Se solo avesse potuto esprimere pienamente il pensiero che le aveva attraversato la mente senza ferire nessuno, Thalia avrebbe esalato in un sospiro l'ennesimo motivo di frustrazione. Una parte di lei s'interrogava sulla ragione che la manteneva ancorata nel punto in cui si trovava, a discutere con uomo più alto e più grosso di lei e con intenzioni non meglio definite. L'altra, quella ribelle - che aveva cercato di nascondere negli anni e che di tanto in tanto faceva capolino per una boccata d'aria fresca - le suggeriva di non avere ancora finito con le proprie invettive. Era la parte superba, quella che non si piegava mai, nemmeno di fronte all'evidenza; era l'aspetto del suo carattere che le aveva garantito discussioni dentro e fuori la famiglia, quella che aveva incrinato i rapporti con la Milford-Haven e che aveva quasi risposto per le rime a Midnight durante l'esame dell'anno precedente. Era la sua parte peggiore e migliore, poiché combinava tutto ciò che di buono non riusciva a trovare espressione in altro modo con ciò che non andava affatto bene e doveva essere limitato il più possibile. Quella natura, a tratti esplosiva, era la stessa che l'aveva spinta a scagliarsi con veemenza contro Aiden sulle scale. Si vergognava di quella parte, ma era stata costretta a farvi uso per resistere all'assalto di quell'uomo cocciuto tanto quanto lei. Schiuse le labbra come a voler dire qualcosa, rimbeccandolo furiosa, ma le richiuse subito dopo. *
Perché le parole sono tutto ciò che ho.* Ed era davvero così. In un’infanzia trascorsa in una terra che era la sua, ma non aveva mai visto prima, la sua unica figura di riferimento - abbastanza giovane per capirla ed abbastanza grande per accudirla - era stato Desmond. Il cugino non brillava per intelligenza, forse per merito di quel carattere tanto ribelle che si faceva beffa delle regole e degli insegnamenti. Era sempre stata una persona pratica, votata all'azione più che al pensiero; giocava a Quidditch, trascorreva il tempo a leggere, ma non a studiare e perlopiù si divertiva a renderla oggetto dei propri scherzi, quasi che il gioco più famoso nel mondo dei maghi non gli fosse mai bastato davvero. Erano legati, lo amava come si ama un fratello, ed il loro rapporto si era stabilizzato soltanto dopo il suo quasi annegamento a Blarney: fino ad allora, Desmond l'aveva canzonata, presa in giro, richiusa negli sgabuzzini angusti del maniero e lasciata sola il più delle volte. Affrontare le proprie paure era stata una questione di principio, più che di sopravvivenza, e nelle lunghe ore trascorse al buio, tra una ramazza e un secchio di latta con qualche strofinaccio all'interno, Thalia aveva compreso di dover agire per prima, sempre e comunque, se non con la forza fisica con quella della parola. Sua madre aveva fatto delle parole il proprio mestiere ed era grata che sua figlia avesse preso da lei almeno quella capacità: usare la voce per avvantaggiarsi, ferire o sottomettere era tipico di qualunque bulletto in circolazione, ma per lei era l'unica arma a disposizione. E benché sapesse di dover mitigare l'arroganza col sarcasmo e di dover mutare quest'ultimo in ironia, il passaggio non era sempre immediato; così, anche quando cercava di usare un tono più leggero, finiva per essere arrogante e saccente. Era un aspetto che avrebbe dovuto imparare a padroneggiare meglio, ma a diciassette anni suonati trovava difficile mitigare l'indole che si era formata in così tenera età e che l'aveva tanto aiutata a far chiudere il becco a Desmond.
In un certo senso, la reazione di Aiden la colpì in molti modi diversi. Il primo, il più immediato, fu la sorpresa. Che si sentisse spazientito era un bene e benché fosse stupita che ci avesse messo così tanto a sbottare una frase per distoglierla dal porre scomode domande, rimase scioccata dal linguaggio non verbale. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, lo si leggeva chiaramente nella mascella contratta fino allo spasimo, e aveva scelto di tacere quando i ragazzini li avevano superati con fare noncurante. Rispettava la privacy cercata, ma questo era ovvio, poiché chiunque avesse visto il Prefetto Moran in compagnia di un Auror, e per di più impegnata in un accesa discussione, avrebbe fatto domande, diffuso sussurri e ben presto ogni quadro avrebbe spifferato la loro conversazione. Fortunatamente, l'imboccatura del primo piano non possedeva ritratti particolari, ma solo un arazzo piuttosto grande a qualche metro alla loro sinistra. Nessuno aveva ascoltato la loro conversazione, nessuno aveva assistito a quell'incontro dal sapore quasi clandestino. Nella sua mente, Thalia immaginò senza fatica che cos'avrebbe fatto Mike se l'avesse vista in quel momento e con altrettanta forza d'animo scacciò il pensiero, prima che questo potesse pregiudicare la sua determinazione a portare a termine quel colloquio improvvisato. La seconda reazione fu di sgomento: se aveva irrigidito i muscoli facciali a quel modo, chissà quale riflessione doveva aver avuto luogo nella sua testa. Forse aveva persino pensato di ripetere l'esperienza vissuta ad Hogsmeade e per un momento la rigidità prese possesso anche del suo corpo, sbilanciandola appena. Non poteva pensare che avrebbe ripetuto lo stesso errore ancora e ancora; doveva porre fine a quella situazione prima che fosse tardi. Tuttavia, nel trovarsi bloccata tra Aiden e quel dannato muro, il suo cervello smise di lavorare a dovere: il blackout fu totale e improvviso, inspiegabile. Tutto ciò che disse dopo fu il mero risultato di quello stesso istinto ancestrale legato a doppio filo col proprio DNA. La Thalia ribelle, pronta a sputar sentenze aveva colpito ancora, ma Aiden non sembrava affatto sorpreso o spaventato. Le era parso rigido quando i loro sguardi si erano incrociati, il suo - gelido e spaventato al tempo stesso - e quello di lui, desideroso di provocarle una reazione di tipo diverso, una sorta di abuso mentale. Cedere non era mai stato così invitante, ma per un attimo la Thalia razionale era riemersa dalle tenebre ed aveva fatto luce nell'oscurità data dall'incertezza. Attaccare prima di essere feriti, scappare prima di finire in una situazione spiacevole. E quella era davvero una pessima situazione con un tempismo tremendo.
Ricominciò a respirare a dovere solo quando i palmi delle sue mani si staccarono dalla parete e le braccia dell'Auror ciondolarono appena lungo i fianchi. Lo sguardo fiero tradì l'impressione che lui poté avere di un bagliore improvviso negli occhi della Tassorosso, quello che preannunciava un nuovo attacco e il conseguente pentimento. Continuavano a sfidarsi, senza esclusione di colpi, in una lotta senza senso e senza fine. Eppure ne aveva bisogno, come si ha bisogno dell'aria per respirare. Doveva imporsi su di lui in qualche modo e la parola, ancora una volta, sarebbe stata la sua unica arma. Inspiegabilmente, per la seconda volta, schiuse le labbra per ribadire un concetto che aveva già espresso centinaia di volte in salse diverse, e le richiuse subito dopo senza avere la forza - o forse il coraggio - di pronunciarle. Aiden aveva eseguito il migliore degli incantesimi, esercitando su di lei una forza che solo i famigliari e i docenti sapevano avere effetto su di lei: la soggezione dell'autorità. In qualche modo, con quelle parole e la posa, Aiden aveva ribaltato i ruoli ed aveva fatto sì che si sentisse in debito con lui per aver condiviso uno spaccato delle rispettive vite. In quanto Auror, spesso era loro compito ascoltare la gente e mettersi al loro servizio. Ed era questo, il fatto di essere ciò che era, a metterla in soggezione. Nonostante si fosse comportato come un ragazzino in preda alle follie adolescenziali, Aiden Weiss era tornato ad essere ai suoi occhi l'uomo, quasi trentenne, con un Distintivo da Auror e una missione da compiere. L'inversione era stata così repentina da lasciarla senza parole e boccheggiò per un istante, prima di scegliere saggiamente di non proseguire. Aveva perso, contro ogni aspettativa ed intenzione. Il fastidio, ben più della vergogna, salì a fior di pelle e le arrossò le guance pallide. Decise di non aggiungere nulla, nonostante tutto. Nonostante lo volesse con ogni cellula del proprio corpo e della mente.
Stava quasi per rilassarsi all'idea che quel supplizio interiore fosse finito, quando lui ebbe l'ardire di continuare a parlare. Quasi ipnotizzata dall'idea di essere quasi libera, annuì decisa. Seguì con lo sguardo i gesti meccanici delle dita e continuò a seguirle quando quelle gli porsero il braccialetto. Lo osservò per un istante, affascinata dalla combinazione del cordoncino e del simbolo che non riluceva affatto alla luce delle torce lontane. In che razza di missione aveva ricevuto quell'oggetto? La domanda lasciò il posto al silenzio, mentre distoglieva lo sguardo per portarlo sul volto dell'Auror. La stava supplicando di accettarlo e quel sorriso a fior di labbra era tutto ciò di cui avesse bisogno per comprenderlo. Desiderava entrare al Ministero fin da bambina, ma il sogno di diventare Auror era stato parte di una fantasia maturata di recente. Aiden era uno dei pochi a saperlo e in un certo qual modo si sentiva legata a lui da quel segreto. Nemmeno Mike sapeva che cosa sarebbe stato di lei dopo i M.A.G.O., ma sospettava che il ragazzo avesse un minimo sentore della questione se non proprio una piena consapevolezza. Si trattava del sogno di un'adolescente che tanto aveva speso fino a quel momento per la salvaguardia del prossimo. L'Esercito degli Studenti, il Comitato,... tutto faceva parte di un disegno già tracciato, ma di cui Thalia non aveva saputo interpretare le forme. Era stata una sorpresa scoprirsi interessata alla professione ed il fatto che Aiden incarnasse ciò che lei voleva diventare rendeva tutto estremamente più difficile. Sollevò lentamente il braccio destro, porgendogli la mano come a volergli suggerire di lasciarlo cadere nel palmo morbido e ristabilito appieno; un minimo cenno affermativo del capo gli comunicò la decisione definitiva. Senza ragione apparente, senza sapere come avrebbe potuto spiegare ad altri - ma soprattutto a se stessa - quel comportamento; un attimo dopo, l'argento incontrò la sua mano. «
Anche a te, Aiden.» mormorò a mezza voce, senza distogliere lo sguardo da lui. Lo aveva reso felice con quel gesto? In quel momento non riusciva a pensare ad altro che non fosse quello; era un'idea così in contrasto con l'opinione che aveva di lui da non lasciare spazio a dubbi su come si sentisse davvero in quel momento.
Confusa, sicuramente, sarebbe stato il termine più appropriato.
«
Dovresti andare tu per primo.» sussurrò dopo qualche secondo di silenzio di troppo, aprendo con uno scatto la chiusura della borsetta e riponendovi all'interno il braccialetto. Non voleva che Mike li vedesse insieme: solo in quel momento realizzò di aver lasciato sola Nieve sul palchetto di Peverell e che il Serpeverde, vedendola sola, avrebbe potuto chiedere di lei. Si sentì doppiamente stupida per aver dimenticato l'Anello in dormitorio e pensò, sperandolo ardentemente, che la sagacia della Rigos - per una volta - sarebbe stata davvero cosa gradita. Nell'osservarlo prendere le distanze da lei, non percepì più la sensazione di oppressione allo stomaco dell'inizio di serata e non se ne stupì più di tanto: seppur con mezzi poco consoni, avevano trovato il modo di interagire e sfogare la frustrazione delle settimane recenti. Non si era curata di dar spettacolo, né Aiden era sembrato sorpreso di vederla ridotta in quello stato. Forse non mentiva totalmente sul perdono che sapeva di dover guadagnare e smise di chiedersi che cosa fosse disposto a fare pur di ottenerlo del tutto.
«
Non credo nel Destino, Aiden, ma credo nelle persone e nelle scelte.» aggiunse a quel punto, quando un metro o poco più li separava e lui le voltava le spalle. Appoggiandosi lateralmente alla parete, ebbe modo di osservarne il profilo, lo sguardo attento e l'orecchio teso. «
Non farlo mai più. Sul serio.» - Non c'era bisogno di chiedere se avesse capito: era certa che fosse davvero così.