Il Sapore della Cenere, continuo de "Il Ballo della Fenice - La Danza delle Ceneri" ▫ Privata.

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Il Sapore della Cenere
Aiden Weiss

Tre gradini separavano i loro corpi, ma sarebbero bastati tre passi a colmare ogni distanza. Aiden Weiss, tuttavia, si godette quella posizione sopraelevata per poter ammirare Thalia in tutto il suo splendore: ed era bella, bellissima come poche, ma anche molto arrabbiata e glaciale nei suoi confronti. Lui, tra le tante cose, non era certamente cieco e impiegò davvero poco tempo per scorgere la fiammella danzante negli occhi della Tassorosso; ella bruciava di collera e le sue parole sarebbero bastate a lasciare evidenti bruciature su di lui.
«Oh beh, potrei addirittura sorprenderti dimostrandoti il contrario, sai?» la canzonò con una tonalità amara, quasi sarcastica. Voleva farle capire che si stava sbagliando sul suo conto, che sapeva ascoltare più di quanto potesse anche solo sperare, oltre al fatto che era un uomo molto imprevedibile. E più lei la pensava in un determinato modo sul conto dell’Auror, più l’impatto con la verità sarebbe stato più duro. Aiden distese appena le labbra in un sorriso tirato, amareggiato, e non glielo nascose.
Permise - spontaneamente - a Thalia di sfogarsi come meglio riteneva opportuno, senza mai lamentarsi, senza osare nemmeno controbattere con altre frasi incalzanti, senza muovere nemmeno il più piccolo dei muscoli al solo udire tali provocazioni uscire da quelle labbra piene e perfette. Aiden il Gargoyle rimase muto come un pesce e immobile come una statua di marmo, aspettando il proprio turno per prendere la parola.
La fissò salire gli ultimi gradini, alzando un sopracciglio nell’udire quella carrellata di accuse senza freni e filtri, sotto quegli occhi duri e freddi come la roccia. Sapeva di meritare quello sguardo carico di rancore, ma non quelle false accuse: se lo stava facendo solo per accentuare il senso di colpa del fulvo, allora aveva fatto male i suoi calcoli, poiché Aiden aveva già superato il limite del senso di colpa ed era arrivato oltre l’immaginabile. Si era già pentito per non essere rimasto a Skellig a morire in solitudine e l’idea di mollare la carriera Auror gli aveva solleticato la mente per qualche istante, ma le parole di suo padre gli erano tornate alla mente e allora aveva deciso di non cedere mai ad una simile tentazione. Un lavoro ingrato e pieno di amarezze, in cui molte persone avrebbero seminato calunnie sul conto di coloro che portavano il Distintivo Auror, e se solo Aiden avesse ceduto anche solo una volta alle accuse, allora avrebbe dato ragione agli accusatori. Lui era diventato Auror perché voleva fare la cosa giusta e difendere la popolazione dai Maghi Oscuri, perciò non si sarebbe lasciato scoraggiare dalle parole degli altri, nemmeno per un misero istante.
Weiss si sentì svuotato da ogni emozione, esattamente come sua madre avrebbe voluto che lui facesse in qualità di Occlumante, impedendo a chiunque di ferirlo ancora. Non c’era più nulla che potesse dannegiarlo ulteriormente ormai, non più di quanto avesse fatto Nieve con le sue parole cariche di astio.
Il pianerottolo ospitò entrambi, sebbene lui la superasse di molte spanne, mettendoli comunque sullo stesso piano, alla pari. Aiden apparve rilassato, in un certo senso posseduto da un’insopportabile apatia, arrivando addirittura a reclinare il capo di lato per fissarla meglio. Mostrò un certo sbigottimento quando la vide lanciargli addosso uno degli orecchini, che rimbalzò contro il suo petto e macchiandoli la camicia bianca con appena due piccole gocce di sangue; alla vista di ciò, l’espressione dell’Auror assunse una sfumatura di allarmismo, non tanto perché quel rosso saltava facilmente alla vista, ma perché lei si era ferita.
Il secondo lancio, invece, sembrò destinato a finire in una zona ben più alta del petto: qualunque fossero state le reali intenzioni di Thalia, di colpirlo sul serio o meno, anche solo di striscio, lui non accennò nemmeno a spostarsi di lato. Al contrario delle aspettative della rossa, lui sembrò volerle concedere un lancio pulito e sicuro, contro una qualsiasi zona del proprio viso. L’Auror non temeva il dolore fisico, nulla poteva superare quanto quello che lo aveva straziato interiormente per tutto quel tempo.
Portò le mani sui fianchi e, per la seconda volta, il sopracciglio si alzò mentre la fissava sfoggiare un inchino del tutto derisorio. In circostanze normali si sarebbe arrabbiato per un simile gesto, considerandolo impudente, ma dato che si era prefissato un preciso obiettivo si costrinse a sorvolare oltre. Ancora una volta Aiden incassò in silenzio.
«Hai finito?» grugnì rauco, mentre la mano sinistra salì verso il taschino superiore della giacca con l’intento di sfilare il fazzoletto candido e tamponarle la mano ferita. Sentiva che era finalmente giunto il momento del proprio turno e non voleva proprio lasciarselo sfuggire di mano, anche se Thalia sembrò desiderosa di levare le tende dopo quella sorprendente performance di frasi cariche di rancore. Ma anche a quel tentativo di fuga, Aiden la seguì come un cane da caccia pronto ad abbattere la prenda dopo quegli attimi di pazienza spesi a calcolare il momento perfetto per agire.
Il corridoio del Primo Piano divenne ben presto il nuovo scenario di quella lotta segreta tra i due pezzi più importanti dell’infinita scacchiera: il Re e la Regina. Benché Thalia avesse cercato di sbarellare l'avversario con mosse rapide e anticipate, prendendosi quindi il colore bianco e lasciando - di conseguenza - ad Aiden lo sgradito nero, al fulvo sarebbe bastato poco convertire il proprio colore e piazzarsi al fianco della Tassorosso, anche se ella non sembrava minimamente tollerarlo. Eppure, e Aiden lo capì proprio nel momento in cui arrestò nuovamente la marcia della ragazza, il suo posto era al fianco della Regina che fino a quel momento era rimasta celata alla vista. Lui non sarebbe mai appartenuto all’Oscurità, nemmeno per gioco.
Bastò prenderle la mano ferita per costringerla a fermarsi, e - prima ancora che potesse anche solo dire o fare qualcosa - le mise il fazzoletto sul palmo e tamponò con una delicatezza fuori dal comune. Un mezzo sorriso sembrò affiorare sulle labbra dell’uomo, mentre era alle prese con quelle blande cure imposte con così tanta imprevedibilità.
«Hai ragione...» mormorò flebilmente, tenendo gli occhi fissi sulla mano di lei mentre cercava di fermare il sangue. «Sono un’idiota e non sono bravo a scusarmi. Però permettimi di dirti una cosa. Quando mi hai lasciato solo nell’oscurità della vegetazione, quando finalmente sono ritornato me stesso, ho compreso di averti fatto il torto più grande in assoluto e che nemmeno meritavi. Pensavo mi avessi privato del mio onore, invece ho fatto tutto da solo e, ingiustamente, l’ho tolto anche a te. Ti ho disonorata, ti ho mancato di rispetto come donna e distrutto quella fiducia che avevi iniziato a nutrire per me. Ho gettato via la mia umanità e permesso ai miei difetti di possedermi alla pari di una bestia, rubandoti una cosa che in circostanze normali non avrei mai fatto.» Tirò su col naso, come se si stesse trattenendo dal piangere davanti a lei. Ma anche se fosse successo, se anche lei l’avesse visto come un bambino fragile e debole, non gliene sarebbe importato più di tanto; voleva solo che Thalia capisse e vedesse quanto quel suo sbaglio l’avesse lasciato profondamente scosso e deluso da se stesso che per molte settimane non aveva neppure avuto il coraggio di guardarsi allo specchio. Si vergognava, certo, ma non aveva bisogno di lei per percepire quel senso di impurità sulla propria anima.
«Vedi, al contrario di quanto pensi, io ho compreso il mio errore. E quanto ho detto prima che mi vomitassi addosso tutto il tuo rancore… beh, avrebbe avuto più senso se te l'avessi detto dopo tutto questo. Thalia, quanto ti ho detto per lettera è la verità, non ero in me e me ne vergogno tantissimo. Il vero Aiden è quello che ha cercato di consolarti in quella radura.» Sospirò profondamente e la costrinse a stringere il fazzoletto nel pugno, mentre lui si sbottonò la giacca e prese a cercare la fiala di Dittamo che si portava sempre dietro e che stava custodendo gelosamente in una delle tasche interne.
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Le azioni sono state concordate con Thalia.

 
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Si era trovata nella condizione di sperare di incutere una reale dose di terrore, forse per la prima volta, e aveva scoperto con quanta difficoltà avesse indossato quei panni; eppure il rancore era lì, annidato in un angolo della cavità toracica che corrispondeva al cuore. Lo sentiva pulsare sotto la pelle, premerle sui polmoni - incapaci di incamerare l’ossigeno necessario a continuare a parlare risalendo quei dannati gradini - e contro le ossa. L’aveva sentita crescere, quando Aiden aveva osato chiederle se avesse finito con i propri insulti e le rimostranze.
No, non aveva finito. Non del tutto. Ora che aveva sfogato la propria frustrazione, nascosta come polvere sotto il tappetino di ingresso, non le restava più niente. Aveva vinto lui, in ogni caso. Che fosse stanca, triste o arrabbiata, Aiden Weiss aveva vinto. Pur avendo sempre preferito le parole per ferire davvero - ed alcuni in ogni caso si sarebbero stupiti di una tale predilezione da parte sua - in quella precisa occasione aveva ceduto ad una reazione diversa, più fisica, atta a colpire l’uomo e non lo spirito. Si era rivelata una reazione esagerata? Probabile, ma in quel momento la sua attenzione non era rivolta alla percezione che l’Auror avrebbe avuto di quel comportamento. La strega aveva iniziato a fare i conti con il peggiore degli scenari: la propria solitudine nei confronti di un malessere ben peggiore, quello dettato da una vergogna diversa e dalla sensazione di puro vuoto seguita a quegli atti. Che cos’aveva ottenuto, in fondo, che non potesse essere guadagnato con le parole? Solo tanta rabbia, ancora, per essersi lasciata sopraffare dalle emozioni che tanto spesso cercava di isolare in un angolo remoto e che, nel periodo più recente, non era riuscita a controllare come avrebbe voluto. Aiden era stato capace, in qualche modo, di arrivare là dove nessuno mai era riuscito a spingersi: l’aveva destabilizzata, ferita e in qualche modo annientata, costringendola a riesumare il ricordo di una Thalia che non esisteva più o che forse si era nascosta.

I passi incerti e la direzione ignota, la costrinsero a vagare con la borsetta sotto braccio e lo sguardo puntato al palmo ferito. Erano solo poche gocce di sangue, scuro e in netto contrasto con l’incarnato chiaro. Non provava più dolore, ma era ipnotizzata da quella sostanza appiccicosa e sempre più rappresa intorno ai forellini lasciati dalla montatura dell’orecchino. Era davvero servito a qualcosa veicolare la propria frustrazione su quegli oggetti? Poteva un danno fisico e reale nascondere lo smarrimento per un atto tanto banale - e in altre circostanze persino piacevole? - seppure contro la propria volontà? Thalia lo aveva creduto davvero e vi aveva riposto una speranza di redenzione altrimenti sopita. Chiedersi perché desiderasse redimersi, lei che aveva subìto le azioni di Aiden, sarebbe stato incomprensibile a molti; ma lei sentiva di doverlo fare nei propri confronti, per perdonarsi di non aver trovato la forza di opporsi strenuamente.
Nella sua marcia senza meta, percepì i movimenti di Aiden alle proprie spalle; manteneva una distanza di sicurezza, come se temesse che da un momento all’altro quella ragazza all’apparenza mite potesse in qualche modo attaccarlo. *Ho finito le armi a disposizione.*
Quasi avesse udito quel pensiero, si trovò a rallentare ed arrestare il proprio cammino; avrebbe potuto superarlo - la larghezza del corridoio glielo avrebbe permesso ampiamente -, ma il punto fondamentale dell’intera questione era che, oramai, fuggire non le sarebbe servito a nulla.

«Non ho più niente da dirti.» mormorò a mezza voce, volgendo il capo alla propria sinistra. Allineò il braccio destro lungo il fianco, stringendo la gonna in un cenno di fastidio. Aveva risposto a quel Hai finito? lasciato cadere nel vuoto, come se si aspettasse che la ragione di quell’ennesimo tentativo da parte sua fosse quella di ricevere un riscontro vero e proprio.
Non si ritrasse quando le sue dita si strinsero delicatamente al polso della mano ferita; aveva smesso di comportarsi come un essere riottoso, sempre in collera e indomabile. Quel comportamento era nelle corde della Rigos più che nelle sue e sentiva di aver indossato la pelle - se così poteva dirsi - di una Thalia che non le piaceva, che non stimava e non voleva essere.
Fu con un briciolo di autoconservazione che gli permise di ripulirle la mano dal sangue quasi rappreso e ne osservò i gesti lenti e delicati per non concentrarsi sul suo viso. Non voleva scorgere l’espressione di pietà che probabilmente aveva assunto da quando lo aveva lasciato solo sulle scale. Sapere di aver toccato il fondo in quel modo era nulla in confronto alla vergogna che avrebbe provato nell’esaminarne i tratti corrucciati o l'espressione dolente per quella reazione così infantile.
Poi, del tutto inaspettatamente, la sua voce roca sostituì il silenzio imbarazzato calato su entrambi e, per la prima volta, Thalia lo ascoltò davvero; non che prima non l'avesse fatto, naturalmente, ma trincerarsi nella convinzione che lui avesse torto - e lo aveva, di questo era sicura - le aveva dato la speranza di uscire pulita da una situazione in cui, trovatasi da sola in mezzo agli abitanti di Hogsmeade, non aveva davvero desiderato essere coinvolta. In cuor proprio aveva sperato che lui si ravvedesse, che quel bacio fosse stato un modo per tapparle la bocca in un momento in cui dalle sue labbra continuavano a defluire parole di scherno ed un tono odiosamente saccente. Nella propria solitudine, aveva poi riflettuto sull’eventualità che Aiden l’avesse programmato e che sulle rive dello Shannon qualcosa l’avesse indotto a credere di avere una possibilità. Era rimasta sola, confusa e ferita da un atto di per sé stupido e non era stato certo quello a indurla ad abbandonare Aiden nel bosco, quanto più la sensazione che lui l’avesse ignorata come essere umano, relegandola al ruolo di subalterna a cui avrebbe potuto rivolgere uno qualunque dei propri capricci.
Quando le sue dita guidarono le proprie a chiudersi sul fazzoletto e sulla ferita, fu inevitabile per lei sollevare lo sguardo sul volto dell’uomo che aveva cercato di evitare per un mese intero.
«Non posso dire di essere sorpresa del fatto che tu sia ancora qui.» replicò sardonica, stringendo la mano ferita al petto «Ma non credere che questo mi basti.» Le sue cure erano superflue: ciò che desiderava davvero erano delle risposte e presto o tardi le avrebbe avute. *Ad ogni costo.*
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Il Sapore della Cenere
Aiden Weiss

Inghiottiti in un silenzio tombale, Aiden continuò ad occuparsi di quelle gentili cure che sapeva di doverle riservare. Era stata colpa sua se Thalia si era fatta divorare e controllare dalla rabbia, se aveva scaricato una parte di odio nei suoi confronti in quegli orecchini che ora giacevano chissà dove sulle rampe di scale. Non seppe però spiegarsi se la scelta della ragazza di ferirsi fosse stato dettato da un senso di timore nel non voler rischiare di danneggiare lui o se si era imposta un certo autocontrollo pur di non eccedere nella violenza e passare dalla parte del torto. Qualunque fosse stata la reale motivazione che avesse spinto Thalia a preservare un certo controllo di se stessa e a non arrivare a ferirlo fisicamente, l’Auror sperò - in cuor suo - che non fosse stato dettato da alcuna forma di pietà nei suoi confronti; e lui, di pietà, non voleva proprio saperne.
Estrasse la fialetta di Dittamo che si portava sempre appresso nel caso la situazione lo richiedesse; e, con una certa attenzione e meticolosità, immerse appena un dito nel liquido per poi riprendere possesso della mano di lei e applicare quella misera ma sufficiente quantità sui due forellini. Il dito disegnò una scia circolare, a spirale, con un tocco talmente lieve e delicato che fu - in un certo senso - persino dolce. Scoprì che prendersi cura di lei, rispettando così la promessa che le aveva fatto nella radura, lo faceva sentire bene; per la prima volta, dopo un mese passato a crogiolarsi nel pentimento più totale e a piangere come un bambino privato del suo dolciume preferito, Aiden si sentiva realizzato e vivo. Ma quanto sarebbe durata a lungo quella sensazione?
«Lo so, sono una testa dura.» mormorò dopo aver richiuso la fialetta con un sospiro profondo e rimessa all’interno della tasca. Un sopracciglio si alzò a seguito delle parole successive di lei e a quel punto sollevò lo sguardo per poi incontrare quello di lei: sembrava davvero determinata in quello che diceva e che voleva. L’Auror non poté evitare di domandarsi cosa potesse desiderare ancora da lui oltre alle scuse. Voleva forse sottoporlo ad una prova?
A quel punto capì che se voleva davvero fare ammenda, non poteva sottrarsi praticamente a nulla, perciò tanto valeva immolarsi alla causa di propria spontanea volontà. Fu così che decise di esporre un’alternativa, un’idea nel caso fosse stato realmente possibile, ma che forse avrebbe dato a Thalia ben più di quanto si potesse desiderare. Aiden non sapeva quanti e quali altri segreti lei avesse, ma a volte tirare un sassolino nello stagno poteva riuscire a riportare a galla scheletri che mai si avrebbe avuto modo di immaginare. Il suo però, era per lo più un azzardo, non aveva la certezza che Thalia possedesse un simile potere, ma semmai l’avesse avuto perché non tentare? Perché non lasciarglielo usare?
«So anche questo...» bisbigliò, fissandola con un sorriso amaro. «E sai, se solo tu fossi una Legillimens, allora sarebbe tutto più semplice, sarebbe come affrontare mia madre. Con lei spesso le parole non bastano, anzi, sono superflue e allora prende a setacciare fino a trovare ciò che vuole.» prese a spiegare, con coscienza, sapendo che così avrebbe rivelato a Thalia un suo segreto, uno che aveva deciso di condividere solo con sua madre, nonché sua maestra in fatto di Occlumanzia. Stava quindi violando una restrittiva di Annabelle, palesando quella che era un’attività privata tra madre e figlio, ma Aiden sentiva di non potersi nascondere da Thalia, non dal quel suo sguardo magnetico. «Non ho mai voluto nessuno nella mia testa e ho iniziato persino ad applicarmi in Occlumanzia. Però se tu lo fossi, io ti offrirei una parte della mia mente, perché so di doverti la verità e spesso, dietro le parole, si cela la menzogna. E io non voglio mentirti, non se voglio fare ammenda. Perciò se è la verità che cerchi, ti basta chiedere o cercare dentro di me.»
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view post Posted on 13/1/2019, 14:17
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Thalia Jane Moran

Ammiccò in silenzio in risposta a quell'ammissione di colpa, come se l'essere testardo non fosse stato uno dei tanti punti in comune tra loro. Si era resa conto di non poter evitare di segnare in una lista invisibile e nota a lei sola tutte le caratteristiche dell'uno e dell'altra, classificandole in in comune e differenze; ad un certo punto, si era trovata costretta ad ammettere che, fatta eccezione per poche categorie, lei e l'Auror condividessero ben più della stessa terra d'origine. Quel pensiero l'aveva confortata all'inizio, ma aveva anche gettato i semi di un'inquietudine crescente.
Come ci si comportava di fronte a qualcuno tanto simile a noi?
Eppure le differenze tra loro esistevano ed erano abissali, al punto che - per certi versi - ci si sarebbe potuto chiedere per quale ragione due anime tanto diverse potessero essere entrate in contatto. La risposta giaceva tra le mani del Fato, che con ogni probabilità aveva intrecciato le fila dell'una e dell'altra storia in modo inspiegabile. Dal canto proprio, si era chiesta più e più volte perché, durante la festa organizzata quella stessa estate, avesse dovuto intrattenersi con lui. Qual era lo scopo? Per deformazione caratteriale, aveva sempre cercato di scovare i dettagli di ogni cosa, nomi e fatti che potessero spiegare la ragione - o l'assurdità - di un dato avvenimento. Era questo, molto più di tante altre cose, a darle quella parvenza di onniscenza che tanto infastidiva Nieve. E anche in quel caso, preferì distogliere lo sguardo dalla mano per rivolgerlo al volto di Aiden: sentiva il bisogno di trovare una risposta là dove sapeva l'avrebbe trovata, impigliata tra le sopracciglia aggrottate e lo sguardo speranzoso oppure nella linea delle labbra schiuse a formulare un pensiero.

Weiss era, in un certo senso, un libro aperto: la sua spontaneità lo rendeva preda degli istinti del momento e lo lasciava errare come una creatura libera da ogni convenzione. Lei, invece, era rimasta imbrigliata nel complesso schema di precetti morali ai quali era stata edotta sin da bambina e non poteva - o meglio, non riusciva - a liberarsene con la stessa facilità. Eppure, nonostante Aiden fosse tanto libero, in quel momento i ruoli si erano invertiti: lei avrebbe potuto disporre di lui come meglio avrebbe ritenuto, giacché il perdono - l'unica ragione per cui l'Auror fosse ancora lì - era un dono da elargire e quel privilegio spettava solamente a lei. D'altro canto, anche se la rabbia non era scemata del tutto e l'amarezza aveva preso il suo posto soltanto in parte, Thalia non voleva comportarsi come una regina capricciosa; non voleva prendersi gioco di lui, anche se avrebbe potuto farlo. Tutto ciò che desiderava erano delle risposte. Le avrebbe ottenute in un modo o nell'altro e ciò che la colpì fu l'ipotesi che il mago formulò con enfasi e un tono in parvenza ironico.
«E se lo fossi davvero?» chiese, sfidandolo senza riflettere. Una parte di lei voleva abusare di quel permesso per scavare a fondo nella mente dell'Auror; d'altro canto, però, non voleva cedere all'istinto e mantenere una forma di ragionevolezza a cui aveva sempre fatto affidamento nel modo più assoluto. Quella domanda avrebbe dovuto suscitargli un moto di sgomento, quantomeno, se l'intenzione fosse stata più vacillante di quanto credesse. Aiden però proseguì, come se niente fosse, e - per l'ennesima volta - si trovò costretta ad aggiungere alla colonna delle cose in comune anche l'Occlumanzia. *Lo sapevo.* ed era vero, lo aveva sospettato sin dal loro incontro sulle rive dello Shannon. In qualche modo, una volta programmata la propria mente ad erigere mura invisibili, ecco che queste si costruivano automaticamente e quasi senza sforzo. Benché la sua abilità di intrufolarsi nella mente altrui fosse incontrollabile il più delle volte, con Aiden non era mai riuscita a superare quelle difese. Nel tempo che avevano trascorso insieme, Thalia aveva capito di non poter fare nulla - o forse non l'aveva desiderato abbastanza - e che la mente del mago le sarebbe stata inaccessibile per sempre. Non vedeva ragione per violare la sua mente, pur col suo permesso, se poteva ottenere verbalmente le risposte che il suo cuore anelava e meritava.

«Anche se lo fossi, non lo farei.» replicò senza ironia, con una certa dose di rassegnazione e un sospiro a suggellare l'autenticità di quel pensiero. «Ho immaginato spesso un momento come questo.» confessò distrattamente, ritraendo la mano per la seconda volta «Sapevo che ti avrei rivisto, prima o poi... e anche se l'idea non mi piaceva, ho sempre pensato di ottenere le risposte che mi devi in modo onesto. Senza... » *Senza infilarmi nel tuo cervello bacato* «Senza costrizioni. Non immaginavo di doverlo fare stasera, anche se sospettavo che non mi avresti dato tregua.»
Prese le distanze da lui, voltandogli appena le spalle e appoggiandosi al muro spoglio, senza dipinti o arazzi. La frescura della parete di pietra solleticò la pelle del braccio nudo e contribuì a mantenerla vigile sull'obiettivo prefissato. Non voleva rivedere il momento in cui tutto aveva iniziato a crollare, non desiderava rivivere quel momento, né ciò che era accaduto in seguito. Conosceva quella storia e la Legilimanzia non poteva darle la risposta che cercava. I ricordi potevano essere distorti e manipolati, aveva fatto ricerche sull'argomento dopo l'incontro con Querril, e sapeva che Aiden - in qualche modo - avrebbe potuto mutare quelle immagini a suo piacimento, suggerendole che cosa vedere e come vederlo. Lei stessa ne era in grado, anche se lui non poteva saperlo: Connor gliel'aveva insegnato due anni prima e il prezzo era stato elevato.
«Voglio sapere perché, Aiden. Voglio la verità e la voglio adesso. Era un capriccio o un istinto incontrollabile? Una risposta a qualcosa che per errore ti ho suggerito?» e si pentì immediatamente della foga con cui quelle parole le sfuggirono, tappandosi le labbra con la mano ormai sanata. L'espressione quasi supplichevole e lo sguardo teso cercarono conferme nel volto di Aiden, mentre Thalia con un filo di voce ripeteva stancamente: «Perché, Aiden?»
Per quanto tentasse di sembrare decisa, lo spettro della probabile colpa esercitava su di lei una certa influenza e temeva che la risposta del mago sarebbe stata la sua rovina; al contempo, aveva bisogno di essere rassicurata, anche se - ad onor del vero - il suo orgoglio avrebbe faticato ad accettare un'interferenza esterna per poter scendere a patti, finalmente, con quanto accaduto.
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Il Sapore della Cenere
Aiden Weiss

Un senso di sfida sembrò fuoriuscire dalle labbra di Thalia, incalzando così quella domanda che parve gravosa e pesante quanto un macigno, come se lei avesse percepito un senso d’accusa in quella frase stemperata da una forma di desiderio. Aiden si era ormai abituato ai modi di fare di sua madre, professare quel pensiero ad alta voce era stato necessario, se non altro per aiutarlo nel farle comprendere che avrebbe fatto qualsiasi cosa per dimostrarle il proprio pentimento e voglia di riscatto.
L’Auror non si sarebbe mai opposto davanti ad una futura intrusione da parte di Thalia semmai si fosse davvero dimostrata una Legilimens, ma avrebbe abbassato le proprie barriere mentali pur di permetterle di navigare nell’angolo più recondito ed intimo del suo essere. Forse così avrebbe compreso che tipo di uomo è Aiden, forse così avrebbe avuto più di una semplice vendetta per quanto lui le aveva inflitto stupidamente. E lui le stava porgendo le chiavi della sua mente su un piatto d’argento, una cosa che ad altri non avrebbe mai concesso nemmeno sotto tortura.
Solo in quel momento comprese che quel suo gesto venne suggerito anche da un altro fattore e ciò lo fece fremere dallo spavento. Il corpo di Aiden venne attraversato da un brivido, quando la consapevolezza che quella gentile offerta era stata anche dettata dai sentimenti per lei arrivò a colpirlo con violenza. Le stava offrendo se stesso, pur sapendo che non avrebbe ricevuto nulla in cambio: ma era più facile amare che essere amati.
Possibile che quella sua scelta sarebbe stata anche la sua rovina?
Non posso sopportare l’ennesima delusione. Devo uccidere questi sentimenti prima che uccidano me! pensò mentre abbassava il capo per qualche istante, riflettendo sul da farsi. Non poteva rimangiarsi le proprie parole, non poteva tirarsi indietro e dimostrarsi un ipocrita o lei non si sarebbe mai più fidata di lui, né lo avrebbe perdonato. Doveva solo escludere da quella sua decisione quello che provava per lei e darle quella esclusiva più come un gesto di pace che di amore.
Ma era veramente amore quello che nutriva per lei? O era solo un abbaglio dettato dalla più profonda confusione? Perché il Destino lo stava spingendo sempre di più verso di lei?
Sono senza speranze e ho rinunciato! Devo aggrapparmi alla promessa che mi sono fatto! Cercò di darsi forza, di non lasciarsi sopraffare dai propri sentimenti, perché non avrebbe ottenuto nessun responso positivo e lo sapeva perfettamente. Era troppo vecchio per lei e Thalia aveva un altro, di certo non poteva battersi per conquistarla quando il suo onore glielo impediva, così come la promessa stessa. Amare Thalia significava andare contro ogni suo principio e infrangere una promessa.
Avrebbe sofferto, questo era certo, soffocare quanto nutriva per lei sarebbe stato arduo ma era necessario e pertanto doveva farcela. E al solo pensiero di farlo lo stravolse.

Tornò a fissarla, sospirando ma ascoltandola in silenzio. Aveva come l’impressione che sotto quel velo fatto di “se” e “ma” vi fosse un fondo di verità. Thalia Moran era davvero una Legilimens?
«Mi stai dicendo che lo sei?» Il seme del dubbio ormai si era annidato nella sua mente e la necessità di ricevere una conferma ufficiale, senza giri di parole, era forte quanto un uragano. Il suo cuore prese a battere all’impazzata e si domandò se il Fato avesse predisposto quel momento da chissà quanto tempo e per quale motivo: c’erano troppe coincidenze per essere ignorate e si domandò se anche lei se ne fosse accorta.
«Non è una costrizione se mi offro spontaneamente!» asserì, facendo eco a una delle ultime parole di Thalia. «E sarebbe tutto per dimostrarti la mia buona volontà oltre che sincerità. Mi hai accusato di prendere senza chiedere, quindi io ora voglio darti una cosa che tu non hai minimamente chiesto. Se sei davvero una Legilimens, guardami per ciò che sono, non per cosa non sono!»
Gli occhi dell’Auror espressero quanto aveva appena detto con convinzione, ufficializzando il tutto con una caparbietà tipica di lui. Ma anche se Thalia non fosse stata propensa a voler accettare in quel momento, avrebbe potuto farlo in seguito e lui di certo non glielo avrebbe negato.

La osservò prendere le distanze da lui e appoggiandosi contro il muro spoglio e freddo, come se temesse di non poter reggere il peso della risposta che Aiden avrebbe dovuto darle. Lui, dal canto suo, emise un profondo sbuffo dalle narici, rabbuiandosi e facendosi sempre più riflessivo.
Thalia meritava una risposta onesta, sapeva di non potersi sottrarre e nemmeno di poterle mentire. Passò qualche secondo a rimuginare sul perché del suo gesto avventato, a studiare un modo per costruire una spiegazione sensata e priva di lacune; solo che più tentava di scavare a fondo sul motivo reale di quell’atto più si scoprì confuso. Non seppe decretare con assoluta certezza se già da allora avesse iniziato a nutrire qualcosa per lei e quindi frutto di un interesse, né che fosse dovuto ad un vero e proprio atto vendicativo. Capì però di doverle dare ben due versioni anziché una sola.
Si sfilò la giacca e si avvicinò a lei, coprendole le spalle nude e concedendole un certo ristoro dal freddo della parete oltre che senso di protezione. «Cerca di non travisare le mie parole, intesi?» mormorò in tono morbido e tranquillo. Si schiarì la voce e cercò di farsi coraggio, non volendo esitare nemmeno un secondo per dare motivo a Thalia di dubitare della sua onestà e veridicità. «Era più un premio di consolazione.» Si passò una mano sulla faccia a seguito di quella confessione, ma non tardò molto a riprendere a parlare, non volendo che quella fosse la conclusione della sua risposta. «Questa è la risposta che ti avrei dato se fossi stato privato della ragione, ma ora che sono lucido ti risponderei così: Non lo so! Non so se era quella la vera ragione… Sono confuso, Thalia.» Fissò Thalia con rammarico, sperando che capisse quanto la cosa lo faceva stare ancora parecchio male e, magari, che riuscisse a perdonarlo.
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Thalia Jane Moran

Percependo il tiepido calore ed il peso leggero della giacca di Aiden fu percorsa da un brivido lungo la schiena. Non aveva sentito la necessità di coprirsi fino a quel momento e meccanicamente le sue dita cinsero i lembi del bavero; il tessuto liscio scorse sotto i polpastrelli della ragazza, fino a che la stretta delicata non avesse assicurato una chiusura alla base del collo esile. Nel voltarsi, Thalia non dimenticò la rabbia cieca con la quale gli si era rivolta poco prima, ferendosi e macchiandogli la camicia col proprio sangue. Quelle note di colore sulla distesa bianca, all'altezza dello sterno, avevano attirato il suo sguardo, come se all'improvviso non fosse esistito nient'altro che quello. Sospirò, chinando il capo e curvando lievemente le labbra in un sorriso amaro: per quanto provasse una certa indefinitezza d'intenti, in balia della frustrazione, della rabbia e della tristezza, non poteva credere che quello fosse lo stesso uomo di Hogsmeade. Le sue attenzioni erano davvero le medesime dimostrate nella radura e uno sbuffo di indicibile fastidio esalò dalle sue labbra. Non poteva fare a meno di essere combattuta sulla decisione di credergli oppure di non farlo e a ciò si aggiunse ben presto l'impellente scelta da compiere su quel segreto calato su di loro come una scure. Poteva evitare di rivelargli d'essere realmente ciò che lui sperava fosse? Essere in grado di sondare la mente umana era un fardello troppo pesante per lei, ma quell'eventualità iniziava a rendersi attraente ai suoi occhi, ora che Aiden aveva manifestato quasi apertamente un certo timore e una mal celata ritrosia nell'offrirsi a lei in sacrificio. «Potrei.» asserì, sollevando il mento e posando su di lui uno sguardo carico d'incertezze. Non voleva svelarsi, non del tutto. Non in quel momento, almeno. Aiden doveva ancora terminare il suo periodo di punizione prima di poter esser certo di aver espiato le proprie colpe. Se fosse stato necessario, avrebbe atteso fino a che il momento propizio per quella rivelazione non fosse giunto in concomitanza con la piena redenzione dell'Auror. «E anche se mi costa ammetterlo, c'è una parte di me, piccolissima, che ancora ti rispetta. Inoltre suppongo che come tutti tu abbia dei segreti da mantenere. Non vedo ragione per privartene.» e gli concesse una simile benevolenza con un tono di lieve sadismo, stringendosi nelle spalle e dimenticando, per un istante, il perché fossero insieme.
Aveva forse ammesso di essere una Legilimens e di poter disporre della sua mente come un bambino che si trovi nel più meraviglioso tra i parchi divertimenti del Regno Unito per un giorno intero e in esclusiva? Lo aveva fatto e ne era piacevolmente consapevole, come se quella rivincita morale fosse tutto ciò di cui avesse bisogno per poter proseguire; fu allora che con un movimento fluido riuscì a sfilarsi la giacca dalle spalle in uno svolazzo, lasciandola ciondolare appesa all'indice della mano che lui aveva diligentemente curato. Non ebbe bisogno di ringraziarlo per quella gentilezza non richiesta: Aiden sapeva di aver fatto bene e gliel'avrebbe letto in faccia, se solo avesse osato rivolgerle uno sguardo, seppur timoroso e dubbioso di una sua qualunque reazione.

Era arrivata la resa dei conti e Thalia sapeva, come si sanno tutte le cose spiacevoli che la mente cerca di relegare negli angoli più oscuri e remoti del proprio Io, che la risposta dell'Auror non aveva aggiunto o tolto nulla allo stallo nel quale erano piombati. Percepiva un fremito a fior di pelle, come se una scarica elettrica l'avesse percorsa da capo a piedi, dal momento in cui le labbra di Aiden si erano schiuse per esalare un incerto Non lo so. Finché la sua apologia si fosse aggirata intorno al concetto di consolazione dell'orgoglio maschile, ferito e svilito dalla sagacia che lei gli aveva servito, il pensiero di lasciarlo parlare per esprimere al meglio quanto avesse da dire avrebbe continuato a ronzarle nella testa. Era fastidioso dover tacere e trattenere le proprie rimostranze, ma d'altro canto lui aveva cercato in ogni modo di giungere a quel punto preciso e se non gli avesse concesso udienza, chissà quali disagi avrebbe potuto causarle. Quello che seguì, però, la sconvolse.
«C-confuso?» la voce le uscì a metà, impigliata in un punto imprecisato delle corde vocali. Le sembrava di non aver parlato per giorni, costretta al silenzio dalla più atroce sindrome di afonia della storia. Le sue iridi grigie non perdevano un solo battito di ciglia da parte di Aiden Weiss e quand'egli raccolse finalmente la propria giacca, lei fece un passo indietro. «Confuso?» ripeté quel concetto, incredula e sgranando gli occhi, portandolo all'irregolare pavimento in pietra. Stava forse dando a lei la colpa di quel che era accaduto? «Stammi a sentire, Aiden Weiss. Ti ho fatto una domanda precisa.» e così dicendo gli puntò l'indice contro, minacciosa come un cumulo di paglia sospinta dal vento nel bel mezzo del deserto «Ti ho forse dato modo di credere che avessi... c-che fossi... i-io...» non terminò quella frase, la voce le tremava troppo, forse per la rabbia o la paura per la risposta che lui avrebbe potuto fornirle. Aveva una predilezione per i guai, che in qualche modo riuscivano sempre a stanarla e condurla nella tana del lupo. L'unica differenza, in quel caso, era che per una volta aveva pensato di essere al sicuro ed aveva sbagliato. Di nuovo.
Il braccio ricadde mollemente al fianco, lo sguardo vagò per alcuni istanti sul corridoio circostante cercando un appiglio che potesse salvarla da quell'imbarazzo che sentiva crescere dentro e fuori, come se qualcuno le avesse gettato addosso un mantello invisibile e pesantissimo. Tacquero, senza osare nemmeno respirare, senza rendersi conto di quanto tempo fosse passato da quando uno dei due aveva aperto bocca sull'argomento. La confusione di Aiden era diventata anche quella di Thalia: non provava alcun sentimento per quell'uomo, così insicuro delle proprie emozioni da gettarla nel caos. Aveva pensato che quello dell'Auror fosse stato un capriccio, ma se ora - da sobrio - affermava di essere confuso, era necessario che per il suo bene e quello di Mike, lei ponesse all'Auror dei paletti, che limitassero le loro interazioni, finché non avesse capito la ragione di quella confusione.
Fu con estrema difficoltà che riportò lo sguardo su di lui, sospirando stancamente. «Dovresti fare chiarezza.» mormorò, gesticolando appena con la mano libera. Sembrava volesse scacciare un insetto fastidioso, ma in realtà voleva allontanare da sé lo spettro di quanto sarebbe potuto accadere se non avesse fatto nulla. «E io ho bisogno di tempo... per digerire questa cosa.» aggiunse in fretta, pensando a Mike e a come potergli spiegare l'accaduto. Fece un passo per superarlo, tornando così verso le scale dalle quali erano venuti: voleva recuperare gli orecchini prima che qualcuno li trovasse ed iniziasse a fare congetture strane. Come fari nella notte, i suoi occhi cercarono quelli di lui, senza volerli oltrepassare: ora più che mai desiderava allontanarsi dalla possibilità di scoprire che cosa ci fosse al di là da quelli. Ferma al suo fianco, sospirò un ultimo destabilizzante pensiero. «Non sto dicendo che ti ho perdonato. Non... non del tutto. Devo tenere conto di chi mi aspetta in Sala Grande, non solo di me stessa. Ma... se è vero che non sai perché lo hai fatto... se davvero sei incerto, forse l'anima in ostaggio è la tua e io non voglio addossarmi il peso di una cosa simile. » Aveva usato le sue parole ed era sicura che lui le ricordasse benissimo.
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Aiden Weiss

Ancora una volta, Thalia non si limitò a rispondere semplicemente con una risposta affermativa o negativa, ma rimase evasiva; era come se la ragazza avesse individuato i semi del dubbio germogliare in Aiden e si fosse divertita a duplicarli e posizionarli tutti in postazioni differenti. Stava giocando con la risposta, consapevole di essere la sola e unica in grado di sviscerare l’ipotesi dell’Auror.
Sentendosi in un vicolo cieco, il fulvo incrociò le braccia al petto muscoloso, un sopracciglio alzato e le due macchioline di sangue ormai asciutte a decorare il bianco della propria camicia come una sorta di marchio indelebile. Il Distintivo Auror, agganciato ad una delle cinghie del fodero da spalla in cui vi era la fida bacchetta, emanava una sorta di autorevolezza in quella posa che l’uomo aveva assunto. Fissò Thalia con sguardo per nulla convinto, ormai saturo di quello strano stallo sull’argomento Legilimanzia.
Rimase però colpito nel venire a conoscenza che la giovane Strega nutriva ancora per lui qualche grammo di rispetto e un sorrisino tronfio sembrò sfuggire al suo controllo: era stato più e più volte incerto sul riuscire a recuperare i rapporti con Thalia e ricominciare da capo, talvolta si era talmente abbattuto da aver smesso di nutrire speranza, ma ora che lei lo aveva messo al corrente di un simile dettaglio tornò davvero a sperare.
«Forse hai ragione.» convenne infine. «Ma anche se tu stessi sguazzando nei miei ricordi, ormai sul punto di soffermarti su un segreto che non vorrei che scoprissi… Beh, posso sempre fermarti e lasciarti a bocca asciutta.» Sorrise, per poi concedersi il beneficio di una scrollata di spalle. «Apprezzo però la tua cortesia.» concluse, gettando infine la spugna su quell’argomento.
Non riusciva a spiegarsi quel comportamento da parte di Thalia, forse se ne vergognava oppure aveva paura di fargli del male. Il solo pensiero verso una simile ipotesi sembrò scatenare in lui una discreta dose di dolcezza nei confronti della Tassorosso, accentuata poi dal rispetto e dalla fiducia sempre più crescente. A differenza di lei, Aiden non aveva smesso di credere in lei e a fidarsi, percependo di essere legato a lei più di quanto avesse mai potuto pensare o credere.
Sospirò profondamente quando la vide sfilarsi la giacca che gentilmente le aveva offerto, allungando appena la mano e afferrandola almeno diversi centimetri più sotto alla mano di lei. Nessun contatto fisico, per quanto il suo cuore avesse più volte cercato di spingerlo a sfiorarle almeno un dito; eppure la ragione aveva avuto la meglio e questo sembrò farlo star male a tal punto che iniziò a temere il sopraggiungere di un conflitto interiore, tra testa e cuore. Tuttavia, tra i due litiganti, quello destinato a perdere era certamente il cuore.
Devo farmene una ragione. pensò, rimettendosi la giacca in silenzio. E sì, non aveva scelta che farsene una ragione: Thalia Moran era fuori dalla propria portata.

La guardò indietreggiare, esterrefatta dalla propria risposta e - probabilmente - per niente soddisfatta. Aiden dovette evitare di mordersi un labbro per l’imbarazzo o peggio ancora arrossire: questo perché temeva che alla sola vista di quei gesti, Thalia si sarebbe solamente allarmata di più, fino a sviluppare pensieri su contesti alquanto impensabili e questo lui voleva evitarlo a tutti i costi. Non voleva che lei arrivasse a capire che stava iniziando a nutrire qualcosa per lei, non desiderava affatto che su quelle labbra piene e morbide vi fosse anche solo l’ombra di un rifiuto. Ciò che invece anelava con tutto se stesso di trasmetterle era un senso di conforto e protezione, perciò dovette imporsi nell'infrangere il flusso di parole sconnesse e roche della rossa, alzando una mano per zittirla.
«E io vorrei tempo per spiegarti, invece.» puntualizzò con tranquillità. Benché all’apparenza potesse apparire come infastidito o severo, Aiden si concesse un piccolo sorriso di circostanza, sperando di rincuorarla quel tanto da garantirsi del tempo per riordinare un discorso conciso e soddisfacente.
Lei, nel frattempo, si era premuta di più contro al muro, come un animale indifeso alla mercé di un temibile cacciatore. E lui voleva avanzare - eccome se lo voleva! - tanto da bloccarla e riscaldarla con il proprio corpo. Invece non lo fece e rimase fermo dov’era a guardarla, mentre le parole ben presto preso a fluire dalle sue labbra. «Nella radura, dopo che avevi detto che il nostro incontro si era rivelato vano, io mi sono sentito inutile. Ho sempre odiato sentirmi un totale incapace, come se non fossi abbastanza e… Ho perso la mia lucidità! Poiché ero dalla parte del torto, nonostante la mia testardaggine, sei riuscita a battermi su tutti i fronti e non ho saputo accettare la sconfitta. Lì per lì pensavo fosse un semplice premio di consolazione, ma ero certo che non si trattasse di malizia o un banalissimo dispetto o una sorta di vendetta. Io sono estraneo alla vendetta o a quest’ora sarei già dietro alle sbarre per aver ucciso il responsabile della morte di mio padre. Non trovi?» Seguì una brevissima pausa, quel tanto per muovere quei tanto desiderati passi verso di lei e appoggiare le mani contro la parete, sopra la testa di Thalia e costringendola a tenere lo sguardo fisso su di lui: voleva che non si muovesse finché non avesse finito la spiegazione, nel bene o nel male. «Ascolta, tu non mi hai dato alcun motivo per essere confuso, neanche uno. Ma il Destino sì, Thalia, e che ti piaccia o no è così!» Era deciso, sicuro su quanto le stava dicendo e voleva che lei lo capisse subito, senza troppi giri di parole o tentennamenti. «So che non ci credi, ma prova a pensarci: i nostri sentieri hanno preso ad incrociarsi sempre più spesso, ignorando Tempo e Spazio, fin dal momento stesso in cui ti ho detto della mia Profezia. Persino anche quando ci evitiamo o ci sono altri ostacoli tra noi, riusciamo sempre ad incontrarci. Ho avvertito quasi subito una sorta di legame con te, ma non è lo stesso che si avrebbe con un amico o un amante… Era quello di due alleati.»
C'erano molti fattori da considerare e analizzare, ma dal canto suo l'Auror aveva già iniziato a tirare le prime somme. Non c'erano solo due caratteri molti simili ad averli fatti avvicinare, nemmeno le amicizie in comune, ma il filo rosso ed invisibile che entrambi portavano legato al polso, creato appositamente dal Fato per loro. Potevano fare tutte le deviazioni o tratte lunghe che volevano, ma prima o poi le loro strade trovavano sempre il modo per incrociarsi, persino in presenza di persone pronte a piazzarsi come degli ostacoli tra loro. Nieve era l'esempio più eclatante, oltre che fresco di serata: si era scagliata su di lui per proteggere Thalia e tenerlo alla larga dall'amica. Una mossa degna di rispetto, ma che aveva lasciato l'amaro in bocca a Weiss, facendolo sentire marcio dentro oltre che tradito. Non si sarebbe mai aspettato un simile gesto da lei, decidendo di schierarsi dalla parte dell’una o dell’altro, piuttosto che farsi da parte e lasciare che i due rossi risolvessero da soli i loro attriti.
Aiden si scoprì adirato con la Grifondoro, benché l’avesse lasciata fare pur di giungere a quel preciso momento: se non l’avesse fatto probabilmente si sarebbe lasciato sfuggire Thalia, ma sarebbe rimasto a discutere con l’amica davanti alla Sala Grande, rischiando di dare spettacolo con le poderose testate che si sarebbero scambiati pur di prevalere sull’altro. Anche in quel caso, l’Auror capì che da quella scelta il Fato lo aveva guidato alla presenza di Thalia e solo in parte ne fu entusiasta, dall’altra era ancora amareggiato per aver sacrificato Nieve in cambio di quell’occasione.
Decise di propria volontà di non condividere quell’informazione con Thalia, conscio che una simile conoscenza avrebbe potuto scatenarle il più micidiale dei sensi di colpa e questo lui voleva risparmiarglielo. Non era colpa della rossa se Nieve aveva scelto di stare dalla sua parte e mandare alla deriva il rapporto con Aiden; anche se avrebbe tanto voluto dare una voce ai propri pensieri. Nieve Rigos è la Torre di entrambi, ma io ho dovuto sacrificarla per poter giungere davanti a te, cara Regina. Come la mettiamo? Inizi a credere che siamo legati dal Destino o vuoi ancora negarlo come una bambina testarda che si oppone all’evidenza? I suoi occhi blu gridarono una tacita sfida, in cui la intimava a scovare quali fossero i suoi pensieri, ad ascoltare quanto aveva appena meditato. Provocarla in tal senso forse gli avrebbe garantito una risposta sincera riguardo alla Legilimanzia, al che sorriso con un velo di mistero, mentre i suoi occhi gridarono a gran voce: Scacco matto alla Regina!
Non sembrò volerla lasciare andare e questo perché Aiden Weiss sentiva di non aver ancora finito con lei.
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Se esisteva qualcosa in grado di suscitarle invidia nei confronti di Aiden Weiss, quel qualcosa era la capacità di fare dell’ironia anche quando le circostanze non l’avrebbero permesso. Il tono sostenuto di lei venne rimbeccato da quello sarcastico di lui, in un gioco di contrasti difficile da eliminare. Come il giorno e la notte, Thalia ed Aiden erano costretti a scambiarsi i ruoli di continuo, portando nuove luci ed ombre su un argomento ormai sufficientemente discusso e del quale non restava molto altro da aggiungere: sì, era una Legilimens ed aveva giurato di non servirsi mai di quella capacità per trarre vantaggio per se stessa; Aiden, del resto, si era offerto come un agnello sacrificale, affinché lei potesse trovar la pace che tanto andava cercando. Weiss non sapeva, però, che una parte di lei avesse già raggiunto una sorta di serenità interiore nel solo atto di affermare di non voler abusare di lui tanto quanto, implicitamente, lui aveva fatto con lei. Si sentiva migliore e, benché avesse sempre saputo di esserlo, in quel frangente capì che quella determinazione nel mantener fede alle proprie promesse fosse la caratteristica fondante del suo carattere e della sua personalità; fu fiera di se stessa, dunque, nel constatare quanta fiducia, nonostante tutto, riponesse ancora nelle proprie decisioni e nella propria condotta.
Aiden scherzava sulla Legilimanzia, sul metodo migliore per lei di scoprire quali arcani segreti la sua mente celasse alla vista di chiunque altro, e per un momento sentì il bisogno di ricordargli quanto potesse essere pericoloso un Legilimens alle prime armi. Querril era stato chiaro e ricordava distintamente l’opinione dell’uomo circa il continuo esercizio che la sua mente avrebbe necessitato per entrare ed uscire dal proprio corpo, stabilendo connessioni invisibili con altri. Forse, Aiden ignorava che una buona parte dell’emotività che lui stesso aveva scaturito avrebbe potuto essere la sua rovina. Decise di rivolgere la propria attenzione a ben altre considerazioni, soltanto per salvarlo, inspiegabilmente, dalle conseguenze di quel continuo gioco di imposizioni e libertà senza regole.
«Smettila di sorridere... potrei anche pensare che tu non sia sufficientemente pentito per quello che hai fatto. Per qualsiasi ragione tu l’abbia fatto.» distolse lo sguardo, appagata di averlo messo a tacere per un istante col proprio tono sostenuto. Da quel punto, Thalia aveva una visuale piuttosto chiara delle scalinate e le ombre dei ragazzi nella Sala d’Ingresso si allungavano sulle pareti di pietra col bagliore delle torce. L’ansia che qualcuno potesse trovare i suoi orecchini, riconoscendoli, le impedì di udire in parte ciò che lui le disse. Fece per muovere un passo in quella direzione, forse nel tentativo di congedarsi senza un nulla di fatto, ma per qualche ragione finì per appoggiarsi al muro, col corpetto dorato addossato alla dura pietra. Nella penombra del corridoio, la festa appariva così lontana da loro che si sentì imprigionata in una specie di mondo parallelo, nel quale nessuno avrebbe udito i suoi richiami se ve ne fosse stata la necessità. Ed ecco, due ragazzini risalivano le scale, parlottando tra loro di qualcosa in maniera concitata. Non fecero caso agli orecchini e nemmeno si accorsero delle due figure nell’ombra, ora più vicine, continuando a salire.

Riuscì a tornare al presente soltanto quando Aiden nominò il padre scomparso e le sue braccia si sollevarono sopra la sua testa: il ricordo di quanto accaduto ad Hogsmeade tornò ad impossessarsi prepotentemente della sua mente e non poté fare a meno di appiattirsi con il muro, respirando appena e percependo la paura con la quale aveva iniziato a costruire un rapporto di famigliarietà del tutto sbagliato. L’aveva incastrata, di nuovo, e chissà per quale ragione l’impulso di scappare non si presentò immediatamente. Forse, quel desiderio di restare era dovuto proprio al bisogno impellente di ricevere una spiegazione che fosse logica, supportata da qualcosa che non avesse a che vedere con l’irrazionalità o l’istinto. Dopotutto, si aspettava di poter ricominciare da capo, con o senza Aiden, dopo quella serata; pensava di meritarlo, credeva di dover sapere con certezza di non aver innescato una bomba restando immobile ed aspettando che questa esplodesse dinanzi a lei.
«Questa storia del Destino inizia a tornarti comoda.» ribatté con fermezza, provando a non sottomettersi ancor di più al suo volere. Il suo sguardo non lasciava spazio a dubbi: quegli occhi di ghiaccio non si sarebbero lasciati sopraffare dall'intensità con cui Aiden cercava di sfidarla: ancora una volta, l'Auror aveva cercato di mettere alla prova la sua determinazione e glielo si leggeva in faccia, come se le sue intenzioni fossero state scritte nero su bianco. Fiera, Thalia non cedette alla provocazione, sicura che in quel gioco di contrasti - tra il razionale e l'irrazionale - Aiden avrebbe perso. «Alleati, dici. Io non ho mai visto un alleato comportarsi in quel modo. Mi hai prevaricata, hai cercato di tapparmi la bocca, letteralmente.» e così dicendo raddrizzò le spalle, provando a contrastarlo sul piano fisico benché fosse materialmente impossibile. «Gli alleati si supportano, si consigliano. Se per te un bacio equivale ad una stretta di mano, non oso pensare come ti comporteresti con chiunque altro.» sbottò, incrociando le braccia infreddolite al petto. Quella frase uscì dalle sue labbra quasi in un tono rabbioso, carico d'offesa e connotata da un retrogusto amaro. Era convinta, ormai, che Aiden avesse espresso la propria difesa in maniera sufficiente ed esaustiva, ma non comprendeva perché torreggiasse su di lei in quel modo. L'unico modo per scoprire se e quando sarebbe stata libera di andarsene era quello di tirare in ballo l'unica persona in comune tra loro di cui ad Aiden fosse importato davvero. Non le erano sfuggite le occhiate che lui le aveva lanciato durante l'imbarazzante conversazione a quattro, né il modo in cui Nieve si era scagliata contro di lui in sua difesa. Se in un primo momento si era pentita di aver caricato Aiden attraverso Nieve, ora sentiva di dover rincarare la dose e suscitare in lui una reazione più incisiva, che le dimostrasse davvero che aveva capito l'errore nascosto nei suoi sbagli. «C'è altro che vuoi dirmi?» lo sfidò apertamente, senza ritegno, col mento sollevato e gli occhi di ardesia puntati su di lui. «Nieve mi aspetta, i festeggiamenti sono finiti... e quasi sicuramente Mike mi starà cercando.»
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Si morse un labbro quando Thalia gli chiese di smetterla di sorridere o avrebbe iniziato a pensare che non si sentisse sufficientemente pentito di quanto aveva fatto, mentre un piccolo grugnito si elevò dalla sua gola; il messaggio, però, fu piuttosto chiaro se si considerava persino lo sguardo granitico: la Tassorosso stava giocando con il fuoco e provocarlo, a lungo andare, non avrebbe giovato a nessuno dei due.
«E tu smettila di provare a ferirmi con le parole...» disse asciutto. «O anche solo di mettere in dubbio il mio pentimento. Sono stato uno schifo in queste settimane e… Oh, lascia perdere!» Le ultime parole furono pronunciate in un sibilo appena percettibile, la mascella contratta dal ricordo di quanto era stato male in virtù del proprio senso di colpa. Si zittì e rimase immobile quando percepì il cicaleccio e i passi di alcuni studenti che aveva deciso di lasciare la festa e procedere lungo le scale.
Solamente quando furono nuovamente soli nel silenzio più assoluto, Aiden si lasciò sfuggire un sospiro profondo. «Se non provassi alcun senso di colpa, credimi: non sarei qui in questo momento. Invece ho ignorato ogni divieto o qualsivoglia regola pur di porgerti le mie scuse. E se tu me lo chiedessi, resterei persino fermo e mi farei colpire, se questo può darti una qualche soddisfazione.»

Gli occhi di Thalia, lo sguardo spaventato quanto quello di un cerbiatto messo all’angolo da un lupo, lo distrussero in pochi nanosecondi: non poteva sopportare quello sguardo, l’ombra del terrore che scintillava in quegli occhi che aveva imparato ad amare alla follia, tanto che si sentì mancare le forze. Aiden abbandonò la presa sulla parete, le braccia appesantite e rese impotenti lungo i suoi fianchi, finché non mosse appena due passi indietro, regalandole lo spazio che sentiva di doverle dare.
Non poteva sopportarlo, non quello sguardo, non da lei. Quello fu l’ennesimo senso di colpa che dovette aggiungere alla sua lista: spaventarla con la sua sola vicinanza lo fece sentire peggio di un mostro. Che cosa aveva fatto?
Deglutì a vuoto, ma poi - quando ella tornò nuovamente padrona di se stessa - Aiden la fissò sconcertato. Non fu tanto per il tono o lo sguardo che lei gli riservò, ma per quello che disse. «Sei proprio cocciuta, eh?» la canzonò di rimando. Thalia Moran appariva sorda di fronte a qualsiasi cosa riguardasse il Fato e questo perché non ci credeva, nemmeno un po’, se non a ciò che aveva una spiegazione logica e razionale.
Cielo! Quanto mi fa impazzire con il suo caratterino... Ma quanto vorrei punirla severamente per queste sue prese di posizione! pensò, cercando di trattenere il sorriso divertito che tali pensieri gli stavano dipingendo sulle labbra.
L’Auror fissò Thalia con la stessa fierezza, le mani sui fianchi e gli occhi pieni di determinazione, cercando di rimanere immune dinanzi a quelle parole che parevano affilate come rasoi. E se la rossa di Cork sperava di ottenere qualcosa di più da lui, girando il dito nella piaga, allora avrebbe dovuto riformulare i suoi calcoli: non le avrebbe dato più di quanto doveva e lui aveva già sofferto abbastanza.
«E allora dimmi: hai forse dimenticato perché mi sono presentato alla tua richiesta d’aiuto? Hai cancellato ogni momento positivo, ogni dialogo affrontato insieme, e lasciando spazio solo ai miei errori?» Parole dure uscirono dalla sua bocca, frasi che non poté evitare di dirle e che le avrebbero fatto sperimentare un po’ della sua stessa minestra. Se ne sarebbe resa conto, infine? Emise un lungo sbuffo dalle narici. «Io ti sono stato accanto, ti ho ascoltata, ti ho dato il mio parere. Lo sai, non puoi aver dimenticato e nemmeno puoi negarlo. Sappi però che continuerò ad esserci, te l'avevo promesso e non mi rimangerò la parola.» mormorò, iniziando a sentirsi stanco marcio di quella loro situazione, di quella loro incessante lotta per il dominio e per la sordità di Thalia. «Non sono un Veggente, però ti dirò questo: presto o tardi accadrà di nuovo, vedrai, le nostre strade si incroceranno nuovamente e allora capirai che avevo ragione. E se mi verrai a cercare, io non mi volterò dall’altra parte.»
Quello fu tutto ciò che ebbe da dirle, prima di chiudere il discorso e prepararsi a lasciarla andare. Non aveva senso trattenerla in eterno, in quel corridoio semibuio e deserto, quando aveva un ragazzo in Sala Grande ad attenderla e un’amica probabilmente in ansia per quella sua lunga assenza. Non che temesse di vedere le minacce di Nieve concretizzarsi, semplicemente sentiva di aver abusato abbastanza del tempo della Tassorosso: le aveva parlato, si era scusato e ora poteva dirsi leggermente più soddisfatto e tranquillo con se stesso. La sua Anima ora era meno pesante, ma non per questo leggera quanto si era aspettato. Era comunque un passo avanti.
«Sì, un’ultima cosa, ma sarò breve.» rispose, fissandola negli occhi. Con estrema calma, l’uomo sollevò appena la mano sinistra e con l’altra sganciò qualcosa che fino ad allora era rimasto celato dalla manica della sua camicia: un braccialetto nero con una piccola ancora d’argento che pendeva da esso. Era stato un regalo ricevuto durante la sua prima missione in veste di Auror e da allora lo aveva sempre tenuto indosso, sperando che gli portasse fortuna. Thalia aveva espresso il suo interesse nel voler diventare Auror un giorno, come suo nonno, perciò regalarglielo come portafortuna era la cosa più giusta e carina da fare; oltre a ciò, la ragazza era decisamente la più adatta a dover portare un simbolo così fortemente legato all’Acqua, e lui - lo ricordava più che bene! - l’aveva definita proprio come l’Elemento quel giorno a Limerick.
Si avvicinò a lei e glielo porse. «Vorrei che lo avessi tu. Mi è stato donato alla mia prima missione e spero possa darti un po’ della sua fortuna nel diventare un Auror, un giorno.» Deglutì a vuoto, sperando che lei non lo rifiutasse. «Felice Yule, Thalia.» concluse, con un sorriso timido ed impacciato.
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⚜ Il Sapore della Cenere ⚜
Thalia Jane Moran

Se solo avesse potuto esprimere pienamente il pensiero che le aveva attraversato la mente senza ferire nessuno, Thalia avrebbe esalato in un sospiro l'ennesimo motivo di frustrazione. Una parte di lei s'interrogava sulla ragione che la manteneva ancorata nel punto in cui si trovava, a discutere con uomo più alto e più grosso di lei e con intenzioni non meglio definite. L'altra, quella ribelle - che aveva cercato di nascondere negli anni e che di tanto in tanto faceva capolino per una boccata d'aria fresca - le suggeriva di non avere ancora finito con le proprie invettive. Era la parte superba, quella che non si piegava mai, nemmeno di fronte all'evidenza; era l'aspetto del suo carattere che le aveva garantito discussioni dentro e fuori la famiglia, quella che aveva incrinato i rapporti con la Milford-Haven e che aveva quasi risposto per le rime a Midnight durante l'esame dell'anno precedente. Era la sua parte peggiore e migliore, poiché combinava tutto ciò che di buono non riusciva a trovare espressione in altro modo con ciò che non andava affatto bene e doveva essere limitato il più possibile. Quella natura, a tratti esplosiva, era la stessa che l'aveva spinta a scagliarsi con veemenza contro Aiden sulle scale. Si vergognava di quella parte, ma era stata costretta a farvi uso per resistere all'assalto di quell'uomo cocciuto tanto quanto lei. Schiuse le labbra come a voler dire qualcosa, rimbeccandolo furiosa, ma le richiuse subito dopo. *Perché le parole sono tutto ciò che ho.* Ed era davvero così. In un’infanzia trascorsa in una terra che era la sua, ma non aveva mai visto prima, la sua unica figura di riferimento - abbastanza giovane per capirla ed abbastanza grande per accudirla - era stato Desmond. Il cugino non brillava per intelligenza, forse per merito di quel carattere tanto ribelle che si faceva beffa delle regole e degli insegnamenti. Era sempre stata una persona pratica, votata all'azione più che al pensiero; giocava a Quidditch, trascorreva il tempo a leggere, ma non a studiare e perlopiù si divertiva a renderla oggetto dei propri scherzi, quasi che il gioco più famoso nel mondo dei maghi non gli fosse mai bastato davvero. Erano legati, lo amava come si ama un fratello, ed il loro rapporto si era stabilizzato soltanto dopo il suo quasi annegamento a Blarney: fino ad allora, Desmond l'aveva canzonata, presa in giro, richiusa negli sgabuzzini angusti del maniero e lasciata sola il più delle volte. Affrontare le proprie paure era stata una questione di principio, più che di sopravvivenza, e nelle lunghe ore trascorse al buio, tra una ramazza e un secchio di latta con qualche strofinaccio all'interno, Thalia aveva compreso di dover agire per prima, sempre e comunque, se non con la forza fisica con quella della parola. Sua madre aveva fatto delle parole il proprio mestiere ed era grata che sua figlia avesse preso da lei almeno quella capacità: usare la voce per avvantaggiarsi, ferire o sottomettere era tipico di qualunque bulletto in circolazione, ma per lei era l'unica arma a disposizione. E benché sapesse di dover mitigare l'arroganza col sarcasmo e di dover mutare quest'ultimo in ironia, il passaggio non era sempre immediato; così, anche quando cercava di usare un tono più leggero, finiva per essere arrogante e saccente. Era un aspetto che avrebbe dovuto imparare a padroneggiare meglio, ma a diciassette anni suonati trovava difficile mitigare l'indole che si era formata in così tenera età e che l'aveva tanto aiutata a far chiudere il becco a Desmond.

In un certo senso, la reazione di Aiden la colpì in molti modi diversi. Il primo, il più immediato, fu la sorpresa. Che si sentisse spazientito era un bene e benché fosse stupita che ci avesse messo così tanto a sbottare una frase per distoglierla dal porre scomode domande, rimase scioccata dal linguaggio non verbale. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, lo si leggeva chiaramente nella mascella contratta fino allo spasimo, e aveva scelto di tacere quando i ragazzini li avevano superati con fare noncurante. Rispettava la privacy cercata, ma questo era ovvio, poiché chiunque avesse visto il Prefetto Moran in compagnia di un Auror, e per di più impegnata in un accesa discussione, avrebbe fatto domande, diffuso sussurri e ben presto ogni quadro avrebbe spifferato la loro conversazione. Fortunatamente, l'imboccatura del primo piano non possedeva ritratti particolari, ma solo un arazzo piuttosto grande a qualche metro alla loro sinistra. Nessuno aveva ascoltato la loro conversazione, nessuno aveva assistito a quell'incontro dal sapore quasi clandestino. Nella sua mente, Thalia immaginò senza fatica che cos'avrebbe fatto Mike se l'avesse vista in quel momento e con altrettanta forza d'animo scacciò il pensiero, prima che questo potesse pregiudicare la sua determinazione a portare a termine quel colloquio improvvisato. La seconda reazione fu di sgomento: se aveva irrigidito i muscoli facciali a quel modo, chissà quale riflessione doveva aver avuto luogo nella sua testa. Forse aveva persino pensato di ripetere l'esperienza vissuta ad Hogsmeade e per un momento la rigidità prese possesso anche del suo corpo, sbilanciandola appena. Non poteva pensare che avrebbe ripetuto lo stesso errore ancora e ancora; doveva porre fine a quella situazione prima che fosse tardi. Tuttavia, nel trovarsi bloccata tra Aiden e quel dannato muro, il suo cervello smise di lavorare a dovere: il blackout fu totale e improvviso, inspiegabile. Tutto ciò che disse dopo fu il mero risultato di quello stesso istinto ancestrale legato a doppio filo col proprio DNA. La Thalia ribelle, pronta a sputar sentenze aveva colpito ancora, ma Aiden non sembrava affatto sorpreso o spaventato. Le era parso rigido quando i loro sguardi si erano incrociati, il suo - gelido e spaventato al tempo stesso - e quello di lui, desideroso di provocarle una reazione di tipo diverso, una sorta di abuso mentale. Cedere non era mai stato così invitante, ma per un attimo la Thalia razionale era riemersa dalle tenebre ed aveva fatto luce nell'oscurità data dall'incertezza. Attaccare prima di essere feriti, scappare prima di finire in una situazione spiacevole. E quella era davvero una pessima situazione con un tempismo tremendo.

Ricominciò a respirare a dovere solo quando i palmi delle sue mani si staccarono dalla parete e le braccia dell'Auror ciondolarono appena lungo i fianchi. Lo sguardo fiero tradì l'impressione che lui poté avere di un bagliore improvviso negli occhi della Tassorosso, quello che preannunciava un nuovo attacco e il conseguente pentimento. Continuavano a sfidarsi, senza esclusione di colpi, in una lotta senza senso e senza fine. Eppure ne aveva bisogno, come si ha bisogno dell'aria per respirare. Doveva imporsi su di lui in qualche modo e la parola, ancora una volta, sarebbe stata la sua unica arma. Inspiegabilmente, per la seconda volta, schiuse le labbra per ribadire un concetto che aveva già espresso centinaia di volte in salse diverse, e le richiuse subito dopo senza avere la forza - o forse il coraggio - di pronunciarle. Aiden aveva eseguito il migliore degli incantesimi, esercitando su di lei una forza che solo i famigliari e i docenti sapevano avere effetto su di lei: la soggezione dell'autorità. In qualche modo, con quelle parole e la posa, Aiden aveva ribaltato i ruoli ed aveva fatto sì che si sentisse in debito con lui per aver condiviso uno spaccato delle rispettive vite. In quanto Auror, spesso era loro compito ascoltare la gente e mettersi al loro servizio. Ed era questo, il fatto di essere ciò che era, a metterla in soggezione. Nonostante si fosse comportato come un ragazzino in preda alle follie adolescenziali, Aiden Weiss era tornato ad essere ai suoi occhi l'uomo, quasi trentenne, con un Distintivo da Auror e una missione da compiere. L'inversione era stata così repentina da lasciarla senza parole e boccheggiò per un istante, prima di scegliere saggiamente di non proseguire. Aveva perso, contro ogni aspettativa ed intenzione. Il fastidio, ben più della vergogna, salì a fior di pelle e le arrossò le guance pallide. Decise di non aggiungere nulla, nonostante tutto. Nonostante lo volesse con ogni cellula del proprio corpo e della mente.
Stava quasi per rilassarsi all'idea che quel supplizio interiore fosse finito, quando lui ebbe l'ardire di continuare a parlare. Quasi ipnotizzata dall'idea di essere quasi libera, annuì decisa. Seguì con lo sguardo i gesti meccanici delle dita e continuò a seguirle quando quelle gli porsero il braccialetto. Lo osservò per un istante, affascinata dalla combinazione del cordoncino e del simbolo che non riluceva affatto alla luce delle torce lontane. In che razza di missione aveva ricevuto quell'oggetto? La domanda lasciò il posto al silenzio, mentre distoglieva lo sguardo per portarlo sul volto dell'Auror. La stava supplicando di accettarlo e quel sorriso a fior di labbra era tutto ciò di cui avesse bisogno per comprenderlo. Desiderava entrare al Ministero fin da bambina, ma il sogno di diventare Auror era stato parte di una fantasia maturata di recente. Aiden era uno dei pochi a saperlo e in un certo qual modo si sentiva legata a lui da quel segreto. Nemmeno Mike sapeva che cosa sarebbe stato di lei dopo i M.A.G.O., ma sospettava che il ragazzo avesse un minimo sentore della questione se non proprio una piena consapevolezza. Si trattava del sogno di un'adolescente che tanto aveva speso fino a quel momento per la salvaguardia del prossimo. L'Esercito degli Studenti, il Comitato,... tutto faceva parte di un disegno già tracciato, ma di cui Thalia non aveva saputo interpretare le forme. Era stata una sorpresa scoprirsi interessata alla professione ed il fatto che Aiden incarnasse ciò che lei voleva diventare rendeva tutto estremamente più difficile. Sollevò lentamente il braccio destro, porgendogli la mano come a volergli suggerire di lasciarlo cadere nel palmo morbido e ristabilito appieno; un minimo cenno affermativo del capo gli comunicò la decisione definitiva. Senza ragione apparente, senza sapere come avrebbe potuto spiegare ad altri - ma soprattutto a se stessa - quel comportamento; un attimo dopo, l'argento incontrò la sua mano. «Anche a te, Aiden.» mormorò a mezza voce, senza distogliere lo sguardo da lui. Lo aveva reso felice con quel gesto? In quel momento non riusciva a pensare ad altro che non fosse quello; era un'idea così in contrasto con l'opinione che aveva di lui da non lasciare spazio a dubbi su come si sentisse davvero in quel momento. Confusa, sicuramente, sarebbe stato il termine più appropriato.

«Dovresti andare tu per primo.» sussurrò dopo qualche secondo di silenzio di troppo, aprendo con uno scatto la chiusura della borsetta e riponendovi all'interno il braccialetto. Non voleva che Mike li vedesse insieme: solo in quel momento realizzò di aver lasciato sola Nieve sul palchetto di Peverell e che il Serpeverde, vedendola sola, avrebbe potuto chiedere di lei. Si sentì doppiamente stupida per aver dimenticato l'Anello in dormitorio e pensò, sperandolo ardentemente, che la sagacia della Rigos - per una volta - sarebbe stata davvero cosa gradita. Nell'osservarlo prendere le distanze da lei, non percepì più la sensazione di oppressione allo stomaco dell'inizio di serata e non se ne stupì più di tanto: seppur con mezzi poco consoni, avevano trovato il modo di interagire e sfogare la frustrazione delle settimane recenti. Non si era curata di dar spettacolo, né Aiden era sembrato sorpreso di vederla ridotta in quello stato. Forse non mentiva totalmente sul perdono che sapeva di dover guadagnare e smise di chiedersi che cosa fosse disposto a fare pur di ottenerlo del tutto.
«Non credo nel Destino, Aiden, ma credo nelle persone e nelle scelte.» aggiunse a quel punto, quando un metro o poco più li separava e lui le voltava le spalle. Appoggiandosi lateralmente alla parete, ebbe modo di osservarne il profilo, lo sguardo attento e l'orecchio teso. «Non farlo mai più. Sul serio.» - Non c'era bisogno di chiedere se avesse capito: era certa che fosse davvero così.
Prefetto ⚜ 17 anni ⚜ Tassorosso

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view post Posted on 17/1/2019, 13:57
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Il Sapore della Cenere
Aiden Weiss

Al di là di ogni aspettativa, Thalia sembrò aver capito che quel loro siparietto, fatto di sfide silenziose e di battibecchi venati di sarcasmo, andava concluso al più presto. Non aveva senso continuare, non c’era più ragione di rigirare la stessa frittata all’infinito e Aiden ne era saturo a tal punto da aver reagito in modo stizzito. Era stufo delle invettive di Thalia, del suo disprezzo e della sua diffidenza. Da un lato comprendeva che era giustificabile un simile comportamento, specialmente dopo aver intravisto l’ombra della paura riflessa nei suoi occhi, ma non concepiva il disprezzo nato da un singolo e sconsiderato errore. Solo se l’avesse toccata in modo differente avrebbe potuto concordare sulla linea di condotta della Moran, ma non per un bacio, per quanto arrogante fosse stato.
Aveva sì bisogno di tempo, sia per capire il vero motivo che l’aveva spinto a compiere un simile gesto, sia per accertarsi che non si stesse tramutando in un qualcosa di tremendamente sbagliato. E il senso di desiderio, che lo aveva tenuto incollato con i palmi su quella parete nel tenerla bloccata sul posto, era stato decisamente inopportuno. Solo in quel momento, mentre fissava la ragazza negli occhi in quel lungo silenzio divisorio tra loro, si rese conto di aver nutrito per lei il più orrido dei peccati e per fortuna che lo aveva solo commesso mentalmente; semmai avesse osato metterlo in pratica, in una qualsivoglia maniera, sarebbe corso alla Torre di Astronomia e si sarebbe gettato di sotto senza esitazione. Non poteva permettersi simili pensieri o sensazioni, ecco perché sentiva di dover mettere fine a quei sentimenti che sentiva crescere ad ogni istante che passava assieme lei.
Si sentì tremendamente in colpa per aver anche solo pensato di volersi avvicinare ancora di più a lei, di sfiorare la spalla nuda e chiara o anche solo un braccio, o scioglierle l’acconciatura per poter giocare con i suoi capelli soffici e setosi. Si sentì un mostro per aver anche solo permesso a simili pensieri di solleticargli la mente.
Perché doveva essere tutto così sbagliato? Perché lui si sentiva sbagliato? Cosa gli stava succedendo?
Beh, almeno sta zitta... constatò mentre la scrutava e studiava, intenzionato a capire se volesse ritornare a colpirlo con le sue parole sferzanti.
Il senso di vittoria su Thalia fu dolceamaro. Non si era aspettato di riuscire a zittirla senza ricorrere ad altre misure, non si era aspettato affatto di disarmarla di tutte le armi che aveva a disposizione; tuttavia aveva vinto, ma non si sentiva totalmente soddisfatto. C’era qualcosa in lui che lo faceva sentire profondamente afflitto: aveva fatto di tutto pur di avere un momento con lei e scusarsi, forse addirittura riuscendo a farsi perdonare un poco, ma non del tutto. Il suo pensiero poi corse a Nieve e alle parole sprezzanti che gli aveva sputato addosso in tono quasi ferino, che lui stesso aveva bellamente ignorato e che in quel momento comprese essere la sua unica àncora di salvezza. Doveva stare lontano da Thalia, per il bene di entrambi, ma più che altro per il suo: solo standole lontano sarebbe riuscito nel suo intento di sbarazzarsi dei suoi sentimenti, solo prendendo le dovute distanze non avrebbe alimentato la sua mal riposta speranza.
Poi la mente si spostò su Mike, il ragazzo di Thalia, rimasto da solo nella Sala Grande. Quanta invidia mischiata a gelosia provava per lui, l’unico che poteva vantare di possedere l’anima e il cuore di Thalia senza subire ripercussioni. Era un ragazzo fortunato ad avere una ragazza come Thalia al suo fianco, mentre Weiss non poteva sperare in nessun tipo di legame con nessuno, men che meno con lei.

Aiden lasciò cadere il braccialetto sul palmo aperto di lei, in un chiaro gesto di accettazione di quel regalo improvvisato ma dal significato profondo. Le avrebbe lasciato qualcosa di sé, senza però aspettarsi nulla in cambio e in cuor suo sperò vivamente che lei non ricambiasse in nessuno modo, se non con un sobrio ringraziamento.
Era felice però che ella avesse accettato, nonostante entrambi avessero iniziato ad erigersi intorno delle barriere difensive, e non lo nascose: nel momento stesso in cui lei ricambiò anche l’augurio, Aiden sorrise con gentilezza.
Osservò riporre l’oggetto nella borsetta in assoluto silenzio, finché alla fine tornò a sollevare lo sguardo su di lei e annuì alla sua frase. Sì, sarebbe andato lui per primo, ma prima avrebbe dovuto estrarre la bacchetta e levarsi via le due macchie di sangue ancora presenti sul bianco della camicia. Non ci volle molto e il Gratta e Netta fu più che soddisfacente nel togliere via i segni di quel loro incontro che sapeva di clandestino. Cosa avrebbe pensato o detto se fossero stati visti insieme in quella semi oscurità del corridoio del Primo Piano?
Il fulvo si mosse in direzione delle scale, pronto a ritornare davanti alla Sala Grande e rimediare di tutti i minuti spesi nel trascurare i propri doveri, senza pronunciare un effettivo addio o un semplice buonanotte. I passi erano lenti ma leggeri, finché la voce di lei non sopraggiunse alle sue orecchie; a quel punto Weiss sospirò e volse lo sguardo su di lei, appoggiata di profilo contro la parete, come se si stesse nascondendo alla vista di occhi indiscreti. Gli occhi di lei erano oscurati dalle ombre, ma Aiden sapeva che erano lì a scrutarlo. «Mai più.» sussurrò lui in tono roco ma deciso, facendo eco alle parole di lei. Poi uscì dal campo visivo di Thalia e percorse la scalinata fino a ritornare alla festa e mescolarsi tra la folla per un ultimo giro all’interno della Sala.

Mai più l’avrebbe baciata.
Mai più l’avrebbe guardata.
Mai più l’avrebbe desiderata.
⤿ Auror ⤿ 27 anni ⤿ Ex Grifondoro ⤿ Outfit

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