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| 20 yrs – (Dis)order – St. Ives |
Il contatto fisico con le persone non mi spaventa, semplicemente non ci sono abituata. E’ strano pensare a qualcosa che hai sempre saputo di te stesso, ma è come se non ti appartenesse; ed è ancor più curioso analizzarne l’origine e il senso più intimo.
Se provo a guardarmi dall'esterno sembra impossibile che io - proprio io, Thalia Moran - abbia una qualsivoglia difficoltà a relazionarmi col prossimo. Eppure, se si gratta un po’ la superficie della patina che mi avvolge, si possono alla fine scorgere i segni delle abitudini che mi sono cucita addosso per non soccombere al giudizio altrui. Santo cielo, quanto odio che gli altri si facciano l’opinione sbagliata di me! D’altro canto capisco che sia impossibile avere piena contezza di chi io sia davvero se non mostro mai veramente il fianco a nessuno.
Mi chiedo spesso chi debba ringraziare per questa mia incapacità a mostrare emozione o debolezza oppure a chi debba rendere merito per avermi resa implacabile nell’assurgere agli obiettivi che mi pongo. In entrambi i casi la risposta è soltanto una: mia madre.
Non sono avvezza alle coccole, questo lo sanno anche i muri e - forse - lo sa anche Mike, giacché per ogni mio capriccio o lacrima, la risposta più comune io abbia ricevuto sia stata “Piangere ti aiuterà ad ottenere ciò che vuoi? Te lo dico io. Assolutamente no.” oppure “Smettila, così sprechi solo energie”. Dai oggi, dai domani - come il mare lambisce lo scoglio e lo smussa con la sua forza costante - ecco che il danno è fatto. Mia madre mi ha insegnato che non ho tempo per piangere sul latte versato, disperarmi per le cose che non posso cambiare e, soprattutto, che il tempo continua a scorrere nonostante io cerchi di rubare anche solo un minuto per me. Se mi avesse almeno concesso la grazia di una carezza, ad oggi non faticherei tanto a lasciarmi andare. Saprei centellinare le attenzioni, renderle speciali e far sì che non siano scontate né troppo abbondanti tanto da stancare. Il mio essere lievemente allergica al contatto umano mi ha resa vulnerabile, poiché non appena qualcuno riesce ad insinuarsi nella mia zona di comfort e tenta l’approccio io cedo come un castello di carte al soffio del vento. E’ successo con Mike, Aiden, Lucas e perfino con te.
Mi irrigidisco all’inizio quanto mi tocchi, avvolgendo le braccia attorno alle mie spalle, incapace di capire come tu - Nieve Rigos - sia oggi in grado di superare non solo le mie barriere, ma anche le tue. Con te sono stata la mia versione più onesta, sardonica e amorevole al tempo stesso: hai visto di me tutti quegli stati d’animo che nessuno, nemmeno le mie sorelle, possono dire d’aver sperimentato. Per loro provo un istinto di protezione che va oltre la mia stessa pelle, non so come spiegarlo, e so che un giorno quando saremo ognuna in un angolo diverso del mondo sarà comunque facile non sentire troppo la loro mancanza; la loro assenza sarà motivo di ritorno, sempre nello stesso posto. Per te, invece, sento di dover fare di più e meglio, di averlo fatto e di essere finita a fare un buco nell’acqua quando te ne sei andata. Ho percepito il vuoto, lo strappo definitivo, il senso dei miei sentimenti per te ridotto in cenere. Le mie confidenze, le tue, le nostre gite e le nostre litigate risolte con una gomitata tra le costole. Ogni cosa importante o stupida è svanita nel nulla. Quando sei ricomparsa, alla fine, mi sono sentita mancare la terra sotto ai piedi, nella spiacevole sensazione di non sapere che cosa fare. Mi sono detta che non avrei ceduto io per prima, stavolta, che ti avrei fatto sudare il mio perdono - anche se ero pronta a darti questo e molto di più - in virtù di ciò che siamo state e avremmo potuto essere. Mi hai respinta, odiata e mortificata, mi hai perfino istigato a picchiarti. Alla fine, ho perso io. Ho perduto non solo il baricentro del mio essere me senza te, perché era facile pensare di non averti intorno e dover sopravvivere in qualche modo al tedio delle giornate tutte uguali, ma come potevo essere me e averti intorno, senza parlarti e senza sapere - soprattutto - perché mi ignorassi e odiassi? Quindi perdonami se non ricambio il tuo gesto immediatamente. Non riesco a conciliare la persona che sono oggi a fronte della figura che mi si pone innanzi. Sei cambiata così tante volte che non so riconoscerti, ma il mio io risponde al tuo, come se fosse un linguaggio non scritto. Sarà una questione di odore, come il cane riconosce il padrone dopo lungo tempo di separazione, e solo quando non riesco più a restare immobile - e tu mi stringi di più - ti avvolgo le abbraccia attorno alle spalle a mia volta.
Non piango subito, perché - come dicevo - non mi è solito farlo. O meglio, prima degli attacchi di panico non ero capace di versare una lacrima nemmeno di fronte al dolore fisico, ma oggi sono diversa. Oggi soffro di ansia e quando passa mi odio per non saperla gestire. In questo preciso istante mi odio perché dovevo essere io la tua forza, il punto di appoggio a cui aggrapparti per riavere la tua magia, e invece sei tu che mi conduci alla leggerezza. Non appena sgorgano rigandomi le guance, le lacrime ti inumidiscono i capelli che mi solleticano il naso e lo zigomo; la sensazione di sollievo è così forte e immensa da dare voce ad un singhiozzo rotto solo dalla paura che ho di dimostrarti quanta fragilità nascondo dietro la facciata di perfezione e rigore. Non so per quanto rimaniamo in questa posizione, con te che mi accarezzi i capelli dolcemente sussurrandomi parole che mi calmano. Mi sono sentita in gabbia, Nieve, ma mi stai aprendo la porta verso la libertà e, forse, non te ne rendi nemmeno conto.
Tiro su col naso, alla fine, ti faccio capire che sono pronta a staccarmi e che posso continuare a stare in piedi da sola. «T-ti s-s-sei ac-accota, v-vero?» biascico, la bocca impastata dal pianto. Ti mostro il palmo guarito e ti sorrido come un’ebete «No-non hai davvero b-bisogno di me.» Mentre lo dico, però, penso che io di te - al contrario - non posso fare a meno.
–The truth is, everyone is going to hurt you. You just got to find the ones worth suffering for.–
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