| Prosegue da qui, ma sotto spoiler segue un brevissimo riassunto che può sopperire alla lettura della puntata precedente. Elizabeth è tornata nella casa dei genitori, in cerca delle sue valutazioni dei GUFO, dopo circa otto anni da quando ne era stata cacciata. Una volta dentro, ha scoperto che – sorpresa! – ha una sorella di cui non sapeva nulla e che, a sua volta, non sapeva nulla di lei. Lizzie fa appena in tempo a scoprire che la bambina si chiama Eden e ha quasi otto anni – coincidenza! – prima di darsela a gambe levate. Fine. Comunque è più interessante di così, eh, solo che la versione breve non rende. ________________________________________________ Invece di prendere la metropolitana, come la prudenza avrebbe suggerito, Elizabeth si era semplicemente smaterializzata nel primo vicolo deserto, diretta allo stanzino del British Magic Museum: l'esercizio di qualche nuovo incantesimo era l'unica cosa che avrebbe potuto distogliere la sua mente dall'assurda scoperta appena fatta. Anche nell'accedere alla sezione magica dell'edificio la cautela era stata poca: era uscita dallo sgabuzzino senza curarsi che qualcuno potesse vederla e, salita al terzo livello della Sala Lettura, aveva a malapena badato a frapporre il proprio corpo tra la bacchetta ed eventuali osservatori. Aveva salito la scala a chiocciola e superato la soglia della biblioteca a passo di marcia, senza nemmeno salutare il custode che la fissava arcigno, e aveva preso a vagare tra gli scaffali, in cerca di nemmeno lei sapeva cosa. Erano trascorsi diversi lunghi minuti prima che notasse il tomo aperto su un tavolo, abbandonato lì, probabilmente, da qualche lettore troppo pigro per rimetterlo al suo posto. Si era avvicinata, aveva sfiorato le pagine in punta di dita e poi le aveva sfogliate all'indietro, fino a trovare l'intestazione del capitolo: "Immobilizzare un avversario: Evocazione di funi o catene". Dopo pochi secondi di riflessione aveva deciso che sì, poteva andare, e si era seduta a studiare l'incantesimo. Meno di mezz'ora dopo si spostò nell'aula attigua alla biblioteca. Abbandonò su una sedia il libro, che aveva portato con sé per puro scrupolo: l'esecuzione materiale dell'incanto era per la verità molto semplice. A renderlo complesso era invece la profonda concentrazione necessaria, il raggiungimento della quale avrebbe richiesto l'eliminazione tutti i pensieri molesti - Eden. O perlomeno, era ciò su cui Elizabeth contava. Si guardò intorno, in cerca di un bersaglio su cui esercitarsi. In mancanza di statue o armature, si frugò nelle tasche, pescò le chiavi di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch e ne separò il pupazzetto con la divisa dei Ballycastle Bats cui il signor Morgan le aveva attaccate. Le chiavi tornarono in fondo alla tasca, mentre l'omino di stoffa fu delicatamente appoggiato sul pavimento e ingrandito con un Engorgio fino ad assumere l'accettabile altezza di un metro e mezzo. Elizabeth si allontanò di qualche passo, puntò la bacchetta e, concentrandosi sul desiderio di immobilizzare il bersaglio, pronunciò ad alta voce l'incantesimo: «Incarceramus». Intorno ai polsi e alle caviglie del fantoccio comparvero le ombre tremolanti e sovrapposte di una corda e di una catena e in pochi istanti scomparvero senza lasciare traccia. [ I tentativo ] «Mai una volta che riescano al primo colpo, eh.» si lamentò Elizabeth a mezza bocca. Il suggerimento dell'incanto fallito era chiaro: non bastava desiderare idealmente di legare qualcosa, serviva una maggiore concretezza. Evocò nella propria mente non più il desiderio ma la sensazione concreta di una costrizione: immaginò le caviglie di un ipotetico avversario unite e strette in una morsa, i polsi impossibilitati a muoversi. Puntò la bacchetta: «Incarceramus» mormorò. Qualcosa, una specie di lungo legaccio composto da molti segmenti di corde e catene diverse, si materializzò, ma, incapace di tenere insieme le parti che lo componevano, si disgregò non appena fu del tutto solido. [ II tentativo ] Elizabeth sbuffò e fece Evanescere il cumulo di desolanti frammenti. Forse non era stata abbastanza precisa. Anzi, senza forse: quella specie di Frankenstein delle corde stava chiaramente a significare che la strega doveva sceglierne un tipo e concentrarsi su quello. A balzarle in mente per primi furono, curiosamente, i cordoni delle tende di Hogwarts. Con una scrollata di spalle, decise che potevano andare: erano spessi e robusti e aveva trascorso molto tempo, abbastanza da ricordarli con chiarezza, a giocherellarci con finta noncuranza quando le stanze si riempivano e lei scivolava vicino alle finestre nel tentativo di rendersi invisibile. L'immagine nella sua mente era tanto limpida e precisa da avvertire persino la consistenza ruvida sulla pelle, le scanalature dell'intreccio sotto i polpastrelli. Elizabeth sollevò la bacchetta, la puntò: «Incarceramus». La corda, dello stesso dorato cupo che aveva nella Sala Comune, si materializzò in pochi attimi, stretta attorno alle braccia e alle caviglie del fantoccio. Pochi attimi ancora e si afflosciò miseramente, ammuchiandosi sul pavimento. [ III tentativo ] La strega si avvicinò, la raccolse, se la fece scivolare tra le dita, saggiandone la consistenza. Merlino, le era venuta proprio bene. Peccato che, se non stringeva, non serviva proprio a nulla. Evidentemente aveva invertito l'errore: si era concentrata sull'oggetto da evocare, ma non sullo scopo. Ritornò al proprio posto e inspirò a fondo, preparandosi a ritentare. Puntò la bacchetta. Stringeva nella mano sinistra il cordone raccolto da terra: sì, ok, era un po' barare, come un suggerimento, ma dopotutto si stava solo esercitando ed era un incantesimo difficile, che diamine, se lo meritava un aiutino. Fu facile, quindi, mantenere viva l'immagine della corda, un po' meno concentrarsi contemporaneamente sull'idea di una costrizione ed Elizabeth si ritrovò a mormorare: «Stretta, stretta, stretta, dannazione, corda stretta. INCARCERAMUS» concluse, urlò quasi, troppo impegnata a canalizzare l'intento nell'incantesimo per prestare attenzione alla voce. La corda, la stessa, comparve. Elizabeth trattenne il respiro. Sembrava- Sì, sembrava che tenesse. [ IV tentativo ] La delusione arrivò in fretta, però, con il primo, leggero strattone dato alla corda per saggiarne la resistenza: i nodi si sciolsero subito, come niente fosse. «Dannazione!» Non poteva pensare alla corda, alla qualità dei nodi e all'intensità della stretta tutto insieme, troppe cose troppo specifiche. Sbuffò. «Ok,» borbottò, «ok: niente corda. Catena, stavolta. Anelli uno dentro l'altro, molto più semplice» Pensò alla catenella che chiudeva la porta della casa dei suoi genitori, la casa dove viveva Eden adesso, Eden, Eden, Eden. No, brutta idea, pessima. Elizabeth serrò le palpebre, relegò quel pensiero – Eden, Eden, Eden – in un angolo nascosto della propria mente. Le catene nell'ufficio di Gazza, ecco, quelle andavano bene, le catene che il custode si ostinava a conservare amorevolmente nella speranza che qualche preside, prima o poi, gli consentisse di usarle per appenderci gli studenti per i pollici. Anelli spessi, di un grigio sporco macchiato di ruggine. La bacchetta puntata, la catena vivida nella mente, Elizabeth pronunciò ancora una volta l'incantesimo: «Incarceramus». La catena comparve, esattamente come l'aveva immaginata, stretta intorno al fantoccio a produrre un netto contrasto con i colori della divisa dei Ballycastle. Elizabeth, dopo la delusione dei tentativi precedenti, fu cauta nell'esultare ed ebbe ragione: appena provò a tirare la catena, essa palesò tutta la propria debolezza, concentrata nei molti anelli deboli che si spezzarono inesorabilmente uno dopo l'altro. [ V tentativo ] Stizzita, disperse con un calcio i frammenti di ferro prima di farli Evanescere. «Molto più semplici gli anelli» commentò storcendo la bocca nel fare il verso a se stessa. «Come no». Chiuse gli occhi e vi passò sopra la mano libera: «Che stupida.» mormorò. Si concesse qualche attimo a alcuni lunghi sospiri per recuperare la calma necessaria, poi ritornò in posizione. Puntò la bacchetta. Si sforzò di rendere più concreta l'immagine della catena nella propria mente, di permeare di magia ogni anello, mentre concentrava il proprio potere sull'obiettivo. «Incarceramus» scandì decisa. Si avvicinò al fantoccio, ma esitò a toccarlo. Scrutò la catena che gli stringeva i polsi, osservandola da ogni angolazione: così, a vederla, sembrava buona. Stringendo la bacchetta tra le ginocchia per avere le mani libere, afferrò tra le dita due anelli, distanti l'uno dall'altro meno di una decina di centimetri, e tirò. Non si ruppe niente ed Elizabeth espirò, sollevata, tornando a impugnare la bacchetta. Quando però, come ultima prova, scosse le braccia del fantoccio, come se questo stesse cercando di liberarsi, la catena, invece di stringersi come avrebbe dovuto, si allentò, lasciando sfuggire una mano e rimanendo a penzolare inutilmente dall'altra. [ VI tentativo ] E no, dannazione, non di nuovo! Sperare di farcela al primo tentativo era stato a dir poco ottimistico, d'accordo, ma il sesto buco nell'acqua! Il sesto! Si sentiva come una mosca incapace di uscire da una finestra socchiusa: continuava a sbattere ostinatamente sul vetro, incapace di vedere una soluzione provocatoriamente vicina. Perché sì, era certa che lo spiraglio metaforico della maledetta metaforica finestra fosse proprio lì, da qualche parte, a portata di mano, mentre lei, stupida, continuava a cercare di rompere il vetro a testate. Si sedette per terra a gambe incrociate, rigirandosi la bacchetta tra le dita mentre rifletteva. Il vetro, l'ostacolo che le impediva di portare a termine l'incantesimo, era l'incapacità di concentrarsi adeguatamente e nello stesso momento su tutti i dettagli necessari al concretizzarsi della magia. Per trovare il dannato spiraglio doveva aggirare l'ostacolo. Quindi, concentrare lo sforzo su ogni dettaglio, rinunciando ad affrontarli contemporaneamente. Magari considerandoli, invece, in successione. Elizabeth sgranò gli occhi e si alzò, fremente. Forse – solo forse – aveva trovato la lievissima corrente d'aria che l'avrebbe guidata fino all'uscita dall'impasse. Solo forse, ma era già qualcosa. Puntò la bacchetta. Mentre la formula scivolava fuori dalle sue labbra, una sillaba dopo l'altra, la strega vide nella propria mente lunghi, sottili tubicini di acciaio lucido. Li vide intrecciarsi, le fibre che si fondevano insieme a formare una robusta corda metallica. Vide la corda argentea arrotolarsi in più giri attorno ai polsi e alle caviglie del bersaglio, risalendo fino ai gomiti, fino alle ginocchia, e vide le sue estremità scomparire, fuse insieme, saldate senza nodi, senza nulla che potesse sciogliersi. La vide stringersi sulla stoffa come si sarebbe stretta sulla carne, con le fibre dell'acciaio a serrarsi ineluttabilmente. «Incarceramus» [ VII tentativo ] Mannaggialamorte che parto 'sti sette tentativi! Si attende il Master._____________________________________________________________ Domanda:La mia idea, in realtà, è che Elizabeth, per scacciare dalla mente il pensiero della sorella, si piazzi in Biblioteca tutto il giorno a esercitarsi in nuovi incantesimi fino a essere troppo stanca per continuare. Quindi la domanda è: posso ruolare, sparo un numero a caso, quattro apprendimenti uno di seguito all'altro in on, sempre lasciando ovviamente intercorrere i cinque o più giorni previsti in off?
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