Minṓtauros, Evento straordinario | Horus

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view post Posted on 10/4/2024, 15:01
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Il Fato

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tempio di sekmeth | celle nei sotterranei - mattina

Notte, giorno, per Sahid non cambia nulla. Lui è sotto i tuoi piedi mentre gli ultimi dialoghi con Nonna placano le tue esigenze. Sitra? E' dalle piccole leonesse, non avrai da preoccupartene secondo quanto Meresankh afferma. La sua certezza scava un solco profondo, sebbene tu abbia visto - poco fa - pesanti occhiaie sul suo volto, tra una ruga dell'età e l'altra.
Oh, Horus, tua nonna non è mai stata una donna sciatta, o poco curata, ha sempre tenuto a non mostrare gli anni che ha perché non venisse mai messo in dubbio il potere di cui Sekmeth stessa la investe ed il dominio sul Tempio. Ma stamane la vedi con altri occhi, oggi è nonna più che Sacerdotessa. Oggi è moglie di Semna che è atteso per pranzo. Oggi è di nuovo madre, quando pensava di non potersi più attribuire quel titolo.

5mtQebG
Ma tu non sei qui per lei. Tu vieni, una volta lasciato il salone, accompagnato nei sotterranei. Piccoli dedali di corridoi stretti si aprono di tanto in tanto, donando al sottosuolo l'aspetto di un labirinto. Tuttavia la leonessa che ti accompagna, Amunet, non parla, non finché non arrivate nell'area di detenzione di Sahid. Allora la donna si ferma. La riconosci come una delle leonesse più giovani, e tuttavia la sua tempra è invidiabile. «Ha bevuto l'ultima volta dodici ore fa» ti informa, seria. Cerca un contatto con i tuoi occhi, per passarti ciò che lei stessa ha potuto percepire dal vostro prigioniero. «Copre le sue tracce da anni, ma Sahid è il suo vero nome. Sahid Bahliff» parla sottovoce, ma è certa che l'uomo non possa sentirvi. «Aveva una figlia, Merisol, da dieci anni non si sa nulla di lei. Non vi sono altre tracce di lui» consegna a te queste vitali informazioni, ma ancora non ti apre la porta. «Rimarrò qui fuori, non si avvicini troppo alle catene, Maahes, non è sicuro» Raccomandazioni necessarie affinché tu sappia con chi hai a che fare.

Puoi entrare, ora.

5mtQebG
Sahid, spoglio degli abiti tranne per i calzoni ancora sporchi del sangue di Sheiva, ciondola a corpo morto al centro delle stanza. Pesanti catene magiche gli stringono i polsi singolarmente affinché la braccia restino allargate e distanziate tra loro il più possibile. Il petto in mostra, tatuato con simboli a te sconosciuti. E' piegato sulla ginocchia, le caviglie altrettanto legate perché i piedi abbiano poca mobilità ma lui resti imprigionato al suolo. Ha gli occhi chiusi, dondola per cullarsi.
Accanto all'ingresso, in punti non raggiungibili per Sahid, puoi vedere un secchio d'acqua, qualche straccio umido ed un tozzo di pane secco.



Bene Horus, continua qui la tua quest di BG/Evento di Trama.

La situazione ti è stata descritta, stiamo arrivando alla tua seconda resa dei conti. Tutto ciò che saprai ricavare da Sahid ti condurrà, poi, verso la conclusione del tuo enigma.

Come di consueto qualunque azione fisica - incanto generato o rivolto a Sahid, verrà da me considerato al condizionale e masterato di conseguenza.

Per ogni cosa, sai sempre dove trovarmi.
 
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view post Posted on 18/4/2024, 11:15
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Minṓtauros
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Al di fuori di questa stanza sento vagamente la voce di mia nonna ed i passi delle altre Leonesse che si allontanano verso le loro usuali mansioni.
Io sollevo le ginocchia al petto, le circondo col braccio e guardo il soffitto, osservando senza vedere davvero una scena del mito della Vacca Celeste.
Nelle orecchie risuona la voce di Emily, il modo in cui ha interrotto il mio unico desiderio, l’ultimo sforzo che mi sono costretto a fare prima del salto oltre il baratro che custodiva i resti di ciò che siamo stati. Nel tumulto del mio stomaco, riconosco l’abbraccio del figlio di Cavendish.
Se non ora e non così, quando?
Quanto tu avrai salvato lui e io me stessa.
Quando io avrò salvato Lui, non voglio più tornare sui miei passi. Non ammetto la sconfitta, so che lo riporterò indietro, eppure ti ho lasciata andare con l’unico indizio che avevo tra le mani.
L’Ankh è incompleta, lo Djed è in mano a Voldemort: solo l’Uas era alla mia portata nella sua interezza. Eppure ti ho lasciata andare e non ti ho imposto, di nuovo, una mia scelta.
Doveva essere ora e doveva essere così.
Tu non lo sai, ma non hai idea di quanto tu abbia infestato la mia mente e il mio cuore a lungo, troppo a lungo.
Non ora. Non così.” E come, Ly? Come?
Ti ho lasciata andare. Ti ho posto al di sopra di Lui, nonostante la mia promessa. Ma doveva essere l’ultima volta, capisci?
E quando Lui sarà salvo io…
Non voglio più.

Con mano tremante, trattengo il respiro quando per la seconda volta in pochi giorni tolgo l’orecchino. Lo osservo nel palmo della mano, lo muovo al bagliore della luce: un oggetto così piccolo, con un peso così grande. Lo stringo in un pugno e mi rendo conto di inciampare nel riprendere fiato.
È solo un misero gioiello che tuttavia piega il piatto della bilancia della psicostasia: è stato il mio cuore per tutti questi anni e pesa, pesa così tanto. Argento sull’oro, Ib contro la Piuma di Maat che piega verso il basso. Quanti peccati sottoposti dinanzi agli occhi del Dio Osiri.
Sento ancora sul viso il sangue di Sheiva, il mio stesso riso folle nelle orecchie, sostituito dalle grida che hanno squarciato la piana di Giza. Un brivido si incastra improvviso fra una vertebra e l’altra ed io spalanco gli occhi.
D’improvviso mi manca il respiro e schiudo le labbra per lambire ogni molecola d’ossigeno che può riempirmi i polmoni. Le spalle si abbassano e si alzano in un perpetuo fremito ed io mi sento scivolare in un pozzo buio da cui è impossibile uscire con solo un ronzio nelle orecchie: giunge inaspettato e repentino, il panico.
In un crescendo di terrore, si rincorrono una dopo l’altra le parole che hanno animato questo tempio con i suoi protagonisti, i nostri fantasmi ancora impressi nella pietra: le Leonesse ai posti di guardia, Emily e John chissà dove lì fuori –lontani, Sitra al fianco di mia nonna.
Digrigno i denti tendendo il collo verso l’alto come se una catena invisibile tirasse ogni lembo della mia carne.
Nei meandri della mia mente, nel dedalo degli incubi che affollano le mie sinapsi, la voce di Sahid, debole e roca, rimbomba come un sasso in una stanza vuota.
E a quel suono, la pelle si intirizzisce e scotta, il dolore delle ossa spezzate si sostituisce alla calma placida che aveva avvolto i muscoli che ora ricordano solo l’impronta lasciata dalla Maledizione Cruciatus.
Gli occhi stanchi di mio padre, il taglio sotto uno di essi, le ciocche bianche di un tempo trascorso troppo lentamente: infestano ogni secondo, ogni battito del cuore.
Allora poso la fronte sulle ginocchia col respiro affannato; tutto ciò che è accaduto in questi tre giorni mi rovina addosso, un flash dopo l’altro.
Mi incastro come una mosca sulla tela di un ragno e arranco.
Come si esce? Come respiro? Come si fa?
Oh, Amon, ti scongiuro.
« Basta, ti prego, basta.»
Stringo la presa sulle ginocchia, la schiena curva e rigida.

”Segui la mia voce, va bene? Non sei dove e con chi pensi di essere, sai? Lascia che ti rinfreschi un po’ la memoria su cosa hai fatto oggi.”

La voce di Nieve si insinua dapprima timida, come un’eco, poi sempre più solida. Si fa strada fra le urla e il soffio del vento, fra i ringhi rabbiosi e i sibili delle ombre.
Ho volutamente deciso di dimenticarla proprio prima di partire; ho rinchiuso il ricordo di lei nell’ennesimo cassetto per non lasciarmi distrarre, per non incasinarmi ancora di più.
Ma ora… ora la devo seguire la sua voce, non è così? Non posso cedere, non posso permettermi ancora di finire preda di un attacco di panico.
Ecco, sì, lei ha ragione: non sono più lì.
Fuggo l’immagine di Sahid, di Sheiva, del sangue di Sitra sulle mie mani, dello scricchiolio sinistro dell’ala di Ra; li oltrepasso per ricordare come si esce da questo posto di merda che è la mia mente.

Adesso, sei su un prato dove l’erba è molto verde. E fresca. Se mi dai fiducia e mi permetti di portare la tua mano qui, te lo faccio sentire”

Non c’è erba sotto il mio palmo, ma la fredda pietra giunta da cave lontane. La tasto con la punta delle dita, sfioro le ruvidità della roccia, le intersezioni fra un pezzo e l’altro. Alzo il viso e torno a sentire non più l’odore di bruciato del braccio di Celsius, ma il profumo dell’incenso ai piedi delle statue sacre. Mi aggrappo a tutto ciò che mi circonda adesso, alla realtà in cui mi trovo, alla vita che ho ritrovato, al Sole che mi ha illuminato.
A poco a poco riemergo da quel pozzo oscuro, consapevole di essere nel mio tempio, nella mia casa, nella realtà. Quando riapro stancamente gli occhi, il terrore è scivolato via come il fango che le mani di Sitra hanno lavato dal mio petto.
Quando respiro, l’aria che attraversa la gola è la stessa che mi ha riempito i polmoni quando ho scoperto che Lui era vivo.

« Come sarebbe a dire “non ora”? » Ringhio, indicando il corridoio scuro che porta ai sotterranei. Uscito dalla stanza che ha visto la mia debolezza, ho trovato mia nonna ad ostacolarmi il cammino. « Ogni secondo che passa è prezioso. Non posso dormire sapendo che… » « Basta così, Horus. » Perentoria, Meresankh mi interrompe bruscamente. Ignoro come abbia allontanato sia Sitra che Neferet e la sparizione della prima mi ha colpito più di quanto volessi ammettere poiché ho nutrito la speranza che fosse vicino a me anche durante l’interrogatorio.
« Non ha senso presentarti da lui nelle condizioni in cui sei ora. » Aggiunge asciutta, ma nei suoi occhi leggo una stanchezza senza pari. Rivedo lo stesso lucore che ha sciolto l’ardesia delle sue iridi quando le ho detto che papà era vivo. Ricordo a me stesso che Meresankh è, prima di tutto, una madre ed una nonna. Quando lei poggia la mano sulla mia spalla e le dita stringono la stoffa della veste io la osservo per un lungo momento, colpito dall’improvvisa fragilità del suo volto.
« Sii saggio Horus, riposa. Un altro sole sorgerà e per allora sarai pronto. E ti assicuro che per quella Il suo labbro si arriccia per il tempo di un battito di ciglia–bestia, senza acqua né cibo, è un giorno d’agonia in più per lui ed un giorno di vantaggio in più per noi. »
Di fronte la schiacciante verità, capitolo annuendo piano. Con un sospiro, in un raro gesto d’affetto, prendo la sua mano macchiata dall’età e la stringo fra le mie.

Giorno 46 am
Credevo che non avrei dormito e invece mi sbagliavo.
Appena ho toccato il cuscino, il suo abbraccio mi ha accolto e ho chiuso gli occhi in un sonno agitato che tuttavia non è stato così ristoratore come mia nonna sperava. Dubito sarò mai pronto a ciò che mi attende.
Entrando nella sala da pranzo, il sole dell’alba bacia i visi delle sacerdotesse che fanno colazione. In segno di rispetto ci salutiamo in silenzio, mentre volto lo sguardo verso mia nonna, in procinto di versare del miele su del pane.
« Ho bisogno di parlare con Sitra. Dov’è? » Dico, spiccio. L’affetto che si è affacciato timido ieri sera è ora nascosto sotto la rigidità di cui entrambi siamo schiavi.
Meresankh non mi guarda: lascia colare il miele sulla mollica, ne osserva il riverbero dorato.
« Non qui. » Risponde addentando il pane.
« E allora dov’è? »
Non so in che misura le mie parole abbiano colpito Sitra. Per quanto forte sia, il pensiero dei suoi sentimenti continua ad assillarmi e la mia incapacità di far fronte ad essi mi spinge a veleggiare su acque sconosciute, pronte a smuoversi al primo soffio di scirocco.
È per questo che mi riserva anche lei una durezza mutevole?
Il suo pregiudizio nei miei confronti, il suo pensiero sul mio ritenerla debole al punto da non averla voluta al mio fianco quella notte, la mia incapacità di amarla come meriterebbe… me lo sono chiesto a lungo nel momento in cui ho aperto gli occhi stamani.
Eppure, sentendola al mio fianco in questi giorni, vedendo la luce fiera nei suoi occhi di leonessa, la dolcezza dei suoi sussurri, l’affetto nelle sue mani gentili, mi sono reso conto che ho bisogno di lei. E che pensiero meschino il mio! Dopo tutta la sofferenza che le ho arrecato col mio rifiuto, generando una quantità infinita di pressioni da parte di Meresankh e Neferet, io la cerco. La cerco per l’egoistico bisogno di sentirmi dire che andrà tutto bene, che ci sarà lei –non il branco, penso– al mio fianco.
Perché forse… forse mi basterebbe anche solo lei.
Perciò devo chiarire tutto questo, devo dirle di smetterla di credere che per me non abbia importanza poiché sbaglia.
« Sitra è a svolgere dei compiti, per conto della Dea, lungo il Nilo. »
Immobile, serro i denti. Non fatico a crederlo: Sitra è troppo orgogliosa per decidere di evitarmi, piuttosto mi affronterebbe a muso duro.
« A fare cosa? » Chiedo dopo un momento. Meresankh alza finalmente gli occhi su di me. Delle rughe attorno ad essi mi sembrano così profonde che quasi mi domando se non siano giunte nel cuore della notte. È stanca e preoccupata quanto me e mi chiedo se lei, invece, sia riuscita a riposare. Forse nonno Semna è riuscito a chetare i suoi incubi?
Mi sembra d’improvviso così vecchia da spaventarmi.
« C’è una famiglia con due bambine. » Dice, scoccandomi un’occhiata eloquente. Capisco, allora, che Sitra è lì per affidarle ad una famiglia scelta del Tempio finché un giorno, se Sekhmet vorrà, non diverranno Leonesse.
Sospiro, passandomi una mano sugli occhi. Mi volto, in direzione del corridoio che mi condurrà giù, all’inferno, ma mia nonna allunga un braccio, serra il mio polso.
« Mangia. »
« Non ho fame. »
« Mangia. » Irremovibile, Meresankh ordina. Ed io, infine, obbedisco nuovamente.

I sotterranei odorano di umido, ma non in quel modo molesto che qualcuno si aspetterebbe.
Nei templi non esistono prigioni, ma quello della Dea fa eccezione. Al servizio della Signora della Guerra, in un tempo lontano le Leonesse combattevano al fianco del Faraone catturando nemici poi destinati alla prigionia per servire come schiavi o semplicemente per morire sotto le loro lance.
Ora, invece, le celle fungono da magazzino per le provviste, per gli ori e gli argenti, per le statue di altri Dei protettori che ci accolgono nel corridoio pieno di torce.
Osservo i capelli di Amunet danzare lungo la schiena, un movimento ipnotico su cui mi concentro per calmare il tumulto nel mio petto.
Quando si volta, il cipiglio sul suo volto è serio, marziale e nello stesso modo mi si rivolge.
Una morsa alla gola mi stringe quando odo il nome della figlia di Sahid; mi sorprende a tal punto che le labbra hanno uno spasmo e si stringono. Come è possibile che una bestia del genere abbia potuto generare un figlio? Mi sembra impossibile, ma del resto questa storia mi ha insegnato che essere genitore è, molto spesso, essere ripugnanti per i loro stessi figli.
Non sono andato così vicino anch’io a questo pensiero?
« Grazie, Amunet. » Vorrei accennare un sorriso di circostanza, ma il mio volto è di pietra. Non sono ancora abituato a farmi chiamare Maahes, il titolo che ha portato mio padre.

Lo spettacolo che mi ritrovo davanti è pietoso. Mentre la Leonessa chiude la pesante porta, io osservo Sahid col disprezzo nello sguardo indurito.
Il pessimo odore che aleggia in questa cella mi fa pizzicare le narici, ma mi occupo di osservare solamente l’uomo che dondola dinanzi a me.
« Sei un uomo molto fortunato, Sahid Bahliff. » Esordisco, muovendo un passo verso di lui allargando le braccia.
« Immagino che questo luogo ti sembri una reggia, in confronto a quella che ti avrebbe riservato il tuo padrone. »
Gli Dei solo sanno in che razza di antro possa nascondersi il Signore Oscuro.
« Chissà quanto felice deve essere Voldemort–Sputo il suo nome, consapevole del peso che ha. Il ricordo di come Emily mi abbia definito incauto sosta per un attimo dentro la testa.–ora che vi siete fatti fregare l’Ankh dal figlio di Osiris.»
Incurvo un angolo del labbro, sprezzante.
« Se non altro non devi strisciare implorando il suo perdono, ma striscerai in altri modi.»
Non sono così stupido da pensare di poterti estorcere qualcosa spezzandoti le ossa.
Quello lo faccio per il mio puro diletto.

No, il mio cuore non pesa più della piuma.
Il sangue che ho versato è frutto unicamente della giustizia e sono disposto a versarne ancora, fino a tingere le acque del Nilo se necessario; fino ad impregnare la sabbia, come Sekhmet fece il giorno del suo giudizio.

|| Never fade in the dark, just remember you will always burn as bright ||

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo. [indossato mano dx]
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Agganciato alla cintura]
▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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PZ7UhaY

tempio di sekmeth | celle nei sotterranei - mattina

Sei solo con Sahid. Infrangi il silenzio con il passo felpato e pesante di un leone. Sai bene dove smuovere il terriccio sotto il polpastrelli, così come dove affondare gli artigli per sondare il terreno. O così sembra.
Hai davanti a te l'uomo che comunicava con tuo padre, colui che sa chi sei e pur con questa certezza ti avrebbe ucciso. Per un attimo non ha tolto Ra dalla tua vita, e per poco non ha finito per spezzarti ogni futuro. Lui incarna il demonio, il Minotauro che non si vuole davvero incontrare alla fine del labirinto. A causa sua Minosse ha sofferto le pene dell'inferno, ma tu che ne sai?
Lo senti come si agita la forza esclusiva del suo potere? Sahid non muove un muscolo, perché non ne ha bisogno, egli è quanto di più pericoloso tu possa incontrare qui sotto. E pensare che una volta era di Meresankh che bisognava aver timore, delle sue antiche impostazioni e del cipiglio serioso. Da grandi si ha paura anche del silenzio.

5mtQebG
Da quel che ti appare, il silenzio di Sahid è meditativo, il suo dondolare è una culla in cui giace in attesa. Forse della tua venuta? Forse di quella di qualcuno altro.
Tu parli, e lui apre gli occhi. Solo quelli, ferma il movimento. Sono pozzi neri il cui fondo non è visibile. Ma un ghigno legero compare quando chiami il suo Signore per nome. Deve immaginare che tu sia esattamente ciò che sei: uno sconsiderato ragazzino che non sa ciò che dovrebbe sapere. Ne gode, Sahid, a modo suo. «Di quali altre verità sei fermamente convinto, figlio di Osiris?»




 
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view post Posted on 23/4/2024, 11:14
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Sarei veramente molto stupido a pensare di non aver temuto (e di temere) questo momento.
Come sarei altrettanto sciocco a non avere paura di quest’uomo, dopo aver visto di cosa è capace. Ho dormito questa notte, è vero, ma i fremiti e i tremori che mi hanno scosso al ricordo di ciò che è stato a Giza non mi hanno risparmiato. Mi sono svegliato più volte madido di sudore, gli occhi spalancati sul muro dinanzi a me; a volte ne sono stato cosciente, a volte no. Mi sono addormentato col Patronus ai piedi del letto, ma una volta perso coscienza questo è, chiaramente, svanito. Dio, come avrei voluto che fosse con me e come vorrei evocarlo qui. Sfortunatamente la mia tensione è tale da impedirmi l’appello a qualsiasi ricordo felice. C’è solo una commistione di rabbia repressa, ansia ed un vago cenno di terrore in fondo al cuore di cui però non voglio indagarne l’entità. È che sono bravo a mascherare: è sempre stata la mia miglior difesa, nascondere ciò che provo.
Tutto ciò che non riesco, invece, a celare dietro la protervia del mio orgoglio, è il disgusto. Mi concedo un’osservazione più attenta del mio prigioniero. Benché la luce sia flebile, le ombre giocano con teatralità sulla sua pelle sporca, le labbra secche, le dita scurite dal fango e dalla sabbia secca. Ed è proprio la la fiamma fioca delle torce che riverberano negli occhi di Sahid a renderli ancora più inquietanti e spietati. Tra i due, ho come l’impressione che sia stato lui in comando rispetto a quel bamboccio di Sheiva. Il che non è per niente consolante.
Mi permetto quindi di perder tempo o meglio, mi concedo la cauta analisi di quello che so essere un predatore tanto quanto me e non un coniglio in trappola.
E quindi lo studio bene, dall’alto verso in basso, fino a soffermarmi sui polsi stretti dalle catene.
La spavalderia della sua voce non fa altro che esacerbare il mio odio, ma mentre prendo la bacchetta, mi muovo lento.
Non si gioca con il cibo.
Me lo diceva sempre Meresankh, quando ero un bambino.
« Non saprei. » Sorrido, infinitamente dolce. Un po’ come un bambino che cerca di nascondere alla madre le sue malefatte.
Come diceva quel vecchio proverbio? “Saggio è chi ammette di non sapere”.
Con un movimento fluido del braccio teso, la bacchetta viene puntata poco al di sopra della testa di Sahid.
*Èxtendo*
L’arto ricade in verticale tracciando una linea che divide il corpo del Mangiamorte e, per Maat*, quanto vorrei poterlo fare realmente. Non userei nemmeno la magia, prenderei direttamente un khopesh** direttamente dalla sala d’armi.
Oh, se solo sapessi, se solo comprendessi il modo in cui potrei esercitare ben più di questa pressione su di te, Sahid Bahliff.
Se solo potessi anche solo riuscire a ripagarti col dolore che mi hai impresso, fisico e non, contribuendo a portarmi via mio padre, fingendo di esserne amico.
E tuttavia, ci sono tanti altri modi che mi risparmio per dopo, da bravo capriccioso quale sono.
*Gràvitas* Concludo al termine del mio movimento.
Siamo qui tutti per effetto della gravità del nostro pianeta: mi chiedo se Astronomia sia stata una materia in cui eri bravo. Io sì, ero bravissimo.
È così che la vedo convergere su di te, come il buco nero in cui mi hai cacciato. Pesa, schiaccia, grava su di te come se tutte le tue colpe ti spingessero verso terra, ti costringessero a piegare il capo e la schiena col tendersi innaturale delle catene sul tuo corpo.
« Questo dovrai dirmelo tu. » Concludo, piegando il capo di lato.

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▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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* = Maat, Dea della Giustizia e dell'Ordine Cosmico.
** = Khopesh, spada-falce evoluta dall'ascia sumera, in uso dall'esercito dell'Antico Egitto.
 
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Non hai mai pensato che quel Sahid, quello letto in lettere stracciate, potesse finire incatenato sotto il suolo sacro alla tua Dea. Eppure guardalo, Horus. E' qui e nel suo restare non ti supplica di andarci piano con lui, non sarebbe il tipo. Un uomo temprato da piccole e grandi cicatrici che gli vedi solo se ti fai un po' più vicino.
E ti guarda, oh se lo fa, con un angolo solo delle labbra che si solleva di tanto in tanto. Vedilo come il Minotauro, ma vedilo come una iena, la sua è una risata che non puoi sentire, ma ti percorre le ossa.
Ciò che hai pensato non è che la verità. Sheiva non era il più alto in grado in quell'accampamento di mostri. E questo è chiaro ancora di più quando Sahid, pur essendo piegato a te, non si sta sottomettendo. Il fisico può spezzarsi, ma è la mente quella su cui andrà fatto il più del lavoro. Gli uomini di Voldemort, i suoi Luogotenenti, i più fedeli Negromanti, vivono di dolore al punto da non percepirlo quasi più.

Guarda la bacchetta che gli punti contro, appena sopra la sua testa, e attende. Non lo fa con alcuna riverenza, attende che tu compia quel passo fuori dalla tana di tuo padre, che tu mostri ciò che sei, e quanti punti ti possono differenziare da Osiris, come quanti - invece - ti accomunino a lui. Ti sei mai chiesto che avrebbe fatto tuo padre?
La pressione che gli piomba addosso lo costringe a piccoli ma salvifici movimenti. Afferra le catene con entrambe le mani, e cerca - con non poco sforzo - di mantenere il capo dritto. Se cedesse alla pressione, gli spezzeresti il collo. [-10PS, -10PC | ogni turno finché non si esaurisce la forza dell'incanto] E puoi vederlo faticare, ma non ti dà alcun modo di godere della sua sofferenza, per come sa vederla lui. I muscoli un po' gli tremano, ma regge quel masso con cui stai cercando di schiacciarlo.

Respira poco e male, un po' alla volta, come se dovesse centellinare l'aria per non sentire i polmoni implodere. Eppure gli occhi te li lascia fissi addosso. Ti sta quasi sfidando a fare di più, a fare di peggio. «Sei così diverso-..da...noi attacca, ancora, a denti scoperti. Sei diverso?


Ti aggiorno sulle statistiche di Sahid.

PC: 190/310 | PS: 200/300 | PM: 200/310


Da adesso - è l'ultimo grado di difficoltà per questa quest - tienile in considerazione, calibra la tua forza perché non perda i sensi prima di dirti ciò che sa, o fallo soccombere sotto la tua vendetta, e la tua rivendicazione: a te ogni scelta, come sempre. Per tutto, sai dove sono.




 
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Lo vedo il tremolio dei bicipiti tesi fino allo spasmo come noto le vene che pompano il sangue, le fibre dei muscoli che si allungano, le dita ancorate agli anelli delle catene arrugginite e la pelle lucida del sudore e della fatica che ti mantiene cosciente. Sei tenace, Sahid, e questo non mi stupisce. Dubito che il Signore Oscuro mandi sul campo gente che non è stata temprata dalle sue angherie. Non so niente di ciò che succede fra le fila dei Mangiamorte, ma non è difficile immaginare che tutto rosa e fiori non sia. Mi chiedo cosa ci trovi la feccia come te a sgusciare fra i luridi anfratti della malignità del vostro padrone. Ti guardo curioso, ma godo della tua sofferenza perché, anche se il tuo volto è stoico e i tuoi occhi fissi nei miei, la percepisco. Posso quasi odorarla, scovarla come un cane da caccia in mezzo al puzzo di questa cella. Del resto non ci sarebbe gusto a torturare qualcuno pronto a pregare e invocare pietà; non avrebbe lo stesso sapore la vendetta se rivolta ad un poveraccio incapace di reggere nemmeno una sbucciatura sulle ginocchia. Lo sforzo cui sottoponi il tuo corpo, invece, è una delizia che mi appaga; sono tuttavia consapevole di non dover essere troppo ingordo perché ho bisogno delle tue informazioni, benché la tentazione di riempirti di pugni sia irresistibile.
Mi riservo il dessert per dopo, cosa ne dici?
Pigramente, alzo leggermente la bacchetta per diminuire appena la gravità che ti schiaccia, solo per permetterti di parlare. Spremere il tuo dolore tutto insieme non dà la stessa soddisfazione nel farlo stillare goccia dopo goccia subito dopo un respiro di sollievo. Ogni volta farà più male, ogni volta il tuo corpo cederà e per quanto tu sia resistente, arriverò a vederla in quegli occhi folli, la sofferenza. Finché desidero, finché non ti porterò all’estremo ancora e ancora e ancora.
« Sì, lo sono. » La mia voce è tagliente tanto quanto il mio sguardo. Continua a fissarmi, se lo desideri, non mi vedrai sfuggire al tuo viso. Così come lo sei tu a questa pietra, i miei occhi sono incatenati a te. Ogni tuo palpito delle ciglia, in questo momento, è alla mia mercé. La tua domanda però, mi porta a sorridere e non più dolcemente come poc’anzi. Non credere che io non mi sia posto lo stesso quesito, la prima volta in cui ho ucciso un Mangiamorte.
Lo ricordo ancora lo scricchiolio del tronco del pioppo che ho fatto schiantare su uno dei tuoi compari, come ricordo il sibilo dell’aria quando uno dei proiettili di Hagalaz ha perforato la giugulare dell’uomo che ha tentato di strangolarmi. E prima ancora, quando persi il controllo della Runa per la prima volta contro degli sconosciuti che poi, di esseri umani, non avevano più niente; e l’ultima volta prima di Sheiva, quando ho ucciso Eugene nel pieno della mia distruzione.
Ma in un modo o nell’altro non ho mai agito gratuitamente per il piacere di stroncare vite nonostante mi spaventi ancora il godimento che provo quando tolgo la vita a qualcuno che mette in pericolo la mia. Ognuno di queste anime condannate dal mio giudizio –da quella che è per me giustizia– mi scorre davanti gli occhi proprio adesso, mentre ti sorrido sprezzante.
« La differenza fra me e voi è che io non mi inchino dinanzi a nessuno. » Sarei stato pronto a farmi colpire continuamente dalla Maledizione Cruciatus finché, piuttosto, non fossi impazzito di dolore o persino morto. Mi sarei ricongiunto agli Dei con piacere e onore sapendo di non essermi piegato e Ra, fiero, mi avrebbe accolto nella sua barca celeste.
« Vedi, a me non interessa un cazzo del bene o del male. Non mi interessa… Cos’è che volete voi? » Aggrotto le sopracciglia, ripescando dalla mia memoria tutte le dicerie, tutto ciò che ho letto sugli attentati dei servi del Signore Oscuro. « Potere? Conoscenza? Epurazione del mondo dai Babbani? Cosa vi spinge a muovervi come vermi sotto le scarpe del vostro padrone? » Sono genuinamente curioso. « Per me potete scannarvi quanto vi pare. Ma finché siete sulla mia strada… vi schiaccio, uno ad uno. »
Lascio che le mie parole riempiano la stanza e non è per te che le dico: è una promessa che ho fatto a me stesso e che mi ripeto costantemente. La mia minaccia è per te acqua, ma per me è fuoco.
« Ed inoltre… io non vendo chi definisco “amico” » Arriccio il naso con disgusto. Ripenso al tuo nome pronunciato fra le mura di casa mia, nero su bianco nelle lettere di mio padre, i gufo ricevuti nel cuore della notte e per cui mia madre si indisponeva tanto.
Lui ti considerava davvero un amico? O, come facevi tu, eravate solo merce di scambio l’un con l’altro? Lo sapeva cos’eri? Mi dico di sì e se così fosse, mi chiedo come potesse definirti amico.
« Ma tu non hai amici, non è così? » Ripeto nell’eco della tua risposta a Celsius e nel farlo ricambio il tuo ringhio con il mio, snudo i miei denti in tua risposta. Siamo due belve, in fondo, e se io sono un leone, tu sei la iena che infesta il mio territorio, il mio branco.
« Vuoi un aiutino ad alzare la testa? »
Il mio sorriso si fa ferino mentre tasto con le dita il manico della bacchetta, paziente, gli occhi sul tuo collo, tra i tendini tesi.
Giriamo in tondo studiandoci, e prima o poi dovremo azzannarci alla gola.
Tu, però, la tua occasione l’hai persa. Io no.

|| Never fade in the dark, just remember you will always burn as bright ||

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo. [indossato mano dx]
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Agganciato alla cintura]
▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


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Sahid non batte ciglio, in principio. Ingrato non ti fa la grazia di una riverenza nemmeno quando alleggerisci la pressione sulle sue spalle. [-5PS, -5PC | ogni turno finché non si esaurisce la forza dell'incanto] Forse questo gli permette un respiro appena più profondo, ma non sei certo se richiami una fortuna o uno svantaggio. Il tempio attende ancora il suo sacrificio. E' vero, la tua non è la dea della misericordia, né è magnanima con chi attacca il suolo sacro o chi, per esso, ne fa da padrone.
Tu cammini come il Maahes che ti è stato chiesto di essere, ti muovi feroce trai difficili equilibri della tortura e dell'estrazione di informazioni. Cosa ti dirà, come lo farà, perché ed a quali piccoli sospiri che non emetti, saprà aggrapparsi? La scamperai solo perché lui è legato o perché sei tu in grado di sovrastarlo? Gli sei superiore, mh?

«Vogliamo quello che l'Oscuro brama» fedele, come tu lo sei alla tua dea, lui lo è al suo dio in terra, tangibile, terrificante. Un culto per un culto, qualcuno è solo più sanguinario dell'altro. «Io uccido, tu uccidi. Quanti pesi, quante misure... sai tu chi è degno, Osiri?» trattiene un ghigno perché aprire la bocca e parlare, con quella pressione richiede parecchio sforzo. Ma, anche per Sahid, non è che l'inizio di un dialogo stimolante, che non lo vede cedere nel suo credo, per quanto tu l'abbia ridotto al galoppino di un padrone capriccioso. Non è ciò che lui sente di essere.
Parli di tradimenti, di amici, ed il suo sguardo non vacilla mezzo istante. Tuttavia, più lo guardi, e più noti la differenza con la follia cieca di Sheiva. Sahid crede, è vero, eppure esiste, vive, ha idee e pensieri che fa proprio in quegli occhi scuri e vitali. Spaventosamente vitali.
«Io non ho venduto il mio amico» forte di ciò che sa, te ne fa carico. Non hai ferito il suo orgoglio, è quasi dolce il modo in cui ti parla, un po' come si parlerebbe ad un gattino che si fa le unghie su scarponi di cuoio. Ne hai da graffiare prima di arrivare al piede. «Ha fatto tutto da sé»

E, come tu l'osservi per leggere ogni sua reazione, lui fa altrettanto. «Non lo sapevi? Non sai perché vi ha lasciati da soli?» riderebbe di te.


Sahid Bahliff
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« Chi è degno, dici? » Ti studio come si fa con uno strano insetto il cui comportamento è particolarmente anomalo. Fingo di pensare ad una risposta che, in realtà, conosco già. Lo faccio apposta, consapevole di quanto presuntuosa può suonare la mia replica, ma sono assolutamente certo della sua veridicità.
« Non tu. Io, probabilmente. » Amon perdonerà la mia superbia perché so di non poter decidere io quanto peserà il mio cuore, ma so invece che Maat perdonerebbe me piuttosto di Sahid, che lancerebbe in pasto ad Ammit* senza neanche provare a metterne il cuore sulla bilancia.
È da quanto ho messo piede nella mia terra –solamente quattro maledetti giorni fa– che ho a che fare con voi. Avete tentato una provocazione dopo l’altra, col desiderio di mettermi allo stremo, di spingermi oltre la ragione solo per proteggere l’onore di mio padre.
Tu non sai, però, che il mio peggior nemico, la peggior provocazione sono stato io stesso.
Non conosci la sofferenza e le lacrime che ho versato quel giorno nell’ufficio di mio padre, quando il cubo si è aperto rivelando nient’altro che una pergamena scarabocchiata. Non conosci il dolore che ho provato nell’apprendere che lui fosse ben consapevole di cosa stesse facendo e che ha spazzato via in me ogni traccia di speranza.
Tanto grande il mio amore è stato, tanto lo è diventato il mio odio. Hanno viaggiato di pari passo lungo binari paralleli e quante volte, quante!, ho sognato di rivederlo e tirargli tanti di quei pugni da fargli scontare ogni maledetto anno passato lontano da noi. È che, alla fine, quei binari hanno colliso nello stesso punto quando l’ho rivisto, quando ho udito la sua voce, percepito la sua carezza. Ciononostante non l’ho perdonato, non ancora. Lascerò che sia lui a spiegarsi e a scusarsi perché so che lo farà. So che la punizione più grande sono stati questi anni separati l’uno dall’altro e sapere che, indirettamente, ha inflitto a me e a mia madre gli stessi patimenti.

Papà è sempre stato devoto alla sua causa quasi quanto lo sono io alla mia. Si è sempre spinto in luoghi oscuri, costantemente in viaggio in paesi ignoti persino alle mappe più complesse. Il mappamondo che teneva sulla sua scrivania, quello che vedeva comparire degli omini che scavavano in ogni luogo che studiava, era pieno dei siti da lui visitati, alcuni persino gestiti. Credi che io non sappia niente di mio padre? Che io, alla fine, non abbia cacciato ogni singolo ricordo che potessi recuperare? Brit e Benin, gli Elfi domestici, si sono spremuti come arance per trovarmi informazioni sull’uomo che era prima di sposare mia madre e decisamente Osiris Sekhmeth non era uno stinco di santo. Tuttavia la mela non cade troppo lontana dall’albero, non me ne stupisco. A me importa di mio padre come era con noi, con me; come trattava gli altri non m’importa.
Ho bisogno però di capire perché ha fatto tutto da solo; cosa ha inseguito al punto da lasciare me e mamma. Lui ci è andato volontariamente in quella fossa dove sguazzate voi stronzi, questo lo so da anni e ho già pianto la morte di quella speranza che lo vedeva strappato dalla sua famiglia contro la sua volontà.
Perciò, Sahid, se è cedimento quello che cerchi in me, non lo troverai. Del resto Sheiva ha già tentato questa strada con me: ha attecchito per un po’, è vero, e ha riempito il mio cuore di paura. Poi, semplicemente, l’ho visto e tutto è cambiato.
« No. » Ti rispondo, alzando un sopracciglio con superiorità. Avanti, affonda le zanne, scatta tu per primo, offrimi l’occasione. « Non lo so il perché. » Ammetto con tranquillità. Con tutta la calma del mondo, aspettando un tuo rantolio, decido di lasciare che sia tu a tenere alta la testa al mio cospetto. Piuttosto punto la bacchetta a terra, trasfigurando una delle pietre in una panca.
Mi siedo e mi sporgo in avanti, poggiando le braccia sulle gambe: mi metto comodo. Ti guardo con un sorriso placido mentre appoggio il mento sul palmo di una mano; quella armata, invece, tiene salda la bacchetta, pronta ad intervenire per evenienza –o diletto.
« Perché non me la racconti tu la favola del papà cattivo che abbandona
l’amato figlio? »
Chiedo sornione. « Sono tutto orecchi. »
Ficca pure le mani nelle mie ferite se lo desideri; tirane i lembi, esponi la carne viva, leccane il sangue. Scoprirai che so resistere quanto te al dolore della mente ché ne ho subito fin troppo per soccombere a chiunque di voi

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La pressione, seppur alleggerita dal tuo volere, lo costringe a tirare ancora in muscoli, ma anche stavolta non ti dà traccia del suo lavoro. Del suo dolore poiché il vero dolore - come hai ben capito - non glielo hai ancora inflitto tu per primo. [-5PS, -5PC | ogni turno finché non si esaurisce la forza dell'incanto] Ma così va il tuo volere, così va la tua superbia, come lui ben immagina nella sua testa. Compiacente, lo sa già dove vuoi arrivare e certo non sarà così semplice, né così veloce.
Lui può resistere, ma tu? Quand'è che tu perderai la pazienza? Quando sarà troppo il non avere alcuna informazione su Osiris? Quando e come reagirai se capirai che niente è come pensi? Quanti castelli ti potranno venire distrutti prima che la tua foga ti trasformi in quella bestia che varca i confini. Ti ci senti, Horus? Sei sicuro di avere tutto il controllo?

E' vero Horus, stai giocando con la tua preda, stai vagando incontrastato per la tua landa, consapevole che la iena in catene non può muoversi. Non può afferrare la bacchetta eppure non sembra smanioso di attaccarti, non fisicamente. Forse perché Sahid è un uomo dagli attacchi rapidi, come quello rivolto a Ra. Non si spreca in duelli quando conosce modi ben più efficaci e meno dispendiosi di energie per

«Ti sbagli» sentenzia, ricama il tuo stesso sorriso sul suo volto. «Arrogante, spavaldo, incontrollato nella tua rabbia, assassino» ti sta giudicando, lo fa senza affetto e senza onore, quasi deprecando ciò che sei. Non è detto che stia cercando di ferirti, sta solo elencando quei punti che per lui sono essenziali in te. «E' così che ti crescono le tue leonesse? Oppure hai fatto tutto da solo?» curioso, manifesta appena un ghigno che non si cancella dal suo muso. «Sheiva ti ha sottovalutato-» eppure lo vedi, lo senti che ciò che sta per arrivare non è un complimento, non se la tua morale pende verso il bene «-sei degno della sua maschera»

Eppure no, una cosa che hai detto finisce per lasciarlo divertito, interdetto ma con un piglio quasi ironico. «Tuo padre non è mai stato un uomo cattivo, questa storia non te la racconterò io, per quella basti tu.»


Sahid Bahliff
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Ti ascolto, Sahid.
Ti ascolto dipingere un quadro di me piuttosto interessante benché non troppo originale. Non so bene dove vuoi andare a parare, ma il sorriso che finora ha piegato le mie labbra è sempre lì, placido e sornione. Gli epiteti che mi rivolgi non mi sono nuovi: che me li abbiano dati altri o me li sia dati da solo, non importa. Non mi dici nulla che non sappia già e, invero, apprezzo l’enfasi che poni su una parola in particolare: assassino.
Detta così, suona piuttosto incriminante: pesa come un macigno, proprio lo stesso sotto cui ti sto opprimendo, proprio come quel cuore sulla bilancia che rischia di essere divorato da un momento all’altro.
“Sono solo un assassino”: me lo sono ripetuto in passato, quando ero invece solo un ragazzo. Lo scisma che si è creato in me a quei tempi è stato talmente grande, da aver quasi distrutto la mia psiche. Come si vive con una tale colpa addosso? Me lo chiedo mentre ti guardo, osservando col mio cipiglio da studioso il tuo corpo contrapporsi alla tua mente. Debole il primo, straordinariamente forte la seconda.
Mi disgusti come il peggiore degli insetti, ma rido divertito dalle tue parole.
C’è stato un momento in cui non sapevo nemmeno chi fosse Lord Voldemort; un periodo in cui tutto ciò che ascoltavo su di lui e i suoi seguaci finiva in fumo, cancellato dalla protezione magica che mia madre mi aveva imposto. Sono tuttavia andato molto vicino a cedere alla magia oscura, sin dai primi tempi, quando mi capitò tra i piedi una ragazzina piagnucolosa con un libro ambiguo tanto quanto la sua mentore. La promessa del potere è allettante per un arrogante spavaldo e di solito questo si raggiunge raramente alla luce del sole. Sfortunatamente, per quanto distorta, ho la mia morale.
« La sua maschera? » Rido nuovamente, il mento ancora appoggiato al palmo. La bacchetta dondola a mezz’aria, sprizzando qualche scintilla di tanto in tanto. La ricordo bene la maschera di Sheiva brillare sinistra alla luce della luna; me la ricordo molto bene quando svettava alle spalle di Sitra come l’ombra della morte che porta con sé quell’argento sporco di sangue e peccati. Mi balena per un istante l’immagine di me con una di quelle sul volto e, d’istinto, il pensiero va ad Emily: anche lei ne ha una così? Il solo pensiero mi fa salire un conato di rabbia e disgusto.
« Non me ne faccio niente. » Dichiaro. Non c’è più il riso ad indugiare sulle labbra, solamente il mio sguardo ancorato al tuo.
« Io non ho padroni. Non toccherei una delle vostre squallide vestigia da servi nemmeno se mi portassi mio padre su un piatto d’argento. » Soffio, con una smorfia.
« Siete solo carne da macello. » Ed in effetti è così che vi ho sempre trattato: bestie da sacrificare. « Ma immagino che valga lo stesso per il vostro signore. Forse giusto questo ci accomuna. »
Una parte di me smania: vuole sapere, vuole tirar fuori da quella gola del cazzo ogni singola parola che possa aiutarmi a capire dove sia papà. Voglio che gridi come uno di quei maiali sgozzati e, Dio, se l’odio non rischia di accecarmi e mandare tutto in malora.
Ma devo portare pazienza, mi dico e mi impongo: non sembra, ma non sono così impulsivo come sembra. Almeno, non sempre.
« I sacrifici, sai, sono molto in voga in questo tempio. » Proseguo con calma. « Ti sfugge il nome di colei che qui veneriamo. Tutti noi siamo stati cresciuti in suo nome, compreso io e le mie leonesse. » Ricalco accuratamente l’appellativo, benché di mio, qui, non ci sia nulla: tutto ciò che sono, tutto ciò che siamo –questo tempio, le leonesse, la mia famiglia– è essere guerrieri di Sekhmet e solo a lei apparteniamo.
« “La Sterminatrice” non cresce i propri cuccioli a pane e miele. » Ma a pane e sangue: avevo cinque anni quando ho compiuto il mio primo sacrificio. Cinque anni, quando ho tagliato la gola di quel capretto per assicurarci un altro anno di benevolenza da parte della Dea. C’era mio padre con me… è lui che ha tenuto insieme a me il pugnale e quel ricordo è così vivido da stringermi il cuore. È quindi con biasimo che ti guardo, adesso. Non mi aspetto che un eretico come te possa comprendere l’immensità degli Dei sotto il cui sguardo ti muovi strisciando come uno scarafaggio.
Socchiudo gli occhi, concentrato nuovamente sulla vena del tuo collo, sul muoversi lento dei polmoni. Non ho ancora risposto alla tua ultima frase: è vero, mio padre non è mai stato cattivo e di questo sono assolutamente certo. Tuttavia il pensiero su cosa sia successo è un tormento che non mi abbandona da più di diciotto anni, ma ci arriverò. Oh, sì cazzo, ci arriverò.
Con la stessa flemma che ti ho usato finora, muovo la bacchetta in direzione del tuo petto; apparentemente annoiato, non mi sono nemmeno smosso dalla mia posizione quando l’ho agitata verso di te, due colpi in avanti.
« Sàlus Dòno. » Questa volta la formula la pronuncio ad alta voce: voglio che ti sia chiaro cosa sto facendo. Non ho intenzione di guarire ogni tuo malanno, anzi. Voglio solo ripristinare un po’ di forze nel tuo corpo fiaccato; in fondo alla cella c’è acqua e pane, ma perché sprecarli? Un po’ di magia, ecco ciò che ti ci vuole: un po’ di sollievo ai muscoli tesi, un po’ di respiro, nulla di più. La tua spossatezza rimane, le tue ferite permangono, ma…
Sorrido con dolcezza.
« Meglio? » Domando accorato, come se mi importasse qualcosa.
« Beh, comunque, è un peccato. Mi sarebbe piaciuto sentire il racconto di ciò che è accaduto dal punto di vista di un altro genitore. »
La bacchetta torna a dondolare pigra, mentre io ti guardo dritto negli occhi.
Non ho la presunzione di capire cosa succederà, ma mi fa gusto anche solo assaporarle sulla punta della lingua, queste parole. Se poi riderai, rideremo insieme.
« Tu sei stato un bravo papà per Merisol, Sahid? Sì, vero? » Chioccio.

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La pressione non cessa, Sahid comincia a farne un'abitudine. [-5PS, -5PC | ogni turno finché non si esaurisce la forza dell'incanto] Non si lamenta come - ormai hai capito - non si lamenterà neanche fino all'ultimo fiato. Ora va detto che Sahid è un uomo. Può essere immortale nelle sue azioni ma resta un uomo consacrato all'orrore. E, tuttavia, proprio per questo è tutto molto più complesso di così. E' un uomo di più di quarant'anni, vissuto chissà quanti di quelli in "cattività" tra le schiere di Voldemort: l'avrà pure un motivo. Può valere sulla tua bilancia?

«Non mi sfugge nulla, Horus. I miei dei sono i tuoi dei» allusivo, ti guarda ancora, rimarca la sua nazionalità, il suo nome, il suo retaggio in quanto nato e vissuto neppure troppo distante da dove poggi i piedi tu, o da dove sorge il tempio. Non conosce la tua lingua, ne mastica qualche vago accenno ma adesso continua solo a parlarti in inglese, quasi senza alcun accento, come è stato finora. Tuttavia la sua etnia è ora rivelata e no, anche la Dea sanguinaria non incute in lui alcun timore. Egli ha già scelto il percorso che percorrerà verso la Duat quando sarà il momento e certo non immagina verrà salvato. Si è condannato troppi anni fa, ora la cosa lo tange poco o nulla. «Hai mai torturato qualcuno che non cerca redenzione?» perché lui sì. Non sono i più piacevoli trai bastardi.
[+20PS, +20PC ] Gli doni un sollievo che permette al suo respiro di regolarizzarsi appena, seppure poi non cancelli la pressione che continua, alleviata, a tenerlo incastrato giù. Sahid ti guarda prima, e dopo, non concede alcun sorriso, alcuna tregua, quasi - puoi notarlo - lo deludi. Se non fosse schiacciato dalla pressione, scuoterebbe la testa con disappunto. Non è così stanco, e se tu vuoi stare qua di più, lui è pronto.

5mtQebG
L'unico accenno ad una piccola breccia, è Mersiol. Il momento in cui la nomini è lo stesso in cui Sahid distoglie lo sguardo da te. Dura poco, ma non è arrabbiato o pronto a ringhiare perché hai osato chiamare il suo nome in causa. In qualche modo era logico che lo avresti scoperto, il suo è un cenno di sincero pentimento. Non nei confronti tuoi, solo in quelli della figlia. «No» ammette con estrema sincerità. A ben guardare, lui finora non ti ha mai mentito. «Non sono stato un bravo padre, né un bravo marito, ancora meno un bravo fratello» ti parla come se tu e lui vi conosceste da sempre, con la confidenza di chi - per quanto ignobile nei suoi gesti - sappia con precisione dove ha sbagliato. «A differenza tua, e di tuo padre, io ho già preso atto delle mie colpe, ho già elaborato i miei pentimenti... tu hai fatto altrettanto? Io so già cosa direbbe Osiris se sapesse che per raggiungerlo hai dovuto uccidere ancora, ancora, ancora...» i suoi occhi non fanno che lampeggiare nei tuoi. «Non sei il giustiziere di niente, sei solo un ragazzino che gioca a fare il Maahes»


Sahid Bahliff
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Con un sopracciglio alzato e un sorriso sghembo ad incurvare le mie labbra, ti osservo con scetticismo.
Adorare gli stessi Dei non è sinonimo di possedere lo stesso Credo, la stessa devozione. Non ho la presunzione di immaginare chi è mosso da reale Fede e chi no, ma sono consapevole del fatto che la tua e la mia sono assai diverse.
« Adorare Seth rende immuni alla redenzione? In fondo, però, anche lui finisce per redimersi e scortare nostro Signore Ra sulla sua Barca e persino a difenderlo. Pensa un po’. » Commento caustico, ricordando il geroglifico con la sua effige non solo nelle lettere datomi da Emily, ma anche sul dorso della mano di Celsius.
Ora: Seth non è necessariamente una divinità negativa, ma a seconda dei luoghi, delle ere, dei faraoni del passato, ha assunto significati diversi, spesso contraddittori. Caos, tempeste ed eventi incontrollati possono essere devastazione oppure… sfruttati a proprio vantaggio. E tuttavia sembra quasi uno scherzo di questi stessi Dei che coloro che reputo miei nemici siano seguaci del Dio del Disordine, nemico del mio protettore, Horo.
Taccio e non aggiungo altro e l’informazione si aggiunge alla sommità dell’immensa pila di questioni irrisolte in questa faccenda e io lancio un sassolino qui, uno là vedendo dove mi condurranno. Una parte di me si chiede se veramente riuscirò a cavarti di bocca qualcosa.
Tanto vale massacrarlo.
Ed in effetti, la tentazione è forte. Distolgo lo sguardo da te per fissare lo sguardo sul manico della bacchetta, fingendo una noia che, in realtà, non sento.
Detesto ammettere che pendo dalle tue labbra, smanio ogni secondo che passa e che mi sembra infinito, tendendo i miei nervi come corde di violino. Eppure da quant’è che sono qui? Uno, due, dieci minuti?
Alzo gli occhi e il mio sorriso si accentua nel cogliere la delusione nei tuoi a seguito del mio incantesimo: di certo nemmeno io mi aspettavo di avere tutta questa pazienza. Il Salut Dono è l’ultima cosa che avrei voluto fare, ma per quanto tu sia un bastardo resistente, forgiato da chissà quanti calci in bocca da parte del tuo signore, sei un essere umano. E, come tale, sei fragile tanto quanto me e chiunque altro fuori di qui, in questo mondo del cazzo.
Merisol fa colpo e io accolgo questo momento di tentennamento come si fa dopo aver acchiappato un Boccino: è poca cosa, ma mi basta un solo pensiero, un solo spasmo del tuo cervello. Potrei infierire ancora, non nella tua mente, ma nel tuo corpo che è, poi, l’unico motivo per cui ti ho donato un po’ di benessere fisico, ma ciò che dici mi ferma.
Non mi interessa se tu abbia avuto un fratello, una sorella o una moglie. Non provo empatia per te, né pietà per tua figlia. Perciò sostengo il tuo sguardo in silenzio, ma non abbandono il mio cipiglio fiero nonostante lo stomaco si sia appena contratto in una morsa così dolorosa da mozzarmi quasi il respiro.

Cosa direbbe mio padre?
Già, cosa?
Mi colpisce come un pugno dritto in faccia la consapevolezza che io non mi sono mai posto questa domanda. Per anni mi sono tormentato al pensiero della morale comune che condanna l’omicidio come un crimine orribile di cui macchiarsi ed è vero.
Non sono un pazzo assassino, non uccido a sangue freddo e non lo faccio gratuitamente. Quasi sempre non ne sono stato pienamente cosciente, vittima di un potere che solo negli ultimi anni ho imparato a controllare. Camille mi ha raccolto nel pozzo in cui mi ero gettato in preda alle paranoie e dai terrori. Lei mi ha dato un motivo e una ragione per non sentirmi un mostro, ma, anzi, per rialzarmi.
Ciononostante… Lui come reagirebbe? Sarebbe deluso?
Il mio cuore dice di sì. Paradossalmente è stato proprio il fiele iniettato da questo tuo presunto sapere ad avvelenarmi e non la tua provocazione. Che tu mi consideri o meno il Maahes di questo tempio è un’altra cosa che si aggiunge alla somma del cazzo che me ne frega.
« Sai come si dice: mors tua, vita mea ed io non mi pento di ciò che ho fatto. Mio padre capirà che mi sono semplicemente salvato la vita.»
I miei occhi dardeggiano sul tuo viso, affilati come la mia voce: è così. Non mi pento di essermi difeso da chi mi voleva morto. Perché diavolo dovrei risparmiarti se tu per primo vuoi farmi fuori?
« Ma io, in effetti, non lo conosco quanto te. » Questa ammissione mi costa così tanto che il malessere che si sta accumulando e la rabbia che provo continuano a premere sulla mia cassa toracica con la minaccia di rompere ogni costola con la loro irruenza. Vorrei colpire ogni tuo centimetro di pelle, ossa e muscoli fino a renderti una poltiglia che di umano non ha più nulla.
Vorrei prendere a calci il muro, urlare fino a non avere più fiato in gola. Invece con placida curiosità mi ritrovo a pronunciare domande di cui temo le risposte.
« Perciò illuminami: cosa direbbe? Che non merito il titolo di Maahes? Che sarebbe profondamente deluso? »
In realtà il dubbio rimane ancorato alla mia gola e solamente tutta la mia forza di volontà mi spinge a mostrare ancora una maschera di impassibilità e, soprattutto, di convinzione. Perché in fondo non è su questo che si basa tutto il mio Essere, tutta la mia missione?
Avere fede: in Lui, negli Dei, in me.
Io sono nel giusto.

...Vero?
|| Never fade in the dark, just remember you will always burn as bright ||

Abilità
– I°, II°, III° no Fattoriam:
– IV°: Proibiti Colossum
– V°: Proibiti Stupeficium
– VI°: Proibiti Perstringo
– I° Chiara: Atlantis Cage
– Smaterializzazione;
– Abilità Runica;
– Animagus Esperto;
Equipaggiamento
▸ ANELLO DIFENSIVO: Pezzo unico. Pietre: Acquamarina. Protegge da danni fisici e incantesimi. Anche dall'Avada Kedavra ma poi si spezza. [1xQuest] (usato come orecchino)
▸ PIETRA PER BACCHETTA: Una pietra sconosciuta che amplifica la potenza del mago.
▸ ANELLO DELLA GORGONE: Se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo. [indossato mano dx]
▸ PUGNALE NORMANNO: Argento lavorato, pulizia in linee, disegno essenziale. [Agganciato alla cintura]
▸ RUNA HAGALAZ DELLA SEPARAZIONE: Utilizzabile in Quest, una volta ogni 5 turni. Rende l'utilizzatore in grado di creare uno o più proiettili di vento, che possono essere scagliati contro i nemici, e provocano gli stessi danni di un proiettile babbano di piccole dimensioni. In alternativa, può essere utilizzata per creare un "muro" invisibile e impenetrabile, della durata di un turno; in questo secondo caso, però, la runa avrà bisogno di sette turni per ricaricarsi. Ad ogni utilizzo, tuttavia, l'evocatore ha un contraccolpo al mana e alla salute pari al 2% del mana e della salute totale, che persisterà fino alla fine della quest. [incastonata in un anello, dito medio sx]


code ©Horus.

 
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