviso, che mi provoca senso di colpa.
Sospiro.
Non guarderò niente. Devo solo svegliarlo e aspettare che esca da qui. Rimarrò fuori, poi.
Così mi spingo oltre e prendo coraggio. Allungo il braccio verso la maniglia e le dita rimangono per un breve attimo sospese, ancorate all’alluminio, incerte; poi, un flebile cigolio invade il silenzio e le pupille si dilatano di poco nella semioscurità.
«Draven?» sussurro. La voce esce strozzata e si perde in un alito che termina con un suono assente, impercettibile. Non può avermi sentita.
Subito, lo sguardo punta verso il centro della stanza e il cuore manca un battito. Dorme, sorrido. Avanzo in silenzio stando ben attenta a non inciampare tra gli oggetti che ricoprono il pavimento e si poggiano sui muri. Il disordine è caos in cui non trovo perdita di orientamento ma incredibile curiosità.
Costeggio la libreria, gli occhi vi indugiano qualche istante di troppo mentre il respiro di Draven fa da sottofondo. Ho promesso di non toccare nulla, eppure non resisto. L’indice accarezza i dorsi dei tomi impilati in ordine: l’uno accanto all’altro si congiungono come pezzi di puzzle per dimensione ed estensione.
Leggo i titoli di qualche classico, ne riconosco gli autori per più della metà; poi, una chitarra elettrica, nell’angolo, attira la mia attenzione. Suona? Mi chiedo. Le corde sono intatte, nessun graffio intacca la superficie di legno. La polvere è assente. Mi chino d’istinto verso lo strumento, nello stesso istante una fitta mi toglie il respiro ed io soffoco un lamento che mi lascia, così, piegata in due con gli occhi serrati. I polmoni si espandono lentamente, cerco il controllo e così mi concentro altrove: le pupille si stringono quando la luce le attraversa, diretta. Guardo il muro al di là del vetro della finestra.
Percepisco Draven muoversi l’istante seguente. Torno dritta reggendo il fianco destro con la mano, come se bastasse a contenere la sensazione di un chiodo piantato nella carne. Mi volto a guardarlo: è immobile, disteso al centro del letto; la luce gli accarezza i capelli, scende sulla schiena nuda e le spalle si contraggono ad ogni respiro. Mi avvicino, piano. Dovrei svegliarlo ma la calma che d’improvviso mi abbraccia mi fa desistere. Nulla sembra cambiato tra noi, così.
Un brivido percorre la spina dorsale, dal basso verso l’alto, ed io mi sforzo per non tremare. Siedo sul letto e tolgo entrambe le scarpe facendo ben attenzione a non fare il minimo rumore. Sposto il peso interamente sulle braccia, tento di trascinarmi sul letto e poggiare la testa sul cuscino. Inspiro ed espiro, gradualmente. La gamba sinistra e poi la destra, infine un ultimo sforzo e mi giro verso di lui. Resisto all’ennesimo lamento, ancora una volta stringo le palpebre mentre la mano destra preme sulle lenzuola e le nasconde in un pugno. Il sudore mi bagna il collo, ho freddo nonostante fuori l’estate infiammi ma città. Mi chiedo come sarà il dolore una volta finito l’effetto della medicina e reprimo il terrore al solo pensiero di svenire ancora scoprendone l’intensità. Rimango immobile al suo fianco, freno il desiderio di sfiorare la sua pelle e così il lungo brivido che mi infiamma il ventre al solo pensiero.
Non ho idea di come reagirà quando mi troverà al suo fianco ma immaginare la sua espressione mi diverte; così, un sorrisino evidenzia le fossette sfuggendo tra le mie labbra e rimango lì ad aspettare.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 15/1/2024, 17:31
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



La banda di musicisti entra in casa. Sento chiudere la porta, ma hanno già smesso di suonare, per fortuna. Passi ritmici mi confermano la loro presenza; cadenzano il mio respiro regolare per qualche istante e nient'altro. Torna il silenzio dopo poco ed io sprofondo ancora una volta nel sonno ristoratore. Non so se sentirmi così spossato sia una normale conseguenza degli esami o se sia per via di una ben più complessa commistione di situazioni varie, ma sono stremato. Sento di avere tanto bisogno di riposo. Di tranquillità. È come se trovare rifugio nei sogni fosse più rasserenante di quanto non sia mai stato. Forse merito anche dei difficili anni passati in compagnia dell'insonnia; è davvero tanto piacevole dormire così limpidamente.
I pensieri assumono forme astratte che non pretendono di essere interpretate. La logica lascia il posto all'immaginazione. È più facile lasciar scorrere il tempo così. Le attese non hanno un peso materiale.
Gli sporadici suoni nella realtà al di fuori della dimensione in cui mi nascondo continuano, però, a intromettersi nella mia fase REM. O, per meglio dire: riprendono a farlo.
Dopo una pausa di silenzio che mi è parsa abbastanza lunga da consentire alla mia mente di elaborare la bizzarra storia sul gruppo di musicisti che vedo sedersi comodamente nella sala di casa mia a bere una birra, dopo avermi infastidito con lo stridio del campanello, sento le inferriate della finestra chiusa sopra la mia testa fischiare come foglie al vento. Un filo d'aria fresca mi accarezza la schiena nuda, presumibilmente proveniente dall’altra finestra in stanza lasciata aperta per Donut e, più o meno vigile, mi rendo conto non solo che ho provato a imporre al mio cervello di riaddormentarsi forzatamente, e senza successo, negli ultimi minuti, ma anche che qualcuno deve aver aperto la porta della camera generando una lieve corrente. Piacevole, se non fosse che penso sia di nuovo Eliana: stordito di sonno o meno, se riaccende l'aspirapolvere stavolta mi alzo dal letto solo per potergliela togliere di mano e lanciarla fuori dalla finestra.
I passi leggeri sulle assi di parquet tramutano l'immagine dei musicisti in piccoli topi dall'aria strafottente, come gli aiutanti di Cenerentola. Forse è lei ad essere entrata nella stanza. Eliana non ha il passo così delicato; quando dai turni serali rientra in casa in piena notte sembra che si porti dentro un carrarmato. E non ha lo stesso profumo che sento invadermi le narici.
Tra sonno e veglia, imperterrito, mi tengo agganciato al rifugio dietro le palpebre chiuse, ma cerco comunque di elaborare, nel modo in cui la condizione mi fa pensare sia più logico, tutto ciò che le percezioni mi registrano nel cervello.
È un cazzo di delirio e mi piace da matti.
I saccenti topini/musicisti sono di là a godersi la loro meritata (?) birra. Penso che sia tutto ok, me ne disinteresso, almeno finché il peso sul letto non cambia.
Svanisce tutto in un istante.
L'ipotesi che Cenerentola mi si sia distesa di fianco viene brutalmente surclassata da una più papabile e terrificante idea di un malintenzionato che vuole uccidermi nel sonno; perché non mi piacciono le vie di mezzo, devo passare da un eccesso a un altro.
Spinto da un impulso di sopravvivenza primordiale, mi tiro su facendo leva sull'avambraccio destro, mentre il sinistro si tende per consentire al busto di drizzarsi su quel lato e farmi avere il volto a un'altezza di sicurezza da chiunque ci sia al mio fianco. Mostrando dall'espressione corrucciata in viso tutta la confusione che ho in testa, apro gli occhi e punto lo sguardo lì davanti a me. Metto a fuoco il profilo di Megan e, immediatamente, mi rendo conto di essere sveglio perché nei miei sogni non riesco mai a riprodurre il colore dei suoi occhi. Inoltre, è sempre nuda e spesso mi legge Tolstoj; che nemmeno mi piace e, forse, proprio per questo lo faccio leggere a lei, per renderlo migliore.
Da tipica persona col risveglio più lento dell'andamento del Tristo Mietitore, non ho una vera e propria reazione; a parte il cuore che lei non può sentire e che inizia a battermi forte nel petto, un po' per la sorpresa, un po' perché realizza prima del cervello che è davvero qui.

Sei tanto più bella che nei miei sogni. - constato in un bisbiglio, ancora assonnato.
Mi concedo un ultimo istante a guardarla negli occhi per imprimerne lo sguardo nella memoria; totalmente dimentico, in questo momento, di ciò che è accaduto ieri in treno, dei messaggi senza risposta, delle ore di attesa... E, come se nulla fosse, mi ributto con il viso tra i cuscini, mentre il braccio sinistro, rivolto verso di lei, va a cingerle la vita per avvicinarmi a quel calore che sa della stessa sostanza dei sogni. Anzi, meglio.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 17/1/2024, 14:16
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



Il tempo ticchetta assente nella stanza ed io perdo l’orientamento. Sembra un’eternità ma in realtà non è passato nemmeno un minuto. Me ne sto sdraiata qui con l’ansia che mi preme sul petto e la voglia di scoprire cosa accadrà nel momento in cui lui poserà gli occhi su di me. Gioco con le lenzuola, lascio che si intreccino tra le dita della mano destra dando vita a piccole e continue spirali, che disfo e compongo in modo diverso ma sempre uguale. Alterno lo sguardo da quel gesto al respiro che esplode lento sulla schiena di Draven a pochi centimetri da me; nel momento in cui mi convinco ad allungare la mano, il leggero movimento che vedo mi fa ritrarre. È sveglio? Il cuore riprendere a battere agitato e l’incertezza torna a fare da padrona: E adesso? Cosa succederà?
Rimango immobile, trattengo persino il respiro. Lo sento muoversi ancora e poi finalmente si solleva voltandosi verso la mia direzione. Gli occhi verdi ancora semichiusi mi guardano ed io tento di leggerne le sottili sfumature che si nascondono alla luce che si riflette sul suo profilo, in alto.
Schiudo le labbra e prima che possa solamente dire qualcosa è lui a parlare: «Sei tanto più bella che nei miei sogni.»
Sorrido e abbasso lo sguardo solo per un esiguo attimo. La guance diventano di un rosso scarlatto per l’imbarazzo che quel complimento mi genera, mordo le labbra e arriccio il naso. Non sembra arrabbiato, né deluso; questo, mi permette di sciogliere la tensione dell’attesa e finalmente torno a respirare.
Tuttavia, una frazione di secondo e quello che accade non riesco a controllarlo in alcun modo. Draven mi afferra per il fianco e nel momento in cui le sue mani toccano il tessuto del vestito, premendo inevitabilmente sulle costole, un grido squarcia lo spazio e fa oscillare le mura. Mi spingo lontana di riflesso. Inizio a tremare. Un sibilo bilaterale perfora le mie orecchie. Ogni respiro, adesso, torna ad essere una tortura che non riesco a cocontrollare in alcun modo. I muscoli si contraggono ad ogni spasmo ed il chiodo invisibile penetra sempre più affondo nelle ossa.
«D-rav…» ansimo in un sussurro. Ancora una volta mi sfugge un lamento, tento di soffocarne l’intensità ma non ce la faccio. Avrei dovuto prevederlo, avrei dovuto rendermi conto di quanto sarebbe stato pericoloso.
Cazzo, non ce la faccio!
Mi sembra di morire. Come se non avessi più aria nei polmoni per respirare. I muscoli contratti bruciano per lo sforzo.
Respira piano, Megan...
Provo a concentrarmi. Cerco spazio, mi giro lentamente poggiando la schiena sul materasso. Le dita premono con forza sul tessuto sotto di me: ogni spostamento è un gemito sofferente che a stento riesco a frenare. Ho il cuore in gola, la nausea che minaccia di farmi vomitare seduta stante e la testa che gira tanto da far flettere il soffitto sopra di me come se potesse crollare da un momento all’altro. Il sudore mi cola lungo le tempie sino a perdersi tra le ciocche in disordine. Batto i denti.
«Ho le costole rotte» riprendo a fatica, «Elizabeth, l-lei…» e ancora un lamento, mi mordo le labbra. «Non mi… Mi sento bene» bisbiglio e tengo gli occhi chiusi per paura di aprirli e rimettere l’istante seguente.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 18/1/2024, 17:42
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



Quando si dice "nel tempo di un battito di ciglia” lo si fa con leggerezza. È un tempo troppo breve per esprimersi o formulare pensieri.
Eppure, è un infinitesimo di secondo in cui possono cambiare tante cose. Come la parvenza di pace e tranquillità spazzata via dal grido di Megan.
Il tempo che intercorre da quando richiudo gli occhi felice e rilassato e poi mi tiro di nuovo su, con un'espressione di puro terrore in viso, è incalcolabilmente breve.
Un battito di ciglia che, assunta di nuovo quella scomoda posizione un po' a pancia in giù e un po' sostenuto dal fianco destro, non mi concedo di nuovo.
Nel momento in cui il mio sguardo si trova di nuovo sul suo viso, mi sento come se non potessi distoglierlo. Resto a fissarla come se fosse un Angelo Piangente giunto per mettermi i bastoni tra le ruote.
《Non battere ciglio. Se lo fai sei morto.》
Visti i collegamenti che la mia mente è in grado di fare, nonostante l'assurdo spavento per una circostanza che non comprendo, credo di non essere ancora del tutto sveglio.
Stavo dormendo troppo bene, comunque... Un incubo ogni 18 ore di sonno, ci sta.
In quel fatidico frangente, l'istinto ha fatto scattare indietro il braccio con cui ho provato ad abbracciarla e gli occhi, per lo stesso principio innato, si trovano a seguire il movimento del suo. Fa fatica, ma arriva a stringersi il fianco con la mano. È visibilmente dolorante.
Dovrei chiedermi perché, chiederle cosa sia accaduto, come, quando... Qualsiasi domanda di rito. Invece, resto lì immobile come una statua di ghiaccio, con l'irrazionale timore di essere stato io a ferirla nel sonno in qualche modo.
Ciò che mi passa per la testa non ha niente di logico.
Mi bruciano gli occhi e le palpebre iniziano presto a fare resistenza.
Il cuore minaccia di sfondarmi il petto.
Che cazzo succede?
Non è così che è solita pronunciare il mio nome. Non è così che dovrebbe andare mentre si trova distesa sul mio letto.

Che c'è? - dico rauco e con un filo di impazienza che si evince, mio malgrado, dal tono di voce.
Non mi piace non sapere, non capire. È la percezione di un brutto presentimento a rendermi immediatamente nervoso, nonché sveglissimo. La paura mi formicola addosso e fin dentro le ossa.
Il silenzio seguente mi logora dentro. Poi, lo spezza con una spiegazione a mezza bocca e in concomitanza... Spezza me.
Sento uno strappo all'altezza della bocca dello stomaco. La mia coscienza latente che mi infligge dolore fisico per tutte le volte in cui Megan ha provato a parlarmi di sua nonna ed io non ho voluto ascoltarla, perché non volevo sprecare il nostro tempo insieme a parlare della megera.
Non potevo immaginare... che...
Non ne avevo idea.
Do per scontato che non sia la prima volta che accade qualcosa del genere e mi sento bollire il sangue nelle vene.
Deglutisco faticosamente. Il familiare sapore di rame che la mia gola produce ogni volta che sono in panico mi risale fino alla punta della lingua.

Perché non ti sei curata con la magia? Devi curarti. Dobbiamo andare... - inizio a dire, le parole che trovano voce senza che io ne abbia il controllo, almeno finché non penso e mi trovo sul punto di dire di portarla in ospedale.
Il dopo era la parte che odiavo di più da bambino. Chiunque mi stesse intorno mi toccava nei punti dolenti, facendomi domande le cui risposte avrebbero generato nient'altro che un ciclo perpetuo di me di nuovo al pronto soccorso. Mi toccavano per aiutarmi, ma lo facevano così spesso e in maniera così insensibile. Odiavo che fosse per il mio bene, la sensazione di dover attraversare la fase di guarigione per un qualcosa che non avrei dovuto avere a prescindere. Odiavo che avessi bisogno di quel tocco per essere aiutato.
No. Niente ospedale.
E quella vecchia di merda può ritenersi già sotto terra.
Scuoto la testa, le mani mi tremano e me ne accorgo solo perché il braccio sinistro mi è rimasto praticamente a mezz'aria per tutto questo lasso di tempo.
Mi giro a darle le spalle e scendo dal letto. Con due lunghi passi mi trovo già in prossimità del baule; mi chino e recupero la bacchetta.
Il mio corpo reagisce prima ancora che la testa, tristemente a rilento per i vari passaggi sonno/veglia, riesca a comprenderne la motivazione. Ma è piuttosto intuibile, in realtà: con delle costole rotte sul suo lato dominante come cazzo avrebbe potuto effettuare in maniera efficace un incanto di guarigione su se stessa?
Mi sento un po' in dovere di chiederle se preferisca andare in ospedale piuttosto che farsi guarire da me: perché questo è l'unico altro esito possibile che mi viene in mente al momento. Ma la reticenza è parecchio prepotente.
Pondero sulla questione nel brevissimo tragitto intorno al letto per fermarmi di fianco a lei.
Se avesse voluto andare in ospedale, avrebbe potuto farlo prima di venire qui da me. Potrebbe essere nient'altro che una conclusione egocentrica, dettata esclusivamente dal mio malessere alla sola idea di rimettere piede nell'ospedale di zona, ma decido comunque di attenermici.

Resta ferma. Starai bene. - Non è una richiesta. Il tono è perentorio.
Qualsiasi cosa abbia provato a dirmi fino a questo momento non è stata recepita in alcun modo da me. Mi sto imponendo, non è giusto, lo so. Cazzo. Lo so. Ma non può restare così e non intendo portarla in quell'ospedale. Può incazzarsi con me dopo, ne avrebbe almeno la forza e io ne sarei sollevato.
Che risveglio di merda.
Distendo il braccio sinistro, la punta della bacchetta a ridosso del suo fianco, lì dove l'ho vista cercare di contenere il dolore. Attento a non toccarla, non penso ad altro che al movimento da eseguire per l’incanto. Ha detto costole rotte, giusto? Dio o chi per lui: fa che funzioni.

Costas emendum.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 20/1/2024, 01:05
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



«Perché non ti sei curata con la magia? Devi curarti. Dobbiamo andare…»
«Dove?» rispondo con voce flebile.
Mi sforzo ad aprire gli occhi. La testa gira, porto le mani sulla fronte e le dita premono lungo le tempie. Un altro tentativo: respira lentamente, Megan. Piano. I polmoni si dilatano e premono sulle costole. La sensazione di un ago conficcato nel fianco che tocca i nervi e mi piega al dolore. Non passa. Ho bisogno di tempo.
Le labbra si assottigliano e il viso si contrae ancora. L’ennesimo spasmo, fino ad arrivare a conoscerne il percorso: devo controllarlo.
Contraggo, ancora e ancora, l’addome per un tempo di disteso tormento. È la stessa sensazione che ho provato ieri, prima di svenire. Mi sento priva di forze.
Seguo Draven a fatica mentre con un movimento balza giù dal letto e mi raggiunge, nel lato opposto.
«Ce la faccio Drav, dammi un minuto.» la voce è sottile, l’ho solo pensato?
Provo ad alzarmi, una piccola spinta che non riesco a tacere. Un lamento acuto e ricado sugli avambracci, attutisco l’ennesima fitta mentre mi lascio scivolare di nuovo sul cuscino.
«Resta ferma. Starai bene.»
«Qualsiasi cosa, ti prego, fallo smettere!» grido mentre il corpo si contorce per lo sforzo, l’ennesima preghiera. Poi tutto si spegne.
Buio.
Silenzio.
La voce di Draven è un’eco lontana. Lo sento. «...Emendum!»
Un calore avvolge il fianco. Il dolore, un'ultima pugnalata. Sento le ossa muoversi sotto la pelle. Ogni millimetro percorso è una tortura che trattengo stretta tra i pugni. Le unghie bucano i palmi e un grido squarcia lo spazio, rimbomba nella stanza.
Schiudo le palpebre lentamente. La poca luce che filtra dalla finestra crea forme geometriche distorte. Lampi, piccoli buchi neri ad intermittenza.
Un rivolo di sudore mi attraversa la fronte, accarezza il naso e cola lungo la guancia. Mi sento esausta, eppure il sollievo mi avvolge ed è un balsamo che accarezza la mia pelle madida di sudore.
Schiudo le labbra. Respiro finalmente. Ogni cosa prende forma e colore, così la consapevolezza di quanto è appena accaduto.
Porto gli occhi su di lui: è terrore quello che leggo. È paura quello che provo, improvviso panico.
«Drav…?» la voce trema. Le mani allentano la presa, faccio leva sui palmi, poi lascio scivolare le gambe lungo il pavimento. Sono seduta e sto tremando.
Cosa ho fatto?
Il cuore trema, poi soffoca un battito tanto è il peso che mi schiaccia improvviso.
Ha usato la magia? So già la risposta ma non voglio crederci.
A fatica prendo i lembi del vestito e lo tiro su. Il tessuto scorre sulle mie gambe, ogni carezza brucia come il fuoco.
La vedo. La pelle è ancora livida. C’è una speranza, forse non è successo nulla. L’illusione cade non appena le dita scorrono sulla pelle, toccano il punto in cui le costole sono rotte e… Non c’è più niente.
Provo repulsione, il dorso della mano lascia cadere la stoffa e copre le labbra. Trattengo. Strizzo gli occhi e ingoio aria.
«È colpa mia Drav. Non dovevo chiedertelo, non dovevi farlo!» scuoto la testa, il respiro torna irregolare.
Il panico mi stringe nella sua morsa.
«La traccia» continuo con il cuore in gola. «Drav, tu… Tu rischi l’espulsione!» Scatto in avanti, barcollo. Appoggio la mano libera sullo scaffale della libreria e di nuovo il senso di nausea colpisce lo stomaco.
«Cazzo, cazzo, cazzo...» ripeto tra i denti, porto le mani tra i capelli. Tiro le ciocche indietro, i gomiti stretti, la testa china mentre le lacrime sciolgono il trucco e scoppio in un pianto disperato.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 21/1/2024, 02:52
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



Questione di pochi secondi. Abbasso la guardia. Torno vigile e consapevole di ciò che mi circonda. È stato solo un incubo.
Ho gli occhi aperti adesso e non vedo altro che una serie di cose storte. Mi disturbano fin dentro l’anima, nemmeno le comprendo a pieno.
Il cuore mi batte frenetico e mi chiedo se nelle ultime settimane abbia mai avuto un ritmo regolare per più di due minuti di fila.
Sospiro e mi sembra di inalare spilli. Ho ancora in gola la spiacevole sensazione di sangue, quel sapore di rame che, mio malgrado, conosco troppo bene.
Il sussurro di Megan mi arriva alterato. Ho le orecchie ovattate, senza alcuna ragione apparente.
Tornano a valanga stralci di conversazioni avute con lei negli ultimi giorni, la discussione di ieri, il colpo di grazia letteralmente inflitto da quella vecchia stronza e tutto ciò che ho provato per ogni singola cosa… Tutto insieme.
Per un lungo istante perdo contatto con il mio corpo. Ho le braccia leggere come piume, non rispondono ai comandi; il sinistro torna sul fianco e le dita della mano allentano la presa sulla bacchetta, la sento cadere a terra. Non ho sensibilità al tatto. Non riesco a muovermi.
Oh… Cazzo.
Mentre Megan si mette a sedere sul bordo del materasso, realizzo di non aver agito per dolore, bensì per rabbia. La consapevolezza mi riporta agli anni peggiori della mia vita: ai blackout frequenti, gli incidenti inspiegabili, i ricordi compromessi e a quella stessa identica sensazione di estraniamento che ho appena percepito.
In breve: non ricordo un cazzo di ciò che è successo dal momento in cui mi sono alzato dal letto.
D’istinto alterno lo sguardo tra il suo fianco ancora livido e la bacchetta ormai a terra. Non capisco. Non finché le sue parole non mi chiariscono la situazione. Devo aver usato la magia per guarirle il costato…
Ho un colpo al cuore, lo sento sussultare nel vuoto per un secondo sufficiente a darmi il capogiro.
La fitta di panico mi arriva diretta e precisa come un dardo avvelenato, ma la nota positiva dell’essere abituato al dolore è che l'intellettualizzazione non ci mette molto a subentrare. In un istante penso di aver perso tutto per un moto di incoscienza, quello seguente sto già pensando che non posso essere espulso, semplicemente perché non lo permetterò.
Chissà perché, quando stiamo insieme, sia nel bene che nel male, tutto accade da zero a cento.
Come un pendolo che oscilla da una parte all’altra, in equilibrio effimero.
Mi volto e mi avvicino a Megan, lo faccio con una tale sicurezza che, considerata la totale insensibilità negli arti degli istanti precedenti, sorprende anche me. L’espressione che ho in volto è imperscrutabile, impassibile, come se non si stesse disperando per l’eventuale distruzione del mio futuro.
Poso le mani intorno alle sue, allento la presa delle sue dita intrecciandole tra le mie. La costringo con delicatezza ad abbassare le braccia per poi cingerla forte a me. Rassicurarla.
È così rincuorante il senso di conforto che provo in risposta al suo dolore.
Le concedo del tempo per sfogarsi e ritrovare un po’ di tranquillità, avvolti in un silenzio accompagnato solo dai suoi singhiozzi.
Avrà i sensi di colpa in eterno, se mi espelleranno, e l’ultima cosa di cui ha bisogno ora è di sapere su quanti strati deformi si componga la mia psiche. Non posso rivelarle dei blackout, non ora. D’altronde, è stato solo un caso isolato ed è stato per il suo bene, non c’è da preoccuparsi. Per il momento, almeno.
Ho le braccia avvolte intorno alle sue spalle, la mano sinistra dietro la nuca e le dita distese a posare lievi carezze lungo il profilo umido del viso. Ho il petto bagnato delle sue lacrime, i segni del trucco a decorarmi la pelle. È malsano che trovi calore in tutto questo, ma il cuore si è assestato, così come la ragione. Qualsiasi cosa accada, la risolverò, in un modo o in un altro. Sono troppo abituato a perdere per darla vinta senza combattere. So nuotare anche in mezzo alla merda. Non è di me che voglio preoccuparmi.

Dobbiamo andare da un dottore, potresti aver riportato altre lesioni che non sappiamo. – esordisco, ignorando ciò che le grava dentro. In piena onestà: se non affronto l’argomento, sto meglio e, finché non se ne presenterà l’esigenza, posso fingere che non sussista.

Ti va di parlarne? Di… Ciò che è successo, intendo. Ti ascolto. E puoi restare qui tutto il tempo che vuoi. Io sto bene, è tutto ok. – aggiungo subito dopo, posando un paio di baci tra i suoi capelli.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 25/1/2024, 16:13
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



Lo sento avvicinarsi. Afferra le mie mani, le stringe. Seguo i suoi movimenti ed alzo lo sguardo solo quando le dita sfiorano i bordi del vestito. Draven annulla ogni barriera, le braccia mi avvolgono l’attimo seguente. Il viso preme sul suo petto, la pelle calda e bagnata dalle mie lacrime. Respiro in affanno, il suono che esce flebile dalle labbra, un lamento perpetuo. Mi sembra di piangere tutta la mia vita. Ci provo. Devo smettere. Stringo gli occhi per lavare via fino all’ultima goccia aggrappata alle ciglia ma non riesco a fermarmi e, ad ogni tentativo, il dolore si fa più intenso. Il cuore esplode, ogni battito apre ferite che sanguinano copiosamente. Il peso che porto dentro da tanto tempo, il buco nero in cui ogni fibra del mio corpo annega, ha strabordato come l’argine di un fiume dopo giorni, mesi, anni di pioggia. Non lo controllo. Provo vergogna.
Il pollice sfiora la mia guancia sinistra, aiuta a spazzare via la disperazione che naviga nelle iridi oceano. Socchiudo appena le palpebre, mi lascio guidare dalle sensazioni che provo.
Cosa provo?
«Dobbiamo andare da un dottore, potresti aver riportato altre lesioni che non sappiamo.» Draven parla. Lo guardo adesso e nei suoi occhi incontro una calma insolita. Scuoto la testa con un’espressione accigliata, non ho intenzione di andare da nessuna parte. «Ti va di parlarne? Di… Ciò che è successo, intendo. Ti ascolto. E puoi restare qui tutto il tempo che vuoi. Io sto bene, è tutto ok.» continua, mi rassicura ma io non gli credo.
«È t-tutto ok?» la voce trema nell’incertezza, rabbia che improvvisamente mi esplode in gola. «No, Drav. Non è tutto ok.» mi mordo le labbra. Cerco di chetare il respiro, le mani tremano.
«È tutto un gran casino ed evitarlo è solo peggio» scosto il viso di lato ma non mi allontano. Il calore del suo corpo è lenta e inesorabile attrazione. Seguo con lo sguardo i numerosi libri tra gli scaffali, trovo distrazione dai miei pensieri quanto basta per poi pulire via le lacrime dal viso con il dorso della mano e tornare a guardarlo.
«Non fingere di stare bene, per favore, non con me. Non fingere che non ti importi di tutto questo perché lo so che ti importa» non voglio obbligarlo a parlare ma non deve mentirmi. Le punte delle dita accarezzano il suo profilo e ho paura che possa sgretolarsi sotto il tocco dei polpastrelli, come sabbia stretta tra le mani. «È stata colpa mia, non dovevo venire qui e scaricarti addosso i miei casini ma io… Non sapevo da chi altro andare» le parole muoio all’ennesima fitta nel petto. Inspiro ed espiro prima di vomitare tutto quello che è successo da quando ho abbandonato King’s Cross.

«Non ho intenzione di firmare niente, anche se mi costerà altre ossa rotte» alzo le spalle, come se non avesse davvero importanza tutto questo. «Non so da che parte stia Evie, ma so l’influenza che ha mia nonna su... tutto.» Me compresa, abbasso nuovamente la testa. Le mani cercano quelle di Draven, le dita si intrecciano alle sue in un lento gioco di distrazione. «Non so perché sia andata via e ora sia tornata, se davvero l’ho conosciuta quando ero molto piccola e se ha servito la mia famiglia» le labbra tremano, la consapevolezza di ciò che mi circonda adesso è più reale di quanto lo sia mai stata in questi anni. Dovrei trovare il coraggio e andare via da tutto e tutti ma arrendermi non è un'opzione, non lo è mai stata. Così, allo stesso modo, come il pensiero è arrivato rifugge altrove, si nasconde, quando per l’ennesima volta incontro i suoi occhi. Avere Draven nella mia vita ha cambiato tutto ma non ha cambiato la realtà che mi circonda, è sempre lo stesso schifo. Tuttavia, amarlo è l’unica cosa che mi mantiene viva, è l’unica cosa che sopisce il dolore nel petto e mi porta in un mondo dove nulla è reale ma tutto è tangibile. È come vivere un’altra me, è come vivere e basta.
Mi appoggio a lui, la guancia nell’incavo del suo collo, le labbra a sfiorare la pelle.
«Mi dispiace tanto per quello che è successo ieri» sussurro mentre le palpebre si chiudono e mi abbandono ad un lungo respiro. Le mani scorrono sulla sua pelle, lungo i fianchi, sfiorano la schiena e si congiungono in un timido abbraccio.
«Va tutto bene tra noi?» un’ultima domanda, la sensazione di paura torna a contorcere lo stomaco.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net



Edited by Megan M. Haven - 25/1/2024, 16:37
 
Top
view post Posted on 28/1/2024, 16:00
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



Non ho altro. Questo abbraccio è tutto ciò che mi resta.
Ho lavorato per costruirmi un futuro e non avrei mai permesso a niente o nessuno di intromettersi nella mia vita.
Non avevo calcolato… Lei.
Si sedimenta sulla bocca dello stomaco l’amara consapevolezza di aver dato a Megan tutto ciò che posso. Oltre la mia vita, non avrei altro da offrirle.
Mi sembra palese che, coscientemente o meno, sia disposto a cederle ogni parte di me, rinunciando anche a quel futuro che tanto duramente ho cercato di edificare. Non so come mi senta a riguardo; vorrei dire di sentirmi felice, per lei e con lei, però, non ci riesco. Dirlo ad alta voce sarebbe come ammettere che dipendo esclusivamente da questo rapporto e amo Megan, Dio se la amo, ma non so se mi basta e il solo pensiero di aver bisogno anche di altro mi devasta. È incoerente, un ossimoro che non riesco a sbrogliare e mi appesantisce l’animo nel momento in cui, tenendola stretta tra le braccia, penso che se riuscissi a proteggerla e a renderla felice con me, mi sentirei quantomeno soddisfatto. Forse non realizzato, ma avrei qualcosa, almeno.
Se la perdessi… Beh, a questo punto non è nemmeno un’ipotesi contemplabile. Devo fare in modo che tutto vada per il verso giusto, evitare che niente e nessuno intralci la nostra relazione. Un nuovo obiettivo, una nuova prospettiva di futuro da costruire, insieme. Mi sa di premio di consolazione detto così e mi si torce lo stomaco al pensiero. Non voglio accontentarmi, non voglio scegliere. Voglio tutto.
La stringo un po’ più forte a me, col desiderio che non si allontani. Penso che, nonostante stia piangendo a dirotto, sia io ad aver più bisogno di questo abbraccio tra i due. Ed è così strano, cazzo… Non mi è mai piaciuto il contatto fisico e con lei, da quando abbiamo iniziato a frequentarci, ogni scusa è valida per toccarla, sentirla.
È come se avessi appena aperto gli occhi non solo dal lungo sonno intermittente da quando sono tornato a casa, ma anche da quella che definerei una sorta di foschia, come se tutto ciò che ho vissuto insieme a Megan non lo avessi percepito in maniera reale e concreta e, solo ora, stessi iniziando a considerare le mie reazioni e i miei pensieri quando le sto vicino. Come se, fino a questo momento, l’idilliaca sensazione dei sentimenti fosse stata talmente soverchiante da non farmi ragionare.
Non capisco se questa mia nuova presa di coscienza sia un bene o un male. Ma voglio ragionare. Non intendo perderla e non intendo rinunciare alle mie ambizioni. Non sceglierò. Devo “solo” restare lucido e non commettere più errori.
Le sue parole mi distolgono dal filo dei pensieri e mi ritrovo, mio malgrado, ad allentare la stretta delle braccia intorno a lei per poter abbassare lo sguardo sul suo viso. Le accarezzo le guance con il dorso di una mano per rimuovere quegli ultimi residui di dolore che le fanno brillare la pelle. Ha gli occhi gonfi, il trucco sciolto e presumo che un essere umano normale si sentirebbe dispiaciuto a vedere la persona di cui è innamorato riversa in questo stato… Non so che cazzo di problemi abbia, ma ne ho tanti e penso che sia bellissima quando soffre per me. Anche se, in questo specifico caso, non riesco a mandare giù ciò che le ha fatto sua nonna. Non può accadere di nuovo e non ho idea di come, ma riuscirò a impedirlo.

Non sto fingendo. Non verrò espulso per aver eseguito un incantesimo di guarigione a due settimane di distanza dal compimento della maggiore età. Chi se ne frega, non è questo il fulcro del problema. - rispondo, deciso, nonostante il fatto che mi abbia accusato di non essere onesto su ciò che sto provando mi porti a esternare un’inevitabile smorfia. Vorrei vedere lei a trovare le parole per esprimere adeguatamente la bizzarria che c’è nella mia testa. Sto cercando di affrontare la cosa con raziocinio e più di questo non so che fare, al momento. Ma perché cazzo ogni volta che parlo con lei sembra che si rivolga direttamente alla mia anima? È difficile avere un canale di comunicazione senza che mi senta la coscienza rimaneggiarmi le budella. E io odio la mia coscienza, cazzo, credevo di non averla nemmeno più. Ma ora capisco perché in più occasioni ho cercato di evitare di parlare a cuore aperto con lei. È tutto difficile. Non poteva essere solo coccole e pompini, eh?!
Perlomeno, mi rincuora sentirle dire che non sapeva dove altro andare. L’essere soli su una stessa barca è, in qualche modo, rassicurante. Mi fa pensare di non essere l’unico ad avere qualcosa da perdere se tra di noi non dovesse andare bene. E, anche questo, non so quanto sano sia, ma non potrebbe fregarmene di meno della sanità, a questo punto.
L’ascolto mentre mi racconta di sua nonna dal momento in cui siamo arrivati a King’s Cross, senza mai interromperla. Ha passato una ventina di ore a dir poco infernali. L’aggiunta al quadretto dell’elfa mi disturba non poco. Almeno fin quando c’era solo la vecchia megera riuscivo a sgattaiolare a casa sua; l’elfa complica le cose. Ma torno indietro nell’ordine cronologico del suo discorso per rimuginare sulla questione del contratto. Non mi ha chiesto come la penso, per cui taccio; ma non mi trovo propriamente d’accordo all’idea di farsi rompere le ossa pur di mantenere il punto su un qualcosa di materiale che potrebbe essere tranquillamente rimpiazzato.

Ti piace? A prescindere, comunque, non fidarti di lei. - mi limito a commentare, riferendomi all’elfa. Solitamente queste creature emulano l’indole dei loro padroni. È raro, come nel caso di Rufur, l’elfo domestico di mia nonna, che siano diverse dal modo in cui sono state educate: servono a servire. Il miglior modo per essere utili a chi le comanda è di essere in grado di comprendere il padrone ed è come se questa necessità, l’essere il più servizievoli possibile, li portasse a sviluppare un carattere analogo. Anche in questo caso mi astengo dal dire la mia, ma che questa elfa di famiglia sia sparita per anni non me la fa piacere neanche un po’. Mi sa di losco.
Stringo le dita, con cui ha giocherellato per tutto il tempo del racconto, e la trascino con me verso il letto. Non la lascio andare nemmeno quando mi siedo sul bordo, non voglio privarla dell’antistress, ma dopo qualche altro istante è lei a farlo. È un po’ estraniante dal contesto sentirla accarezzarmi il fianco e la schiena e mi ci vuole tanta, ma proprio tanta, forza di volontà per ricordarmi che tre minuti fa si stava disperando di pianti e che ha passato la nottata tra chissà quali dolori per via del costato. Ricambio l’abbraccio con tutta la pudicizia di cui dispongo, che non è molta, ma sufficiente a rendermi un pelino comprensivo.

Di cosa ti dispiace? Che abbiamo litigato o i motivi? - rispondo seccamente, sentendo lì sullo stomaco, dove si annidano l’ansia e tutte le altre brutte emozioni che provo con una facilità disarmante, un moto di fastidio. Non so bene nemmeno io per cosa sia nello specifico, ma sciolgo l’abbraccio e mi butto di schiena sul letto, le mani sul viso e la punta delle dita a sfregare le palpebre.

Dovremmo lavorare sulla nostra comunicazione. - esordisco, abbassando le braccia e riportando lo sguardo su di lei, sul suo viso, splendido anche quando è così disordinato. Mi viene da sorridere e non lo nascondo: un po’ è perché è bellissima e guardarla mi fa l’effetto dello xanax, un po’ è perché io che giudico il nostro livello di comunicazione ha dell’ironia.

Abbi pazienza mentre imparo come si fa. - concludo, piegando le braccia e posandole pigramente sul dorso.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 30/1/2024, 22:39
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



Lo sento scivolare via ma rimango ferma. La mancanza di quel contatto si annida nello stomaco, una morsa che spezza il respiro. Mi ritraggo, le mani tornano a sorreggere il peso del mio corpo, le dita si fanno largo tra le lenzuola aggrappandosi al tessuto nello spazio che ci separa. Rimango seduta alla sua destra. Seguo i movimenti. Draven preme le dita sugli occhi spazzando via la stanchezza e l’espressione mi appare meno tesa. Poi, altre parole trovano di nuovo libertà in quel luogo, il tono sembra meno carico di nervosismo. L’intensità del suo sguardo mi costringe ad abbassare gli occhi lungo il vestito. Sento la pelle formicolare lungo le guance, il leggero calore sul viso quando mi sorride.
«Già» dico con un filo di voce mentre distendo le labbra allo stesso modo. Torno a guardarlo per un esiguo istante; il blu, poi, abbandona il suo viso e rifugge al di là dell’ampia vetrata sopra la spalliera. Mi soffermo sulle colonne del cortile interno del palazzo, contandone il numero visibile. Non è l’unico che deve imparare a farlo, penso.
Porto la mano destra a sistemare una ciocca corvina caduta sul viso, successivamente mi lascio cadere al suo fianco. Un tonfo silenzioso, sprofondo tra le lenzuola. «Mi dispiace di aver litigato e basta.» non lo guardo, la voce esce grave e interrompe il breve silenzio che ci circonda. Rimango immobile, le palpebre si distendono sul cielo bianco. Ecco il peso tornare a premere sul mio petto. Ho paura di riaprire il discorso, di sentirmi vulnerabile e con il pensiero di non avere altro a cui aggrapparmi se non a lui. Perché è quello che è successo, quello che sta accadendo proprio adesso. Capisco che perderlo significherebbe perdere me stessa e non voglio che accada. Lo so, Draven dovrebbe essere libero dal peso che mi porto dentro, io sono un’egoista.
Non dovrei amarti, Drav. Mi rivolgo a lui con mancato coraggio, mentre l’ennesimo pugno colpisce lo stomaco. Così, mi convinco che controllare ciò che provo sia l’unico modo affinché la parte di me, quella ancora intatta, non finisca ridotta in mille pezzi. Tuttavia, c’è un filo sottile che mi separa dall'indipendenza che mi crea questo rapporto. Io cammino in equilibrio, temo di cadere giù e non riuscire a salvarmi; allo stesso modo, desidero farlo: scivolare nella bellezza di quel che siamo, io e lui, e fare sì che mi travolga.
Inspiro ed espiro. «Non so cos’altro aggiungere» alzo le spalle. «Non so nemmeno cosa devo fare per far sì che le cose vadano meglio tra noi, dopo tutto… questo» gli occhi lo cercano, appoggio la guancia tra le pieghe del cotone bianco che copre il letto e osservo il suo profilo nella penombra che avvolge la stanza. «Ho paura di ciò che provo per te» le palpebre tremano per un breve istante, prima di chiudere gli occhi. «Ho il terrore di sentirmi così…» esito appena, «quando mi sei vicino.» porto le braccia lungo il ventre e intreccio le dita, adesso torno a guardare sopra di me.
«Quello che è successo, quello che ci siamo detti ha amplificato ogni cosa ed io, io non riesco a pensare che tutto questo non sia pericoloso per entrambi. Più vado avanti più è peggio: mia nonna, la mia cazzo di vita. Ti costringo ad una situazione che non riesco a controllare e sento che tutto può crollare da un momento all’altro» la voce trema, trattengo il pianto. «Non riguarda solo noi, riguarda tutto ciò che mi circonda.
«Tu, Drav, dovresti andare via. Lasciar perdere e smetterla di tenere così tanto a me» stringo i pugni, poi torno a guardarlo. Il nodo stringe nella gola, schiudo le labbra per cercare aria. Mi sposto su un lato, la mano lentamente cerca la sua. Spero di stringerla, così da farmi più vicina e lasciarmi abbracciare di nuovo. «Però ti prego di non farlo» dico alla fine, liberando un lungo respiro mentre il battito esplode nel petto e rimbomba nelle tempie.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 31/1/2024, 00:49
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



Ora che so come sono andate le cose con sua nonna, dovrei aver quietato la coscienza. Invece, non è cambiato un cazzo. Sento ancora quel peso come un mattone sullo stomaco. Forse avrò sopperito alla mancanza di non averla mai ascoltata propriamente a riguardo, prendendo sottogamba la loro condizione, ma c’è ancora così tanto da risolvere da darmi la nausea. Più ci penso, meno riesco a capire quando, esattamente, le cose tra di noi si sono fatte così complicate; non che siano mai state semplici, ma perlomeno inizialmente dovevo occuparmi solo di me, affrontando la sua indifferenza o qualsiasi cosa fosse ciò che faceva pur di tenermi a distanza. Crederle è sempre stato difficile, eppure, ormai, ha accumulato abbastanza fatti da potermi concedere di darle fiducia. Non ci riesco perché ha un modo tutto suo di aprirsi ed è evidente che, unito alle mie incapacità, la questione inizi a rendersi problematica. È sempre stato motivo di frustrazione non riuscire a esprimere ad alta voce ciò che penso con lei ed è sicuramente una di quelle cose appartenenti alla comunicazione che intendo migliorare, ma non è nemmeno questo il punto.
E allora qual è?
Seguo con lo sguardo i suoi movimenti, la sento cambiare il peso sul materasso nel momento in cui mi emula distendendosi al mio fianco. Mi dice che le dispiace di aver litigato e sento, da quella stessa coscienza che mi sta torturando, un’ondata di fastidio; l’ennesimo, negli ultimi giorni. A me non dispiace affatto di aver discusso, anzi; cazzo, mi sono tolto di dosso il peso di un sacco di parole che non sono mai riuscito a dire prima, perché troppo preoccupato all’idea di sbagliare il modo. Non credo di aver provato sollievo, sul momento, ma di sicuro l’ho provato una volta sceso dal treno, come se in quel vagone c’avessi lasciato quella parte di me che mi gravava nel petto.
Vorrei farmi meno pensieri a riguardo e imparare a dire le cose quando le penso, nel modo in cui le penso, come faccio con chiunque altro, fregandomene del loro giudizio. Il fatto è che col resto del mondo mi viene spontaneo, naturale, proprio perché non me ne frega niente di piacergli, anzi, sto meglio se pensano che sia uno stronzo acido e scorbutico che va evitato; con lei non è così. Non esito per apparire migliore ai suoi occhi; è proprio come un blocco mentale che non riesco a controllare, tantomeno a superare.
Piego la testa di lato, appoggio la guancia destra sul lenzuolo fresco. È un bene che non sia una giornata troppo calda, altrimenti questa stanza sarebbe un forno. Mi concedo un istante per guardarla e mi sembra così assurdo, irreale, ritrovarmi a essere preoccupato perché ha paura dei suoi sentimenti per me, quando c’è stato un tempo, molto lungo, in cui pensavo che questo giorno non potesse essere altro che un sogno.
“Disarmato” era l’unica parola che poteva descrivere il mio cuore mentre era accanto al suo, penso.
Cazzo, non so davvero quantificare quanto male sia empatizzare con Sylvia Plath in così tante occasioni vissute con Megan, ma schiudo le labbra, sto per dirlo ad alta voce, quando riprende a parlare e porca puttana… O sta troppo zitta o parla troppo. Stava andando così bene, cazzo. Ma no, doveva rimetterci in mezzo il discorso che è spezzata, che ha una vita di merda… E lo sto facendo di nuovo. Sottovaluto il suo dolore, solo perché consapevole, dalla mia stessa pelle, che non è l’unica ad averne provato. Merlino, quant’è difficile.
Riporto lo sguardo sull’amaro soffitto bianco, unica fonte di luce in una stanza altrimenti cupa, resa tale da anni e anni di disordine organizzato e pareti malamente dipinte da un me novenne in crisi prepuberale.
Non lo sopporto questo peso nel petto e le sue parole non fanno che accrescerne la misura.

Ricordi quando ci siamo conosciuti? Beccasti me e Narcissa sulla torre di divinazione a ridosso del coprifuoco. Era terrorizzata all’idea di una punizione e, prima di alzare lo sguardo su di te, ricordo che pensai solo di dover trovare un modo per sfangarla per entrambi. Un modo che rendesse onore ai Serpeverde. Avevo nella testa un solo tarlo, all’epoca, che mi imponeva di rigare dritto, di studiare sodo. Al mio primo anno a Hogwarts avevamo ricercato, insieme a un’amica, tutti i lavori nel mondo magico e da allora mi ero fissato con l’idea di diventare Spezzaincantesimi. Lei mi prendeva in giro costantemente: “Tu che viaggi? Fuori dalla tua comfort zone? A parlare con le persone o addirittura a doverci collaborare?” Non sapevo mai che cazzo risponderle, perché tutta quella roba mi dava… mi dà, ansia. Alzavo le spalle e basta. Mi piaceva l’idea di poter lavorare su di me per diventare un adulto in grado di essere un ottimo Spezzaincantesimi. Era il mio scopo nella vita. Nel momento in cui ci beccasti, pensai solo che una punizione sul mio curriculum avrebbe potuto ledere la mia immagine professionale. Quell’ambizione era l’unica gioia che avessi mai provato. In questo quartiere, in questa città, tra i babbani, non ho mai trovato il mio spazio. Mi sono sempre sentito fuori posto. Dopo essere stato in orfanotrofio è stato anche peggio. Cecilia era peggio. Hogwarts, invece, mi concedeva un futuro al quale non avrei rinunciato per nulla al mondo. E in quel momento in cui sentii addosso la pressione di ricevere una punizione, pensai solo di doverne uscire pulito. Aprii la bocca e ti raccontai la storiella di come avessi seguito la povera Narcissa addolorata, sebbene fossi uscito per mio interesse, perché non riuscivo a dormire, volevo solo un posto isolato in cui fumarmi una canna e non avevo idea che anche lei fosse in giro a rischiarsela. - dico, fermandomi un breve istante solo per riprendere fiato. Sospiro, stringo i denti e deglutisco. So dove voglio andare a parare e, per quanto mi scocci esprimermi così tanto a parole, ne sento l’esigenza. Sarà forse merito di quella dannata coscienza o forse per richiamo al senso di benessere provato dopo il nostro litigio solo perché sono riuscito a sputare fuori tutta una serie di verità, ma non intendo fermarmi.
Il viso torna di lato. Lo sguardo di nuovo a incontrare il suo.

Ho alzato gli occhi e ho incontrato i tuoi. Non sapevo nemmeno il tuo nome. Caposcuola e Prefetti all’epoca mi sembravano semidèi irraggiungibili al punto da non dedicare loro il benché minimo interesse. Volevo essere uno di loro, uno di voi, per cui vi evitavo. Non ti avevo mai vista, per davvero. Ma in quello sguardo mi hai detto tutto ciò che poteva interessarmi. Mi sono innamorato del dolore nei tuoi occhi ancora prima di conoscere te. Tutto quello che avevo voluto fino a quel momento, passò immediatamente in secondo piano. Per cui non venirmi a dire che la tua vita fa schifo e che dovrei andarmene, perché in qualche modo l’ho sempre saputo e mi hai inchiodato a te con un solo sguardo. Dove cazzo vuoi che vada, a questo punto?! - proseguo, il tono di voce stabile e apparentemente disinteressato, come mio solito.

Voglio comunque diventare Spezzaincantesimi. E sono ancora parecchio incazzato che mi hai mentito sul tuo ex, per cui, a tal riguardo, se ci sono altre teste di cazzo o incontri segreti di cui dovrei venire a conoscenza, dimmelo adesso. Senza girarci intorno. E non mentirmi è un buon punto di ripartenza. - concludo, tenendo gli occhi dritti nei suoi.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 1/2/2024, 08:14
Avatar


Group:
Caposcuola
Posts:
9,886
Location:
Nowhere

Status:


I find shelter in this way: under cover, hide away. Can you hear when I say I have never felt this way?
Maybe I had said something that was wrong, can I make it better with the lights turned on.



Stringo la sua mano ma lui rimane fermo. È quel tipo di reazione che non mi aspetto, né riesco ad accettare. I pensieri corrono in ordine confuso e credo sia tutto perduto ancor prima di ricevere una risposta. Così, allento la presa l'istante seguente. Di nuovo la mente mi intima di fare un passo indietro, di arrendermi al fatto che tutto questo non sia stato nient'altro che un errore - mia nonna ha ragione, mi sto facendo del male, sono ridicola. Sfuggo a quel pensiero quando le parole mi cadono addosso come un fiume in piena. Draven parla, lo fa fino a dover riprendere fiato e nel momento che intercorre tra una pausa e l’inizio della seconda parte, io non faccio altro che sentirmi in colpa. Per avergli scaricato addosso ciò che sento, per avergli solamente chiesto di rimanere al mio fianco, per essere la causa definitiva di una possibile carriera spezzata ancor prima di iniziare...
Vorrei chiedergli di smetterla ma non dico niente. Sono stanca di lottare, esausta di dovermi nascondere dietro un muro e assicurarmi che non venga distrutto. Rimango immobile. Gli occhi si posano sulle sue labbra, mentre la sua voce risuona nella stanza con una calma che non comprendo. L’indifferenza che pare abbia preso possesso del suo corpo disteso e inerme, mi destabilizza al punto tale di non riuscire a capire cosa fare e come farlo. Non muovo un muscolo, non mi azzardo minimamente a interrompere il flusso delle parole che mi colpiscono al centro del petto. Una fitta dopo l’altra mentre lo stomaco si contorce; grida silente, stanco di quel nugolo di emozioni incontrollato, esausto di sorreggere il peso della paura e del dolore.
Il discorso continua, attraversa un punto preciso del passato che ci riguarda. Mi ritrovo a fissare i suoi occhi, a sostenerli pur avendo desiderio di sfuggirgli.
«…Mi sono innamorato del dolore nei tuoi occhi ancora prima di conoscere te.»
Il cuore accelera. Schiudo la bocca e prendo aria. Non so bene quale sia l’espressione che mostra il mio viso ma un sorrisino sfugge dalle mie labbra. È un breve attimo. «…Per cui non venirmi a dire che la tua vita fa schifo e che dovrei andarmene». Stringo gli occhi, le sopracciglia aggrottate al centro della fronte. Scuoto la testa lentamente, poi seguo le linee del suo corpo: la dipendenza che mi genera, che so di avere su di lui, è malsana eccitazione.
«Dove cazzo vuoi che vada, a questo punto?!»
«Non lo so» rispondo di getto con un filo di voce e lui continua, fino a quando il silenzio non torna a farsi largo; colmo di dubbi, esigente. Faccio da leva con il braccio sinistro e mi sollevo. Lo sguardo si ferma sul viso, poi sulla mia mano che risale sul suo petto. Le dita sfiorano la pelle, seguono una linea imprecisa sino ad arrivare al centro esatto del cuore.
«Non c’è nient’altro» rispondo, «non c’è nessun altro». L’indice e il pollice afferrano il pendente della collana, osservo la fattura per trovarne distrazione prima di parlare ancora.
«Sono stata sola per tanto tempo, mi sono circondata di relazioni effimere che mi hanno regalato la felicità di qualche istante fuori da quella che era stata fino ad allora la mia vita. Credevo di stare bene così, che non concedermi il privilegio di provare qualcosa fosse l’unica soluzione per rimanere intatta, per tenere i pezzi incollati. Ero convinta che fosse giusto. Seguire le regole imposte da Elizabeth, dal lavoro e da Hogwarts, mi avrebbe consentito di vivere normalmente ai limiti del possibile. Così, ho indossato una maschera e l’ho fatto per tanto tempo. Ricordo di essere arrivata al punto di non riuscire più a distinguere chi fosse la vera Megan. Ho fatto degli errori, ho perso tanto. A volte ingiustamente, altre perché ne sono stata io stessa la causa. Poi, sei arrivato tu: un imprevisto», mi concedo una piccola pausa. Porto gli occhi su di lui e ancora una volta l’imbarazzo si fa largo lungo le guance e ne accentua il rossore. Sento che può scavarmi dentro più di quanto riesca a fare io stessa, è sempre stato così. «Non credere che non sappia quanti muri ti ho messo davanti, quanto a fatica ho tentato di tenerli su nella speranza che tu rinunciassi a me. Sapevo di provare qualcosa ma continuavo a reprimerlo per evitare a me stessa l’ennesimo dolore. I giorni passavano, mesi interi, e non riuscivo proprio a lasciarti andare. Tutto è stato più difficile da gestire, più difficile da controllare» respiro profondamente il cuore si stringe e lo sento sprofondare in un angolo remoto dentro lo sterno; si nasconde, trema. Per un breve attimo la stanza mi appare più buia, mi concentro solo sul suo viso. «È subentrata la paura di perderti, di non riuscire a dirti addio. Allo stesso modo, sapevo di attirarti nel buco nero della mia vita. E ancora, sapevo che saremmo arrivati al punto di urlarci contro cose. Io, Drav, non ho cercato di evitarlo, ho fatto sì che tutto questo accadesse. Amarti mi rende egoista, amarti non mi fa sentire abbastanza in colpa e questo mi terrorizza» prendo aria, la sincerità è un’arma a doppio taglio lo so bene ma non intendo più nascondermi. «Quindi sì, ti dico quanto la mia vita fa schifo. Sì, ti dico che faresti meglio ad andartene, a non amarmi e prego affinché tu non smetta di farlo perché mi rende viva» lo guardo, la voce è decisa. «Perché, come te, non conosco altro che questo» mollo la presa e mi lascio cadere giù. Le mani lungo i fianchi, il viso rivolto verso il soffitto.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
view post Posted on 5/2/2024, 20:31
Avatar

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Group:
Caposcuola
Posts:
2,919
Location:
London, UK

Status:


And meanwhile, everything is so small. Compared to my hearts desire, the sea is a drop.
How odd that I can have all this inside and still be just words.



Mentre il respiro torna regolare, penso di iniziare a capire perché alla gente piaccia così tanto dare fiato alla bocca. Che sia per un fine o per noia, quando le parole fluiscono libere, in una condizione che non dà disagio, è incredibilmente soddisfacente. Il fatto che sia riuscito nel mio discorso pur continuando a sostenere il suo sguardo mi rende un po’ fiero; forse è sciocco, ma è come aver superato quello scoglio che mi impediva di essere pienamente schietto con lei. Come se finalmente mi sentissi sicuro di me o stupidamente arrogante; sarà il tempo a dirmelo.
Ad ogni modo, non sono sempre stato così reticente. Quando ero molto, molto piccolo mi piaceva parlare, mi piacevano le parole e il modo in cui attraverso varie combinazioni di tono e forma potessero assumere significati diversi. È un meccanismo affascinante, che mi soddisfa tutt’oggi nella lettura, ma all’epoca aveva un'accezione differente. Parlavo tanto e cantavo spesso. Il suono era una componente di quel fiume di termini. Il chiasso che facevo non dev’essere stato tollerato molto a lungo, però, perché qualcosa, in giovanissima età, mi spinse a convincermi che esprimermi a parole fosse nient’altro che un inutile dispendio di energie neuronali e un modo per suscitare nervosismo non richiesto. “Meglio tacere se non si ha nulla di gentile da dire”, no? I detti non sbagliano mai. Dunque, eccoci qua: alle condizioni psicotiche in cui riverso attualmente, incapace di scindere tono e forma.
Non credo di essere bravo in questo, il che spiega molte delle difficoltà passate. Mi sembra piuttosto palese dallo sguardo di Megan che il modo in cui ho appena parlato non sia stato particolarmente gentile. Ma insomma… Non si può essere perfetti proprio in tutto tutto. Dovrà accontentarsi dell’onestà, della lealtà, dell’affetto e dell’assoluta devozione che provo nei suoi confronti; ci sarebbe di peggio per cui lamentarsi e questo modo di vedere il nostro rapporto sotto un’ottica di maggior convinzione inizia proprio a piacermi.
L’istinto mi porta a posare gli occhi sul percorso che tracciano le sue dita sul torace, un istante, giusto il tempo di posare una mia mano sulla sua, all’altezza del cuore. Ho bisogno di tenere d’occhio il suo viso, di tenere sotto controllo le sue reazioni ed elaborarle per… migliorare il rapporto tra di noi. Per certi versi, è come tornare ai primi tempi in cui cercavo di decodificare il suo carattere, solo che stavolta c’è anche il mio in ballo. Mi sento diverso ed è terrorizzante ammettere che il cambiamento sia dipeso da qualcun altro e non per mia volontà, ma intendo riprendere il controllo di me stesso, iniziando da quelle piccole cose che con lei ho sempre avuto difficoltà di affrontare: guardarla troppo negli occhi, parlarle in maniera diretta, esprimerle ciò che voglio.
Sì, così inizia ad andare meglio. Basta la sola intenzione a quietare quel senso di malessere che mi ha circolato nelle viscere nelle ultime settimane.
Forse i problemi non sono mai scaturiti da noi, quanto piuttosto da me e da lei come singoli.
L’ascolto, senza mai interromperla, setacciando le sue iridi per cercare eventuali pensieri nascosti; non che ci sia mai riuscito, ma mi piace provarci. Le lentiggini si nascondono nel rossore delle guance, dietro un velo di imbarazzo che non comprendo finché non dice di amarmi e perdo improvvisamente interesse in tutto il resto che dice. Le labbra si curvano in un sorriso e mi volto prontamente. Ha il tempo di tornare con la schiena distesa sul letto, ma non di liberarsi della mia vicinanza.
Cazzo, il cuore mi batte a mille e non riesco a impedirmi di sorridere.
Mi sposto su di un fianco e distendo il braccio sinistro verso di lei, per riaccostarla a me.

Quindi mi ami, eh?! - esordisco, avvicinando il viso all’incavo del suo collo. Inalo il suo profumo, sospiro inebriato. Poso un paio di tenui baci sulla sua pelle, poi rialzo lo sguardo a cercare il suo. Fatico a crederci, ma lo voglio con tutto me stesso. Non intendo solleticare i suoi scudi, però. Non posso insistere sui suoi sentimenti e rischiare di ottenere l'effetto contrario, non ora che siamo entrambi sfiniti dalle peripezie degli ultimi giorni.
Allento l’abbraccio e la mano va a sondare il suo fianco leso, su cui poso anche lo sguardo.

Come ti senti? Va meglio? - chiedo, ovviamente riferendomi alle conseguenze fisiche riportate dallo scontro con sua nonna. Su quelle psicologiche ci lavoreremo nel tempo; risolverò la questione. In qualche modo, non so come, ma lo farò.
Mi rimetto in piedi subito dopo, perché qualsiasi sia la sua risposta non intendo lasciar correre sulla questione. Stiracchio le braccia e il dorso, sciolgo le spalle in un paio di movimenti circolari e mi sposto verso il baule.

Faccio una doccia al volo, poi chiamo il dottore di famiglia. Ci inventiamo che sei caduta di lato dal letto o qualcosa del genere. Dovrai fingerti goffa e dolorante, un po' come quando metti i tacchi alti. - dichiaro, tornando a sorridere, divertito e, nonostante tutto, piacevolmente rilassato.


© Esse | harrypotter.formucommunity.net

 
Top
13 replies since 10/1/2024, 00:59   394 views
  Share