Coordinazione, pronuncia, passione, volontà., Apprendimenti Elizabeth Ashton

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view post Posted on 16/1/2018, 16:30
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storageroomLa passaporta – un grosso lucchetto arruginito – portò Elizabeth a ritrovarsi semi accasciata al buio, con uno spigolo di qualcosa conficcato tra le scapole e una scatola di cartone sulla testa a mo' di anticonvenzionale berretto. Comunque, un bel miglioramento rispetto alla nebbia e alle mura grigie di Azkaban. Per di più, dettaglio tutt'altro che secondario, aveva di nuovo la bacchetta: un «Lumos» bastò a constatare che il qualcosa era uno scaffale di alluminio, la scatola recava su tutti i lati la dicitura in corsivo “Luce sulla Storia: faretti led per teche e vetrine” e la destinazione della passaporta altro non era che un ripostiglio colmo di cianfrusaglie. La ragazza si raddrizzò, accostò l'orecchio alla porta, poi la socchiuse appena: il silenzio all'esterno era assoluto e non un'ombra lasciava intuire la presenza di qualcuno all'esterno. Non aveva la più pallida idea di che ora fosse e per quanto ne sapeva il museo babbano poteva benissimo essere chiuso, ma nel dubbio era meglio fare attenzione. Individuò l'interruttore della luce e accese la lampadina che penzolava dal soffitto: essere una Muggleborn aveva i suoi vantaggi e sapersi muovere tra quelle che per la maggior parte dei purosangue erano incomprensibili diavolerie babbane era uno di questi. Elizabeth ripose la bacchetta e sgusciò fuori dallo stanzino, nel corridoio deserto. Proprio di fronte a lei, sul muro, campeggiava un cartello: la metà superiore ospitava, ciascuna preceduta da una freccia rivolta verso sinistra, le indicazioni “Informazioni”, “Souvenir” e “Sala Ristoro”; nella metà inferiore, incorniciata in un fregio di linee ondulate, trovavano invece spazio “Sala Lettura” e “Entrata Esposizione”, con le rispettive frecce rivolte verso destra. Non ci volle molto per individuare la gargantuesca sala: le pareti ospitavano decine di scaffali divisi in più livelli, mentre al centro, sotto all'alta cupola di vetro dall'intelaiatura dorata, si affollavano poltroncine e tavoli per la consultazione dei volumi. La scala per accedere ai piani superiori era proprio accanto all'ingresso. «Terzo livello. Nono scaffale. Quinto ripiano dall'alto.» sussurrava tra sé la strega mentre saliva i ripidi gradini e percorreva il ballatoio di legno. Ecco: il titolo in foglia d'oro – “DI QUI” – spiccava sulla copertina porpora. Un colpo di bacchetta e il passaggio magico si aprì, rivelando una scala a chiocciola. Arrivata in cima, Elizabeth rimase senza fiato: di fronte a lei, si apriva un panorama di legno e carta capace di oscurare la pur imponente biblioteca di Hogwarts. Una lunga navata centrale si distendeva a perdita d'occhio e sui suoi lati si aprivano innumerevoli navate più piccole, divise da alti scaffali terminanti in lesene lignee affacciate sul corridoio centrale.
«Nessun prestito, a nessuno e per nessun motivo. Smaterializzazione non consentita.»
Elizabeth trasalì, colta di sorpresa. Individuò alla propria sinistra l'arcigno latore di quell'avvertimento proferito in tono acido: un goblin, assiso dietro alla propria monumentale scrivania, la squadrava con il volto rugoso accartocciato in un'espressione a metà tra l'insofferenza e il disgusto. Certo, la ragazza sapeva che i frettolosi Gratta e netta operati su se stessa prima di prendere la passaporta avevano appena mitigato la sporcizia e l'odore che le erano rimasti addosso dalla prigionia, tuttavia non poté impedirsi di provare un certo risentimento nel trovarsi oggetto di un simile sguardo. «D'accordo» mormorò a disagio, desiderosa di allontanarsi il più in fretta possibile da quell'inquietante compagnia.
La catalogazione dei volumi era lineare e impeccabile e ci vollero solo pochi minuti per individuare il manuale che le serviva. Tornò indietro e superò a passo svelto la scrivania, avendo cura di non guardarne l'occupante, per raggiungere la saletta adibita allo studio.




readingLa tecnica, di per sé, non era difficile. Elizabeth provò il movimento a vuoto un paio di volte, sussurrando le istruzioni appena lette: «Un movimento semicircolare del polso, eseguito in senso orario. Semicircolare, senso orario. Poi la formula.» Ritrovò tra le righe del libro la trascrizione fonetica. «E-x-p-e-c-t-o P-a-t-r-o-n-u-m. Expecto Patronum. Ex-pe-cto Pa-tro-num. Expecto Patronum. Expecto Patronum. Ok. Expecto Patronum.». Era il momento di provare davvero. Evocò nella mente i volti della sua famiglia: quella che si era scelta, naturalmente, non quella in cui era nata. Dewie, Shedir, Rigel, Jules, Hermes, Marcail. Tese il braccio armato di bacchetta davanti a sé, riprodusse il movimento del polso – semicircolare, senso orario – già esercitato. Dewie, Jules, Hermes, Marcail, Rigel, Shedir. Schiuse le labbra: «Expecto Patronum!» [ I tentativo ]
Il nulla più assoluto: non una scintilla, uno sbuffo di fumo, nemmeno un refolo di magia. Nulla. Elizabeth squadrò la bacchetta, contrariata. Riprese il libro e ripensò a quanto aveva appena fatto: movimento semicircolare orario del polso, pronuncia della formula così come era indicata nel testo. Per le mutande di Merlino, cosa aveva sbagliato? Tornò a leggere: “[...] e nell'eseguire l'Incanto il Mago, come dimentico del Male che lo circonda, dovrà lasciarsi pervadere dall'impressione suscitata da tale memoria, raggiungendo in ciò una sorta di estasi la quale traboccherà nel Patronus evocato.”
Elizabeth lasciò ricadere il libro sul tavolo. «Oh, certo, m'era sfuggita l'estasi.» borbottò, la voce intrisa di sarcasmo. Al di là della scelta lessicale discutibile, tuttavia, il problema era palese: aveva evocato immagini
teoricamente capaci di suscitare in lei affetto e serenità, ma non aveva lasciato che tali emozioni emergessero. Dopo essersi sforzata in tutti i modi per giorni di chiudere la mente e non pensare a nulla né provare nulla, non si sentiva particolarmente predisposta a “lasciarsi pervadere” da alcunché. Ma c'era poco da impuntarsi: come ripeteva sempre il suo vecchio professore di Incantesimi, “movimento perfetto e pronuncia impeccabile sono del tutto inutili se mancano passione e volontà. L'apparenza non basta, ragazzi miei, e la Magia non è forza che si possa prendere per i fondelli”.
Un ricordo. La brughiera, ecco, sì. Aveva funzionato persino ad Azkaban. Elizabeth tese il braccio. Il piccolo trionfo dei primi incantesimi fuori dalle mura di Hogwarts. Ruotò il polso in senso orario, come a disegnare una semicirconferenza nell'aria. Risate, abbracci, progetti. «Expecto Patronum». Un vapore argenteo scaturì dalla bacchetta, si allargò in onde e volute. Elizabeth sorrise: ce l'aveva fatta. Come in cella, quando era riuscita ad allontanare i Dissennatori per un po'. Il sorriso si spense, il vapore sbiadì. Per un po', già, ma poi erano tornati ed era stato ancora peggio. La strega rabbrividì e serrò le palpebre.
[ II tentativo ]
Quando riaprì gli occhi, il vapore argenteo non c'era più. Le lacrime le pungevano gli occhi, il familiare nodo di angoscia e dolore era tornato a pesarle sul petto. Elizabeth inspirò, cercando di cacciare l'aria abbastanza in fondo da diradare quel macigno. Sollevò lo sguardo sulle finestre. Il cielo. Il cielo opaco e ingrigito di Londra, ma pur sempre il cielo. Elizabeth tirò su col naso. Non c'era motivo di abbattersi ancora. Vedeva il cielo, era libera. Inspirò ancora e questa volta funzionò. Sollevò la bacchetta. Poteva farcela: conosceva il movimento e la formula, aveva superato il blocco iniziale. Doveva solo scegliere, tra i tanti, un ricordo a cui non avesse pensato quando era rinchiusa. Le corse, ad esempio: in cella aveva pensato al volo, ma mai all'adrenalina di una gara. Il vento, gli alberi da schivare, il tifo di chi l'attendeva a terra, la velocità e lei che era prima, davanti a tutti. Movimento orario semicircolare. «Expecto Patronum!» [ III tentativo ]




storageroom La finestra più vicina si spalancò rumorosamente. Elizabeth non se ne stupì: si era accorta dell'errore prima ancora di pronunciare la formula. «Polso, polso, polso.» si disse, scandendo il rimprovero con tre leggeri colpi assestati sulla fronte con la base del palmo. «Movimento semicircolare del polso, non del braccio.»
Si rimise in posizione, sollevò ancora la bacchetta. Rievocò il ricordo. Il vento che le sferzava il volto, le virate repentine impartite alla scopa nel tratto di foresta. Tracciò il semicerchio, attenta a tenere il braccio immobile e a muovere in senso orario soltanto il polso. Gli avversari tutti alle sue spalle, la voce di Marcail – “Così, Lizzie, ci sei!” – che urlava da terra. «Expecto Patronum!» Il vapore argenteo scaturì dalla punta della bacchetta, cominciò a condensarsi e prendere una direzione. Il traguardò così vicino, se avesse aguzzato la vista forse avrebbe già potuto distinguere i volti degli altri e le loro espressioni di trionfo. Stava per toccare il traguardo, quando la rete dell'Antimago l'aveva raggiunta e l'aveva trascinata e schiacciata a terra.
[ IV tentativo ]
In un attimo, il vapore argenteo annerì e si dissolse. Elizabeth imprecò. Così non andava, non poteva continuare a guastare ogni ricordo che provava ad utilizzare. Forse non era stata un'idea così brillante voler imparare l'Incanto Patronus appena uscita da Azkaban, senza nemmeno riposare qualche ora, senza aspettare di essersi ripresa almeno un po'. Scosse la testa, come a scacciare quel pensiero molesto. Ormai era lì, e non sarebbe uscita da quella stanza finchè l'Incanto non le fosse riuscito, a costo di passarci la notte. Le serviva un ricordo innocuo, un ricordo semplice, tranquillo. Tornò con la mente indietro nel tempo, più indietro dei diciassette anni, più indietro dei quindici, ancora più indietro.
Undici anni. Era chiusa insieme a un folto gruppo di coetanei in una piccola stanza spoglia, a chiedersi cosa l'aspettasse. Poi la porta si era aperta, tutti si erano ammassati sulla soglia. Lei era rimasta in disparte ed era uscita per ultima. Il suo cuore aveva perso un battito. Era tutta luce. Le torce alle pareti e le candele sospese sopra le tavolate e i riflessi sulle innumerevoli stoviglie argentate e la luna e le stelle sulle volte del soffitto. Elizabeth ripeté l'ormai abituale movimento semicircolare del polso, rievocando il sentimento – casa – di quel giorno. «Expecto Patronum». Una voluta di vapore argenteo si sprigionò dalla bacchetta.
[ V tentativo ]
Un istante, nemmeno il tempo di esultare, e si dissolse nel nulla. Un ricordo innocuo, sì, e forse proprio per questo troppo debole per funzionare. Elizabeth sbuffò, esasperata, e rovesciò con un calcio la sedia più vicina. Il lucchetto arrugginito che l'aveva condotta lì le scivolò fuori dalla tasca della felpa e rimbalzò rumorosamente sul parquet. Fu allora che l'intuizione la colpì, improvvisa e potente: oh, si era così totalmente sbagliata! Aveva creduto di potercela fare relegando i sentimenti negativi in un angolo della mente e guardando l'angolo opposto. Ma non era così che funzionava, affatto: rifuggire la paura e l'angoscia, sforzarsi di non vederle e non sentirle, come stava facendo dall'inizio, non portava a nulla. Bastava guardare le immagini sul libro: il Patronus non scappava dalla paura, no? Le andava incontro, la affrontava e la travolgeva fino a disperderla. Non era possibile combattere il freddo, quel freddo, fingendo che non esistesse. Era tutto lì il segreto.
Ed eccolo, il ricordo giusto, così recente da non essere nemmeno sicura che si fosse concluso.
Quando ancora avvolta dalla nebbia di Azkaban aveva stretto le dita intirizzite su quel vecchio lucchetto e aveva sentito lo strappo all'altezza dell'ombelico che la portava via da quel luogo di sofferenza. Sporca, infreddolita, ferita, spaventata, aveva provato in quell'istante il senso di vittoria e di rivalsa e di sollievo più profondo di tutta la sua vita. L'emozione bellissima e selvaggia di avercela fatta, di essere stata risucchiata dall'inferno stesso e di aver poi risalito le pareti dell'abisso lottando con le unghie e con i denti e di essersi così conquistata il diritto di tornare a vivere, di ascoltare di nuovo il sibilo dell'aria fredda nelle orecchie, di rivedere il sorriso sghembo di Dewie e quello strafottente di Shedir, di sentire ancora il profumo degli scones appena sfornati di Hermes e il sentore di mare che accompagnava Marcail, di toccare le mani calde di Rigel e i capelli morbidi di Jules.
Non c'era felicità più pura e luminosa di quella provata dopo aver creduto di averla persa per sempre.
Elizabeth tese la bacchetta davanti a sé. Inspirò a fondo. Alimentò dentro di sé la fiamma di quel ricordo, assaporò con ogni cellula la libertà ritrovata. Tracciò un semicerchio nell'aria ruotando il polso in senso orario e con voce ferma e sicura pronunciò ancora una volta la formula: «Expecto Patronum».
[ VI tentativo ]





Si attende il Master.
 
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view post Posted on 26/1/2018, 17:44
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Il Fato

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Le esperienze traumatiche, nella vita di ogni individuo, possono rivelarsi preziose opportunità. Coloro che riescono a comprenderlo si appropriano di un inestimabile privilegio. Forgiati da una nuova consapevolezza si arricchiscono della praticità e delle competenze necessarie per affrontarle, qualora esse si ripresentino. Non più colti impreparati.
L’orrore della prigionia e le continue interazioni con i dissennatori hanno apportato un cambiamento indelebile alla tua anima. Ciò nonostante, ne sei uscita irrobustita, temprata dalla tua stessa determinazione. Mai più in balia delle ombre: questa è la promessa che hai rivolto a te stessa.
La tua arma migliore è la conoscenza. Un nuovo incantesimo da aggiungere al tuo repertorio è ciò di cui necessiti per mantenerla. Expecto Patronum, così recita la formula, è il sortilegio di cui sei andata in cerca. Una magia la cui difficoltà non risiede nella pronuncia, tantomeno nell’esecuzione, quanto nello stato d’animo indispensabile al mago per poterne usufruire.
Il tuo approccio iniziale, carente di passione, non ti ha permesso di avere un successo immediato. Rivangare la tua memoria per accedere ai ricordi dei tuoi amici non è stato sufficiente a sortire l’effetto sperato. Un’attenta analisi del tuo errore ti ha tuttavia condotto ad un miglioramento. Ricercando un’adeguata accordatura mentale, quindi, ti sei avvicinata di un passo verso un atteso trionfo.
Un ulteriore ostacolo si è tuttavia parato sulla tua strada: un errore, probabilmente dovuto ad una momentanea distrazione, ha rovinato una tecnica altrimenti impeccabile. Coinvolgere l’intero braccio in una manovra da circoscrivere al polso ha frenato i tuoi progressi. Solo grazie alla tempestiva cognizione di tale svista sei riuscita a porvi rimedio.
Assemblando gli accorgimenti rilevati fino a quel momento hai avuto la possibilità di progredire ulteriormente nella tua personale impresa.
Ripercorrere i tuoi passi è stata una saggia decisione. Per l’ennesima volta ti sei trovata a selezionare con cura il ricordo a cui attingere per cimentarti in un ulteriore tentativo. L’adrenalina delle corse vissute a cavallo della tua scopa ti ha concesso uno dei primi risultati tangibili: la luce, scaturita dalla tua bacchetta, si è timidamente palesata, prima di dissolversi. Questo è stato il segnale che ti ha rivelato di marciare nella corretta direzione, ma anche che le esperienze vissute sfrecciando tra gli alberi non sono bastate a donarti la forza di cui avevi bisogno. Serve qualcosa di più intenso.
Il primo ingresso nella sala grande di Hogwarts ha da subito dato l’impressione di essere un’opzione valida. Con quella sequenza, fissa nei tuoi pensieri, hai mosso il catalizzatore e pronunciato la formula, ritrovandoti ancora una volta ad osservare il vapore argenteo dissolversi. Nemmeno l’emozione rievocata grazie a quel ricordo è stata però sufficiente.
Ed ecco che quando le speranze, come l’incanto Patronus da te appena scagliato, iniziavano a disperdersi nell’aria, l’intuizione ha preso possesso della tua mente. La libertà dopo la prigionia si è manifestata prima nei tuoi pensieri ed immediatamente nel mondo tangibile, incanalando la passione che percorreva la tua anima attraverso il legno. Finalmente davanti ai tuoi occhi è apparsa l’immagine del tuo guardiano, tanto solida da non poter essere spazzata via nemmeno dalla tempesta più violenta. Il frutto del tuo impegno, il nemico di ogni tuo timore, si è finalmente mosso davanti a te in tutta la sua fierezza, irradiandoti con la sua luce.

Incantesimo appreso: scegli pure la forma che preferisci ed aggiungilo in scheda, ma ricorda che sono ammessi solo animali babbani.
 
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view post Posted on 3/7/2018, 17:04
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Prosegue da qui, potrebbe essere utile per inquadrare il tutto.


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librarySei anni dall'ultima – nonché la prima, in effetti – volta che aveva messo piede al British Magic Museum, eppure Elizabeth ricordava perfettamente il percorso per accedere all'ala magica.
Con passo sicuro, attraversò l'ingresso e la hall principale, superò il negozio di souvenir e l'area ristoro, entrò nella sala lettura e salì fino al terzo livello. Ritrovò con facilità il libbricino porpora intitolato "Di qui" e lo colpì lievemente con la bacchetta, aprendo il passaggio. Una volta in cima alla scala a chiocciola, si fermò davanti alla gargantuesca scrivania dietro la quale, reso ancora più piccolo dalla proporzione, il goblin di guardia già la guardava sospettoso.
«Salve» esordì cordiale Elizabeth.
Il goblin grugnì. «Non si fanno prestiti.» la informò poi.
«E non posso smaterializzarmi, sì, lo so.» concluse lei. Il goblin grugnì nuovamente. Ignorandolo, la strega sollevò il libro che aveva in mano, in modo che il bibliotecario potesse vederlo. «Questo è mio, ok? L'ho comprato. Quindi niente storie quando esco.»
Il goblin ignorò il libro e si sporse in avanti per osservarla arcigno: «So riconoscere i libri della Biblioteca, ragazza.»
Elizabeth scrollò le spalle. «Buon per Lei.» commentò. Senza attendere risposta, s'infilò nell'aula studio.
Aveva dato un'occhiata al capitolo che le interessava già al Ghirigoro, ma sarebbe stato meglio rileggerlo prima di cominciare. In piedi, senza nemmeno appoggiarsi al tavolo, ritrovò la pagina e lesse un paio di volte le istruzioni, muovendo silenziosamente le labbra per imprimersele meglio nella mente. Quando si sentì pronta, lasciò il libro aperto su una poltrona in un angolo e impugnò la bacchetta.
Ripeté un'ultima volta tra sé le istruzioni e si scelse come bersaglio la lavagna sospesa a mezz'aria ad un'estremità della sala.
Fletté il braccio destro e pronunciò sicura la formula: «Iracundia.». Quindi alzò il braccio e, fissando la lavagna, tracciò un cerchio.
[ I tentativo ]




reading«Tanga di Morgana!» imprecò Elizabeth coprendosi la testa con entrambe le braccia e arretrando goffamente nel tentativo di proteggersi dalla pioggia di scintille roventi appena scaturite dalla sua bacchetta.
«Decisamente no.» commentò poi, dolorosamente consapevole di aver appena espresso non solo un giudizio sul tentativo appena compiuto, ma anche una efficace risposta alla domanda "Sono abbastanza brava da imbroccare un incantesimo senza studiarlo più di tanto?".
Con un sospiro, ripose la bacchetta, raccolse il libro e si buttò sulla poltrona.
Dopo un'ora abbondante, stabilì che non c'era altro che potesse memorizzare e che doveva riprendere con i tentativi.
Bacchetta alla mano, tornò a fronteggiare la lavagna. Piegò il braccio. «Ira...» cominciò poco convinta. Lo alzò: «...cun...». Disegnò un cerchio in aria. «...dia.» concluse abbassandosi per schivare un pezzo della cornice della sua temibile avversaria. Si voltò lentamente e osservò la striscia di legno malamente strappata dal resto della struttura. Quantomeno aveva colpito il bersaglio.
[ II tentativo ]
Fece levitare la vittima del suo secondo, maldestro tentativo e la riattaccò con un Reparo non verbale alla lavagna.
Recuperò il libro. «Flettere e sollevare.» sussurrò. «Poi cerchio e formula insieme.»
Si riposizionò di fronte all'obiettivo. Inspirò. Fletté il braccio e lo sollevò verso l'alto. Mosse il braccio a disegnare il circolo mentre la formula – «Iracundia» – lasciava le sue labbra. Sentì la magia fluire dal braccio alla bacchetta e seppe di aver eseguito l'incanto correttamente.
Non successe nulla.
Nemmeno una scintilla, neppure un fremito. Niente di niente.
[ III tentativo ]




elizabethElizabeth lasciò cadere il braccio lungo il fianco, piegò la testa da un lato e si concesse un sospiro rassegnato. Inutile tergiversare: l'esecuzione era stata corretta e lei aveva letto le istruzioni con sufficiente attenzione da sapere cosa, invece, ancora mancava.
Per una curiosa coincidenza, il secondo incantesimo che avrebbe appreso in quella stanza richiedeva, proprio come il Patronus, di immergersi nelle emozioni, di lasciare che esse spingessero la magia con tutta la forza che potevano avere. Solo che le sarebbero servite le emozioni opposte.
Paura e rabbia sarebbero state molto più facile da richiamare rispetto a quella felicità che, dopo Azkaban, aveva faticato a venir fuori, nessun dubbio in proposito. Il problema era che, lo sapeva, una volta finito la giornata sarebbe stata irrimediabilmente rovinata dal pessimo umore che stava per evocare.
«Coraggio» sussurrò a se stessa. «Finisci questa cosa e poi fili a casa a sfogarti sul sacco.»
Annuì, come rispondendosi.
Bene, era il momento di smettere di parlare da sola e cominciare a darsi da fare.
Si sfregò la coscia sinistra. Il primo momento in cui le sarebbe stato utile conoscere quell'incantesimo era lì, impresso sulla pelle. L'avevano colta di sorpresa in un'aula vuota, c'era stato uno scambio di incantesimi, ma ben presto l'avevano disarmata. Dopo, i ricordi si facevano confusi: le corde troppo strette evocate per tenerla ferma, il bruciore sulla coscia, le lacrime bollenti di rabbia e dolore che non era riuscita a trattenere.
Rabbia e dolore.
Impugnò la bacchetta.
Ma era stato il ricordo di quella brutta storia al The World's End a portarla lì. Chiuse gli occhi: poteva ancora sentire le urla di quella donna. L'aveva guardata contorcersi solo per un istante, poi aveva afferrato il bordo del tavolo per rovesciarlo. Mentre si accucciava, aveva sentito il sibilo di un incantesimo passarle proprio sopra la testa. Aveva scagliato un Everte Statim a cassaccio, poi un Foramen che, per l'agitazione, si era concluso con una misera buchetta. Aveva lasciato perdere i Protego, dato che gli aggressori sembravano nutrire una netta preferenza per le Maledizioni Senza Perdono, e aveva scagliato una manciata di Impedimenta, mandandone a segno non più di un paio. Le erano riuscite tutte e tre le Pastoie, ma al secondo Expelliarmus fallito si era arresa e con un Séocculto si era semplicemente rannicchiata dietro al tavolo, paralizzata dalla paura e disgustata dalla propria impotenza. Era rimasta lì ad ascoltare le persone morire.
Paura e impotenza.
Con la mascella contratta e gli occhi fiammeggianti, Elizabeth fissò la lavagna.
Rabbia e dolore, paura e impotenza.
La lavagna non era più nera, ma piena di colori – la pelle arrossata intorno a un tatuaggio non voluto, la schiuma bianca di una birra rovesciata, un lampo blu terribilmente vicino.
Non c'era più silenzio, nella stanza, ma un coro cacofonico – sanguemarcio, Crucio.
Rabbia e dolore, paura e impotenza.
Elizabeth fletté il bracciò e lo sollevò verso l'alto. Disegnò un cerchio in aria e propruppe in un grido: «Iracundia.»
[ IV tentativo ]





Si attende il Master.
 
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view post Posted on 7/7/2018, 21:20
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Era piuttosto facile adempiere ad un sortilegio, ancor più banale considerare una fattura, con la giusta esperienza e la buona dose di studio, concentrazione ed impegno; il manuale avrebbe sempre parlato chiaro, l'articolazione di un disegno, di un movimento, di una formula magica e tanto altro ancora non avrebbero condotto ad errori di sorta e rapidamente, così come all'esordio di ogni volontà propria, il risultato si sarebbe esaurito in modo netto, sorprendente e di puro piacere. Una riuscita, a conti fatti, che vantava la semplicità della sua preparazione. Discorso analogo non poteva essere fatto nei riguardi di un Incantesimo Proibito: non per la sua nomea, che da lungo andare ormai era stata presa in esame anche da più di un impreparato; quanto per la sua difficoltà nel condensare il preciso livello di rabbia, il controllo del culmine della magia personale e di conseguenza, perfettamente, la temerarietà, la disposizione a sapersi donare in parte ampia o minore. L'Iracundia non disdegnava nulla di tutto quello ed ogni elemento, nel suo insieme, andava a descrivere una rappresentazione senza eguali di un'arte, a ben vedere, fuori dagli schemi più ordinari. Pretendeva la rabbia, ma non quella stolta, sciocca, dettata da un mero pretesto infantile, da un litigio, da un punto di vista diverso, sbagliato, peccaminoso in più punti e non solo; al contrario, richiedeva la furia: autentica, immane, in grado di attingere alla parte più recondita del proprio spirito, così abile da sferzare mente e cuore in un incendio divoratore. Ordinava il fuoco, le fiamme, il sacrificio perenne. Elizabeth non sbagliò, non alla fine dei suoi tentativi, la migliore realizzazione della fattura né, ad onore del vero, si dimostrò da meno nel saper sfiorare il tasto giusto, la nota spezzata, meno musicale, priva di armonia. La memoria che aveva scelto era quanto di più vicino al concetto di Furia potesse esserci e quando la bacchetta vibrò tra le sue mani, ancora una volta, fedele compagna tra poche al mondo, unica nel suo genere ultimo, la magia non poté fare a meno di espandersi a dismisura, di crescere là dove un attimo prima c'era soltanto vuoto ed assenza, silenzio e tensione, aspettative di grande valore per più di un motivo. Lo schiantesimo partì dalla punta del legno incantato, spingendosi al suo limite estremo, andando a cozzare contro la parete frontale, fino a scalfirla al manto di pittura che la rivestiva, ma già sorgeva dalla stessa realizzazione uno scudo di ampie dimensioni, a tal punto da inglobare il fascio scarlatto, irruento e pericoloso, che non si era ancora dissipato su se stesso. L'offensiva si dissolse in un ultimo contrasto di colori tra di loro molto accesi, fra rosso e blu elettrico del Protego considerato, fin quando al silenzio si aggiunse una consapevolezza rinnovata. Elizabeth era stata eccellente fino alla riuscita totale della magia. Valeva più di quanto potesse credere di persona. Lo avrebbe scoperto.

Incantesimo appreso.
 
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view post Posted on 30/9/2018, 14:43
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Prosegue da qui, ma sotto spoiler segue un brevissimo riassunto che può sopperire alla lettura della puntata precedente.
Elizabeth è tornata nella casa dei genitori, in cerca delle sue valutazioni dei GUFO, dopo circa otto anni da quando ne era stata cacciata. Una volta dentro, ha scoperto che – sorpresa! – ha una sorella di cui non sapeva nulla e che, a sua volta, non sapeva nulla di lei. Lizzie fa appena in tempo a scoprire che la bambina si chiama Eden e ha quasi otto anni – coincidenza! – prima di darsela a gambe levate. Fine.

Comunque è più interessante di così, eh, solo che la versione breve non rende.


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tableInvece di prendere la metropolitana, come la prudenza avrebbe suggerito, Elizabeth si era semplicemente smaterializzata nel primo vicolo deserto, diretta allo stanzino del British Magic Museum: l'esercizio di qualche nuovo incantesimo era l'unica cosa che avrebbe potuto distogliere la sua mente dall'assurda scoperta appena fatta.
Anche nell'accedere alla sezione magica dell'edificio la cautela era stata poca: era uscita dallo sgabuzzino senza curarsi che qualcuno potesse vederla e, salita al terzo livello della Sala Lettura, aveva a malapena badato a frapporre il proprio corpo tra la bacchetta ed eventuali osservatori.
Aveva salito la scala a chiocciola e superato la soglia della biblioteca a passo di marcia, senza nemmeno salutare il custode che la fissava arcigno, e aveva preso a vagare tra gli scaffali, in cerca di nemmeno lei sapeva cosa. Erano trascorsi diversi lunghi minuti prima che notasse il tomo aperto su un tavolo, abbandonato lì, probabilmente, da qualche lettore troppo pigro per rimetterlo al suo posto. Si era avvicinata, aveva sfiorato le pagine in punta di dita e poi le aveva sfogliate all'indietro, fino a trovare l'intestazione del capitolo: "Immobilizzare un avversario: Evocazione di funi o catene". Dopo pochi secondi di riflessione aveva deciso che sì, poteva andare, e si era seduta a studiare l'incantesimo.
Meno di mezz'ora dopo si spostò nell'aula attigua alla biblioteca. Abbandonò su una sedia il libro, che aveva portato con sé per puro scrupolo: l'esecuzione materiale dell'incanto era per la verità molto semplice. A renderlo complesso era invece la profonda concentrazione necessaria, il raggiungimento della quale avrebbe richiesto l'eliminazione tutti i pensieri molesti -
Eden. O perlomeno, era ciò su cui Elizabeth contava.
Si guardò intorno, in cerca di un bersaglio su cui esercitarsi. In mancanza di statue o armature, si frugò nelle tasche, pescò le chiavi di Accessori di Prima Qualità per il Quidditch e ne separò il pupazzetto con la divisa dei Ballycastle Bats cui il signor Morgan le aveva attaccate. Le chiavi tornarono in fondo alla tasca, mentre l'omino di stoffa fu delicatamente appoggiato sul pavimento e ingrandito con un Engorgio fino ad assumere l'accettabile altezza di un metro e mezzo.
Elizabeth si allontanò di qualche passo, puntò la bacchetta e, concentrandosi sul desiderio di immobilizzare il bersaglio, pronunciò ad alta voce l'incantesimo: «Incarceramus». Intorno ai polsi e alle caviglie del fantoccio comparvero le ombre tremolanti e sovrapposte di una corda e di una catena e in pochi istanti scomparvero senza lasciare traccia.
[ I tentativo ]
«Mai una volta che riescano al primo colpo, eh.» si lamentò Elizabeth a mezza bocca. Il suggerimento dell'incanto fallito era chiaro: non bastava desiderare idealmente di legare qualcosa, serviva una maggiore concretezza. Evocò nella propria mente non più il desiderio ma la sensazione concreta di una costrizione: immaginò le caviglie di un ipotetico avversario unite e strette in una morsa, i polsi impossibilitati a muoversi. Puntò la bacchetta: «Incarceramus» mormorò. Qualcosa, una specie di lungo legaccio composto da molti segmenti di corde e catene diverse, si materializzò, ma, incapace di tenere insieme le parti che lo componevano, si disgregò non appena fu del tutto solido. [ II tentativo ]
Elizabeth sbuffò e fece Evanescere il cumulo di desolanti frammenti. Forse non era stata abbastanza precisa. Anzi, senza forse: quella specie di Frankenstein delle corde stava chiaramente a significare che la strega doveva sceglierne un tipo e concentrarsi su quello. A balzarle in mente per primi furono, curiosamente, i cordoni delle tende di Hogwarts. Con una scrollata di spalle, decise che potevano andare: erano spessi e robusti e aveva trascorso molto tempo, abbastanza da ricordarli con chiarezza, a giocherellarci con finta noncuranza quando le stanze si riempivano e lei scivolava vicino alle finestre nel tentativo di rendersi invisibile. L'immagine nella sua mente era tanto limpida e precisa da avvertire persino la consistenza ruvida sulla pelle, le scanalature dell'intreccio sotto i polpastrelli. Elizabeth sollevò la bacchetta, la puntò: «Incarceramus». La corda, dello stesso dorato cupo che aveva nella Sala Comune, si materializzò in pochi attimi, stretta attorno alle braccia e alle caviglie del fantoccio. Pochi attimi ancora e si afflosciò miseramente, ammuchiandosi sul pavimento. [ III tentativo ]
La strega si avvicinò, la raccolse, se la fece scivolare tra le dita, saggiandone la consistenza. Merlino, le era venuta proprio bene. Peccato che, se non stringeva, non serviva proprio a nulla. Evidentemente aveva invertito l'errore: si era concentrata sull'oggetto da evocare, ma non sullo scopo.
Ritornò al proprio posto e inspirò a fondo, preparandosi a ritentare. Puntò la bacchetta. Stringeva nella mano sinistra il cordone raccolto da terra: sì, ok, era un po' barare, come un suggerimento, ma dopotutto si stava solo esercitando ed era un incantesimo difficile, che diamine, se lo meritava un aiutino. Fu facile, quindi, mantenere viva l'immagine della corda, un po' meno concentrarsi contemporaneamente sull'idea di una costrizione ed Elizabeth si ritrovò a mormorare: «Stretta, stretta, stretta, dannazione, corda stretta. INCARCERAMUS» concluse, urlò quasi, troppo impegnata a canalizzare l'intento nell'incantesimo per prestare attenzione alla voce. La corda, la stessa, comparve. Elizabeth trattenne il respiro. Sembrava-
Sì, sembrava che tenesse.
[ IV tentativo ]




ropeLa delusione arrivò in fretta, però, con il primo, leggero strattone dato alla corda per saggiarne la resistenza: i nodi si sciolsero subito, come niente fosse. «Dannazione!» Non poteva pensare alla corda, alla qualità dei nodi e all'intensità della stretta tutto insieme, troppe cose troppo specifiche. Sbuffò. «Ok,» borbottò, «ok: niente corda. Catena, stavolta. Anelli uno dentro l'altro, molto più semplice» Pensò alla catenella che chiudeva la porta della casa dei suoi genitori, la casa dove viveva Eden adesso, Eden, Eden, Eden. No, brutta idea, pessima. Elizabeth serrò le palpebre, relegò quel pensiero – Eden, Eden, Eden – in un angolo nascosto della propria mente. Le catene nell'ufficio di Gazza, ecco, quelle andavano bene, le catene che il custode si ostinava a conservare amorevolmente nella speranza che qualche preside, prima o poi, gli consentisse di usarle per appenderci gli studenti per i pollici. Anelli spessi, di un grigio sporco macchiato di ruggine. La bacchetta puntata, la catena vivida nella mente, Elizabeth pronunciò ancora una volta l'incantesimo: «Incarceramus».
La catena comparve, esattamente come l'aveva immaginata, stretta intorno al fantoccio a produrre un netto contrasto con i colori della divisa dei Ballycastle. Elizabeth, dopo la delusione dei tentativi precedenti, fu cauta nell'esultare ed ebbe ragione: appena provò a tirare la catena, essa palesò tutta la propria debolezza, concentrata nei molti anelli deboli che si spezzarono inesorabilmente uno dopo l'altro.
[ V tentativo ]
Stizzita, disperse con un calcio i frammenti di ferro prima di farli Evanescere. «Molto più semplici gli anelli» commentò storcendo la bocca nel fare il verso a se stessa. «Come no». Chiuse gli occhi e vi passò sopra la mano libera: «Che stupida.» mormorò. Si concesse qualche attimo a alcuni lunghi sospiri per recuperare la calma necessaria, poi ritornò in posizione. Puntò la bacchetta. Si sforzò di rendere più concreta l'immagine della catena nella propria mente, di permeare di magia ogni anello, mentre concentrava il proprio potere sull'obiettivo. «Incarceramus» scandì decisa.
Si avvicinò al fantoccio, ma esitò a toccarlo. Scrutò la catena che gli stringeva i polsi, osservandola da ogni angolazione: così, a vederla, sembrava buona. Stringendo la bacchetta tra le ginocchia per avere le mani libere, afferrò tra le dita due anelli, distanti l'uno dall'altro meno di una decina di centimetri, e tirò. Non si ruppe niente ed Elizabeth espirò, sollevata, tornando a impugnare la bacchetta. Quando però, come ultima prova, scosse le braccia del fantoccio, come se questo stesse cercando di liberarsi, la catena, invece di stringersi come avrebbe dovuto, si allentò, lasciando sfuggire una mano e rimanendo a penzolare inutilmente dall'altra.
[ VI tentativo ]
E no, dannazione, non di nuovo! Sperare di farcela al primo tentativo era stato a dir poco ottimistico, d'accordo, ma il sesto buco nell'acqua! Il sesto! Si sentiva come una mosca incapace di uscire da una finestra socchiusa: continuava a sbattere ostinatamente sul vetro, incapace di vedere una soluzione provocatoriamente vicina. Perché sì, era certa che lo spiraglio metaforico della maledetta metaforica finestra fosse proprio lì, da qualche parte, a portata di mano, mentre lei, stupida, continuava a cercare di rompere il vetro a testate. Si sedette per terra a gambe incrociate, rigirandosi la bacchetta tra le dita mentre rifletteva. Il vetro, l'ostacolo che le impediva di portare a termine l'incantesimo, era l'incapacità di concentrarsi adeguatamente e nello stesso momento su tutti i dettagli necessari al concretizzarsi della magia. Per trovare il dannato spiraglio doveva aggirare l'ostacolo. Quindi, concentrare lo sforzo su ogni dettaglio, rinunciando ad affrontarli contemporaneamente. Magari considerandoli, invece, in successione. Elizabeth sgranò gli occhi e si alzò, fremente. Forse – solo forse – aveva trovato la lievissima corrente d'aria che l'avrebbe guidata fino all'uscita dall'impasse. Solo forse, ma era già qualcosa. Puntò la bacchetta. Mentre la formula scivolava fuori dalle sue labbra, una sillaba dopo l'altra, la strega vide nella propria mente lunghi, sottili tubicini di acciaio lucido. Li vide intrecciarsi, le fibre che si fondevano insieme a formare una robusta corda metallica. Vide la corda argentea arrotolarsi in più giri attorno ai polsi e alle caviglie del bersaglio, risalendo fino ai gomiti, fino alle ginocchia, e vide le sue estremità scomparire, fuse insieme, saldate senza nodi, senza nulla che potesse sciogliersi. La vide stringersi sulla stoffa come si sarebbe stretta sulla carne, con le fibre dell'acciaio a serrarsi ineluttabilmente.
«Incarceramus»
[ VII tentativo ]






Mannaggialamorte che parto 'sti sette tentativi!


Si attende il Master.

_____________________________________________________________



Domanda:
La mia idea, in realtà, è che Elizabeth, per scacciare dalla mente il pensiero della sorella, si piazzi in Biblioteca tutto il giorno a esercitarsi in nuovi incantesimi fino a essere troppo stanca per continuare. Quindi la domanda è: posso ruolare, sparo un numero a caso, quattro apprendimenti uno di seguito all'altro in on, sempre lasciando ovviamente intercorrere i cinque o più giorni previsti in off?
 
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view post Posted on 4/10/2018, 20:24
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L'incarceramus, nella sua essenza pratica, era un incantesimo incredibilmente semplice ed intuitivo. Leggendo tra le righe del testo che ne descriveva formula ed esecuzione, sembrava fosse necessario focalizzarsi unicamente su due aspetti: puntamento e pronuncia. L'incantesimo - infatti - pur non richiedeva alcuna movenza particolare né una particolare attenzione per la pronuncia di una o più vocali; si mostrava semplice per quello che era e per la funzionalità che doveva ricoprire: un imprigionamento rapido e senza sbavature. A conti fatti sembrava di non aver a che fare con un incantesimo di sesta classe, bensì con qualcosa di più semplice che potesse essere appreso in una manciata di tentativi. Elizabeth dovette però fare i conti con le difficoltà intrinseche che caratterizzavano gli incantesimi di classe più elevata e non a caso inciampò in tutta una serie di errori che poco a poco l'avrebbero portata alla realizzazione completa della natura dell'incantesimo che cercava di apprendere. In seguito a ciascun fallimento, la strega fu abbastanza sveglia da far tesoro dei propri errori cercando di volta in volta una strada alternativa, un approccio differente per mettersi in gioco di fronte al medesimo ostacolo. Se inizialmente dunque le corde sembravano inconsistenti, la ragazza cercò di ricrearle all'interno della sua mente utilizzando ricordi vivi, quasi tangibili. Quando le corde dunque divennero ben più concrete e sale, furono i nodi a generare nuovi problemi. Cambiare approccio sostituendo le corde con delle catene, fu una mossa che inizialmente sembrò portare dei frutti ma che in seguito si evolvette solo in una nuova sequela di problematiche che andavano risolte. La tenacia e la determinazione della strega furono tali da non farla desistere, al punto che la ragazza arrivò a visualizzare corde - o catene che fossero - in maniera tanto vivida da poterne sentire il peso sulle mani ancor prima di evocarle. Al suo settimo tentativo, non vi erano più errori di sorta né dal punto tecnico né da quello esecutivo e - nel momento in cui anche l'ultima delle sillabe della formula venne scandita - i tubi argentei si formarono tutt'attorno al fantoccio esattamente nel mondo in cui la maga li aveva immaginati. Ogni singolo lembo di quella sostanza si andò ad intrecciare su polsi e caviglie del fantoccio andandolo a stringere quel tanto che bastava da tenerlo immobile, anche qualora fosse stato munito del dono della vita. Nonostante ciò, qualcosa sembrò andare storto: una volta avvicinatasi al bersaglio per accertarsi della resistenza dell'incantesimo, anche questa nuova matassa di materia magica avrebbe finito per sciogliersi e, infine, disperdersi. Un nuovo fallimento per la Ashton che questa volta non sembrava avere alcuna fondamenta logica a cui aggrapparsi per trovare un nuovo appiglio. Forse, il problema era stato creato da un agente esterno, qualcosa che limitava in un modo o nell'altro, l'approccio di Elizabeth a livello emotivo. Sebbene infatti la tecnica fosse perfetta, mancava il desiderio di vedere quel fantoccio reso immobile e incapace di muoversi; in quanto oggetto privo di un respiro vitale, la strega non sentiva realmente la necessità di vederlo in trappola e costretto a quella posizione. L'Incarceramos necessitava di una forte emotività da parte dell'evocatore, la maga non doveva limitarsi ad immaginare le corde o le catene necessarie a privare dei movimenti il bersaglio ma doveva riuscire a creare qualcosa che fosse in grado di creare un senso emotivo di costrizione sull'obiettivo: doveva sentire le corde stringersi sui polsi qualora qualcuno avesse cercato di dimenarsi, doveva riuscire ad immaginare il senso di impotenza che quelle catene potevano suscitare nell'obiettivo. Questa era la vera differenza tra un incanto di terza e uno di sesta classe.

Come avrai immaginato, ti è richiesto un ulteriore tentativo che racchiuda in sé tutto quello che Elizabeth ha appreso nei tentativi precedenti e che raccolga in sé anche la volontà di vedere il bersaglio realmente incatenato ed impossibilitato a muoversi. Il post è disseminato di suggerimenti per rendere questo tuo tentativo l'ultimo e decisivo.
Per quanto riguarda la tua domanda invece, finché tutto rientra nel regolamento Off del forum, sei libera di gestire l'On come più ritieni opportuno (senza sforare nell'implausibilità, ovviamente).
 
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view post Posted on 6/10/2018, 01:28
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Non uso il condizionale perché, narrativamente parlando, 'un se po' senti', ma dall'asterisco in poi è tutto ipotetico.

Elizabeth, questa volta, non imprecò, troppo perplessa anche per lasciarsi prendere dallo sconforto. Agrottò le sopracciglia. Aveva visto la corda metallica comparire e saldarsi alla perfezione, l'aveva saggiata, strattonandola con decisione, e l'aveva trovata resistente. Eppure, dopo qualche manciata di secondi, si era dissolta. L'incanto aveva perso potenza, così, dal nulla. La strega perlustrò la stanza con uno sguardo circolare, quasi aspettandosi di scovare dietro a una tenda qualche buontempone che l'avesse gabbata con un Finite Incantatem. Scosse la testa: naturalmente, sapeva benissimo di essere sola. In mancanza di altri capri espiatori, guardò storto il fantoccio, quindi, pensierosa, prese a giocherellare con la bacchetta, passandola da una mano all'altra.
Era
certa di aver efficacemente superato l'ostacolo che l'aveva bloccata fino a quel momento. Cosa diamine era andato storto, allora?
Come spesso faceva quando si trovava in difficoltà con un incantesimo, ripensò al suo vecchio professore.
"Ragazzi miei, mai arrendersi. Dovete vincere la frustrazione e continuare a tentare, ancora e ancora, fino a che non riuscirete."
Sì, beh, grazie, era esattamente ciò che continuava a fare da almeno un'ora.
"D'altro canto, uno sforzo prolungato finirà per ledere la vostra concentrazione: concedetevi, a intervalli regolari, il tempo di recuperare forze e lucidità."
No, non era stanca, anzi: era pervasa da quella sorta di esaltazione che la coglieva sempre di fronte ad un incanto particolarmente difficile.
"Soprattutto, ricordate sempre i quattro cardini: coordinazione, pronuncia, passione, volontà."
Elizabeth smise di tormentare la bacchetta, d'un tratto acutamente consapevole di essere vicina alla risposta.
Di coordinazione non ne serviva poi tanta, non per un movimento così semplice.
La pronuncia dell'incantesimo era lineare, senza accenti plurimi né ingarbugliamenti di lingua.
Volontà ce n'era stata in abbondanza, nel creare quella maledetta corda, che infatti alla fine era comparsa, solida e perfetta.
Passione.
Elizabeth non poté che sorridere di se stessa: non per la prima volta, era il coinvolgimento emotivo a fregarla.
E sì che c'era arrivata quasi subito, già al secondo tentativo, a capire quanto fosse importante desiderare davvero, ardentemente, ridurre all'immobilità il proprio avversario. Poi però si era lasciata distrarre dall'aspetto più concreto, l'evocazione dell'oggetto in sé, e aveva perso di vista lo scopo.
Tornò in posizione, a qualche passo di distanza dal fantoccio. O meglio, dal bersaglio: non doveva pensare ad esso come al manichino inanimato che era. Doveva volerlo rendere incapace di offenderla. Doveva immaginare di essere in pericolo. Doveva
sentirsi in pericolo.
L'idea si stagliò improvvisa nella mente di Elizabeth, geniale e al tempo stesso totalmente folle.
Un luccichio quasi sinistro brillò negli occhi della strega: del resto, lei, un po' folle lo era sempre stata.
Si allontanò ancora, fino a essere separata dal fantoccio da tutta la lunghezza della sala.
Sgomberò la mente da ogni pensiero, concentrando tutta la propria attenzione sull'obiettivo. Puntò la bacchetta alla testa ciondolante del pupazzo e ruotò il polso, a disegnare un cerchio in aria. Prima che la circonferenza fosse completa, Elizabeth, con un gesto rapido e deciso, spostò la mira dalla testa al petto e pronunciò distintamente: «Gargòllo.»
*Il fantoccio sollevò il capo e si voltò verso di lei, come se potesse vederla. Si sollevò faticosamente in piedi, facendo leva su gambe e braccia, e si diresse verso di lei: era fuori dal suo controllo, a causa del movimento circolare rimasto incompleto.
Elizabeth si concesse solo un breve sorriso di soddisfazione per la brillante
non riuscita dell'incantesimo, prima di concentrarsi su ciò che doveva fare.
Aveva fatto affidamento - con una certa dose d'incoscienza in verità - sulla supposizione che un fantoccio di pezza avrebbe avuto più difficoltà a muoversi, e quindi a raggiungerla, rispetto a una statua o un'armatura. In effetti, il poverino barcollava penosamente e le gambe gli cedevano ad ogni passo. Era, tuttavia, un po' più veloce di quanto la strega si aspettasse e tale constatazione le fece correre un brivido lungo la schiena.
Deglutì e si umettò le labbra. Se avesse fallito...
No. No,
sapeva di poterlo fare. Si lasciò pervadere dalla sicurezza, una sicurezza limpida e incrollabile in se stessa e nella magia.
Inspirò a fondo, puntò la bacchetta sul fantoccio sempre più vicino. Di nuovo, visualizzò nella mente le fibre di metallo lucido e immaginò la corda materializzarsi, flessibile e resistente, stretta in più giri intorno ai polsi e alle caviglie del suo bersaglio, una morsa inarrestabile che l'avrebbe fatto incespicare e cadere e che, al suo dimenarsi, si sarebbe stretta ancora di più, fino a ridurlo all'impotenza, mettendo Elizabeth al sicuro.
«Incarceramus!»



Uh, spero di non aver strafatto. Spero anche che la povera Liz, vittima delle mie trovate, non si faccia troppo male nel caso qualcosa vada storto.

Avrei potuto farle usare l'immaginazione, senza tutta questa manfrina, ma mentre scrivevo la cosa mi è sfuggita di mano e la bimba dopotutto mi è pur sempre una testa calda e insomma, per questa volta, ho deciso di rischiare con qualcosa di diverso.

Se ho violato qualche regola che mi è sfuggita e il Master vorrà considerare nullo questo tentativo naturalmente lo ripeterò senza storie.

Per quanto riguarda il gargòllo, la descrizione parla genericamente di "molti altri materiali"; l'unica vera e propria limitazione posta mi è parsa la forma animale o antropomorfa e su quella ci siamo. È altresì specificato chiaramente che la gestione dell'oggetto da animare dipende dal movimento circolare mirato alla testa: non mi sembra quindi improbabile che Elizabeth possa aver ipotizzato che, sbagliandolo apposta, avrebbe ottenuto una creatura senza controllo.
 
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view post Posted on 14/10/2018, 22:57
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L'ingegno fu la chiave per aprire la porta della fantasia; se l'immaginazione non era stata sufficiente per figurarsi lo scenario credibile necessario per l'apprendimento dell'incantesimo, allora sarebbe stata lei a renderlo tale. Il fantoccio - già opportunamente ingrandito - venne ora dotato di vita proprio tramite un Gargollo non perfettamente riuscito (o perfettamente compiuto, questione di prospettiva).
Così come richiesto dalla sua evocatrice, il pupazzo cadde d'apprima di peso sulle ginocchia per poi sollevarsi lentamente con difficoltà. Ogni movimento di quella creatura urlava a gran voce la sua non appartenenza al regno dei vivi ma la minaccia che arrecava divenne lampante nel momento stesso in cui prese ad avvicinarsi verso colei che gli aveva donato la vita. Con le braccia di tessuto tese verso la donna, iniziò a mettere un piede avanti all'altro, acquisendo con tempo sempre maggiore controllo sulle sue rinnovate articolazioni.
Con un essere in grado di muoversi e deciso ad andarle in contro con fare aggressivo, la maga ebbe tutte le motivazioni necessarie a concentrarsi al meglio sul desiderio di bloccare l'indesiderato. L'Incarceramus le aveva chiesto impegno e dedizione per essere padroneggiato e queste erano arrivate in un rapido crescendo, tracciato da numerosi tentativi che - seppur fallimentari - l'avevano spinta un passo più vicina alla perfetta esecuzione.
Concentrata a non sbagliare un'ultima volta, la formula dell'incanto venne accompagnata dall'enfasi di chi è decisa a mettere un freno alle intenzioni di chi si trovava innanzi. Così come lo aveva immaginato, le corde si legarono e si tesero sugli arti della creatura, in una morsa che questa volta sarebbe stata assai ardua a rompersi. Il fantoccio si dimenò con crescente impeto e - ad ogni tentativo della creatura - i noti a polsi e caviglie si stringevano, limitando sempre più i suoi movimenti. Di lì a poco, una manciata di secondi circa, l'essere non fu più in grado di muoversi e - come privato di quella inaspettata fiaccola di vita - si spense, tornando ad essere il manichino di un tempo. Questa volta non vi era stata alcuna imperfezione, Elizabeth lo avrebbe potuto appurare con i suoi occhi: l'Incarceramus aveva funzionato a dovere, soverchiando la creatura.


Non è mia intenzione sindacare sui metodi utilizzati per dare vita al pupazzo, personalmente apprezzo la fantasia e - sicuramente - non era l'esecuzione del Gargòllo a dover essere messa sotto esame. Ho preferito dunque non soffermarmi troppo sulla coerenza di quanto stato messo in atto.

Detto questo, puoi considerare appreso l'incantesimo, sei libera di aggiungerlo in scheda.
 
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view post Posted on 18/1/2022, 23:36
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Il tragitto, ormai, le era familiare: la sala lettura, le scale, la copertina porpora dall'aspetto dorato. Un colpo delicato di bacchetta ed Elizabeth fu nella Biblioteca magica. «No prestiti, no smaterializzazione, no cibo eccetera» enunciò cantilenante appena vide il goblin di guardia aprire la bocca per le solite raccomandazioni. La creatura siggillò le labbra e assunse un'espressione se possibile ancora più arcigna del normale e la strega si trattenne a stento dal fargli una linguaccia. «Buona giornata» si congedò, senza ottenere risposta, prima di inoltrarsi nel labirinto di corridoi. Seguendo le indicazioni dei registri, raggiunse l'ala degli incantesimi generici e quindi la sezione, al suo interno, di quelli avanzati. Seguì le indicazioni sugli scaffali fino a trovare la lettera giusta, sfilò con delicatezza il libro che le interessava e lo portò con sé nella sala studio.
Le istruzioni erano piuttosto semplici e, dopo una rapida lettura, si sentì pronta a provare.

Da una delle tasche del mantello, che aveva abbandonato sulla sedia più vicina alla porta, recuperò i Guanti Scudo che portava sempre con sé e li appoggiò sul tavolo che occupava il centro della stanza. Puntò la bacchetta verso di essi e tracciò con la punta un cerchietto a mezz'aria: «Spècialis», poi toccò appena il tessuto, «Revélio». «No» esclamò subito dopo al vedere una scintilla sprizzare sul punto di contatto: per fortuna i guanti erano incantati e non parvero subire danno. [I tentativo]

Si chinò sul libro, lasciato aperto sullo stesso tavolo, e rilesse la formula lentamente, sillaba per sillaba. Non poté che darsi della stupida: era Speciàlis, non Spècialis.
Tornò in posizione, tutto sommato lieta di aver individuato l'errore così velocemente. «Speciàlis» ripeté, di nuovo muovendo la bacchetta come per disegnare un cerchio a mezz'aria, «Revélio» concluse colpendo leggermente i guanti. Già dal flusso di magia dalla mano alla bacchetta Elizabeth non percepì alcuna differenza rispetto al primo tentativo, e infatti il risultato fu praticamente lo stesso: una scintilla, appena più debole di prima, e nient'altro. [II tentativo]

Con un sospiro tornò al libro e prese a sfogliare le pagine, in cerca di ulteriori indicazioni, di qualche chiarimento che l'aiutasse a individuare l'errore. Finalmente trovò, in una sbiadita nota alla fine del capitolo, la trascrizione fonetica dell'incantesimo: si rese conto così che la E accentata della prima parte della formula doveva essere grave, non acuta, e soprattutto che la pronuncia della C doveva essere molto più morbida. Si esercitò a lungo nel modularla, finché si sentì pronta per provare di nuovo: «Speciàlis», un cerchietto a mezz'aria, «Revélimortacci» concluse, in un modo che avrebbe fatto inorridire il suo vecchio insegnante di Incantesimi, rendendosi conto immediatamente di aver commesso ancora lo stesso errore. [III tentativo]

«Allora» si disse indispettita. «Revèlio» si esercitò a bassa voce guardando il soffitto. «Revélio. No, sbagliato. Revèlio. Revèlio». Prese a passeggiare su e giù, ripetendo il termine come una litania per imprimersene bene in mente il suono. «Revèlio. Revél- No, Revèlio. Revèlio».
Quando l'ebbe detto e ridetto così tante volte da cominciare a impappinarsi, si decise a mettere in pratica l'esercizio. <b>«Spe-cià-lis»
scandì con attenzione, accompagnando la parola con il solito movimento circolare, e assestò un colpetto sui guanti pronunciando con altrettanta cura il seguito: «Re-vè-lio». La differenza era evidente: Elizabeth sentì scattare qualcosa, e fu certa di aver detto e fatto tutto correttamente. [IV tentativo]

Lo confermava la visibile vibrazione che aveva scosso i guanti, ma non accadde nient'altro. Con le sopracciglia aggrottate, la strega ripensò al proprio operato. Forse era stata troppo scolastica? Si era concentrata molto sulla corretta pronuncia della formula, che l'aveva fatta tribolare fin dall'inizio, e aveva perso di vista l'obiettivo: lei voleva scoprire tutti i segreti di quei guanti. Meglio ancora, doveva scoprire tutti i segreti di quei guanti. Ne aveva assolutamente necessità. Tornò a levare la bacchetta, la mosse leggermente verso l'alto, a destra, in basso e a sinistra, disegnando un cerchio: «Speciàlis». A seguire, un colpetto di punta: «Revèlio» concluse. [V tentativo]

Fumo. Un piccolo, breve, ridicolo sbuffo di fumo. Anche Elizabeth sbuffò, quasi a voler imitare la propria bacchetta. Ripeté mentalmente quanto aveva appena fatto e le venne voglia di prendersi a sberle: aveva mosso la bacchetta in senso orario, anziché in senso antiorario come era chiaramente indicato nel libro. «Okay, ricapitoliamo.» si disse. Non era solita studiare ad alta voce: quell'incanto la metteva più in difficoltà di quanto volesse ammettere. «Decisione. Un piccolo cerchio in senso orario - orario! - dicendo Speciàlis, Speciàlis, e con Revèlio un colpetto, così». Inspirò a fondo e si inumidì le labbra. «Bene. Speciàlis» cominciò, muovendo circolarmente la bacchetta in senso orario. «Revèlio» concluse, toccando i guanti con la punta del catalizzatore magico. [VI tentativo]

Non successe nulla: non una scintilla, non un filo di fumo, non un dannatissimo pigolio. Cosa non andava questa volta? La pronuncia, ne era sicura, dopo tanto esercitarsi era stata perfetta. Il movimento, e anche di questo era certa, era stato quello giusto. La volontà, oh, altro che volontà aveva in quel momento di venire a capo di quel diavolo di incantesimo. «Abbastanza volontà» borbottò «da perderci la...» si interruppe. Sgranò gli occhi e concluse lentamente la frase: «...testa». Non si era concentrata. Aveva fatto tutto giusto, sì, e voleva davvero raggiungere il suo scopo, ma da qualche parte tra un tentativo e l'altro aveva smarrito la lucidità e questo l'aveva penalizzata.
Con le braccia morbide lungo i fianchi e rilassando le spalle inspirò a fondo ed espirò lentamente per un paio di volte. Lo sguardo era fisso sui guanti scudo. Non solo voleva e doveva conoscerne i segreti: lei sapeva che presto sarebbero stati in suo possesso. Le sopracciglia appena aggrottate, il viso immobile, Elizabeth non vedeva più la stanza circostante, non percepiva più il tenue calore del sole invernale che si infiltrava dalle finestre, non notava nemmeno il tavolo massiccio su cui i guanti giacevano. Esistevano soltanto lei stessa, la sua bacchetta e il suo obiettivo. Tese il braccio davanti a sé, mirando all'indumento. Muovendosi solo il minimo indispensabile, tracciò in senso orario un immaginario piccolo cerchio e contemporaneamente pronunciò la prima parte della formula: «Speciàlis». La seconda metà seguì mentre la punta della bacchetta toccava, decisa e delicata insieme, i guanti: «Revèlio» concluse la strega con voce ferma.[VII tentativo]



Si attende il master.
 
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view post Posted on 19/1/2022, 22:39
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Il goblin di guardia non era stupito dei modi di Elizabeth: la commerciante sicuramente non era l'unica a mancargli di rispetto e a queste scene era ormai più che abituato.
Si limitò a sbuffare e stringersi nelle spalle, senza fermare la strega dall'avanzare verso l'interno della biblioteca.
La ricerca richiese un tempo misero per trovare frutto: il "Manuale degli Incantesimi, Volume VI" di Miranda Gadula era noto a chiunque avesse frequentato Hogwarts, essendo mandatorio nel baule di tutti gli studenti del sesto anno. In pochi, però, potevano vantare grande abilità negli incantesimi di rivelazione: scioccamente molti studenti perdevano di interesse per l'argomento una volta superata la dimostrazione dell'Aparecium del primo anno, consegnando pergamene asciutte dal punto di vista del coinvolgimento individuale e offrendo dimostrazioni fragili quando anni dopo si toccava l'argomento delle variabili.
Lo Specialis, come Miranda Gadula sosteneva sotto lo sguardo di Elizabeth, era una scelta d'apprendimento solitamente limitata ai commercianti, i collezionisti e chi si apprestava a seguire una carriera accademica o di prima linea nello studio degli incantesimi - come ad esempio uno Spezzzaincantesimi del Ministero.
Dopotutto si poteva affermare che la strega avesse fatto una scelta più che oculata: svelare i segreti di un possibile articolo da mettere in vendita era una conoscenza necessaria nel suo settore se si voleva spiccare dalla massa.
Se i primi tentativi si rivelarono essere fallimentari, Elizabeth poté sentire di stare gradualmente raddrizzando il tiro nella direzione giusta.
Fu al sesto tentativo che qualcosa cambiò.
Anziché scintille e fili di fumo, i Guanti Scudo presi in esame rilasciarono per un battito di ciglia una tenue luce azzurrina, trasmettendo all'incantatore un'improvvisa consapevolezza.

Se un attimo prima di eseguire la formula Elizabeth si fosse limitata a descrivere l'oggetto come semplici guanti di protezione, ora le sarebbe sorso spontaneo aggiungere dei dettagli sull'incantamento dell'articolo: una variante dell'Incantesimo Scudo - o Protego - era stata applicata sulla pelle imbrunita, incatenata magicamente a questa per conferirvi una protezione resistente e duratura; con un occhio critico la strega avrebbe potuto affermare come, se frapposti a incantesimi poco complessi e deboli nell'intensità, i Guanti avrebbero avuto una forte possibilità di assorbirli del tutto annullandone gli effetti e nei casi migliori, persino rimandare al mittente parte dell'energia magica assorbita.
Era un prodotto di qualità che valeva decisamente il suo prezzo: poteva considerarsi più che soddisfatta.

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Incantesimo Specialis Revelio appreso,
Inseriscilo pure in scheda!
Buon proseguimento di gioco.

 
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