P u z z l e P i e c e s

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view post Posted on 22/5/2019, 19:42
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Tempo
metà Novembre, pieno Autunno – 6 anni

Luogo
Scozia, Ayrshire Settentrionale — Institiud cùram-cloinne


Contest a Tema - Maggio 2019

La resilienza è una proprietà meccanica definita come la capacità di un materiale di resistere agli urti assorbendone l’energia elasticamente. Viene misurata mediante il pendolo di Charpy, il quale calcola sperimentalmente il valore di energia meccanica che provoca la rottura del materiale:
K = mgh’ – mgh
dove
m : massa del peso del pendolo
g : accelerazione di gravità
h' : posizione di partenza
h : posizione d'arrivo

La resilienza del legno dipende dal legno stesso e dal suo spessore.
O
gni tanto le tornava in mente la legnosa compagna della maestra di letteratura: non se ne separava mai.
Madam Eimhir era una donna grassottella, che adorava gli abiti a fiori e la cultura letteraria: ogni sua lezione cominciava con una distribuzione uniforme di un balsamo per le labbra; nessuno capiva la vera utilità di quel gesto, ma dopo di esso tutti sapevano che avrebbe cominciato a raccontare e che ne avrebbe avute da dire per ore ed ore ed ore ed ore... Se qualcuno avesse deciso di interrompere il suo eloquio per qualcosa non inerente, madam Eimhir posizionava sul lungo tavolo, che fungeva da cattedra, la sua legnosa compagna, custodita gelosamente nella grande e disordinata borsa.
Era molto più snella di lei, decisamente meno elegante e lunga appena sedici centimetri; i punti a suo favore erano lo spessore, la durezza ed il peso. Posarla sul tavolo era solo un avvertimento, perché al passo successivo l’avrebbe scomodata; l’unica speranza dei piccoli orfanelli era la mira dell’insegnante. Sapevano bene quanto la donna fosse pigra, non si sarebbe mai alzata dalla sua sedia se non a lezione finita, quindi tutto ciò che spettava alla legnosa compagna era un bel volo verso il banchetto del monello di turno che avrebbe dovuto evitare di scansarsi, pena la furia del compagno che avrebbe ricevuto la visita al suo posto. Quando bisognava seguire la lezione di letteratura infatti, tutti evitavano di alzarsi troppo tardi, altrimenti avrebbero trovato posti liberi solo ai primi banchi, dai quali la mira della maestra era decisamente più accurata. Anche se spesso, dato il peso e la forma poco aerodinamica, la legnosa compagna dell’insegnante finiva sulle gambe del diretto interessato anziché sulle braccia, che erano il vero obiettivo.

Susan, la bambina dai capelli scuri, insolitamente silenziosa e che sembrava avere sempre qualcosa da nascondere, aveva provato quel manufatto sulla sua pelle più volte quando il vero interessato si era scansato che direttamente.
La sua classe era composta da appena undici bambini, di età diverse tra loro poiché il criterio di smistamento seguiva regole sconosciute agli studenti. Quelli che dovevano essere i banchi e che in realtà erano dei tavolini di misure diverse, erano disposti in tre file per tre colonne: ce n’erano due più larghi che riuscivano a contenere due alunni, mentre gli altri sette erano singoli.
Susan si sedeva sempre al solito singolo posto: secondo banco sulla destra, sotto la finestra. Precisa e abitudinaria, spesso neanche ci si accorgeva della sua presenza ed ormai quel banco era invisibile a tutti, anche se la bambina arrivava in ritardo lo trovava sempre libero, riusciva persino a considerare la cosa come una premura: significava che nella profondità dei pensieri di tutti c’era anche lei, seppur occupando uno spazio minuscolo. E ciò non poteva che farle piacere.
Da quella posizione riusciva a fingere di essere attenta alle lezioni di madam Eimhir quanto bastava per riuscire a riprendere il filo del discorso nei momenti più interessanti, così facendo le probabilità di ricevere in visita la legnosa compagna erano minime. Chi invece arrivava troppo tardi e trovava posto al banco davanti al suo, poteva considerarsi fortunato dato che la bambina silenziosa non si arrabbiava, né si offendeva se ci si spostava dalla traiettoria della maestra. Se ci pensava troppo, il trovare quel posto sempre libero poteva considerarsi un ottimo compromesso.

Comunque, si sapeva che la legnosa compagna era clemente, tendeva a non essere troppo aggressiva ed al massimo lasciava sulla pelle dei leggeri lividi, che alcuni bambini mostravano come trofeo per averle tenuto testa senza piangere. I ragazzini più grandi, invece, raccontavano le proprie esperienze con quel rigido strumento come fossero storie di eroi leggendari che l’avevano smussata solo per i più piccoli.
La leggenda di quando ne fu misurata la lunghezza era tra le storie più raccontate ed apprezzate da tutti, quella che Susan ricordava meglio.

S
i racconta di una certa coppia che aveva escogitato al dettaglio ogni mossa: durante un viaggio nella città più vicina all’orfanotrofio, era stata acquistata (c’è chi invece preferisce dire “rubata”), una strana pillola babbana da ingerire quando non si riesce ad andare in bagno (chiamata lassativo dagli orfani più grandi che vietano l’utilizzo di quella parola davanti agli adulti), la quale era stata accuratamente riposta in una scone. Le scone sono delle tipiche brioche scozzesi che nell’istituto non venivano preparate molto spesso, però quando succedeva nessuno faceva mai ritardo alla colazione! Il giorno di quella leggenda, una scone fu nascosta da uno dei due membri di quella coppia eroica, accuratamente riposta in un fagotto di carta e impacchettata a dovere dopo essere stata contraffatta da quella pillola. Durante la lezione, prima che la maestra iniziasse a parlare, il più coraggioso della coppia si alzò in piedi per poter fare quel regalo “per la persona più amata dai bambini dell’istituto”. Madam Eimhir accolse con gioia quel regalo che mangiò di corsa, altrimenti dalla cucina si sarebbero lamentati di quel furto e magari non sarebbe più potuta accadere una cosa del genere.
La lezione iniziò normalmente, tutti i ragazzi erano in trepida attesa che accadesse qualcosa, rendendosi conto del fatto che la brioche aveva reso l’insegnante decisamente più clemente e nessuno fece scomodare la sua legnosa compagna.
Come già detto, la maestra non osava mai alzarsi dal suo posto se non a lezione finita, ma quel giorno qualcosa di più necessario la costrinse a muoversi intimando silenzio nella classe prima di correre via. Il panico di non vedere la causa di tutto quel marchingegno sul tavolo raggiunse i due ideatori del piano, che non si diedero per vinti e si alzarono in coppia: lei vicino la porta si accertava che il vestito a fiori non ricomparisse nel corridoio, mentre lui rovistava nella borsa. Il resto della classe era in ansia, non si era mai sentito tanto silenzio con l’assenza di un insegnante.
La borsa era un disastro, conteneva tantissime cose, molte delle quali con utilizzi ignoti per i più piccoli ed il ragazzino non riusciva a trovare il manufatto; fu costretto a rovesciare il contenuto sul tavolo, provocando lo stupore dell’intera aula mentre l’amica lo incoraggiava a sbrigarsi da sotto la cornice della porta. Una volta trovato il pezzo di legno venne mostrato all’aula intera come un trofeo e tutti esultarono silenziosamente, ma solo per pochi istanti poiché era sorto il quesito successivo: con cosa l’avrebbero misurato?
Velocemente una bambina dal secondo banco, sotto la finestra, si alzò un poco tremante, ma felice di potersi rendere utile. Il suo piccolo astuccio, oltre le matite ed una gomma consumata, conteneva sempre un righello 20cm per lei indispensabile. Aveva gli angoli smussati, righe di usura su parte della superficie, ma i numeri visibili.
Mai sorriso di gratitudine fu più brillante e le guance della bambina non poterono che arrossarsi.
Sedici centimetri era il loro premio, misurati in fretta e furia.
Tutti gli oggetti tornarono nella borsa, il ragazzino mostrò il pollice all’amica che tornò subito al suo posto mentre lui, con fare galante si avvicinò alla proprietaria del righello, tenendolo come una spada d’oro e prima di restituirlo, senza dire parola, baciò quella plastica sottile; poi anche lui corse al suo posto.

Quando il vestito a fiori di madam Eimhir attraversò nuovamente la porta, i bambini erano ancora in totale silenzio, anche se qualcuno di loro tendeva a parlottare con il vicino di banco. Forse quel silenzio era troppo inusuale per l’insegnante, oppure anche lei nascondeva qualche asso nella manica, fatto sta che appena sistemata comodamente sulla sua sedia, prese in mano la borsa rovistando al suo interno. Sembrava cercare qualcosa di specifico, qualcuno tra i banchi ingoiava la poca saliva accumulata, con tutto quel disordine come poteva accorgersi che fosse stata manomessa? Era davvero possibile?
Improvvisamente madam Eimhir alzò lo sguardo verso la classe, con ancora una mano all'interno di quella fossa che sembravano essersi scavati da soli. Fu un momento di breve durata, durante il quale la bambina dagli occhi scuri trattenne il respiro poiché, visto da quel lato, l'istante sembrava molto più lungo, tanto che i piccoli polmoni imploravano di ricevere ossigeno. L'insegnante tornò a guardare verso la borsa, incredula di non riuscire a trovare quello che stava cercando, finché non si arrese e lasciò perdere. Stava per rimettere la borsa al suo posto quando si accorse di qualcosa: il suo balsamo per labbra era vicino ai piedi della cattedra. Nessuno si era accorto che fosse caduto? L’impeto e la paura di compiere quel misfatto aveva accecato gli occhi di tutti?
Madam Eimhir lo raccolse, con un volto dubbioso che durò pochi secondi. Si alzò in piedi osservando uno per uno i bambini nell’aula. Il silenzio era totale, Susan riusciva a percepire il battito del suo piccolo cuore rimbombare in tutta la classe. La voce dell’insegnante risultò vagamente rauca mentre chiedeva a tutti come era possibile che il suo prodotto per labbra fosse finito a terra, fuori dalla sua borsa e all'assenza di una risposta da parte dei bambini non c’era alternativa: la sua legnosa compagna aveva trovato il compito per quella giornata. Madam Eimhir gridava verso tutti parlando di educazione e rispetto, soprattutto nei confronti degli adulti come lei, girando tra i banchi impugnando la sua arma di legno pronta a sferrarla per una qualsiasi obiezione, finché abbassò il volume della voce e propose il suo ricatto. «Se non verranno fuori dei nomi, sarete puniti tutti».
Per un istante che parve infinito nessuno parlò, un bambino spaventato in prima fila si voltò indietro, con gli occhi lucidi, osservando Susan che aveva paura quanto lui. Erano i più piccoli in quella classe e non avrebbero detto i nomi dei ragazzini più grandi, soprattutto perché spesso penalizzavano in maniera peggiore degli insegnanti stessi, anche se la voglia di farlo per scappare da quella furia sembrava l’unica soluzione per fermare le lacrime che desideravano venire fuori. Susan deglutì, non riuscendo più a percepire il suo battito e cercando di tenere lo sguardo fisso su madam Eimhir, senza spostarlo verso il suo righello che la rendeva una complice, chiunque avrebbe potuto puntare il dito anche contro di lei.
Contemporaneamente al momento in cui il bambino tornò con lo sguardo di fronte a sé, singhiozzando appena, il ragazzino che aveva svuotato la borsa sul tavolo dell'insegnante e che non si era accorto dell’errore commesso, si alzò in piedi intento a volersi assumere tutte le colpe. Ma il piccolo Andrea, ormai di spalle, non lo aveva visto e la paura lo stava divorando: «Paul… Martha… e... Susan» Tra un singhiozzo e l'altro dalla sua bocca uscirono fuori tre nomi, non gli importava cosa avrebbero potuto fargli, qualsiasi cosa pur di fare smettere di pulsare i suoi occhi.
Si udì il battito delle mani di Paul sul suo banco, aveva atteso troppo per alzarsi in piedi e per questo si considerava di una colpa ancora più grande. Era inutile prendersela con Andrea, lui era sempre stato il membro più debole di quella classe.
Susan si sentì tradita dal suo coetaneo, ma cominciò a credere che lo sguardo ricevuto poco prima fosse un modo per scusarsi, per chiedere perdono per l’azione che stava commettendo; non se la sarebbe mai presa con il piccolo Andrea e senza dire parole si alzò in piedi anche lei. Martha invece tentò di replicare, giustificando l’accusa ricevuta, ma con madam Eimhir non si contratta. Furono spediti tutti e tre al cospetto di uno dei dirigenti dell’istituto che avrebbe deciso la loro sorte.

Paul prese la cosa piuttosto bene e anzi, avrebbe raccontato tutta la vicenda come suo solito, narrando la leggenda del prode eroe che aveva tentato di salvare tutti; Martha era molto più restia ad assolvere a quel castigo e probabilmente se la sarebbe presa col piccolo Andrea per qualche tempo; Susan invece, lei aveva una fifa nera, era la sua prima punizione a tutti gli effetti. Era sempre stata buona e calma, silenziosa e attenta, proprio per evitare tutto ciò. Quella nuova esperienza la spaventava; non riusciva a non sentirsi complice del misfatto, ma non riusciva neanche a credere di meritare davvero la punzione, in fondo non aveva fatto nulla! Era stato Paul, lui e Martha avevano fatto tutto, lei cosa c'entrava? Voleva solo dare una mano...
Ottennero qualche turno di lavoro in più nelle faccende per l'istituto, tre giorni di punizione mattutina e pagine su pagine di “devo avere rispetto per gli oggetti degli adulti” da compilare, il tutto sotto la supervisione di un’insegnante. Per tale ruolo si offrì ovviamente madam Eimhir, che intendeva compiere altre strigliate ai tre birbanti. Il primo giorno, nella classe designata per la redenzione, la bambina non riusciva a tenere fermi i suoi arti in attesa dell’arrivo dell’insegnante: era seduta sulla sinistra, in prima fila, e continuava a muovere le gambe in su e in giù, con i piedi sulle punte, mentre si accarezzava le mani tra loro sotto il banchetto. Al suo fianco destro sedeva Paul, abituato a quella tiritera era con la testa tra le mani, pronto a finire nel mondo dei sogni. All'estremo opposto invece, alla destra di Paul, doveva essere seduta Martha, che era in ritardo.
Quel giorno la voce di madam Eimhir era talmente alta da potersi sentire fino al cortile, o almeno così era sembrato alla piccola Susan, che continuava a trattenere quelle fastidiose goccioline che volevano fuggire via dai suoi occhi. L'insegnante rimproverò il terzetto riportando alla luce il significato di educazione e rispetto, che secondo lei mancava nelle loro testoline. Non impugnava la sua legnosa compagna, ma minacciava di prenderla al primo respiro fuori posto. Quando ritenne che il suo sfogo fosse sufficiente, consegnò i fogli e le matite così che la vera punizione poté cominciare.
Non ci volle molto a fare stancare la mano della piccola Susan che non era abituata a scrivere così tanto, tanto a lungo e quando si fermava per massaggiarsi il polso, si voltava ad osservare la stanza: Paul procedeva spedito senza sosta, quasi fosse una gara a chi finiva prima, mentre Martha scriveva con la testa poggiata su una mano; la madam era intenta a leggere quello che sembrava un giornale e quando alzava la testa verso il terzetto, richiamava la ragazzina non gradendo la sua posizione: «Martha, composta! Hai il collo per reggere la testa» ma la ragazzina, imperterrita, tornava a rilassare il capo ad ogni occasione.

Il secondo incontro si prospettava identico al precedente, ma questa volta Susan era ancora più spaventata: aveva passato il resto del giorno precedente da sola, evitando chiunque per paura di ricevere altre ingiurie ed aveva finto di non provare nulla, sbloccando le lacrime che le pulsavano sotto gli occhi solo nei posti in cui era certa di essere sola. Non sapeva se sarebbe stata in grado di sopportare altri due giorni in quello stato e solo l'idea le creava un vortice insistente nello stomaco. Probabilmente il suo volto stava diventando pallido.
«Rilassati» Disse all'improvviso il ragazzino, forse anche disturbato dal continuo fruscio delle gambine della piccola. Aveva sempre la testa poggiata sulla mano, il braccio quasi totalmente disteso sul banco e il mento sollevato verso Susan, che iniziò a guardarlo spaventata ignara di cosa volesse da lei in quel momento.
«Quanti anni ti hanno detto che hai?» La domanda arrivò affilata come una lama alle orecchie della piccola. Rimase spaesata per qualche secondo, giusto il tempo di fare rialzare la testa a Paul e farlo girare verso di lei per attendere una risposta.
«Sei» rispose flebile Susan, che aveva finalmente smesso di muovere le gambe. Il suono della sua voce le era parso totalmente diverso da come ricordava.
«Ah interessante, da aggiungere ai motivi della divisione studenti» Rispose rapido Paul prima di indicarsi continuando il discorso, «A me invece dicono che ne ho sette, però secondo me ne hanno saltato qualcuno!» Ghignò poi, per lui era normale prendere in giro tutti gli istitutori, anche se forse il suo tentativo era quello di risollevare il morale della piccola: «Comunque grazie per il righello! Andrea poteva risparmiarsi il tuo nome, in fondo non hai fatto nulla...»
«É solo un fifone» la voce di Martha concluse il discorso di Paul, mentre si avvicinava a lui porgendogli dal basso il palmo della mano, che lui colpì con la sua come saluto. Agli occhi di un estraneo era evidente che i due avessero stretto un legame molto forte tra loro; a quelli di Susan invece, il loro comportamento era qualcosa di mirabile. Lei non aveva stretto alcun legame tanto forte e non si sentiva neanche capace di sostenerlo.
Quel secondo giorno non andò quindi come il precedente e prima dell'arrivo dell'insegnante Susan aveva imparato un nuovo gioco: «Devi scrivere in colonna, non in riga! Lettera per lettera in stampatello. È più divertente così!»

Il terzo ed ultimo giorno di punizione fu decisamente diverso. La presenza di Paul e Martha era diventata quasi necessaria per la piccola Susan che il giorno prima era riuscita, grazie a loro, ad essere in compagnia di altri bambini, ad ascoltare le vere scuse di Andrea. Continuava a sentirsi in colpa, certo, le parole della madam la trafiggevano come cocci aguzzi di bottiglia che rimanevano incastrati nella sua testolina, tormentandola persistentemente, ma adesso aveva trovato un modo per riuscire a smussarli.



Innanzi tutto per te, lettore, se lo hai fatto: grazie :flower: e se ne hai voglia, apprezzo critiche e/o consigli (ho partecipato al contet soprattutto per questo!);

Poi: ci tengo a puntualizzare che qui il mio pg è rigorosamente Susan. Ancora non sa dei suoi genitori e la ripicca di essere Gwen non le passa per nulla nella mente (approfondimenti in scheda, anche se ho intenzione di lavorarci ancora parecchio su);

E ancora: confesso che dopo gli awards mi avete messo una pressione assurda e non volevo più pubblicarlo per paura di deludervi...
In caso: mi dispiace, scusate :cry2:


Edited by Suguni - 25/8/2020, 19:30
 
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view post Posted on 22/11/2019, 11:28
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Tempo
metà Luglio, piena Estate ~ 11 anni

Luogo
xx


Un po’ di chiarimenti: dal momento in cui Susan ha saputo di suo padre, ha iniziato a ripudiare quella parte di sé che ne è discendente e da questo stesso momento ha deciso di non voler più essere "Susan Nieranth", come dice il bracciale con il quale è stata ritrovata, e lasciare il posto a Gwen. Questo passo dovrebbe descrivere esattamente tale momento della sua vita.

Non ho descritto il luogo in cui si trova, mi piacerebbe lasciare decidere al lettore: uno stanzino, la radice di un albero, il di sotto di un letto, persino un armadio, o proprio la buca d'orchestra, è indifferente; ovunque riesci ad immaginarla, va bene.

Contest a Tema - Novembre 2019
La buca, o fossa, d'orchestra in teatro è lo spazio riservato agli strumenti che suonano, il cui pavimento è più basso rispetto al piano della platea; questo perché si vuole evitare che qualsiasi movimento proveniente dagli orchestrali disturbi la visione dello spettacolo. La musica deve essere percepita esclusivamente dall’udito, trasmettendo quante più emozioni possibili. Solo il podio del direttore d'orchestra è più alto, affinché abbia facile visione dell'azione scenica.

Chiusa in se stessa, con le ginocchia abbracciate verso il petto, la testa posata sulla loro estremità, gli occhi chiusi, il respiro controllato. Le serviva solo un po’ di concentrazione e sarebbe riuscita a cacciare via tutti quei sentimenti che strofinavano sempre più forte le corde nella sua mente. Le bastava non pensare a niente ed osservare l’abisso di quel colore scuro dietro le sue palpebre, ignorando le emozioni che facevano crescere la musica sempre di più.
Era davvero difficile.
La voce di Arella si faceva udire nella sua testa, suonando la stessa canzone in continuazione, anche se tentava di mandarla via era ancora lì che le ripeteva le stesse note: doveva andare in un’altra scuola, avrebbe dovuto imparare ad usare la magia, quella magia che aveva sempre tenuto nascosta adesso sarebbe dovuta venire fuori per esprimersi al meglio delle sue capacità. Come avrebbe potuto suonare qualcosa che non sapeva neanche come impugnare, ma soprattutto, sarebbe stato davvero sicuro farlo? Se veramente la magia era una cosa positiva, sarebbe stato bello riuscire a cantarne le canzoni, lasciarle utilizzare tutti gli strumenti possibili, per mostrarsi a tutti.
Però, però...
Da dove veniva? Da quale parte del suo essere proveniva questa bellezza, se tale poteva definirsi. Quale parte di tutta l’orchestra era in grado di farla suonare in quel modo, con la bacchetta in mano a dirigere tutto il resto dei sentimenti lì presenti. Se la bacchetta in questione la muoveva lei stessa, poteva dirsi al sicuro?
Eppure Arella aveva deciso di non fermarsi a quel concetto, anzi, c’era qualcosa di più importante da raccontare e dipendeva proprio da quella bacchetta che si agitava in continuazione davanti a tutti i sentimenti del suo corpo. Le emozioni, nascoste e timide, rinchiuse da un parapetto che evitava che si mostrassero troppo, scalpitavano nella speranza di poter far fuoriuscire ogni tipo di vibrazione sonora esistente: la gioia dei violini per quella nuova scoperta oscillava tra toni alti a causa dell’ansia e l’eccitazione di quel qualcosa ancora da scoprire; le percussioni battevano a ritmo del suo cuore, a volte più svelte a volte più lente, seguite dai fiati, che prolungavano i respiri per cercare di rassicurare tutto il resto. Sempre con le ginocchia abbracciate al petto, gli occhi serrati cercavano di cacciare via il movimento lento e rumoroso delle lacrime che l’arpa picchiettava sulle sue guance, mentre il ricordo della voce di Arella suonava un contrabbasso conturbante.
«Devi sapere che tuo padre è ancora vivo»
Niente gioia e amore, nessun atto di eroismo.
«E che avrai bisogno di imparare molto se desideri affrontarlo»
Se Susan era in quell’istituto era soltanto per mancanza di tutto quello che aveva sempre voluto avere.
«Non devi dimenticare mai, mai, che la conoscenza aiuta a comprendere tutto ciò che ci circonda»
Ed era stato inutile illudersi, perché adesso faceva solamente più male.
«E ci aiuta ad avere meno paura»
Ogni suo sogno era adesso un miraggio,
svanito dal palmo delle sue mani in un solo colpo.
«La consapevolezza rende più forti le nostre capacità»
Tutta la sua immaginazione le si riversava contro.
«Questo ci permette di capire come affrontare determinate situazioni»
Inutile cercare di trovarne il senso, non ce n’era alcun bisogno.
«Non sappiamo il motivo per il quale tuo padre ha deciso di lasciarti qui, né per tutte le altre sue scelte»
*Era ovvio che io fossi solamente un peso inutile.*
«Ma questo non significa niente»
*Basta.*
«Non possiamo addossare la colpa su nessuno»
*Silenzio. Smettila di suonare. Smettetela tutti e fermate questa dannatissima musica.*
L’arpa era ormai libera di effluire ogni singola nota, scivolava limpida e veloce, con i fiati interrotti dai singhiozzi. Susan è la figlia di un assassino. Un assassino dal quale ha ereditato il sangue, turpe, e la pelle, sudicia. Istintivamente le mani della bambina lasciarono le sue gambe, le ginocchia ormai umide, mentre gli occhi si aprivano appannati per guardare le sue mani tremanti; nessun sapone sarebbe riuscito a lavare via tutta quella stonatura. Susan era l’errore, lo sbaglio di Qualcuno che voleva rimuoverne le prove e magari in futuro ci sarebbe anche riuscito. Probabilmente era stata fortunata e Quello adesso la stava cercando, la stava guardando, la stava ascoltando. Un brivido attraversò la sua spina dorsale, insieme tutti gli strumenti, che suonavano quella strana musica; ricominciava il crescendo nelle sue orecchie e non serviva a niente concentrarsi per farlo smettere. Era ricominciata da capo tutta la canzone e le mani questa volta si posarono sulle sue orecchie, forse questa volta sarebbe riuscita a farla smettere davvero: doveva andare in un’altra scuola, ripeteva Arella, avrebbe dovuto imparare ad usare la magia e lei aveva davvero tanta voglia di imparare a farlo, di controllarla per capirne ogni sfaccettatura, in fondo dipendeva tutto da come decideva di suonarla.
Però, però...
Chi le assicurava che non avrebbe poi suonato gli stessi strumenti di Quello che la stava udendo in quel preciso momento? Sarebbe servito a qualcosa provare a cancellare lei stessa ogni prova della sua esistenza? Avrebbe evitato di farsi raggiungere, di farsi trovare, di farsi sentire; sarebbe riuscita a sfuggire a quella musica se fosse riuscita a rimuovere tutte quelle note dallo spartito. Ne era sempre più convinta.
La canzone di Susan non doveva esistere.
«Non posso cancellare il tuo nome dai documenti dell’istituto!»
Era l’unico modo, la musica continuava.
«È impossibile e non azzardarti a disfarti di quel bracciale»
Era una prova, Lui la sentiva.
«La conoscenza, Susan... La consapevolezza... Lo sai,
quante volte l’ho ripetuto»

Ed è proprio per questo che bisogna cambiare quelle note.
«Hai ancora tanto da imparare, fatti coraggio, Hogwarts ti insegnerà molto»
*Non toccarmi, tu mi hai mentito*
«E potrai sempre contare su di me»
Le mani lasciarono la presa sulle orecchie, i battiti sulle lastre di pelle delle percussioni rallentarono, insieme a tutto il resto. Lo spazio occupato dal corpicino di Susan sarebbe rimasto sempre lì, ne era certa, ma per riuscire a zittire quell’orchestra, almeno per il tempo necessario, lo spartito doveva essere sostituito.

 
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view post Posted on 1/11/2021, 16:48
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I baffi del Gigante (pt.2)

(pt.1)


Sarebbe stato molto semplice chiedere ad un insegnante che fine avesse fatto il quadro di Napier. Era impossibile che fosse stato rubato un quadro ad Hogwarts e che nessuno lo sapesse; se davvero fosse successo, sarebbe stata una notizia posta su tutti i giornali del mondo magico. Entrambe le concasate che erano state vicine alla Tassorosso durante le indagini, le avevano fatto notare che il punto della questione non era il quadro, e probabilmente non lo era nemmeno Napier; il vero motivo per il quale aveva preso a cuore tutta la faccenda erano i Giganti: era per loro che la Nieranth si era mobilitata così tanto, cercando informazioni su libri di creature magiche come anche in quelli di storia, non solo in riferimento al quadro perduto. Anche se la reazione del* bibliotecari* come le testimonianze dei vari studenti dimostravano che il quadro esistesse davvero, falso o meno che fosse, da qualche parte quella storia doveva aver avuto origine, altrimenti nessuno avrebbe mai deciso di dipingerla. Era proprio questo il motivo che spinse nuovamente la Tassorosso ad appassionarsi ai Giganti.
Dopo la prima ricerca, quando aveva deciso di indagare su queste creature per via di una lezione sulle bacchette, aveva completamente perso interesse per i Giganti poiché si era fossilizzata sul fatto che non fossero dotati di un intelletto consistente. Di conseguenza aveva iniziato ad ignorare il fatto che nella sua bacchetta vi fossero proprio tre baffi di questi esseri, evitando di pensarci come faceva con qualsiasi cosa le turbasse l'animo.
Però la notizia della Gazzetta su una loro possibile ribellione, oltre che tutto il tempo speso alla ricerca del quadro, aveva ripristinato in lei quel desiderio di scoprire qualcosa di nuovo, di informarsi meglio su quelle creature e soprattutto di capire quanto ci fosse di vero nella storia di Napier. Dunque aveva scoperto come vivevano: quelle creature mostravano la capacità di vivere in branco, comunemente noto come tribù, addirittura con una forma di governo ben precisa. Ciò dava la possibilità di rivalutare la loro stupidità, poiché derivava probabilmente da questa cultura retrograda. Poteva bastare una riforma per concedergli dei miglioramenti? Una riforma non per forza governativa, solo qualcosa che gli permettesse di fare dei passi avanti dal punto di vista intellettuale; e forse qualcuno ci aveva provato, Napier appunto.
Quindi alla fine dei conti, ecco nuovamente la Tassorosso alle prese con qualcosa probabilmente fuori dalla sua portata, che le occupava con piacere momenti delle giornate.
La scoperta più importante giunse come un abbaglio, inducendo la studentessa a fare un passo forse troppo lungo, più lungo della sua gamba, un passo da gigante! Non poteva proprio trattenersi, era impossibile. Le ci vollero pochi giorni per organizzarsi, qualche ora per prepararsi ed altre ore per raggiungere la sua destinazione: Amesbury.
La città si rivelò incantevole, le case affiancate e le strade parallele lasciavano immaginare una mappa piuttosto ordinata, e la natura immacolata di quei luoghi un po' le ricordava le colline della Scozia, dove era cresciuta. Si sentiva particolarmente bene, a suo agio, seppure fosse sola in un luogo sconosciuto. L'unico pensiero che riempiva la sua mente erano dei sassi; sì, delle grosse ed enormi pietre dello Wiltshire, famose per più di un motivo.
Camminava lungo un sentiero battuto da centinaia e centinaia di passi prima di lei, con altre persone sconosciute dirette nello stesso luogo. Poteva quindi dirsi di non essere proprio da sola, ma non le importava. Aveva con sé la compagnia dell'idea di vivere quella giornata in tranquillità, senza farsi deludere ancora. Dietro quei megaliti infatti, c'era una delle sue più grandi delusioni: era stata illusa dallo Stonehenge perché per lungo tempo aveva creduto nascondesse storie e significati incredibili, possibilità e caratteristiche intriganti. Quando poi furono rivelati i lavori di restauro effettuati, tutto crollò con il dolore che l'inganno aveva generato. Come osavano chiamare restauro una quasi completa ricostruzione? Qualcosa risalente agli anni del neolitico praticamente riforgiata nel '900; le storie e leggende nascoste dietro quel sito erano ora disperse, non essendo più il cromlech che era un tempo. Non era stato facile da accettare per la Tassorosso.
Scientificamente, le teorie sullo Stonehenge si basavano sul fatto che, allo stesso modo di molte altre strutture del passato, fosse un luogo utilizzato come un antico osservatorio astronomico. Lo stesso Newton credeva si trattasse di un modo per richiamare la configurazione non geocentrica del sistema solare e considerando le datazioni era una teoria a dir poco strabiliante; ma proprio per questo tali supposizioni erano solo teorie molto dibattute. Inoltre, poiché la ristrutturazione avvenne sulla base di queste congetture, sorge spontaneo chiedersi quali siano stati gli elementi che permisero di decidere di riposizionare i megaliti? Oltre che chiedersi direttamente perché avessero preso tale decisione? Ma la risposta a quest'ultima domanda avrebbe potuto essere davvero angosciante. Comunque sia, adesso c'era una nuova consapevolezza pari ad una gigantesca speranza: la studentessa aveva imparato che molte incongruenze babbane possedevano spiegazioni magiche davvero esemplari, che per un mago erano ovvie, ma che non potevano esserlo per chi ignorava l'esistenza di questo mondo. Allora non era riuscita a reprimere il desiderio di osservare in prima persona il luogo in cui risiedeva lo Stonehenge, da sempre legato alla leggenda di re Artù; non proprio direttamente ad Artù Pendragon, ma legata attraverso mago Merlino, una figura presente in tutti i libri di Storia della Magia, e non solo, che riempiva di speranza le aspettative della Tassorosso.
Diverse sono le leggende legate al regno di Camelot, in primo luogo quella della spada nella roccia è nota a tutti, maghi o babbani che siano: solo una persona davvero degna e meritevole del trono avrebbe potuto estrarre Excalibur. In ugual misura, anche la leggenda dei cavalieri della tavola rotonda è nota a chiunque, inutile ripetere le narrazioni delle loro gesta. Quella forse meno conosciuta e tramandata, soprattutto tra i babbani – probabilmente a causa delle leggi dello Statuto di Segretezza – è proprio la leggenda di Merlino e della Chorea Gigantum.
Si narra che la danza dei giganti fosse situata in Africa, per i libri di Storia della Magia era stata costruita lì dagli Atlantidei sopravvissuti, mentre per i babbani la faccenda rimane un mistero. Veniva comunque descritta come un complesso circolare composto da pietre così grandi che un essere umano non avrebbe mai potuto spostare; eppure furono spostate e portate fino in Islanda, sul monte Killarus. La leggenda narra di Merlino che, sotto richiesta di Uther Pendragon, chiese aiuto ai Giganti per portare quei monoliti in un luogo in cui avrebbero potuto testimoniare la gloria del grande popolo di Camelot. Dovevano quindi fungere da monumento e testimonianza del regno dei Pendragon, ma il tempo ha quasi completamente cancellato questa storia. È difficile quindi riuscire a risalire alla realtà dei fatti, la stessa Tassorosso, mentre seguiva i gruppi di appassionati, cercava di avvicinarsi a quelle persone che erano lì con delle guide turistiche. Faceva difficoltà a comprendere i diversi accenti di quella lingua, ma tentava di carpire quante più informazioni possibili sui megaliti che, anche se distanti, potevano dirsi davvero enormi.
La visione di quelle grosse pietre affilate, alcune delle quali sospese sopra le altre, era esaltante. La Nieranth guardava estasiata ogni dettaglio e se solo avesse potuto avvicinarsi maggiormente lo avrebbe fatto, senza alcuna esitazione, purtroppo però quel sito era ben sorvegliato e controllato. Forse qualche incantesimo avrebbe potuto aiutarla a raggiungere i megaliti, fino anche a toccarli con mano, ma c'era davvero troppa gente anche solo per riuscire ad estrarre la bacchetta. Proprio quella bacchetta il cui nucleo poteva derivare da una delle creature che aveva davvero toccato una di quelle pietre. La Tassorosso sospirò trasognante, prima di rendersi conto di stare esagerando: per lei i Giganti rimanevano ancora delle creature stupide.
Words of Magic - Body 4. Esplora un luogo che il tuo PG non ha mai visto prima.
 
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view post Posted on 30/4/2022, 10:38
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Tempo
Dicembre, inizio Inverno – 15 anni

Luogo
Scozia, Ayrshire Settentrionale – Institiud cùram-cloinne



Le colline della Scozia durante l'inverno erano cariche del freddo manto bianco che costringeva le stufe ad essere sempre accese. Riusciva già a percepirne il calore mentre osservava il paesaggio dal finestrino del treno. Pian piano però, cominciava a mordersi il labbro inferiore, mentre il movimento costante delle rotaie cullava i suoi pensieri. Mancava poco all'arrivo e sentiva già quella sensazione di inadeguatezza che provava ogni volta che doveva rivedere Arella, che si premurava sempre di andare a prenderla alla stazione. Avrebbe evitato volentieri di inviarle il suo corvo per avvisarla del suo ritorno, ma non sarebbe stato facile raggiungere l'istituto a piedi. Paradossalmente, guadagnava più Galeoni che Sterline, non avrebbe di certo potuto permettersi un taxi.
Scesa dal treno, non fece nemmeno in tempo a recuperare il bagaglio che l'insegnante le si era già palesata davanti.
«Il tuo gufo è stata una vera sorpresa di Natale!» Le parlava sempre con quel modo tranquillo ed educato, sfiorava l'essere amorevole con un tono che però, dal punto di vista della Nieranth, era in qualche maniera accusatorio. «Oh, corvo giusto! Scusami» La donna rise ad una correzione che non era stata pronunciata ed alla quale vi fu solo un sorriso di cortesia in risposta.
Il viaggio in auto verso l'istituto poteva considerarsi anche peggiore, l'unica voce udibile nell'abitacolo era quella della donna adulta che tentava in tutti i modi di instaurare una conversazione, magari anche costruttiva, ricevendo principalmente secche e passive risposte. Certo era che Arella dimostrasse fierezza per la sua Susan, diventata Prefetto Tassorosso, era stata educata bene. Quel modo di fare così distante che mostrava in quel momento, doveva essere causato solo dall'età e dalla fase di assoluto rifiuto che l'adolescenza porta con sé, Arella sperava non ci fossero altre spiegazioni.

Da quando ho ricevuto la lettera per frequentare la scuola di magia e stregoneria, non ho più passato un Natale in orfanotrofio. Il motivo è semplice: Hogwarts ha tutto un altro fascino in quel periodo dell'anno; la quantità ridotta di studenti lascia moltissimo spazio in tutti i luoghi più interessanti del castello, come la biblioteca o la torre di Astronomia, non posso rinunciare a restare tra libri e magia.
Per tornare dove, poi?
È vero che un po' mi mancano Paul e Martha, come anche Andrea che si è unito a noi più tardi. Solo che ormai non siamo più il quartetto di una volta, quel qualcosa che ci univa si è rotto. O meglio, quel qualcosa che univa me a loro si è sbriciolato. Giorno dopo giorno. È stato praticamente automatico, oltre che prevedibile, sia perché la distanza ci ha fatto crescere riempiendo il vuoto vicendevolmente, sia perché… Ne sono più che consapevole, non sono stata in grado di mantenere i rapporti con loro.
Non posso dimenticare che ogni Dicembre gli insegnanti dell'orfanotrofio organizzavano intere settimane per occupare tutti i bambini con la creazione delle decorazioni di Natale. Erano come delle vacanze scolastiche, durante le quali ci divertivamo un mondo, sviluppando anche un po' di creatività. Utilizzavamo qualsiasi oggetto: da fogli di carta e pergamene, fino a piccoli rametti legati insieme; veri e propri lavoretti fai da te utili a tenere impegnati i bambini, fisicamente e mentalmente, con lo spirito tipico di quella festa. E ci divertiamo davvero molto! Paul trovava sempre i luoghi più vistosi su cui attaccare le creazioni più orribili, secondo Martha nulla avrebbe potuto rendere migliore quel posto e lui voleva dimostrarle il contrario. Ma io ormai non ne faccio più parte. Mi dicevo di essere cresciuta, che non avesse più alcun senso, eppure continuo a sentire una morsa nello stomaco per questo. Alla fine io ho sempre scelto Hogwarts.
Probabilmente, se non fosse stato per Estia, non me ne sarei accorta: se non avessi deciso di regalare ad un elfo domestico una stella di Natale di carta, non mi sarei ricordata di tutte quelle volte che, con Paul, Marta ed Andrea, ne creavamo una infinità per riempire tutti quei monotoni e bianchi corridoi. Se non fosse stato per Estia, non sarei tornata in orfanotrofio nemmeno quest'anno.
Il grosso cancello sembrava essere molto più piccolo adesso, rispetto a quando lo osservava dall'interno. Mentre l'auto attraversava lo stradone dissestato, la giovane strega riprese a chiedersi cosa avrebbero detto o fatto i suoi compagni nel vederla. Come avrebbero reagito? Sarebbero stati ancora più distaccati dell'estate appena passata? «Ma...» Il tempo di restare sola con Arella era quasi finito, quella domanda l'aveva attanagliata per tutto il viaggio, eppure stava riuscendo a porla solamente adesso: «Qualcun altro sa del mio arrivo?» Arella non parve per nulla sorpresa e probabilmente si aspettava quella domanda già da un pezzo, «No. Volevo che si sentissero come mi sono stupita io quando ho visto Edgar sulla finestra.» Sembrava sincera, per una volta.
Al baule ci avrebbe pensato l'insegnante, che sapeva come usare le magia senza mai farsi notare, quindi la ragazzina si avviò verso la porta d'ingresso, ma non quella principale: non le era mai piaciuto entrare da quel portone verde consumato dal tempo, preferiva la porta delle cucine, decisamente più piccola e del semplicissimo colore del legno, che dava sull'orticello pieno di altri bei colori e profumi. Lo stesso orticello che aveva imparato ad accudire anche lei, con tutti gli altri.
Schiuse la porta con tranquillità, non sapendo l'orario preciso in cui fosse arrivata e pensando di non trovare nessuno.

«Susan! Sei arrivata finalmente». Aila, l'aiuto cuoca che ogni Natale sostituiva la cuoca d'istituto, la accolse a braccia aperte brandendo un mestolo sporco di bianco. La strinse così forte da farle perdere il poco ossigeno accumulato. «Arella mi ha avvisato che stava venendo a prenderti, ero così sorpresa che ho cominciato subito a preparare la besciamella!» Le fece un occhiolino, sapeva benissimo quanto la bambina adorasse l'ingrediente, a detta sua rendeva ogni cosa più buona. La ragazzina comunque, non riuscì ad essere meno tesa, l'abbraccio l'aveva colta alla sprovvista e come sempre in quelle situazioni, non sapeva come reagire. Aila era l'unica degli adulti a portare davvero il Natale lì dentro ed era moltissimo tempo che non la vedeva. Tentò di sorridere gentilmente, per ringraziare di tanta premura, prima di farle capire di voler andar via. «Certo certo, vai a salutare tutti i tuoi compagni! Saranno felici di vederti» La spinse letteralmente fuori dalla cucina, per tornare a preparare un banchetto coi fiocchi.
I corridoi erano già pieni di decorazioni natalizie, tra tutte quelle forme nuove ed altre ben note, ne cercava almeno una che era certa di poter riconoscere e quando finalmente la trovò, rimase a guardarla per qualche minuto: sembrava un pupazzo di neve, ma doveva evidentemente essere un Babbo Natale a cui avevano rubato i colori e che probabilmente si era mangiato tutti i regali; era veramente brutto, ma la fece sorridere.
Sono in questo istituto da così tanti giorni che non so nemmeno che tempo sia: se non fosse per i colori delle stagioni, per le temperature e soprattutto per le costellazioni nel cielo, non saprei nemmeno in quale periodo dell'anno ci troviamo. Le giornate si susseguono tutte uguali e differenziano solo grazie alle trovate di Paul e Martha, hanno sempre qualcosa di divertente da fare. Con loro mi sento felice e non mi stanco mai di essergli vicina, anche quando rischiamo di prendere qualche punizione. Anzi, soprattutto in quei momenti! Perché è durante quei tentativi che ci rendiamo conto di quanto siamo in grado di supportarci a vicenda.
Poi si è unito a noi anche Andrea. All'inizio si comportava in maniera strana: continuava ad avvicinarsi a noi restando sempre in disparte, Martha lo prendeva in giro. Un giorno però Paul si è stufato di quel comportamento ed è andato a parlarci direttamente, scoprendo così di avere in comune tante cose con lui, ma a detta di Martha lo aveva fatto solo perché si trovava in minoranza numerica, ora siamo bilanciati: due maschi e due femmine. Martha è fatta così, io e Paul abbiamo spiegato ad Andrea che non deve preoccuparsi delle sue prese in giro, anzi,
significa che prova affetto anche per lui.
Comunque, adesso che siamo in quattro, riusciamo anche a fare quei giochi che in numero dispari non riuscivamo a fare, quindi è ancora più divertente stare tutti insieme. Il nostro gruppo funziona bene seppure siamo tutti diversi: Paul e Martha sono quelli che iniziano e reggono sempre i giochi, si pavoneggiano vicendevolmente. Sostanzialmente sono i fondatori del gruppo visto che sono i primi ad essersi avvicinati. Poi ci siamo io ed Andrea, decisamente più introversi, ma sappiamo entrambi quanto un silenzio possa essere distensivo.
Ancora intenta ad osservare quell'obeso Babbo Natale, quando una voce familiare parlò nelle sue vicinanze: «Ti sei degnata di tornare per Natale? Potevi restare dov'eri» La Nieranth si voltò senza sorprendersi di vedere Martha con le braccia incrociate, i ribelli e scuri ricci ad incorniciarle il volto ed il fisico asciutto che iniziava a prendere le forme femminili. Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che la Tassorosso abbassò sorridente lo sguardo: «Anche a me è mancato creare stelline di carta con te» Ammise senza riuscire a dire nient'altro. La compagna sbuffò prima di riprendere a parlare, questa volta però iniziando a sorridere: «C'è una persona che sicuramente sarà felice di vederti!» Le fece cenno di seguirla, senza altri convenevoli a cui nessuno di loro era mai stato abituato.
Martha si fermò prima di attraversare la porta di una stanza, facendo cenno all'amica di fare silenzio ed aspettare. Entrò da sola, lasciando la porta aperta dietro di sé, in modo che le voci all'interno potessero essere udite:
«Dov'è la mia brioche?» La voce accusatoria di Paul fu subito riconoscibile, «Non eri andata in cucina?» Quella più gentile di Andrea invece sembrava diversa, «Certo» rispose Martha «Ma ho portato di meglio».
Doveva essere il suo segnale? Era il momento di entrare? Perché le sue gambe non si muovevano?
«Se hai trovato l'ovatta per i miei babbi natali ciccioni, allora potrei perdonarti».
Passò qualche minuto di silenzio, prima che Martha si decise a chiamare la sorpresa della giornata:
«Se l'intento era così difficile da capire, devi esserti rimbambita per bene».
Per loro è sempre così facile, raccontano di se stessi come se fosse la favola più semplice da spiegare. Come se parlare a voce alta con qualcuno, che potrebbe non avere voglia di ascoltare, faccia stare meglio. Non riesco a capire come facciano a raccontare le cose così alla leggera, quando le parole sono un'arma anche peggiore di una lama. Sono fraintendibili, complicate, latenti e mi fanno sempre sembrare così timida da avere bisogno di una spinta per poter parlare un po'. Non posso parlare apertamente perché non voglio rischiare di pentirmi delle parole utilizzate. Devo sempre nascondere qualcosa agli altri e non posso fare altrimenti.
Come faccio a trovare il modo per spiegarlo?
«E quindi si è beccato due ore extra di raccolta!» Paul stava parlando battendo la mano sulla schiena di Andrea, che aveva abbassato lo sguardo tentando inutilmente di coprirsi il volto con la corta frangetta scura. Ancora una volta Paul era riuscito a far incolpare Andrea per una sua malefatta, non avrebbe mai smesso di vendicarsi per quella volta in cui era stato lui ad accusare, anche se erano passati anni ormai. Vorrei dire qualcosa, incoraggiare Andrea ad alzare gli occhi e fare in modo di incastrare in punizione anche Paul la prossima volta, ma le mie labbra faticano a muoversi e la mia voce sembra essere fuggita via. «Certo, tu continua a poltrire, intanto Andrea allena i suoi muscoli!» Alle parole di Martha, Andrea aveva sollevato lo sguardo in mia direzione, gli ho accennato un sorriso ma ha subito distolto gli occhi, prendendo a parlare con gli altri per difendersi a sua volta. Sono finiti con il giocare a braccio di ferro, con Martha che faceva da arbitro, mentre io continuavo a sentirmi ancora più fuori luogo.
Il quartetto quindi, si era riunito quel Natale dopo estati complicate a causa dello spezzato equilibrio che aveva iniziato a crearsi: il fatto che uno dei membri passasse tutto l'anno lontano dagli altri tre aveva cambiato i loro rapporti che, crescendo, avevano inevitabilmente assunto una piega diversa. Non è difficile immaginare che la giovane strega si sentisse in colpa di preferire Hogwarts all'istituto, convinta che fosse uno dei principali motivi di quel distacco. Come biasimarla? Da un lato c'era la Tassorosso in possesso di una bacchetta magica, in grado di svolgere azioni altrimenti impossibili; dall'altro, un'orfana i cui compagni più stretti conoscevano solo il suo lato introspettivo.
Partecipare alla tradizione dopo qualche anno che la strega aveva praticamente evitato l'istituto, le aveva fatto perdere la manualità con gli strumenti babbani. Aveva rischiato di tagliarsi più e più volte, causando una evidente preoccupazione di uno dei membri del quartetto. Uno dei due ragazzini era palesemente invaghito dei suoi capelli corvini, della sua gentilezza e persino di quel suo essere sempre un po' sulle sue, ma a quell'età è tutto estremamente complicato e la Nieranth era troppo ingenua per riuscire a notarlo. Il massimo che il ragazzo riusciva a fare era inventare scuse sul motivo per cui si trovava sempre nel corridoio in cui c'era anche lei.

«Qui appendi la stella per la quale hai quasi perso un indice, oppure il pupazzo che ti ha incollato le dita?» La Nieranth rise a quella simpatica provocazione, lanciò una linguaccia al ragazzo e poi appese la prima cosa che aveva tra le mani. Solo qualche istante, il tempo di legare al filo quella scelta casuale e lasciare che gli altri bambini e ragazzini nel corridoio attaccassero le proprie decorazioni, fuggendo via per trovare gli spazi più illustri. Senza le lezioni c'era sempre qualcuno che correva in giro e sfogava le gambe per tutto l'istituto. Dunque, solo qualche istante prima che si ricreasse quel piacevole silenzio.
«Vorrei davvero sapere cosa ti frulla per la testa.»
Non succedeva praticamente mai che Andrea tentasse di parlarle, rompendo le tacite quieti che da sempre accompagnavano le ore passate insieme. Gli occhi scuri della ragazza si posarono increduli su di lui che, imbarazzato, tergiversò iniziando a guardarsi intorno alla ricerca di un qualsiasi altro centimetro di spago libero. «Qui puoi metterne un'altra», indicò un punto, spostando appena una ciocca di rametti a forma di alberello. Poi senza aggiungere altro si allontanò: fece un cenno di urgenza con la mano e voltò le spalle, abbandonando il corridoio e lasciando la ragazzina con le ultime decorazioni da smistare.
Sento che mi manca qualcosa, che ho perso qualche pezzetto di me per strada e provo tanta nostalgia. Non saprei dire se si tratta semplicemente della perdita di spensieratezza, del fatto che crescendo, vada via via a sostituirsi con le responsabilità del mondo degli adulti.
O forse, ancora più semplicemente, l'adolescenza porta davvero troppi sbalzi ormonali da farti andare in tilt il sistema nervoso.
Non saprei allora come risponderti. Vorrei raccontarti di Hogwarts e del mondo magico, di quanto ambientarsi sia difficile come sapere di essere orfani; oh, anche peggio: sapere di discendere da qualcuno che è in grado di uccidere ed abbandonare senza rammarico. Vorrei raccontarti di come ho imparato a volare su una scopa e di quanto mi spaventi l'idea di rifarlo. Mi piacerebbe dirti quanto mi abbia deluso Arella per i segreti che mi ha nascosto e che sicuramente ancora mi nasconde. Vorrei non ricordare della profezia e di Hogsmeade fra fiamme che non smettevano di bruciare ogni cosa. Vorrei descriverti la mia Sala Comune e quanto sia diventata accogliente per me. Avrei voglia di dirti quanto mi sia pentita di non aver raccontato la verità sulle mie origini e quanto adesso sia diventato difficile farlo.
Mi rendo sempre più conto che la paura mi sovrasta al punto da non riuscire a mostrarmi del tutto. Preferisco fare in modo che gli altri vedano solo la parte più gentile e disponibile di me, perché credo che sia il modo migliore per restare vicino alla gente. Se raccontassi la verità adesso, rischierei di peggiorare le cose.
Mi sto allontanando dagli altri per non ferirli.
O per non…ferirmi?
L'albero Natalizio, pieno di tutte quelle strane e sproporzionate decorazioni fatte a mano, sarebbe rimasto al suo posto per qualche altro giorno prima di venire completamente rimosso e smantellato, come ogni anno, fra la legna delle stufe.
Il Natale era passato e le tradizioni dell'orfanotrofio, se così potevano essere chiamate, erano state mantenute anche quell'anno che la giovane strega aveva deciso di passare lontano da Hogwarts.

«Mi raccomando, fatti valere in quell'altra scuola! Voglio poter dire di conoscere la Nieranth con orgoglio!» Paul aveva sempre piena fiducia nei suoi compagni, incoraggiarli gli veniva naturale.
«E ricordati di noi poveri orfanelli ogni tanto.» Sorrisero tutti, tranne Martha che aveva parlato con tono sprezzante. «Io dico sul serio!»
Arella aspettava vicino l'auto che avrebbe riaccompagnato la strega alla stazione. Aveva un foglio di carta tra le mani che stava leggendo con evidente interesse, ma non appena la ragazzina si avvicinò, iniziò a piegarlo in modo da rivolgersi a lei sorridendo: «Pronta per tornare? Ho già preso il tuo baule.» La risposta furono un paio di cenni affermativi del capo, poi salirono entrambe per affrontare un altro viaggio in cui l'unica a desiderare ardentemente di parlare sarebbe stata Arella.



Edited by Suguni - 30/4/2022, 12:09
 
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