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Al di fuori di questa stanza sento vagamente la voce di mia nonna ed i passi delle altre Leonesse che si allontanano verso le loro usuali mansioni.
Io sollevo le ginocchia al petto, le circondo col braccio e guardo il soffitto, osservando senza vedere davvero una scena del mito della Vacca Celeste.
Nelle orecchie risuona la voce di Emily, il modo in cui ha interrotto il mio unico desiderio, l’ultimo sforzo che mi sono costretto a fare prima del salto oltre il baratro che custodiva i resti di ciò che siamo stati. Nel tumulto del mio stomaco, riconosco l’abbraccio del figlio di Cavendish.
Se non ora e non così, quando?
“
Quanto tu avrai salvato lui e io me stessa.”
Quando io avrò salvato Lui, non voglio più tornare sui miei passi. Non ammetto la sconfitta,
so che lo riporterò indietro, eppure ti ho lasciata andare con l’unico indizio che avevo tra le mani.
L’Ankh è incompleta, lo Djed è in mano a Voldemort: solo l’Uas era alla mia portata nella sua interezza. Eppure ti ho lasciata andare e non ti ho imposto, di nuovo, una mia scelta.
Doveva essere ora e
doveva essere così.
Tu non lo sai, ma non hai idea di quanto tu abbia infestato la mia mente e il mio cuore a lungo, troppo a lungo.
“
Non ora. Non così.” E come, Ly? Come?
Ti ho lasciata andare. Ti ho posto al di sopra di Lui, nonostante la mia promessa. Ma doveva essere l’ultima volta, capisci?
E quando Lui sarà salvo io…
Non voglio più.Con mano tremante, trattengo il respiro quando per la seconda volta in pochi giorni tolgo l’orecchino. Lo osservo nel palmo della mano, lo muovo al bagliore della luce: un oggetto così piccolo, con un peso così grande. Lo stringo in un pugno e mi rendo conto di inciampare nel riprendere fiato.
È solo un misero gioiello che tuttavia piega il piatto della bilancia della psicostasia: è stato il mio cuore per tutti questi anni e pesa, pesa così tanto. Argento sull’oro, Ib contro la Piuma di Maat che piega verso il basso. Quanti peccati sottoposti dinanzi agli occhi del Dio Osiri.
Sento ancora sul viso il sangue di Sheiva, il mio stesso riso folle nelle orecchie, sostituito dalle grida che hanno squarciato la piana di Giza. Un brivido si incastra improvviso fra una vertebra e l’altra ed io spalanco gli occhi.
D’improvviso mi manca il respiro e schiudo le labbra per lambire ogni molecola d’ossigeno che può riempirmi i polmoni. Le spalle si abbassano e si alzano in un perpetuo fremito ed io mi sento scivolare in un pozzo buio da cui è impossibile uscire con solo un ronzio nelle orecchie: giunge inaspettato e repentino, il panico.
In un crescendo di terrore, si rincorrono una dopo l’altra le parole che hanno animato questo tempio con i suoi protagonisti, i nostri fantasmi ancora impressi nella pietra: le Leonesse ai posti di guardia, Emily e John chissà dove lì fuori –lontani, Sitra al fianco di mia nonna.
Digrigno i denti tendendo il collo verso l’alto come se una catena invisibile tirasse ogni lembo della mia carne.
Nei meandri della mia mente,
nel dedalo degli incubi che affollano le mie sinapsi, la voce di Sahid, debole e roca, rimbomba come un sasso in una stanza vuota.
E a quel suono, la pelle si intirizzisce e scotta, il dolore delle ossa spezzate si sostituisce alla calma placida che aveva avvolto i muscoli che ora ricordano solo l’impronta lasciata dalla Maledizione Cruciatus.
Gli occhi stanchi di mio padre, il taglio sotto uno di essi, le ciocche bianche di un tempo trascorso troppo lentamente: infestano ogni secondo, ogni battito del cuore.
Allora poso la fronte sulle ginocchia col respiro affannato; tutto ciò che è accaduto in questi tre giorni mi rovina addosso, un flash dopo l’altro.
Mi incastro come una mosca sulla tela di un ragno e
arranco.
Come si esce? Come respiro? Come si fa?
Oh, Amon, ti scongiuro.
« Basta, ti prego, basta.»Stringo la presa sulle ginocchia, la schiena curva e rigida.
”Segui la mia voce, va bene? Non sei dove e con chi pensi di essere, sai? Lascia che ti rinfreschi un po’ la memoria su cosa hai fatto oggi.”La voce di Nieve si insinua dapprima timida, come un’eco, poi sempre più solida. Si fa strada fra le urla e il soffio del vento, fra i ringhi rabbiosi e i sibili delle ombre.
Ho volutamente deciso di dimenticarla proprio prima di partire; ho rinchiuso il ricordo di lei nell’ennesimo cassetto per non lasciarmi distrarre, per non incasinarmi ancora di più.
Ma ora… ora la devo seguire la sua voce, non è così? Non posso cedere, non posso permettermi ancora di finire preda di un attacco di panico.
Ecco, sì, lei ha ragione: non sono più lì.
Fuggo l’immagine di Sahid, di Sheiva, del sangue di Sitra sulle mie mani, dello scricchiolio sinistro dell’ala di Ra; li oltrepasso per ricordare come si esce da questo posto di merda che è la mia mente.
”Adesso, sei su un prato dove l’erba è molto verde. E fresca. Se mi dai fiducia e mi permetti di portare la tua mano qui, te lo faccio sentire”Non c’è erba sotto il mio palmo, ma la fredda pietra giunta da cave lontane. La tasto con la punta delle dita, sfioro le ruvidità della roccia, le intersezioni fra un pezzo e l’altro. Alzo il viso e torno a sentire non più l’odore di bruciato del braccio di Celsius, ma il profumo dell’incenso ai piedi delle statue sacre. Mi aggrappo a tutto ciò che mi circonda adesso, alla realtà in cui mi trovo, alla vita che ho ritrovato, al Sole che mi ha illuminato.
A poco a poco riemergo da quel pozzo oscuro, consapevole di essere nel mio tempio, nella mia casa,
nella realtà. Quando riapro stancamente gli occhi, il terrore è scivolato via come il fango che le mani di Sitra hanno lavato dal mio petto.
Quando respiro, l’aria che attraversa la gola è la stessa che mi ha riempito i polmoni quando ho scoperto che Lui era vivo.
« Come sarebbe a dire “non ora”? » Ringhio, indicando il corridoio scuro che porta ai sotterranei. Uscito dalla stanza che ha visto la mia debolezza, ho trovato mia nonna ad ostacolarmi il cammino.
« Ogni secondo che passa è prezioso. Non posso dormire sapendo che… » « Basta così, Horus. » Perentoria, Meresankh mi interrompe bruscamente. Ignoro come abbia allontanato sia Sitra che Neferet e la sparizione della prima mi ha colpito più di quanto volessi ammettere poiché ho nutrito la speranza che fosse vicino a me anche durante l’interrogatorio.
« Non ha senso presentarti da lui nelle condizioni in cui sei ora. » Aggiunge asciutta, ma nei suoi occhi leggo una stanchezza senza pari. Rivedo lo stesso lucore che ha sciolto l’ardesia delle sue iridi quando le ho detto che papà era vivo. Ricordo a me stesso che Meresankh è, prima di tutto, una madre ed una nonna. Quando lei poggia la mano sulla mia spalla e le dita stringono la stoffa della veste io la osservo per un lungo momento, colpito dall’improvvisa fragilità del suo volto.
« Sii saggio Horus, riposa. Un altro sole sorgerà e per allora sarai pronto. E ti assicuro che per quella Il suo labbro si arriccia per il tempo di un battito di ciglia–
bestia, senza acqua né cibo, è un giorno d’agonia in più per lui ed un giorno di vantaggio in più per noi. »Di fronte la schiacciante verità, capitolo annuendo piano. Con un sospiro, in un raro gesto d’affetto, prendo la sua mano macchiata dall’età e la stringo fra le mie.
Giorno 46 am
Credevo che non avrei dormito e invece mi sbagliavo.
Appena ho toccato il cuscino, il suo abbraccio mi ha accolto e ho chiuso gli occhi in un sonno agitato che tuttavia non è stato così ristoratore come mia nonna sperava. Dubito sarò mai pronto a ciò che mi attende.
Entrando nella sala da pranzo, il sole dell’alba bacia i visi delle sacerdotesse che fanno colazione. In segno di rispetto ci salutiamo in silenzio, mentre volto lo sguardo verso mia nonna, in procinto di versare del miele su del pane.
« Ho bisogno di parlare con Sitra. Dov’è? » Dico, spiccio. L’affetto che si è affacciato timido ieri sera è ora nascosto sotto la rigidità di cui entrambi siamo schiavi.
Meresankh non mi guarda: lascia colare il miele sulla mollica, ne osserva il riverbero dorato.
« Non qui. » Risponde addentando il pane.
« E allora dov’è? »Non so in che misura le mie parole abbiano colpito Sitra. Per quanto forte sia, il pensiero dei suoi sentimenti continua ad assillarmi e la mia incapacità di far fronte ad essi mi spinge a veleggiare su acque sconosciute, pronte a smuoversi al primo soffio di scirocco.
È per questo che mi riserva anche lei una durezza mutevole?
Il suo pregiudizio nei miei confronti, il suo pensiero sul mio ritenerla debole al punto da non averla voluta al mio fianco quella notte, la mia
incapacità di amarla come meriterebbe… me lo sono chiesto a lungo nel momento in cui ho aperto gli occhi stamani.
Eppure, sentendola al mio fianco in questi giorni, vedendo la luce fiera nei suoi occhi di leonessa, la dolcezza dei suoi sussurri, l’affetto nelle sue mani gentili, mi sono reso conto che ho bisogno di lei. E che pensiero meschino il mio! Dopo tutta la sofferenza che le ho arrecato col mio rifiuto, generando una quantità infinita di pressioni da parte di Meresankh e Neferet, io la cerco. La cerco per l’egoistico bisogno di sentirmi dire che andrà tutto bene, che ci sarà lei –non il branco, penso– al mio fianco.
Perché forse… forse mi basterebbe anche solo lei.
Perciò devo chiarire tutto questo, devo dirle di smetterla di credere che per me non abbia importanza poiché sbaglia.
« Sitra è a svolgere dei compiti, per conto della Dea, lungo il Nilo. »Immobile, serro i denti. Non fatico a crederlo: Sitra è troppo orgogliosa per decidere di evitarmi, piuttosto mi affronterebbe a muso duro.
« A fare cosa? » Chiedo dopo un momento. Meresankh alza finalmente gli occhi su di me. Delle rughe attorno ad essi mi sembrano così profonde che quasi mi domando se non siano giunte nel cuore della notte. È stanca e preoccupata quanto me e mi chiedo se lei, invece, sia riuscita a riposare. Forse nonno Semna è riuscito a chetare i suoi incubi?
Mi sembra d’improvviso così vecchia da spaventarmi.
« C’è una famiglia con due bambine. » Dice, scoccandomi un’occhiata eloquente. Capisco, allora, che Sitra è lì per affidarle ad una famiglia scelta del Tempio finché un giorno, se Sekhmet vorrà, non diverranno Leonesse.
Sospiro, passandomi una mano sugli occhi. Mi volto, in direzione del corridoio che mi condurrà giù, all’inferno, ma mia nonna allunga un braccio, serra il mio polso.
« Mangia. »« Non ho fame. »« Mangia. » Irremovibile, Meresankh ordina. Ed io, infine, obbedisco nuovamente.
I sotterranei odorano di umido, ma non in quel modo molesto che qualcuno si aspetterebbe.
Nei templi non esistono prigioni, ma quello della Dea fa eccezione. Al servizio della Signora della Guerra, in un tempo lontano le Leonesse combattevano al fianco del Faraone catturando nemici poi destinati alla prigionia per servire come schiavi o semplicemente per morire sotto le loro lance.
Ora, invece, le celle fungono da magazzino per le provviste, per gli ori e gli argenti, per le statue di altri Dei protettori che ci accolgono nel corridoio pieno di torce.
Osservo i capelli di Amunet danzare lungo la schiena, un movimento ipnotico su cui mi concentro per calmare il tumulto nel mio petto.
Quando si volta, il cipiglio sul suo volto è serio, marziale e nello stesso modo mi si rivolge.
Una morsa alla gola mi stringe quando odo il nome della figlia di Sahid; mi sorprende a tal punto che le labbra hanno uno spasmo e si stringono. Come è possibile che una bestia del genere abbia potuto generare un figlio? Mi sembra impossibile, ma del resto questa storia mi ha insegnato che essere genitore è, molto spesso, essere ripugnanti per i loro stessi figli.
Non sono andato così vicino anch’io a questo pensiero?
« Grazie, Amunet. » Vorrei accennare un sorriso di circostanza, ma il mio volto è di pietra. Non sono ancora abituato a farmi chiamare
Maahes, il titolo che ha portato mio padre.
Lo spettacolo che mi ritrovo davanti è pietoso. Mentre la Leonessa chiude la pesante porta, io osservo Sahid col disprezzo nello sguardo indurito.
Il pessimo odore che aleggia in questa cella mi fa pizzicare le narici, ma mi occupo di osservare solamente l’uomo che dondola dinanzi a me.
« Sei un uomo molto fortunato, Sahid Bahliff. » Esordisco, muovendo un passo verso di lui allargando le braccia.
« Immagino che questo luogo ti sembri una reggia, in confronto a quella che ti avrebbe riservato il tuo padrone. »Gli Dei solo sanno in che razza di antro possa nascondersi il Signore Oscuro.
« Chissà quanto felice deve essere Voldemort–Sputo il suo nome, consapevole del peso che ha. Il ricordo di come Emily mi abbia definito incauto sosta per un attimo dentro la testa.–
ora che vi siete fatti fregare l’Ankh dal figlio di Osiris.»Incurvo un angolo del labbro, sprezzante.
« Se non altro non devi strisciare implorando il suo perdono, ma striscerai in altri modi.»Non sono così stupido da pensare di poterti estorcere qualcosa spezzandoti le ossa.
Quello lo faccio per il mio puro diletto.No, il mio cuore non pesa più della piuma.
Il sangue che ho versato è frutto unicamente della giustizia e sono disposto a versarne ancora, fino a tingere le acque del Nilo se necessario; fino ad impregnare la sabbia, come Sekhmet fece il giorno del suo giudizio.