Maledì tutti, dal primo all'ultimo, e incautamente si crogiolò in un tormento che mai avrebbe creduto appartenergli. [...]
«Che la vita fugga questo luogo.»
— di narcisi e di fiamme, frammento
elysium —
the abode of the blessed after death
Le rune sacre non mentono, il biancospino è un presagio, il tramonto infiamma il futuro. I tarocchi si sgretolano tra le mani, la carta è bagnata dai raggi del sole e del tempo. I fumi — respiro della capnomanzia — invadono i polmoni, mi fanno violenza. Tossisco una, due, tre volte. Infinite volte, infiniti mondi. I sogni si fanno partorienti di demoni in corsa, e io fuggo, fuggo lontano. Talvolta è un gioco, un nascondino: io, in tana di memoria, alla mercé di me stesso. Altre è una caccia, una preda facile: io, in trappola, stretto alla rete del passato. Quasi mi fa ridere, tutto questo. La mia è una cornice fittizia, tanti manufatti che l'Oltre tenta d'avvinghiare e che io, invano, considero alleati. Ma non c'è collaborazione, per me. I tarocchi, le rune, l'incenso — tutto è sacrilegio, tutto profana il mio volto.
Ad un passo, di continuo, mi inseguono mostri. Credono ingenuamente di scappare il mio sguardo, di celarsi
a me. A me, Viaggiatore del tempo. Spesso, in ferocia, mi lascio braccare. Catturatemi, invito loro. Catturatemi, vi prego. Eppure, sono lenti. Più lenti di me, più lenti dell'Occhio. Si affaticano, ombre, spettri, capannelli di cerberi. Non mi raggiungono, non del tutto. Hanno artigli affilati, stridono lungo il cuore e giù, in animo spento. Chiedo loro — in litania, oramai — di essere astuti, di ferirmi una volta e per tutte, e poi lasciarmi in definitiva in pace. Non accade mai. Alla fine vanno via, in processione.
E tornano, tornano, tornano. Torna tutto, in me. Il mio cuore è un campo d'arresto, è un cimitero: s'adagiano le orme trascorse, e le identità di chi perduto, di chi affranto. Sono memorie, e sono cristallizzate in perpetuo. Vorrei essere più scaltro di loro.
«Che la vita fugga questo luogo.» Mi è facile volgermi indietro. Se chiudo gli occhi, ripristinare il passato è un tormento cui sono avvezzo. Così rivivo il momento, per intero: le fiamme solleticano la pelle, ardono in ferite di carne e di sangue; la camicia si fa pezza, si macchia del dolore e della cenere; la pietra si fa viva, sotto il passo incerto. E tutti, tutti, tutti si spengono, l'oblio dei sensi addolcisce la morte. Sono di fronte il Palazzo, ora. I cinque piani divelti, le rocce infrante; i vetri di finestre che hanno svelato l'orrore dell'Ardemonio, e il pianto degli spettri che tuttora s'aggirano sotto le macerie di cristallo. Rivedo i Caduti, l'uno dopo l'altro. Chi si getta dall'alto, chi s'imbatte al grido delle fiamme. Stride, di nuovo, l'eco delle maledizioni — statue di cera, serpenti di fuoco, bambini già dispersi. Sono di fronte il Palazzo, ora. Ed è come se non fosse trascorso neanche un giorno, neanche un istante di più. L'edificio è un memoriale, alla rinfusa verso la piazza centrale del Villaggio di Hogsmeade. Come un gigante silente, s'attorciglia in resti — di pietra, di lacrime, di sofferenza. C'è una targa, sospesa a mezz'aria da un incanto gentile: è una sfilza di nomi, un necrologio continuo. I morti, i dispersi, i prigionieri — inchiostro d'epilogo.
Girano molte voci, sull'edificio. In molti si chiedono perché resti intatto al ricordo, perché non sia stato completamente dissotterrato; le ricerche sono continuate per mesi, la pietra è stata sferzata da potenti sortilegi del Ministero: nessuno, più nessuno. Chi poteva essere salvato è stato salvato, e i cadaveri... sono stati portati via, in silenzio. Non c'è altro, in questo palazzo. Oltre il ricordo, non vale nulla. Qualcuno dice che non si riesca a smuovere la roccia, che i tentativi siano stati futili; forse è dimora di fantasmi, di notte si sollevano grida, singhiozzi e singulti. Oppure è una scelta consapevole, a riprova di quanto accaduto. Quasi non vi si fa più caso, in effetti: i detriti sono stati occultati da statue e targhe commemorative, con aiuola fiorita e cartelli di vario genere. Girano molte voci, al riguardo. Tutti concordano, però, sul fatto che il palazzo sia stato... maledetto. La vita fugge questo luogo.
Chissà. Potrei essere stato io. Io, che ora vi entro. Il cappuccio calato, la corona di biancospino tra le mani. Io, che scavalco la targa, la statua, le prime macerie. Entro in palazzo, in solitaria. A mio rischio e pericolo, come in condanna. Questo luogo trattiene l'arcano del tempo. Trattiene anche te, Narciso. Sei tornato, nelle mie visioni. E io ti cerco, dove l'ultima volta ho potuto trovarti.
Cammini tra i Campi Elisi.
E io ti inseguo. Io, che ho maledetto questo luogo.
Che tu possa benedire il mio passo.