The dog that weeps after it kills
Niahndra vide il rogo divampare, rapido e accecante, e una parte di lei non poté che bearsi di quel calore ai limiti del sopportabile. Non si sarebbe ritratta se una di quelle lingue le avesse ustionato la pelle, giudicandola una punizione equa per aver consapevolmente gettato benzina sul fuoco.
Per dio, qualcosa in lei ci sperava. Occhio per occhio.
Divina retribuzione.
Eppure sapeva per esperienza che niente poteva ricacciare giù il fiotto di bile che le avvelenava il palato. Confessarsi aveva funzionato per un po', quando ancora era convinta che il senso di colpa potesse farla tornare pura,
intera; ma c'era un numero limitato di volte in cui potevi ripetertelo senza che perdesse significato, e lei aveva rinunciato dopo qualche dozzina.
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È buio all'interno del confessionale.
Le prime volte Niahndra ha cercato di scrutare attraverso la griglia per dare forma al sussurro profondo che sciorina formule ormai familiari. È stata la prima, tra i bambini dell'orfanotrofio, a ricevere il sacramento della confessione —o conversione
, come piace chiamarlo a Suor Prudenzia.
A lungo andare, Niahndra ha dimenticato che al di là della griglia è seduto qualcuno. È rimasta solo una voce incorporea. L'unica, a detta di Suor Prudenzia, che vada ascoltata.
«Il Signore ha perdonato i tuoi peccati. Va' in pace».
Le ginocchia dolgono quando Niahndra si rimette in piedi, ma le sue spalle sono più rilassate adesso. Sorride, rincuorata.
È di nuovo immacolata.— LockedE poi, poteva davvero dirsi pentimento il suo? Se si fermava dopo ogni carneficina solo per il tempo necessario a commiserarsi, prima di riprendere in mano il bisturi unicamente per la curiosità scientifica di capire come funzionasse l'anatomia della sofferenza —dove risiedesse?
Avrebbe saputo rispondere adesso: nelle fauci sfregate, nelle dita avvinghiate ai jeans, nella vampa d'odio dietro agli occhi.
D'improvviso però non rimase che cenere, e Niahndra vacillò sotto quell'inaspettata
assenza. Sapere di meritare il castigo —desiderarlo ed attenderlo come Isacco sul Moriah, neanche fosse ingranato nelle sue ossa—
e non riceverlo fu forse la mortificazione più grande. Rimaneva come uno squilibrio nell'universo, un debito da saldare. L'orgoglio le avrebbe impedito di capitolare, tuttavia c'era ancora sufficiente decenza in lei da farle distogliere lo sguardo poco dopo, bruciante di vergogna. Non guardò a terra, era troppo testarda per quello, ma altrove sì.
Niahndra sapeva tutto riguardo la domesticazione o almeno sapeva abbastanza da aver riconosciuto il tintinnare metallico di un catenaccio strattonato al ritmo di un
dacci un taglio, o finisci abbattuto.
*No*, si corresse; non c'era un padrone in quello scenario. Era, piuttosto, il travestimento disturbante di un lupo che si forzava pecora e reggeva la parte a malapena per il tempo necessario. Quante volte ci aveva provato lei?
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«Suor Prudenzia dice che ai grandi non piacciono le bambine che non si sanno comportare da bambine».
«Che vuol dire?» Chiede con le lacrime agli occhi Niahndra, dopo l'ennesima adozione fallita.
Non si è resa conto che essere
una bambina non è abbastanza e che ci sono regole specifiche da seguire su come comportarsi. Regole che tutti conoscono, apparentemente, tranne lei.
È come essere invitati ad una partita di nascondino
senza che le regole le vengano spiegate; poi tutti partono a giocare aspettandosi che lei si arrangi imparando man mano. Allora lei si impegna, in preda all'ansia osserva gli altri muoversi e ne studia le azioni; il suo cervello si sforza di elaborare informazioni, ma per quanto possa essere rapida —e lo è— gli altri hanno un vantaggio incolmabile su di lei.
Quando, molto tempo più tardi, i signori Morton arrivano all'orfanotrofio, Niahndra fa di tutto per piacere a loro. Indossa l'abito bello della domenica, lo stesso che solitamente rifiuta di mettersi per come le gratta sulla pelle; spazzola i capelli con cura fino a far sparire i nodi; risponde con garbo alle loro domande, si sforza di parlare; tende le labbra in un sorriso, perché è così che le bambine per bene dimostrano felicità e garbo. Soprattutto, non fa ricorso alla magia né, tantomeno, nomina le voci.
Alla fine non è comunque abbastanza per essere adottata.— LockedNon finiva mai bene, non era semplicemente credibile.
Ciò nonostante, Niahndra riconosceva lo sforzo di andare contro natura, perché era anche il suo; quindi il minimo che potesse fare era obbligare le proprie gambe a non indietreggiare nonostante il sussulto violento del corpo, troncato agli esordi, appena l'altro ebbe fatto un passo in avanti.
Che denti aguzzi che hai, nonna.Sarebbe stata una bugiarda a negare che le parole di lui non stessero facendo presa almeno sulla sé bambina, scoperchiando un cordoglio dimenticato e che tornava a pulsare dolorosamente come una vecchia slogatura mai guarita del tutto. Quanto facile sarebbe stato a quel punto smettere di tenere tutto stretto e semplicemente lasciar andare, crogiolandosi nel conforto di sapere che qualcun altro avrebbe badato a lei? Era stata la stessa sensazione che aveva provato quando Sam era tornato per tirarla fuori dall'orfanotrofio; aveva morso anche al tempo, prima di cedere al sollievo. Come un bagaglio abbandonato all'aeroporto che aspetta soltanto di essere reclamato. Era piuttosto patetico.
Lei era patetica.
Non era pronta ad un cambio di paradigma così strutturale, non adesso che aveva appena finito di fare (male) i conti con la propria situazione. La sua bolla riusciva a malapena a contenere lei e Sam, le risultava impossibile metterla in discussione così come le risultava impossibile vestire i panni da sorella per qualcuno di cui aveva ignorato l'esistenza in tutti i suoi diciotto anni di vita. Poco importava cosa pensasse l'altro, che l'avesse tenuta in braccio quando era appena nata, che avesse speso ogni singolo fottuto giorno a cercarla; rincorreva una chimera, un'ideale che calzava troppo stretto. Aveva il terrore che gli sarebbe bastata un'occhiata per rendersi conto che Niahndra non era la sorella che lui si aspettava. E a quel punto quanto avrebbe impiegato a sparire?
«
Non capisco cosa tu sperassi–».
Fu il suo turno di mordersi la lingua in uno scatto nervoso e stizzito. Scalpitava, come belva in gabbia; risentita e rancorosa per quel freno autoimposto. Ingoiò le parole una a una, e poi per buona misura prese anche un profondo respiro; l'aria uscì in un soffio lento e costante.
«
È interessante», cominciò da capo quando fu sufficientemente certa di poterselo permettere. «
Perché qualcuno si è impegnato parecchio affinché io rimanessi in un buco di orfanotrofio. È il tipo di cosa che tende a lanciare un messaggio piuttosto chiaro per una bambina».
Era ingannevolmente calma, adesso. Si era sforzata di eliminare l'accusa nel tono di voce, ma aveva ancora un intero vialetto di ghiaia da togliersi dalle scarpe. Se fosse stata a malapena più codarda avrebbe continuato a rifarsela con chi forse, dopotutto, non ne aveva la responsabilità; ma c'era un numero limitato anche per le volte in cui potevi brandire il bisturi, prima di accorgerti che eri al contempo chirurgo e paziente, e che le viscere sul tavolo operatorio erano
anche le tue. Non che avesse ancora del tutto desistito.
Assottigliò lo sguardo incamerando per la prima volta i lineamenti affilati di
Cain, esaminandoli sotto una diversa luce; si mosse a disagio intorno agli occhi e gli zigomi, ripensò a quel ringhio sotto i bordi delle parole, ai movimenti da predatore, a quella rabbia inesplosa.
Forse, più di tutto, Niahndra aveva il terrore di essere
esattamente la sorella che lui si aspettava.
Ma non aveva il cuore adesso di sviscerarne le implicazioni. Adesso davanti a lei doveva fingere che ci fosse un puzzle, e con quelli aveva tutta l'esperienza del mondo.
Mosse pigra la mano con cui teneva la bacchetta, come a suggerire di passare oltre, e poi riagganciò il legno ai pantaloni.
«
Da capo, allora. Una cosa alla volta».
is no better than the dog that doesn't