O
gni tanto le tornava in mente la legnosa compagna della maestra di letteratura: non se ne separava mai.
Madam Eimhir era una donna grassottella, che adorava gli abiti a fiori e la cultura letteraria: ogni sua lezione cominciava con una distribuzione uniforme di un balsamo per le labbra; nessuno capiva la vera utilità di quel gesto, ma dopo di esso tutti sapevano che avrebbe cominciato a raccontare e che ne avrebbe avute da dire per ore ed ore ed ore ed ore... Se qualcuno avesse deciso di interrompere il suo eloquio per qualcosa non inerente, madam Eimhir posizionava sul lungo tavolo, che fungeva da cattedra, la sua legnosa compagna, custodita gelosamente nella grande e disordinata borsa.
Era molto più snella di lei, decisamente meno elegante e lunga appena sedici centimetri; i punti a suo favore erano lo spessore, la durezza ed il peso. Posarla sul tavolo era solo un avvertimento, perché al passo successivo l’avrebbe scomodata; l’unica speranza dei piccoli orfanelli era la mira dell’insegnante. Sapevano bene quanto la donna fosse pigra, non si sarebbe mai alzata dalla sua sedia se non a lezione finita, quindi tutto ciò che spettava alla legnosa compagna era un bel volo verso il banchetto del monello di turno che avrebbe dovuto evitare di scansarsi, pena la furia del compagno che avrebbe ricevuto la visita al suo posto. Quando bisognava seguire la lezione di letteratura infatti, tutti evitavano di alzarsi troppo tardi, altrimenti avrebbero trovato posti liberi solo ai primi banchi, dai quali la mira della maestra era decisamente più accurata. Anche se spesso, dato il peso e la forma poco aerodinamica, la legnosa compagna dell’insegnante finiva sulle gambe del diretto interessato anziché sulle braccia, che erano il vero obiettivo.
Susan, la bambina dai capelli scuri, insolitamente silenziosa e che sembrava avere sempre qualcosa da nascondere, aveva provato quel manufatto sulla sua pelle più volte quando il vero interessato si era scansato che direttamente.
La sua classe era composta da appena undici bambini, di età diverse tra loro poiché il criterio di smistamento seguiva regole sconosciute agli studenti. Quelli che dovevano essere i banchi e che in realtà erano dei tavolini di misure diverse, erano disposti in tre file per tre colonne: ce n’erano due più larghi che riuscivano a contenere due alunni, mentre gli altri sette erano singoli.
Susan si sedeva sempre al solito singolo posto: secondo banco sulla destra, sotto la finestra. Precisa e abitudinaria, spesso neanche ci si accorgeva della sua presenza ed ormai quel banco era invisibile a tutti, anche se la bambina arrivava in ritardo lo trovava sempre libero, riusciva persino a considerare la cosa come una premura: significava che nella profondità dei pensieri di tutti c’era anche lei, seppur occupando uno spazio minuscolo. E ciò non poteva che farle piacere.
Da quella posizione riusciva a fingere di essere attenta alle lezioni di madam Eimhir quanto bastava per riuscire a riprendere il filo del discorso nei momenti più interessanti, così facendo le probabilità di ricevere in visita la legnosa compagna erano minime. Chi invece arrivava troppo tardi e trovava posto al banco davanti al suo, poteva considerarsi fortunato dato che la bambina silenziosa non si arrabbiava, né si offendeva se ci si spostava dalla traiettoria della maestra. Se ci pensava troppo, il trovare quel posto sempre libero poteva considerarsi un ottimo compromesso.
Comunque, si sapeva che la legnosa compagna era clemente, tendeva a non essere troppo aggressiva ed al massimo lasciava sulla pelle dei leggeri lividi, che alcuni bambini mostravano come trofeo per averle tenuto testa senza piangere. I ragazzini più grandi, invece, raccontavano le proprie esperienze con quel rigido strumento come fossero storie di eroi leggendari che l’avevano smussata solo per i più piccoli.
La leggenda di quando ne fu misurata la lunghezza era tra le storie più raccontate ed apprezzate da tutti, quella che Susan ricordava meglio.
S
i racconta di una certa coppia che aveva escogitato al dettaglio ogni mossa: durante un viaggio nella città più vicina all’orfanotrofio, era stata acquistata (c’è chi invece preferisce dire “rubata”), una strana pillola babbana da ingerire quando non si riesce ad andare in bagno (chiamata
lassativo dagli orfani più grandi che vietano l’utilizzo di quella parola davanti agli adulti), la quale era stata accuratamente riposta in una scone. Le scone sono delle tipiche brioche scozzesi che nell’istituto non venivano preparate molto spesso, però quando succedeva nessuno faceva mai ritardo alla colazione! Il giorno di quella leggenda, una scone fu nascosta da uno dei due membri di quella coppia eroica, accuratamente riposta in un fagotto di carta e impacchettata a dovere dopo essere stata contraffatta da quella pillola. Durante la lezione, prima che la maestra iniziasse a parlare, il più coraggioso della coppia si alzò in piedi per poter fare quel regalo “per la persona più amata dai bambini dell’istituto”. Madam Eimhir accolse con gioia quel regalo che mangiò di corsa, altrimenti dalla cucina si sarebbero lamentati di quel furto e magari non sarebbe più potuta accadere una cosa del genere.
La lezione iniziò normalmente, tutti i ragazzi erano in trepida attesa che accadesse qualcosa, rendendosi conto del fatto che la brioche aveva reso l’insegnante decisamente più clemente e nessuno fece scomodare la sua legnosa compagna.
Come già detto, la maestra non osava mai alzarsi dal suo posto se non a lezione finita, ma quel giorno qualcosa di più necessario la costrinse a muoversi intimando silenzio nella classe prima di correre via. Il panico di non vedere la causa di tutto quel marchingegno sul tavolo raggiunse i due ideatori del piano, che non si diedero per vinti e si alzarono in coppia: lei vicino la porta si accertava che il vestito a fiori non ricomparisse nel corridoio, mentre lui rovistava nella borsa. Il resto della classe era in ansia, non si era mai sentito tanto silenzio con l’assenza di un insegnante.
La borsa era un disastro, conteneva tantissime cose, molte delle quali con utilizzi ignoti per i più piccoli ed il ragazzino non riusciva a trovare il manufatto; fu costretto a rovesciare il contenuto sul tavolo, provocando lo stupore dell’intera aula mentre l’amica lo incoraggiava a sbrigarsi da sotto la cornice della porta. Una volta trovato il pezzo di legno venne mostrato all’aula intera come un trofeo e tutti esultarono silenziosamente, ma solo per pochi istanti poiché era sorto il quesito successivo: con cosa l’avrebbero misurato?
Velocemente una bambina dal secondo banco, sotto la finestra, si alzò un poco tremante, ma felice di potersi rendere utile. Il suo piccolo astuccio, oltre le matite ed una gomma consumata, conteneva sempre un righello 20cm per lei indispensabile. Aveva gli angoli smussati, righe di usura su parte della superficie, ma i numeri visibili.
Mai sorriso di gratitudine fu più brillante e le guance della bambina non poterono che arrossarsi.
Sedici centimetri era il loro premio, misurati in fretta e furia.
Tutti gli oggetti tornarono nella borsa, il ragazzino mostrò il pollice all’amica che tornò subito al suo posto mentre lui, con fare galante si avvicinò alla proprietaria del righello, tenendolo come una spada d’oro e prima di restituirlo, senza dire parola, baciò quella plastica sottile; poi anche lui corse al suo posto.
Quando il vestito a fiori di madam Eimhir attraversò nuovamente la porta, i bambini erano ancora in totale silenzio, anche se qualcuno di loro tendeva a parlottare con il vicino di banco. Forse quel silenzio era troppo inusuale per l’insegnante, oppure anche lei nascondeva qualche asso nella manica, fatto sta che appena sistemata comodamente sulla sua sedia, prese in mano la borsa rovistando al suo interno. Sembrava cercare qualcosa di specifico, qualcuno tra i banchi ingoiava la poca saliva accumulata, con tutto quel disordine come poteva accorgersi che fosse stata manomessa? Era davvero possibile?
Improvvisamente madam Eimhir alzò lo sguardo verso la classe, con ancora una mano all'interno di quella fossa che sembravano essersi scavati da soli. Fu un momento di breve durata, durante il quale la bambina dagli occhi scuri trattenne il respiro poiché, visto da quel lato, l'istante sembrava molto più lungo, tanto che i piccoli polmoni imploravano di ricevere ossigeno. L'insegnante tornò a guardare verso la borsa, incredula di non riuscire a trovare quello che stava cercando, finché non si arrese e lasciò perdere. Stava per rimettere la borsa al suo posto quando si accorse di qualcosa: il suo balsamo per labbra era vicino ai piedi della cattedra. Nessuno si era accorto che fosse caduto? L’impeto e la paura di compiere quel misfatto aveva accecato gli occhi di tutti?
Madam Eimhir lo raccolse, con un volto dubbioso che durò pochi secondi. Si alzò in piedi osservando uno per uno i bambini nell’aula. Il silenzio era totale, Susan riusciva a percepire il battito del suo piccolo cuore rimbombare in tutta la classe. La voce dell’insegnante risultò vagamente rauca mentre chiedeva a tutti come era possibile che il suo prodotto per labbra fosse finito a terra, fuori dalla sua borsa e all'assenza di una risposta da parte dei bambini non c’era alternativa: la sua legnosa compagna aveva trovato il compito per quella giornata. Madam Eimhir gridava verso tutti parlando di educazione e rispetto, soprattutto nei confronti degli adulti come lei, girando tra i banchi impugnando la sua arma di legno pronta a sferrarla per una qualsiasi obiezione, finché abbassò il volume della voce e propose il suo ricatto.
«Se non verranno fuori dei nomi, sarete puniti tutti».Per un istante che parve infinito nessuno parlò, un bambino spaventato in prima fila si voltò indietro, con gli occhi lucidi, osservando Susan che aveva paura quanto lui. Erano i più piccoli in quella classe e non avrebbero detto i nomi dei ragazzini più grandi, soprattutto perché spesso penalizzavano in maniera peggiore degli insegnanti stessi, anche se la voglia di farlo per scappare da quella furia sembrava l’unica soluzione per fermare le lacrime che desideravano venire fuori. Susan deglutì, non riuscendo più a percepire il suo battito e cercando di tenere lo sguardo fisso su madam Eimhir, senza spostarlo verso il suo righello che la rendeva una complice, chiunque avrebbe potuto puntare il dito anche contro di lei.
Contemporaneamente al momento in cui il bambino tornò con lo sguardo di fronte a sé, singhiozzando appena, il ragazzino che aveva svuotato la borsa sul tavolo dell'insegnante e che non si era accorto dell’errore commesso, si alzò in piedi intento a volersi assumere tutte le colpe. Ma il piccolo Andrea, ormai di spalle, non lo aveva visto e la paura lo stava divorando:
«Paul… Martha… e... Susan» Tra un singhiozzo e l'altro dalla sua bocca uscirono fuori tre nomi, non gli importava cosa avrebbero potuto fargli, qualsiasi cosa pur di fare smettere di pulsare i suoi occhi.
Si udì il battito delle mani di Paul sul suo banco, aveva atteso troppo per alzarsi in piedi e per questo si considerava di una colpa ancora più grande. Era inutile prendersela con Andrea, lui era sempre stato il membro più debole di quella classe.
Susan si sentì tradita dal suo coetaneo, ma cominciò a credere che lo sguardo ricevuto poco prima fosse un modo per scusarsi, per chiedere perdono per l’azione che stava commettendo; non se la sarebbe mai presa con il piccolo Andrea e senza dire parole si alzò in piedi anche lei. Martha invece tentò di replicare, giustificando l’accusa ricevuta, ma con madam Eimhir non si contratta. Furono spediti tutti e tre al cospetto di uno dei dirigenti dell’istituto che avrebbe deciso la loro sorte.
Paul prese la cosa piuttosto bene e anzi, avrebbe raccontato tutta la vicenda come suo solito, narrando la leggenda del prode eroe che aveva tentato di salvare tutti; Martha era molto più restia ad assolvere a quel castigo e probabilmente se la sarebbe presa col piccolo Andrea per qualche tempo; Susan invece, lei aveva una fifa nera, era la sua prima punizione a tutti gli effetti. Era sempre stata buona e calma, silenziosa e attenta, proprio per evitare tutto ciò. Quella nuova esperienza la spaventava; non riusciva a non sentirsi complice del misfatto, ma non riusciva neanche a credere di meritare davvero la punzione, in fondo non aveva fatto nulla! Era stato Paul, lui e Martha avevano fatto tutto, lei cosa c'entrava? Voleva solo dare una mano...
Ottennero qualche turno di lavoro in più nelle faccende per l'istituto, tre giorni di punizione mattutina e pagine su pagine di “devo avere rispetto per gli oggetti degli adulti” da compilare, il tutto sotto la supervisione di un’insegnante. Per tale ruolo si offrì ovviamente madam Eimhir, che intendeva compiere altre strigliate ai tre birbanti. Il primo giorno, nella classe designata per la redenzione, la bambina non riusciva a tenere fermi i suoi arti in attesa dell’arrivo dell’insegnante: era seduta sulla sinistra, in prima fila, e continuava a muovere le gambe in su e in giù, con i piedi sulle punte, mentre si accarezzava le mani tra loro sotto il banchetto. Al suo fianco destro sedeva Paul, abituato a quella tiritera era con la testa tra le mani, pronto a finire nel mondo dei sogni. All'estremo opposto invece, alla destra di Paul, doveva essere seduta Martha, che era in ritardo.
Quel giorno la voce di madam Eimhir era talmente alta da potersi sentire fino al cortile, o almeno così era sembrato alla piccola Susan, che continuava a trattenere quelle fastidiose goccioline che volevano fuggire via dai suoi occhi. L'insegnante rimproverò il terzetto riportando alla luce il significato di educazione e rispetto, che secondo lei mancava nelle loro testoline. Non impugnava la sua legnosa compagna, ma minacciava di prenderla al primo respiro fuori posto. Quando ritenne che il suo sfogo fosse sufficiente, consegnò i fogli e le matite così che la vera punizione poté cominciare.
Non ci volle molto a fare stancare la mano della piccola Susan che non era abituata a scrivere così tanto, tanto a lungo e quando si fermava per massaggiarsi il polso, si voltava ad osservare la stanza: Paul procedeva spedito senza sosta, quasi fosse una gara a chi finiva prima, mentre Martha scriveva con la testa poggiata su una mano; la madam era intenta a leggere quello che sembrava un giornale e quando alzava la testa verso il terzetto, richiamava la ragazzina non gradendo la sua posizione:
«Martha, composta! Hai il collo per reggere la testa» ma la ragazzina, imperterrita, tornava a rilassare il capo ad ogni occasione.
Il secondo incontro si prospettava identico al precedente, ma questa volta Susan era ancora più spaventata: aveva passato il resto del giorno precedente da sola, evitando chiunque per paura di ricevere altre ingiurie ed aveva finto di non provare nulla, sbloccando le lacrime che le pulsavano sotto gli occhi solo nei posti in cui era certa di essere sola. Non sapeva se sarebbe stata in grado di sopportare altri due giorni in quello stato e solo l'idea le creava un vortice insistente nello stomaco. Probabilmente il suo volto stava diventando pallido.
«Rilassati» Disse all'improvviso il ragazzino, forse anche disturbato dal continuo fruscio delle gambine della piccola. Aveva sempre la testa poggiata sulla mano, il braccio quasi totalmente disteso sul banco e il mento sollevato verso Susan, che iniziò a guardarlo spaventata ignara di cosa volesse da lei in quel momento.
«Quanti anni ti hanno detto che hai?» La domanda arrivò affilata come una lama alle orecchie della piccola. Rimase spaesata per qualche secondo, giusto il tempo di fare rialzare la testa a Paul e farlo girare verso di lei per attendere una risposta.
«Sei» rispose flebile Susan, che aveva finalmente smesso di muovere le gambe. Il suono della sua voce le era parso totalmente diverso da come ricordava.
«Ah interessante, da aggiungere ai motivi della divisione studenti» Rispose rapido Paul prima di indicarsi continuando il discorso,
«A me invece dicono che ne ho sette, però secondo me ne hanno saltato qualcuno!» Ghignò poi, per lui era normale prendere in giro tutti gli istitutori, anche se forse il suo tentativo era quello di risollevare il morale della piccola:
«Comunque grazie per il righello! Andrea poteva risparmiarsi il tuo nome, in fondo non hai fatto nulla...»«É solo un fifone» la voce di Martha concluse il discorso di Paul, mentre si avvicinava a lui porgendogli dal basso il palmo della mano, che lui colpì con la sua come saluto. Agli occhi di un estraneo era evidente che i due avessero stretto un legame molto forte tra loro; a quelli di Susan invece, il loro comportamento era qualcosa di mirabile. Lei non aveva stretto alcun legame tanto forte e non si sentiva neanche capace di sostenerlo.
Quel secondo giorno non andò quindi come il precedente e prima dell'arrivo dell'insegnante Susan aveva imparato un nuovo gioco:
«Devi scrivere in colonna, non in riga! Lettera per lettera in stampatello. È più divertente così!»Il terzo ed ultimo giorno di punizione fu decisamente diverso. La presenza di Paul e Martha era diventata quasi necessaria per la piccola Susan che il giorno prima era riuscita, grazie a loro, ad essere in compagnia di altri bambini, ad ascoltare le vere scuse di Andrea. Continuava a sentirsi in colpa, certo, le parole della madam la trafiggevano come cocci aguzzi di bottiglia che rimanevano incastrati nella sua testolina, tormentandola persistentemente, ma adesso aveva trovato un modo per riuscire a smussarli.