Travel Back, Concorso a Tema: Gennaio 2016

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view post Posted on 31/1/2016, 23:19
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La conoscenza è limitata, l'immaginazione abbraccia il mondo.

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21 Guns
Lay down your arms
Give up the fight


“ L’abitudine si vince con l’abitudine ”

Tè, latte e zenzero per riscaldare l'aria di quelle prime mattine di novembre. La corvonero portò la tazza alla bocca e bevve un piccolo sorso. Un brivido di disgusto la percorse mentre il liquido le scorreva giù per la gola. In altre occasioni avrebbe preso due cucchiaini di zucchero e li avrebbe aggiunti alla bevanda. Un'altra pigra mattina stava avendo inizio.
*Per ogni istante che passa la Me di quell'istante passa con lui.. sicché ognuno di noi non è mai la stessa persona di un attimo prima* accarezzò il bordo della tazza bollente prima di bere ancora il liquido aspro ma rigenerante. Era sveglia ormai da troppo tempo per fare pensieri così profondi e fuori luogo. La verità è che stava pensando a quando le sue mattine non erano affatto così silenziose e vuote ..pungenti e amare proprio come la radice che galleggiava nel suo tè. Era seduta al tavolo dei corvonero semivuoto. Come tutte le mattine di quelle ultime tre settimane, era troppo presto per l'effettiva colazione e, quando cominciavano ad arrivare gli altri studenti la ragazza si defilava in qualche dove che fosse lontano da lì. Esattamente 21 giorni che andava avanti così. *Ventunesimo colpo* Eccolo, il ricordo che si presentava puntuale ed inevitabile che le ricordava perché tutto era cambiato, lo aspettava.
Terminò di bere e alzandosi si avviò verso l'aula della prima lezione di quel lunedì mattina, conscia che non sarebbe cominciata prima di tre quarti d'ora d'attesa. Aprì il libro di trasfigurazione davanti a sé alla lezione del giorno anche se non l'avrebbe neanche guardato. Tirò fuori anche una pergamena scritta in bella grafia, la girò e con tratti leggeri si mise a pastrocchiare qualcosa di apparentemente senza senso. Sembrava un palazzo dalle fondamenta cubiche, sulla quale si innestavano una serie di parallelepipedi, piramidi e poliedri che lo rendevano una sorta di guazzabuglio; le mura erano decorate ma non ve n'era nessuna che fosse in stile con le altre, da disegni geometrici a piccoli dipinti. Tutto assurdo ma estremamente curato nei particolari. Era il santuario della terra dei giorni, qualcosa di cui aveva letto in un racconto. La guardiana che vi viveva era in grado di giocare col tempo, dunque la realtà al suo interno non era altro che un'eventualità; la storia era tutta da scrivere e andava esattamente come volevi che andasse. Un inusuale gabbia dorata senza tempo e senza regole, dove le routine erano solo un'immaginazione e i cambiamenti erano tutti premeditati. L'idea le era sempre apparsa allettante: tutto quello che aveva perso l'avrebbe ritrovato lì e nulla di negativo sarebbe mai accaduto sconvolgendo la sua vita; ma anche solo fantasticandoci si rendeva conto che infondo l'assenza di una realtà con le sue certezze e probabilità la spaventava. Dopotutto i cambiamenti improvvisi, soprattutto quelli spiacevoli, erano qualcosa alla quale la ragazza era già abituata. Ogni cambiamento non era mai fine a se stesso, e significava stravolgere la quotidianità per abituarsi ad altre routine.
Quello che stava vivendo in quel momento era un periodo di passaggio: quando sai già cosa devi fare e come farlo ma continui costantemente a pensare a quello che era. Sapeva che in una realtà diversa, nella quale lei avesse fatto la cosa giusta, sicuramente in quel momento starebbe in dormitorio ad incitare Alice a scegliere quale paio di scarpe mettersi, correre mentre scendevano giù dalle scale a chiocciola della torre di divinazione per poi catapultarsi in sala grande, dove aveva abbandonato il tavolo dei prefetti per fare una colazione all'insegna di battute divertenti, infine sarebbero arrivate in aula e con grande probabilità in ritardo
*..e il mio tè sarebbe stato zuccherato* Si disse tanto ironica quanto veritiera, come se quella fosse una presa di posizione che giornalmente la puniva per il casino che aveva combinato.. come se il senso di colpa e l'avanzare dell'inverno non fosse già sufficiente a deprimere le giornate.
Quando gli studenti del terzo anno fecero il loro ingresso Jen non si preoccupò di mantenere o liberare il posto accanto al suo, certa che la persona che l'aveva sempre occupato non si sarebbe seduta preferiva restar sola. Era dedita alla concentrazione riservata alle lezioni per colmare il vuoto d'altra natura che mancava in quelle ore. Sorrisi d'intesa, frasi complici, considerazioni stupide, tutto quello che dava vita ai testi dei libri e alle parole dei docenti restavano fuori, rendendo il tutto semplice apprendimento, nozioni che da brava corvonero avrebbe padroneggiato senza indugio; e al momento senza ricordi annessi. Fortunatamente la sua indole curiosa e devota alla conoscenza l'aiutava a rendere quelle ore sopportabili nonostante la palese differenza.
Il pranzo poi non sarebbe dovuto essere molto diverso dalla colazione, gioviale e di relax. Esattamente il pranzo ad Hogwarts era quel momento in cui tagli la fatica delle lezioni e riconnetti la parte sociale del cervello. Doveva essere una fase essenziale per un corvonero che quando studia si eclissa dal mondo.. eppure Jenifer in quella sua nuova routine, che in qualche modo stravolgeva completamente il suo modo di essere, lo saltava bellamente restando in Sala Comune. Certo, non che non ci avesse provato all'inizio a buttar giù cibo come al solito insieme agli altri, ma dopo i primi giorni il disagio era tale che quella forma di isolamento non faceva che giovare il suo stato. Effettivamente, ora che cominciava a sentire la mancanza delle sue concasate, e non solo di Alice, si chiedeva quale tra le due cose fosse più masochista.
*Prima o poi dovrò tornarci se non voglio che mi diano per dispersa* Così quel lunedì al posto di salire le scale si decise timidamente a riapparire in Sala Grande. L'ammasso di studenti ordinatamente seduti ai tavoli che chiacchieravano la colpì. Si diresse timidamente verso il tavolo dei corvonero poiché quello dei prefetti, con Derek in prima linea, non era minimamente tra le sue idee. *Idea brillante. Non sono pronta.* Era così traumatica un pranzo con i suoi amici? Considerando poi che lo aveva sempre fatto? Non guardò nella direzione di quella che era stata la sua migliore amica e si sedette piuttosto distante. Certamente tutti dovevano aver notato la differenza, a partire dalle ragazze che avevano subito gli avvenimenti di Quella fatidica mattina in dormitorio. Tuttavia tergiversando qualche domanda di troppo sulla sua assenza la prefetta riuscì ad avere un pranzo quasi tranquillo. Definirlo Normale sarebbe certamente stato eccessivo dato che era dalla parte opposta del suo solito. Finito di pranzare, inosservata scivolò via.
Salì le scale fino al primo piano ed entrò nell'aula di storia della magia. Era tardi rispetto a quando passava le sue pause in sala comune, tanto che vi erano già alcuni studenti. Si sedette sistemandosi e involontariamente il suo sguardo cadde sulla porta dell'aula.
C'era bisogno di tempo si erano dette, ma per quanto tempo avrebbe dovuto brancolare tra diverse abitudini che sue abitudini alla fine non erano? Il desiderio di tornare alla sua ruotine era così forte e doloroso che non sapeva esattamente a quanti altri colpi avrebbe resistito. Probabilmente la necessità glielo avrebbe fatto sapere.



This is good in a better way
It's better this way
I'll make this perfect Again



OT. Dopo questo primo post usato per il contest, il topic verrà continuato come una normale role.
 
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Alice Lastrange
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Una nuova uggiosa giornata era incominciata, Alice lentamente si stava svegliando, tutt'altro che contenta di doversi separare da quel suo amato e caldissimo letto. Chissà che ora erano, Alice se lo chiese ricordandosi di dover farsi mandare assolutamente un orologio. Fino a qualche tempo fa non ne aveva mai avuto bisogno, aveva una sveglia personale a fianco al suo letto, ma da quando era successo tutto il casino aveva perso tutto. Sembravano avere un accordo non sancito da nessuno, riuscivano a non incontrarsi mai, la mattina Jen usciva presto quasi sempre, ma quando non la vedeva tornare la notte per le ronde era lei a scendere alle prime luci dell'alba.
Ma per quanto volessero stare lontane, almeno per qualche tempo, erano concasate con la stessa età, nessuno poteva impedire loro di incontrarsi a lezione. Ovviamente Jen cercava in tutti i modi di non farle pesare a sua presenza, ma era un pò di giorni che era la sua assenza che pesava alla giovane. Non ce la faceva, le mancava, aveva bisogno di lei, delle loro vecchie routine, e per quanto sapeva che non sarebbero potute tornare come prima Alice sperava di riuscire a ritrovare la sua migliore amica. Il problema era che tutto era nelle sue mani, era Alice che doveva decidere, che doveva fare la "prima mossa", la prima fatidica mossa, che Alice non riusciva a trovare il coraggio di fare.
L'incontro con Derek e aveva fatto capire quanto era inaccettabile che un solo evento potesse impedire alla giovane di stare con la persona che tanto voleva avere al suo fianco.
A questo pensiero non poté che stringere a se ancora più il piumone godendo ancora un pò di quel caldo tepore. Con un sospiro lo sollevò e iniziò a prepararsi per Storia della Magia. Guardò la sveglia sul comò di una sua compagna di stanza, se non si fosse sbrigata sarebbe arrivata a lezione giusto per segnare i compiti finali. Il fruscio della tunica riecheggiava nei corridoi della scuola, scese tutti i piani che dividevano la Sala Comune dal primo piano. Accelerò il passo una volta arrivata alle ultime scale, fino a correre nel corridoio, una figuro vicino la porta d'ingresso dell'aula la fece rallentare, mentre si avvicinava si sistemò i capelli, riconobbe poco dopo l'identità di tale figura. Nemmeno a farlo apposta, dinanzi alla porta dell'aula c'era proprio Jenifer.
La osservò a lungo, non riuscendo a trattenere una specie di sorriso, un pò forzato dalla situazione. Erano passati 21 giorni da quella sera su nella torre, ma sembrava essere passata una vita. Avrebbe voluto dirle qualcosa, salutarla, anche un banale "ciao", ma non riuscì a far altro che sorriderle fugacemente. Senza proferir parola entrò in classe, e andò a sedersi al suo solito posto, con la coda dell'occhio vide la ragazza andarsi a sedere dall'altra parte della stanza. Come lei stessa le aveva chiesto, Jen le stava dando dello spazio, che ora non sapeva se voleva tra di loro.
La lezione passò come al solito, uggiosa e noiosa, segnò i compiti che il professore aveva dato loro, e fu tra le prime ad uscire dall'aula. Stava per proseguire per una metà non designata, quando decise di fermarsi, fare qualcosa. Si appoggiò delicatamente al muro dell'aula e attese che l'altra Corvonero uscisse, pensò a qualcosa da dire, una frase intelligente, qualcosa di non stupido, ma non appena i suoi occhi incontrarono i suoi le uniche parole che uscirono dalla sua bocca furono:
«Hai da fare... Ti andrebbe di fare due passi?»

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Alice era entrata proprio in quell'istante nell'aula rendendo inevitabile l'incrocio degli sguardi. Non aveva cercato quel contatto ma ora che il fato glielo aveva donato ne rimase rapita, aggrappata e sorpresa, soprattutto dalla sua reazione. L'amica le aveva sorriso, anche se in modo impacciato. Cosa poteva aspettarsi se da tre settimane per la prima volta in vita loro erano come estranee? Tuttavia non era importante, lo sapeva bene, non c'era bisogno d'indagare. Era solo contenta di aver visto quel timido sorriso apparire guardandola. Qualche settimana prima un evento simile non sarebbe certamente accaduto. Ricambiò il sorriso ma non aggiunse null'altro. Non sentiva di doverlo fare. A volte voleva, sentiva l'impulso di andarla a cercare, parlarle, ma per dirle cosa? Altre scuse? Il solo pensiero che la sua presenza l'infastidisse bastava a far raffreddare i motori. Così tra quei pensieri si chiese se quel sorriso era sincero, se significasse davvero qualcosa, o se fosse stato solo di circostanza per non farla sentire troppo in colpa o in imbarazzo. Doveva essere sicuramente così, perché se la corvonero voleva davvero un contatto l'avrebbe per lo meno salutata.
La lezione ebbe inizio e Jenifer cercò invano di mettere a tacere tutti i suoi pensieri per concentrarsi e seguire storia della magia, anche se il professore non le dava alcun aiuto per questo suo buon proposito. Per quanto si sforzasse le lezioni di Peverell risultavano puntualmente pesanti, se non noiose. Rassegnata a quella piccola tortura, decise almeno di prendere appunti, per facilitarsi il compito.
Le due ore proseguirono mogie e prive di qualsiasi fantasiosa e tanto desiderata interruzione.
*Che so, un attacco dei mangiamorte, ma anche un Troll nei sotterranei sarebbe andato bene* si disse scherzosa riponendo il libro nella tracolla e uscendo poi dall'aula. Stava ancora pensando alla faccia del vecchio professore quando un impaurito Gaza si fosse portato allarmato in tutte le aule per avvertire dell'ingresso della grossa e puzzolente creatura; o di come avrebbe sentito il galeone dell'Es farsi rovente e lei avrebbe interrotto quella noia dicendo di dover andare urgentemente in bagno per poi correre alla ricerca di chissà quali cattivi, quando accadde qualcosa che seriamente non si sarebbe aspettata. Alice, che era uscita prima di lei, si era fermata appoggiata al muro dell'aula. La cosa era già strana di per sé, ma di certo la prefetta non poteva sapere che stava aspettando lei. Vedendola rallentò dimenticando improvvisamente cosa stava pensando, i loro sguardi s'incrociarono e la ragazza si fece attenta. No, non se lo stava immaginando. Alice le aveva parlato. L'aveva colta alla sprovvista, ma il desiderio di ottemperare a quella richiesta era tale che si trovò comunque con la risposta pronta di chi ha già deciso. «Si certo» disse annuendo. Forse in quel sorriso c'era stato davvero qualcosa, comunque non importava, adesso era là e quello era un momento da vivere senza sconti e pensieri per aria. Non poteva negare che lo aveva desiderato da quella mattina stessa che le aveva voltato le spalle lasciandola sola nel dormitorio. Aspettava che il tempo facesse il suo corso e sperava lo facesse nel minor tempo possibile; ed ora eccolo lì. Quel momento era un regalo non meritato, perciò non poteva che desiderare fosse così come l'amica l'aveva desiderato. Jenifer da parte sua aveva bisogno di normalità, che si traduceva nel pazzo, stravagante e forte legame che aveva con lei, ma sapeva di poterlo pretendere. Allora ancora una volta avrebbe lasciato che le cose facessero il loro corso, che quel gomitolo di parole si sbrogliasse da solo senza creare altri nodi, ed era certa che con se entrambe avessero avuto pazienza e buoni propositi ci sarebbero riuscite. Era un opportunità e lei non l'avrebbe lasciata andare.
Aspettò che la ragazza si discostasse dalla parete per scegliere la direzione dalla quale la voleva portare e l'avrebbe seguita al suo fianco. Cercando di ammutolire tutte le parole che affioravano alla mente, si sarebbe lasciata condurre nei luoghi e nei discorsi che avrebbe scelto.

 
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Osservò come sempre la sua reazione, riconoscendola in ogni sua sfaccettatura. Sembrava colpita dalla sua proposta, ma ne sembrava allo stesso tempo felice. Questo la aiutò a respirare, poichè fino a quando dalle labbra della ragazza di fronte a lei non fosse uscito un assenso tutto sarebbe stato fermo, il suo cuore, il suo respiro, ogni suo muscolo. Il suo «Si certo» fu quasi una liberazione per Alice, che in quel momento tirò un sospiro di sollievo, ben consapevole che in realtà non era lei quella che doveva essere tesa, ma l'espressione di Jen le fece capire quanto doveva aver sofferto, forse tanto quanto lei. Non erano mai state così distanti, sin dal loro primo giorno ad Hogwarts erano le due amiche, le due sorelle che giravano per i corridoi guardano uno dopo l'altro i ragazzi più carini della scuola, l'amica che infrangeva le regole e la prefetta che la copriva. Loro due lontane, e per cosa poi? Per un ragazzo. Forse in un'altra occasione, con una altra persona Alice non avrebbe mai accettato quello che era successo, ma lei era il suo punto debole, e non poteva odiarla, ne tenerla lontana da lei. Era inconcepibile, non era giusto, si stava privando di qualcosa di vitale per lei, forse sarà anche stupido o patetico come pensiero, ma a lei non importava, perchè sapeva bene che tutto l'affetto che provava per Jenifer era totalmente ricambiato, e niente poteva abbatterlo. Delicatamente, così come si era appoggiata al muro di quel corridoio, così si staccò da esso, il castello era immenso, e in realtà non sapeva bene dove sarebbero andate, ma camminare sarebbe stata la cosa migliore. Parlare le sarebbe riuscito meglio parlando. «Come... come stai?» furono le prime parole che le uscirono dalla bocca, ma che avrebbe preferito fossero rimaste sopite. *Che domanda stupida è? Ma sei scema? Come credi che stia?* pensò maledicendosi Alice. La cavolata l'aveva fatta, aggiungere altro sarebbe stato stupido, anche se era sicura che avrebbe capito, ma avrebbe atteso lo stesso, forse perchè, infondo infondo, voleva saperlo da lei come realmente stava.
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Jenifer McLoen «

  » prefetto ~ Scheda | Outfit

Si morse la parte interna del labbro mentre distoglieva lo sguardo. Le emozioni si affollavano una sull'altra nella testa e contava su quella passeggiata per scaricare la tensione che le provocava. Era felice certo, aveva sperato fin troppe volte in quel momento, ma era anche imbarazzata e non riusciva a capacitarsi come tre settimane lontane da quella ragazza fossero riuscite a renderla talmente ansiosa. Si erano subito scostate dal muro e adesso camminavano l'una di fianco all'altra, forse un po' più distanti del loro usuale, evitando qualsiasi probabile contatto indesiderato. Passi ponderati e ritmici non riuscivano ad attutire per intero l'effetto del mush-up di pressioni che aveva nella testa, così si torturava le dita della mano sinistra, le cui nocche bianche erano nascoste alla vista dell'amica.
Avrebbe atteso che fosse stata lei a parlare rompendo il silenzio. Fortunatamente questo non durò a lungo. Udendo la suo voce si voltò nuovamente verso di lei. La domanda era semplice ma Jenifer non trovava una risposta che non le sembrasse patetica. Accennò un sorriso sardonico e increspò le labbra prima di risponderle, cercando di ammortizzare l'atmosfera.
«Di merda...» “...ma non te ne preoccupare” disse facendo spallucce e sorridendole. Non stava cercando la sua compassione, ne tanto meno di farle pena. Se c'era una cosa che distingueva Alice da tutto il resto del mondo era proprio questa: qualunque cosa Jenifer le dicesse era vera e senza filtri, con lei preferiva una non risposta piuttosto che una frottola ben impostata per la situazione; e di certo non l'avrebbe cambiata ora.
Non le avrebbe detto neanche quanto male si trovasse a dover cambiare tutte le sue abitudini e ne tanto meno le avrebbe spiegato quanto era stato difficile provare ad evitarla per rispettare la sua richiesta, quando lei le avrebbe voluto dire qualsiasi sciocchezza pur di far cambiare le cose. Non serviva, Alice poteva immaginarlo e alla fine dei conti non era importante.
“Te lo sei cercato” Non c'era altro da aggiungere, anche se effettivamente c'era qualcosa che Alice non sapeva e non poteva immaginare, ma non ne avrebbe fatto comunque parola. Gravava abbastanza anche senza condividerlo quel fardello.
«Tu come stai?» chiese di rimando. Aveva la bocca secca, la risposta era fondamentale ma le parole sembravano graffianti nella gola. Era incredibile quanto la domanda più ripetuta e banale dell'universo in quel frangente fosse complessa. Se in genere era considerato un convenevole, una domanda di cortesia, in quel caso era proprio il punto cruciale. La prefetta pensò per assurdo che dopo quella avrebbe anche potuto chiederle di Derek e rivivere ancora una volta la partenza di quel macello. Alla mente le venne il suo ultimo incontro con lui ai Tre Manici e il solo pensiero l'esasperava. Lo scacciò repentinamente.
Sapeva benissimo invece che la cosa più importante era proprio questo incontro, i loro passi senza meta e quella risposta; da questo avrebbero ricominciato.

Narrato ~ «Parlato» ~ “Pensato”

“ I'll make this perfect Again.. ”
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Edited by Arklys - 12/5/2016, 21:16
 
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Aveva ragione, era stata davvero una domanda stupida. Diretta e concisa, la risposta di Jenifer avrebbe rispecchiato benissimo anche lo stato d'animo degli ultimi giorni della stessa Alice. Sapeva che la prefetta non voleva essere compatita, si sentiva in colpa per quello che aveva fatto, Alice riusciva a leggerlo nei suoi occhi, e nonostante sia stata proprio lei ad essere la "vittima" di quell'assurda situazione, non riusciva ad accettarlo. Nessuno doveva far soffrire la sua sorellina, nemmeno lei, lei che amava vederla sorridere, sentire il suono dolce della sua risata, e avrebbe perdonato ogni cosa solo per risentirla, per vedere di nuovo quel sorriso stampato sul suo volto. *Ora capisco l'amore incondizionato* pensò tra se la ragazza. Quell'amore di cui avevo letto mille e mille volte tra le infinite pagine dei libri che aveva sfogliato nel corso dei suoi anni. Non aveva sorelle, non sapeva se fosse un sentimento comune, ma alla fine dei conti non le importava.
Sorrise, abbassando gli occhi, quando Jen le rimandò la domanda che lei le aveva posto poco prima. Francamente non lo sapeva, aveva smesso di chiederselo, viveva di solitudine e di lettura, fino a quando... beh, fino a quando tutto era cambiato inevitabilmente, quelle tre settimane erano state dannatamente strane, piene di cambiamenti, di strani incontri, nuove ... amicizie.
Tre settimane intense, giorni che hanno determinato la fine di una storia, e l'inizio di qualcosa a cui Alice non aveva ancora la forza di pensare. La cosa che le premeva maggiormente era riottenere il rapporto con la ragazza affianco a se. *Come stai?* bella domanda...
«Arranco» disse infine Alice, sorridendole debolmente «Ma senza di te... non riesco a...» le parole le si fermarono, strozzate da tutto quello che avrebbe voluto dire ma che non riusciva a tirar fuori...«Mi sei mancata»

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I corridoi scorrevano lenti intorno a loro come se effettivamente non ci fossero. Nessuna delle due badava a dirigere il proprio passo più di quanto non fosse necessario per non sbattere contro qualcosa. Alice aveva abbassato gli occhi alla sua risposta e lei aveva distolto lo sguardo. Sembrava che l'imbarazzo e i sensi di colpa rendessero difficile l'incrocio di sguardi che da sempre erano stati complici. Era forse troppo presto per affrontare la cosa?NO.Il rifiuto dell'idea si fece forte e pressante nella sua mente. Voleva affrontarla, doveva affrontarla. Voleva farlo fin dal primo istante e adesso tre settimane di stallo immobile in quel sopravvivere ai giorni era stato più che sufficiente. Voleva la sua amicizia indietro e anche se sapeva che non sarebbe potuta tornare perfetta subito, sperava almeno che cominciassero a fare i passi necessari per ritornare verso le origini.
Risoluta la guardò nuovamente ricambiando la domanda. Non si aspettava fosse semplice porla, sapeva che rimediare aveva il suo prezzo ma aveva già deciso di accettarlo da tempo. Non si aspettava neanche rose e fiori in risposta ed era cosciente che in molto o in parte era comunque colpa sua. Tuttavia dalla sua espressione sorpresa si poteva immaginare che neanche la risposta che la ragazza le riservò se l'aspettasse. Quel mezzo sorriso tirato e lo sforzo che doveva aver fatto per pronunciare quelle parole. Il suo sguardo tremulo sondò la sua espressione mentre il suo cuore balzava via dal petto. Jen lo sentì battere così forte che si chiese se in quelle tre settimane non si fosse in realtà fermato. D'improvviso non resse più la distanza e il non volerla sfiorare per non invadere i suoi spazi le era sembrata una cosa infinitamente sciocca. Aveva bisogno di lei almeno quanto Jenifer stessa sentiva il bisogno di Alice.
« Anche tu, tantissimo » rispose quasi in un soffio abbracciandola improvvisamente. Era giusto? Ma nel momento stesso in cui se lo chiedeva sapeva che non poteva essere altrimenti. La distanza aveva logorato entrambe e non aveva intenzione di assecondarla ancora. « Mi dispiace » continuò con voce tremante mentre la stringeva a sé. Che le mancava non era sufficiente, così come non poteva esserlo un abbraccio e se le questioni in sospeso facevano così male significava che le avrebbero risolte poco per volta, ma insieme. I suoi occhi diventati lucidi lo sapevano che non c'era altra soluzione e pregò che anche Alice lo capisse e non la respingesse ancora.
Narrato ~ «Parlato» ~ “Pensato

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view post Posted on 22/7/2016, 11:48
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Le distanze tra le due ragazze si annullarono in un soffio, rotta in un pianto che Alice non voleva assolutamente far emergere, mentre si abbandonava al caldo abbraccio della sua amica. Dei singhiozzi silenziosi la facevano sobbalzare tra le sue braccia, rendendola ridicola come sempre. Ma in quel momento non le importava, ora erano li, insieme, e al diavolo ogni pregiudizio, ogni rimpianto, ogni qual si voglia stupido problema, lo avrebbero risolto come hanno sempre fatto: insieme.
Come aveva potuto pensare che stando lontane sarebbe potuta sentirsi meglio, isolarsi, far isolare la stessa Jen, questo le aveva soltanto fatte patire maggiormente, e farle soffrire come nessuna delle due meritava. Strinse la presa nell'abbraccio, impedendole ogni via di uscita, ora era li e avrebbe ucciso chiunque avesse cercato di allontanarle. Con il viso immerso nei suoi capelli biascicò dolcemente:
«Come abbiamo potuto farci allontanare, come abbiamo potuto permettere che questo ci dividesse?» il cuore cominciò ad accelerare maggiormente il suo ritmo, già veloce sin dal primo sguardo che aveva rivolto quella mattina alla ragazza. «Mi dispiace, ho sparato alla cieca senza capire veramente quello che era realmente importante. Ho messo prima della nostra amicizia il dolore che qualcun'altro ci aveva causato. Io e te siamo come due sorelle, e la famiglia non si abbandona in questo modo.»
La ragazza sapeva che non era tutta colpa del ragazzo, ma parlando proprio con lui, lei aveva capito che non le importava, che nulla sarebbe stato mai così importante quanto l'amore che la stessa Alice provava nei confronti della ragazza. Sin da quando l'aveva incontrata, la sua prima notte qui a scuola, lei era stata un punto di riferimento, la sua amica del cuore, e voleva parlare con lei, ritornare ad essere l'una la boa di salvataggio dell'altra.


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L'istinto era un'arma a doppio taglio e la corvonero lo sapeva. Agire di pancia era la cosa che meno si addice alle caratteristiche della sua casata, tuttavia Jenifer lo faceva ugualmente e in modo diverso. Non lo avrebbe definito istinto, ma inconscio. Erano sensazioni e intuizioni che magari non le erano arrivate al cervello come pensiero concreto ma avevano motivazioni forti.
Si strinse alla sua migliore amica e quando la ebbe tra le sue braccia la paura che l'allontanasse svanì nel nulla. In un attimo tutto era al suo posto come era sempre stato. Alice singhiozzava aggrappata a sé mentre le lacrime le inondavano il volto. La strinse più forte a sé sentendola finalmente vicina. L'intento spontaneo le fece crollare delle ciocche di capelli che le coprivano il labbro tremulo e preso da ansimo. Alla vista dovevano essere sicuramente uno spettacolo inguardabile; qualcuno, per esser buoni, si sarà chiesto chi fosse morto, mentre qualcun'altro si sarebbe limitato a constatare quanto risultassero patetiche. Tuttavia prese l'una dall'altra, in quel momento a nessuna delle due sembrava minimamente interessare.
In quel subbuglio di pianto ed emozioni non trattenute l'amica pronunciò la medesima domanda che Jenifer stava pensando. Per quanto assurda e inconveniente era tutta la situazione, quell'avvenimento le rubò un sorriso tra le lacrime. Erano ancora loro, che si toglievano le parole di bocca e parlavano l'una per l'altra.
Ascoltò le sue parole ad occhi barrati. Attribuiva a sé la colma ma adesso era lei che si scusava per quello che avevano perso, ma quell'abbraccio lo confermava, nulla era andato davvero distrutto. Ancora aveva ben impressa nella mente la foto rotta in dormitorio con tutti i vetri sul pavimento.
«Shh.. siamo insieme adesso.. non lo permetteremo più, a niente e nessuno» Le lacrime le scendevano copiose dagli occhi e adesso tremava insieme a lei. «Sono stata un'idiota a rovinare tutto per una sciocchezza. Io... » un singhiozzo la interruppe bruscamente. Aveva già passato in rassegna le non-valide motivazioni e si sentiva solo uno schifo per tutte le conseguenze. Affondò il viso ancora in lacrime sulla sua spalla. «Perdonami, è tutta colpa mia» Non riuscì a pronunciare molto altro presa dal pianto. Quello era il primo e unico rimorso e non l'avrebbe più abbandonata.
Aveva bisogno di quella ragazza, era come se avesse il suo stesso sangue, la sua stessa mente. Non era una comune amicizia, una di quelle scambiabili, sostituibili, eliminabili. Era parte di sé, non solo della sua vita e avendola ferita era come saver ferito se stessa. Il percorso da quel momento in poi le sembrava una montagna da scalare ma da quell'abbraccio già le sembrava meno ripida. Avrebbe lottato per riottenere la sua fiducia e per proteggere la loro amicizia.

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L'imperfezione è bellezza, la pazzia è genialità

Alice Lastrange
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Immersa nel dolce abbraccio e nel profumo della ragazza, Alice non riusciva più a pensare. La pace che provava in quel momento, nonostante le lacrime che imperterrite continuavano a rigarle il viso e ai singhiozzi che facevano sobbalzare entrambe a ritmo, lei era in pace ora. Non tutto era perduto, nulla era impossibile. Forse avrebbero potuto far tornare tutto come prima, nonostante tutto. Magari anche meglio di prima. Ci sarebbe voluto solo tempo, una quantità indefinita di tempo, che nessuno avrebbe potuto stabilire. Non solo quello che avevano passato, i suoi problemi era diventati per lei fonte di isolamento, temeva che nessuno avrebbe potuto aiutarla, e per quanto potesse stare male sapeva che l'unica soluzione era adesso tra le sue braccia. Ma come avrebbe potuto andare da lei e dirle: "Ok, io sto malissimo, aiutami, ti prego" quando sapeva benissimo che anche lei aveva dei problemi, molti dei quali causati da lei stessa. Non poteva, l'amava così tanto da non poterle creare altro dolore. Cosa stupida ripensandoci ora.
Ma lei era fatta così, sempre gli altri prima di se stessa, soprattutto quando si parlava di Jen, ogni suo problema era irrilevante.
Non sapeva da dove cominciare, aveva creato intorno a se un castello di carte, così instabile che presto o tardi sarebbe crollato, e quando è, inevitabilmente, caduto, le carte si sono trasformati in blocchi di cemento, che l'hanno sopraffatta e sommersa.
Lei è la sua luce, a prescindere dagli errori commessi, da entrambe.
«Ti perdono, ti perdonerei sempre» non riusciva a fare nulla, voleva solo stare con lei, ascoltarla parlare, ridere con lei. Tutto avrebbe trovato il giusto modo per tornare al proprio posto.

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La conoscenza è limitata, l'immaginazione abbraccia il mondo.

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Jenifer McLoen «

  » prefetto ~ Scheda | Outfit

Sembrava essere giunto l'epilogo di quella vicenda, che in realtà si prospettava solo come l'inizio di qualcos'altro più lungo e travagliato. Le parole erano state pronunciate e i fatti compiuti. Che la cosa fosse stata voluta o meno in quell'abbraccio aveva trovato la sua prima riconciliazione. Jen affondò il viso sulla spalla dell'amica senza lasciarla andare. «Recupererò ogni singolo momento finché non torneremo alla nostra fiducia di sempre» Sussurrò piano ma con voce sicura. Non singhiozzava più. Le guance ancora umide delle lacrime passate. Era una promessa. Indipendentemente da quanto tempo ci avrebbe impiegato per far tornare le cose come prima. «Cominciando da adesso» Aggiunse staccando il volto dalla sua divisa e guardandola in quegli occhi castani che conosceva perfettamente. «per quanto è successo, Derek.. non avrei mai voluto dividervi» La ragazza ci stava provando a scusarsi, a riemergere, ma il non avere scusanti la riportava a quel giorno, all'origine del problema e la causa di tutto. Sapeva tuttavia che mettere in mezzo l'ex prefetto e quel regredire non avrebbe giovato a nessuna delle due. Si fermò in apnea. Se Alice avesse voluto farle qualsiasi domanda su di lui, rinfacciarle momenti del passato, ricordarle quello che era successo avrebbe potuto farlo in ogni momento. No. Adesso a lei spettava il compito di ricostruire. Dopo un attimo di pausa la ragazza riprese: non avrebbe parlato del passato, né coinvolto altri che sé stessa. La loro amicizia era nata con la condivisione di pezzi di loro, famiglia, situazioni, amici, feste e dolori; in sincerità, come i bambini all'asilo. Di lì sarebbe ripartita. «Vorrei parlarti di una cosa» Concesse all'amica e a se stessa un minimo di spazio per ricomporsi e tirò un respiro profondo senza distogliere lo sguardo. Aveva ancora le mani strette nelle sue e non le avrebbe lasciate. Lanciò un breve sguardo diffidente a quel corridoio vicino l'aula di storia. «Passeggiamo?»
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