Norvegia - 2 anni prima
I.
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Mi sono stufato di aspettare, vado a cercarla -
Bellamy era già scattato in piedi, come se quella seduta di pelle fosse divenuta la cosa più scomoda sulla quale fosse stato costretto a sedere per più di un'ora. Aveva i capelli arruffati dalla foga di dita smaniose e il viso contratto in una smorfia nervosa. Non aveva dato a Corinne neppure il tempo di rispondere che già la sua mano era corsa frenetica alla maniglia della porta, ma prima di riuscire a sfiorarla il corpo massiccio di Encke si era già frapposto fra lui e la sua meta.
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Rallenta campione, non spetta a te decidere. Torna al tuo posto -
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Prova a darmi un'altra volta un ordine e ti strappo un orecchio al prossimo plenilunio – ringhiò il giovane uomo avvicinandosi al viso del cugino, sollevando le labbra e scoprendo i denti affilati. Encke era un uomo d'indole pacata, e dalla pazienza pressocchè infinita, due doti che tenevano egregiamente a bada la sua mole imponente. E il suo cuginetto non faceva eccezione alcuna, nonostante fosse il prossimo in linea di successione alla guida del branco, le sue minacce non lo scomponevano affatto. Troppo avventato, e spesso guidato dai sentimenti più improvvisi, non mostrava ancora quel temperamento savio che i suoi predecessori avevano posseduto prima di lui. Ma gli anziani si erano pronunciati, dopo giorni di preghiera in comunione con il loro Dio Cernunnos, il nome di Bellamy era stato impresso dalla divinità sul grande albero rosso della tenuta. E poco importava cosa ognuno di loro pensasse, il filo genealogico dei Walsch era sacro e antico, e nessun componente del branco aveva mai messo in dubbio le scelte dell'Alto.
Ciò non toglieva che suo cugino era ancor lontano dal ruolo di comando, motivo in più per ammonirlo per la sbruffonaggine dimostrata poco prima. -
Corinne vuole ancora parlarti, se osi di nuovo disonorarla con il tuo atteggiamento irriverente riporterò la cosa direttamente agli anziani. Quindi. Torna. A. Sedere -
Bellamy ringhiò nuovamente, questa volta in un tono più rauco e contenuto, frustrato ma obbediente. Corinne Walsch era l'Alpha, la guida che da cinquantotto anni guidava il branco, il rispetto e l'amore che mostrava verso di lei non aveva eguali. Lasciò andare un sospiro rilassando le spalle, poi con passo rassegnato e lento tornò verso la poltrona, sprofondando in essa e guardando con aria interrogativa sua nonna.
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Partirai prima del calare del sole Bell, non prima. Porta con te Abyss e Levine, iniziate le ricerche dalla locanda babbana dove è stata vista l'ultima volta. -
Gli occhi di Bellamy si fecero più neri e intensi del solito, mentre un ghigno soddisfatto tagliava in due il suo bel viso. Quel guinzaglio troppo corto tenuto al suo collo dalle rigide regole del branco, e dalla gerarchia cui doveva sottostare lo avevano sempre irritato.
Si tirò su con le spalle, senza però alzarsi. Si sporse in avanti ricercando le mani dell'anziana donna, sospeso in quell'infimo spazio che li divideva. -
La troverò. -
La donna non dubitava di quelle parole, Bellamy era il più capace fra i suoi cacciatori e quello dal cuore più forte. Non lasciava mai nessuno indietro, mai nessuno fuori dalle decisioni e dalle scelte, proteggeva il branco prima di sé stesso. Anche se per quella ragazza aveva mostrato un atteggiamento differente, era facile alla perdita di controllo e la lucidità quando si trattava di lei.
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Preparo la squadra, ti terrò aggiornata – disse infine alzandosi e raggiungendo nuovamente la porta, trovandola ora sgombra e aperta. Encke si era spostato docilmente, ma il giovane lupo superandolo gli lanciò un deciso cenno di silenziosa vittoriosa.
II.
Era quasi ora di cena quando tre lupi si affacciarono cauti fra la boscaglia che circondava il Bjørnehi .
Il sole era calato verso l'orizzonte, senza mai andarsene davvero, come era solito fare in quei lunghi mesi solari. Le luci all'interno della locanda erano comunque accese, e un deciso movimento si animava davanti alle finestre in un continuo passaggio di corpi. Attraverso la vecchia struttura in legno fuorisciva il brusio di un violino allegro e di voci ubriache di canto, segno che all'interno doveva esserci più movimento del previsto. Il grande lupo nero piegò leggermente il capo, inarcando la schiena e puntando gli artigli nel terreno, spingendo sulla terra indurita e i sassi. Nel brevissimo tempo di un solo respiro il suo corpo aveva già mutato aspetto, la pelliccia aveva lasciato il posto ad una pelle dalla carnagione brunita e un abbigliamento molto più umano. I lunghi capelli neri gli ricadevano arruffati sul viso, ma con un gesto veloce della mano Bellamy li riportò all'indietro. Il secondo lupo, dal manto rossiccio lo imitò, riprendendo la sua forma umana in un tempo più dilatato, accompagnato dal sonoro rumore di ossa che cedevano. Da sotto il manto fulvo fece capolino un uomo di qualche anno più grande di Bell, capelli rossicci tenuti molto corti e una spolverata di lentiggini evidentissime sparse tutte attorno a due occhi verdi e un naso aquilino. Levine era entrato nel branco da pochi anni, prima dei quali era stato un omega solitario sopravvissuto alla vita riportandone danni ingenti, del quale ancora pagava lo scotto. Stava guarendo, ma il suo corpo reagiva ancora a quel modo dopo ogni trasformazione.
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Sicuro di farcela ? – gli domandò il giovane, ricevendo in tutta risposta un deciso scrocchio del collo e un cenno del viso, in direzione della grande casa. Qualcuno infatti era uscito, con un grosso sigaro fra i denti e un velo di fumo che lo accompagnò finchè non richiuse il portone. I tre arretrarono di qualche passo nella boscaglia, finchè Bellamy non fece cenno al terzo lupo di restare in silenzio, in attesa e a guardia del perimetro. In quei boschi vigeva il divieto assoluto di caccia, per cui non si preoccupò eccessivamente dell'incolumità di Abyss, che seppur giovanissima conosceva alla perfezione quei luoghi. Oltretutto da diversi decenni erano circolate fra i babbani diverse storie e leggende sulle Bestie Sacre del bosco, e nessuno aveva mai azzardato neppure l'idea di inimicarsi gli Spiriti.
A quel punto Bellamy e Levine uscirono dal folto, scrollandosi briciole di terreno dagli abiti e avvicinando l'uomo col sigaro. -
Sento cantare Lev, la birra di questo posto deve essere ottima* – disse il giovane, con un colpetto sulla spalla rigida del compagno e facendo un cenno di complicità al fumatore, che in tutta risposta si aprì in un sorriso sotto il folto baffone grigio. -
Puoi dirlo giovanotto, non c'è birra migliore da qui a Narvik, parola mia. Stasera poi un forestiero sta pagando un giro a tutti, vi consiglio di approfittarne* -
III.
All'interno il Bjørnehi si presentava come una casa dal tetto alto, costruito su un'impalcatura ben sostenuta di travi e assi di rovere. C'era un fortissimo odore di fumo che trasudava dalle pareti, annerite da anni di affumicatura, causata dal grosso camino che ardeva per giorni senza mai spegnersi. Tutt'intorno sul limitare delle pareti si stagliavano grossi quadri di scene di caccia, probabilmente memorie di tempi antichi ben lungi dal tornare. Al centro della stanza i visitatori avevano unito gran parte dei tavoli, riunendosi in un circolo goliardico di risate e urla, dopo ogni pinta buttata giù. Stava avvenendo qualche stupido e insulso gioco al suo interno, ma Bellamy sembrò approfittare di quell'attenzione concentrata altrove per affiancarsi al bancone. Il barista era un tipo lungo, estremamente magro al limite della fragilità, aveva i capelli raccolti in un codino finissimo al punto tale che, in un primo momento, gli fosse sembrato pelato. Il giovane ordinò due birre per rompere il ghiaccio, tanto più che a quanto si diceva fossero già pagate, gli sembrò scortese rifiutare. Dopo alcune chiacchiere di routine con il barista, Bellamy sfilò dalla tasca del suo giubbotto di jeans un cellulare e dopo una breve ricerca lo rivolse verso l'esile uomo. -
Stiamo cercando questa ragazza, sappiamo che ha alloggiato qui qualche sera fa, ma da allora non abbiamo più sue notizie* -
Il barista allora si avvicinò maggiormente allo schermo del telefono, cercando di mettere a fuoco l'immagine mostratagli e quasi incrociando gli occhi nel tentativo. Parve metterci più di qualche secondo per far arrivare il segnale di immagine dall'occhio al cervello. Dopo averlo elaborato si risollevò con fare sorpreso e convinto, mentre continuava a pulire un bicchiere fin troppo lucido. -
Oh certo, ma certo* - rispose, alleggerendo con due sole parole il cuore appesantito del lupo, una conferma che dava inizio alla sua ricerca. Ora doveva solo fare qualche altra domanda per capire se la ragazza avesse parlato con qualcuno di possibili mete, se avesse lasciato qualche indizio, poteva chiedere di ispezionare la sua stanza per trovare tracce olfattive da seguire. Ma prima ancora di porre la prima delle sue infinite domande, il barista stese un braccio quasi sfiorandogli il naso e indicando qualcosa alle sue spalle, al centro della stanza.
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È proprio lì, che Odino la benedica, in una sola serata ha risollevato le sorti di questa vecchia baracca* – l'oste era compiaciuto, Bellamy al contrario aveva la mandibola spalancata e il cervello incapace di elaborare ciò che stava vedendo.
Al centro esatto del mucchio di bestioni nordici e barbuti se ne stava Mya, in piedi sul tavolo mentre cercava di tenere in equilibrio sulla fronte tre bicchierini di rhum. -
Dieci secondi dieci secondi* - gridavano in coro gli ospiti, battendo le grosse mani a tempo.
IV.
C'era voluto l'aiuto di Levine per riuscire a tirar giù dal tavolo quella ragazza, ma l'ostacolo più grande era stato farsi largo fra quei corpi voluminosi e unti, decisi a godersi lo spettacolo fino all'ultimo. A dieci secondi di sfida Mya non c'era arrivata, al quinto secondo il reflusso dell'ultimo shot le aveva fatto perdere l'equilibrio e i bicchierini erano volati in tutte le direzioni, rimbalzando su spalle corpulente, teste bitorzolute e nel peggiore delle sfortune direttamente a terra. -
Te li ripago tutti Stein!* - gridò la ragazza con un tono di voce sbilenco e stonato, decisamente ubriaca oltre ogni limite di decenza e controllo. Dall'altra parte della stanza rispose il barista, pignolo ma sereno –
mi chiamo Svein, e non deve preoccuparsi signorina* -
A quel punto Bellamy riuscì ad afferrare il braccio di Mya, che finalmente si accorse della sua presenza sussultando per la sorpresa, o il fastidio. Provò a strattonare il braccio per farsi lasciare dal ragazzo, ma il movimento fu talmente scoordinato da farla scivolare sulle gambe, finendo col sedere sul legno duro del tavolo. Tentando nuovamente la fuga, si spinse con i piedi, calciando i gomiti di alcuni poveri ospiti che già avevano preso le sue difese vedendola inerme e costretta in quella presa indesiderata. Uno dei presenti, più ubriaco degli altri (ed era difficile stabilire una simile graduatoria considerato i fiumi di birra che erano scivolati fra gole e baffi in tutto il locale) afferrò con forza il braccio del ragazzo, intimandogli di lasciarla andare. In tutta risposta Bellamy, preso dall'ira più incontrollabile, gli assestò una capocciata proprio sul naso, rompendoglielo sonoramente. Dal coro di uomini si alzò un “ooohhh” di sorpresa misto a febbricitante attesa di una possibile rissa, ma prima che questo potesse accadere Levine si intromise guardando il suo capo e chiedendogli tacitamente di ripiegare prima che finisse davvero male. Il giovane si pulì la fronte dal sangue rimastogli nel colpo, e guardando l'energumeno gli rispose con secca decisione –
è mia sorella, e questa storia finisce ora. Godetevi l'ultimo giro* -
Detto ciò afferrò la ragazza di peso, portandosela in spalla e allontanandosi dal centro del bar. La grande cerchia di uomini si aprì come una porta al suo passaggio, forse intimoriti dalla forza e la violenza che quel giovanotto aveva dimostrato poco prima.
Mya ciondolava, e sbatteva, sulla schiena del lupo in movimento. -
Bell. Sto per vomitare. - ma nemmeno il tempo di dirlo che già lo stomaco si erano rovesciato sul pavimento, sugli abiti del ragazzo e sulle mani di lei, nell'atto sciocco di provare a frenarsi. Era chiaro che in quelle condizioni non potevano rientrare, e neppure sentiva di voler fare una simile figura con il branco, Mya era stata posta sotto la sua supervisione e quella era una sua responsabilità diretta. Si avvicinò dunque al bancone, scusandosi con l'oste e chiedendo il numero della stanza da lei prenotata. Dopo una doccia e un sonno riparatore avrebbero ripreso il cammino, non c'era altra scelta. Lasciò diverse corone sul bancone per ripagare del disturbo e, prese le chiavi fornitegli dall'uomo, si avviò nel corridoio.
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Signor Stein...Sfein...Svein, glieli ripago davvero. Domaaani vado da Ikea e ne compro uuuna scatola intera* – disse la ragazza allargando le braccia e simulando l'entità della scatola appena citata. Dopodichè si abbandonò sulla schiena del compagno, respirando a contatto con il tessuto del suo giacchetto che sapeva di rhum, alcol e altre cose. Poi, come presa da una realizzazione improvvisa girò il voltò, ancora sottosopra –
Bell! -
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Che c'è ora? -
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Ma noi non siamo fratelli – disse con la soddisfazione di chi ha appena fatto una deduzione pazzeschissimamente arguta. -
Oppure lo siamo? -
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Chiudi quella maledetta bocca Mya – ringhiò cupo il lupo.
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Certo se lo foossimoo sarebbe davvero straano, voglio dire dopo... -
* Silencio* enunciò mentalmente il ragazzo stringendo la bacchetta nella tasca dei pantaloni, per mettere fine a quell'intermezzo, già di per sé imbarazzante.
Per tutta risposta Mya continuò a parlare, pur non emettendo alcun suono, senza nemmeno accorgersene evidentemente.
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Un'ora dopo la ragazza ronfava beatamente nel suo letto, abbracciata al suo cuscino come un suicida marino al suo masso. Bellamy la osservò un'ultima volta prima di uscire dalla stanza richiudendo la porta alle spalle. Tutto il clamore al piano terra era andato affievolendosi, segno che gli allegri ubriachi avevano finalmente imboccato la strada del rientro verso le loro dimore. Il giovane scese le scale scricchiolanti cercando di fare meno rumore possibile, nel timore di risvegliare quel cataclisma etilico con le gambe. Arrivato nel grande salone della taverna il ragazzo aveva notato da subito la figura dell'oste intento a rigirare gli sgabelli sottosopra e posizionandoli sui tavoli, per poter pulire i pavimenti prima della chiusura. Il suo compagno Levine era invece poggiato di schiena al bancone, con i gomiti puntellati sul legno e la testa lasciata andare all'indietro verso le spalle, come se stesse osservando qualcosa di estremamente interessante sul soffitto.
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Ehi... - lo richiamò il giovane lupo.
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Ehi – rispose l'altro, lasciando trapelare una certa apatia mista a stanchezza.
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Abyss? -
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È tornata a casa. Le ho lasciato detto quanto mi avevi comunicato, sarà già da Corinne in questo momento -
Bellamy rispose con un sospiro di sollievo. Quella “caccia” era durata meno di quel che si era aspettato, ma allo stesso modo lo aveva sfinito. Si passò una mano sugli occhi stanchi, e poi a scendere sugli zigomi fino alla mascella. Nonostante la stanchezza non sarebbe riuscito a prender sonno, tutta quella situazione era assurda, Mya era irriconoscibile in quello stato, e i suoi atteggiamenti totalmente fuorvianti. Cosa era accaduto in quei tre giorni di lontananza a ridurla in quello stato di follia? L'aveva vista spesso bere, ma mai al punto da non ricordare con quale arto si camminava e con quale si sollevava un bicchiere. Era stata a dir poco imbarazzante. Ma la conosceva abbastanza bene da percepire una nota ben più che stonata in quel quadro di euforia e ilarità. Attese che l'oste terminasse il suo giro di riordino del locale, poi gli fece cenno di raggiungerli. Presero posto sugli alti sgabelli del bancone, con un bicchiere d'acqua a lenire le conseguenze di quella serata.
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Mi scuso a nome di mia sorella, per il disturbo che vi ha arrecato* -
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Non dovete, a gestire una taverna, di scene come queste se ne vedono ogni giorno*. - rispose goliardico -
Anche se ammetto che erano anni che non capitava, il Bjørnehi non ha passato anni floridi* – ammise con una nota di forte rammarico. Con l'apertura dei pub nei paesini più grandi, più moderni di una bettola di campagna, molti giovani del luogo avevano preferito salire in sella ad una moto e fare diversi km solo per bere la stessa identica brodaglia, solamente in un luogo più “chic”.
Il lupo si limitò a sorseggiare la sua acqua, sperando che l'oste non avesse l'intenzione di sciorinare tutta la storia della taverna dai suoi albori fino al tempo attuale.
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Ha detto che Mya...che mia sorella* – corresse all'istante il tiro, deciso a mantenere quell'improbabile messinscena –
ha risollevato le sorti di questo posto, cosa intendeva? Non voglio farla sentire sotto pressione per le mie domande, vorrei solo capire cosa le è accaduto in questi giorni di assenza* - Si spostò di peso sullo sgabello, ruotando il corpo e osservando ora il suo interlocutore. Aveva bisogno di risposte, ma anche di sincerità. L'uomo si rigirava il bicchiere fra le mani, senza tuttavia berlo, quasi quell'acqua fosse qualcosa di prezioso. Ma alla domanda del ragazzo si rianimò, destato dai suoi pensieri foschi.
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Quella ragazza ha pernottato qui una sola notte, come tanti forestieri prima di lei. È stata discreta e sulle sue, ha richiesto un pasto in camera e al mattino è partita con le prime luci dell'alba. Non pensavo l'avrei rivista sinceramente, invece ieri sera si è ripresentata sull'uscio. Aveva un aspetto diverso, sembrava estremamente su di giri e allegra, ha ordinato la cena e si è seduta ad un tavolo, essendo una delle poche anime presenti mi sono intrattenuto in sua compagnia e abbiamo chiacchierato del più e del meno. Mi ha chiesto la storia del Bjørnehi e mi sono fatto prendere la mano, abbiamo parlato per ore* -
Ogni singola parola pronunciata dall'uomo gli arrivava come un cazzotto dritto sul naso, descrivendo l'atteggiamento di una perfetta sconosciuta. Quella scorbutica nanerottola che sorrideva e chiacchierava amabilmente con uno sconosciuto, condividendo il suo spazio vitale? Follia, o forse era finito in un altro universo. O una candid camera. Ma negli occhi dell'oste Bellamy non riuscì a scorgere neppure l'ombra di una menzogna, quell'esile uomo tutto ossa e cordialità stava dicendo il vero, per quanto assurdo suonasse al suo orecchio. Il ragazzo gli fece un cenno di interesse, chiedendogli tacitamente di continuare il suo racconto.
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Questa mattina è scesa per la colazione in tarda mattinata, ma non deve essere riuscita a dormire bene perché aveva grosse e pesanti macchie scure sotto gli occhi. Eppure si è comportata esattamente come ieri sera, euforica e pimpante, mentre sgranocchiava un fagottino al miele mi ha detto che sentiva il dovere morale di aiutarmi, immagino per la storia raccontatale la sera prima. Le ho detto che non importava, che la locanda sarebbe sopravvissuta in un modo o nell'altro, e che apprezzavo il suo interessamento. Ma non deve avermi dato ascolto, perché dopo essere sparita per circa cinque ore è tornata questo pomeriggio con un seguito di clienti assetati. Non ho davvero idea di dove sia andata a pescarli, ma vedere il locale così affollato mi ha riempito di gioia. Le mie ossa hanno gioito un po' meno, non ero più abituato a tutto questo movimento ah ah ah* – si lasciò andare ad una sana risata, che trattenne poco dopo nel timore di svegliare gli ospiti.
Una storia di per sé assurda, che lo diveniva ancor di più con quella seconda metà del racconto. Mya che mostrava un'empatia mai dichiarata e che si impegnava per risolvere i problemi altrui? Le parole Assurdo e Impossibile assumevano un significato del tutto nuovo.
Nel mentre che elaborava i dati fornitigli dal gestore il suo orecchio, sempre in allerta, captò un rumore proveniente dalla stanza al piano di sopra, dove la ragazza stava dormendo. Un tonfo sordo seguito da un tintinnio sul legno, alcuni passi e poi di nuovo il nulla. Bellamy senza pensarci troppo era scattato sulle scale congedandosi dall'oste e facendo cenno a Levine di seguirlo al piano superiore. Con circospezione aveva aperto la porta, bacchetta alla mano per ogni evenienza, ma aveva solo intravisto la figura della ragazza nella penombra, avvolta nella coperta come un baco da seta. Per sicurezza perlustrò la stanza, inciampando maldestramente su un fagotto marrone sul pavimento. Era lo zaino di Mya, che per qualche strano motivo doveva essere caduto dalla poltroncina provocando quel tonfo avvertito poco prima. Lo raccolse e lo adagiò nuovamente sulla seduta. Era inutile allarmarsi o porsi domande delle quali al momento non poteva avere risposte. Tornò in corridoio per avvisare Levine e per consigliargli di andare a riposare, lui sarebbe rimasto di guardia. Dopotutto quella ragazza era sotto la sua responsabilità.
V.
Al risveglio Mya si rigirò nel letto due volte, infastidita eccessivamente dalla luce del sole che filtrava dalla finestra già dalle quattro del mattino. Afferrato il cuscino se lo portò sopra il viso e in quell'oscurità artificiale si sentì annegare. Come al risveglio da un incubo terribile, al di fuori del quale si cerca di rimettere a posto i pezzi con lucidità, accettando l'ineluttabile verità che per quanto orribile e sofferta quella realtà fosse, sarebbe già svanita dopo il primo sbadiglio. Ma quella mattina i contorni dell'incubo che aveva vissuto non svanivano, per quanto ricercasse nella realtà elementi che l'aiutassero a disperdere quel dolore nel petto e quel senso di soffocante afflizione non vi riusciva. Più ricomponeva la sua vita, più quegli elementi caratterizzanti dell'incubo vi si incastravano alla perfezione, rappresentandola in pieno. L'incubo non esisteva, perché era la Realtà. E non poteva svegliarsi da quella verità, né fuggire in un nuovo sogno. Era chiusa in un pozzo sigillato, all'interno del quale continuava a filtrare acqua dalle pareti umide, a poco a poco l'acqua si sarebbe sostituita all'ossigeno e nei suoi polmoni non ci sarebbe stato altro. Stava annegando in un mare denso e putrido, generato dai suoi stessi sentimenti. Il dolore aveva la forma di un legaccio di corda stretto attorno alla gola, l'odio si presentava come una corona di spine avvinta attorno alla testa e spinta fin dentro il cranio, la frustrazione si trasformava in catene infuocate che le tenevano legati i polsi. La rabbia era simile ad un ruvido sasso incastrato nella trachea, la vergogna era sabbia e pietrisco negli occhi, il senso di colpa le sue stesse mani che tiravano la corda che la condannava a morte per soffocamento. Ma la morte non sopraggiungeva mai, come se non ne fosse degna, e meritasse invece quel supplizio eterno. Incapace di reprimerlo ancora, un gridò uscì dalla sua gola infiammata dal pianto soffocato, e bloccato in parte dal cotone e dalle piume del cuscino.
Bellamy, che fino a quel momento era rimasto in dormiveglia seduto a terra con le spalle contro il bordo del letto, si alzò di scatto sfiorandole la mano ancora stretta sulla federa. -
Ehi ehi, svegliati, è solo un incubo, passerà...io sono qui – guidata, controvoglia, da quella voce la ragazza parve calmarsi, lasciando scivolare le sue dita fra quelle del compagno, senza tuttavia togliere il cuscino dal viso. Non voleva mostrargli la profondità di quel pozzo oscuro. “Solo un incubo” lo aveva definito, sarebbe stato bello credere alle sue parole, alla sua voce.
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Ora va meglio – mentì sollevandosi sul letto e abbandonando la sua mente con lentezza, ancora abbracciata al cuscino. Afferrò qualcosa fra le pieghe delle lenzuola e si alzò spostandosi nella stanza –
vado un momento in bagno, tu cerca di riposare in una posizione meno strana – gli disse indicando il letto, abbastanza grande per ospitarli entrambi. Anche se dubitava che avrebbe ripreso facilmente sonno.
Accese la luce nella piccola toilette e richiuse la porta alle sue spalle.
VI.
Un dolore fastidioso al braccio destro riportò Bellamy alla realtà, svegliandolo dal sonno profondo in cui era crollato solo qualche ora prima. Se ne stava a pancia sotto disteso sul letto, con il braccio incriminato che penzolava giù dal bordo sfiorando il pavimento. Aveva perso la sensibilità delle dita, al punto da non sentire neppure il tocco del legno. Gli parve di avere un moncherino al posto della zampa. Si risollevò stordito, sfruttando il braccio ancora sano e accorgendosi con un ritardo di troppo che Mya non era più nel suo letto. Di scatto si alzò, improvvisamente sveglio ma ben lungi dall'essere lucido, si fiondò nel bagno senza trovare traccia della ragazza. Il suo zaino era sparito, così come tutte le sue cose. Un terrore miscelato con cura alla rabbia lo invase, trascinandolo in pochi secondi fuori dalla stanza e giù dalle scale, talmente veloce da rischiare di arrivare al piano terra rotolando sulla sua colonna vertebrale.
Nella stanza al piano di sotto l'aria era satura dell'odore di mirtilli, di pastafrolla appena sfornata e di miele e grano. Risate leggere riempivano l'aria, accompagnando un chiacchiericcio divertito e animato. Seduti attorno ad un tavolo tondo se ne stavano Mya, Levine e altri due commensali sopraggiunti nella notte. L'oste versava loro del buon latte di capra nei grossi bicchieri e riforniva le caraffe di caffè e spremuta di melograno, partecipando al loro dibattito. Levine fu il primo ad accorgersi della sua presenza, preoccupato in un primo momento dallo sguardo ansioso del capo, capendo un secondo dopo il motivo della sua preoccupazione. Gli fece cenno di avvicinarsi, spostandosi lateralmente sulla lunga panca e lasciandogli posto sulla seduta. Bellamy si voltò un momento verso le scale dalle quali era corso giù, più per nascondere il viso che per reale interesse. Si strofinò maldestramente gli occhi, risistemandosi i capelli perennemente arruffati e li raggiunse sedendosi fra il suo sottoposto e la ragazza. Le lanciò uno sguardo duro, a tratti silenziosamente furioso, ma in tutta risposta Mya ricambiò con stupore, inclinando la testa. -
Che c'è? Vuoi il mio strudel? - gli chiese porgendogli il profumato fagottino ad un soffio dalle labbra. -
Ovviamente no – si rispose da sola, e con voracità affondò i denti e le labbra sulla sfoglia croccante. Sorrideva, e sembrava serena come mai l'aveva vista in due anni in cui la conosceva. Sorrideva, e quel sorriso inquietava e preoccupava il lupo. Come poteva non avere ribrezzo e vergogna per l'imbarazzante sequela di momenti accaduti la sera precedente? Che non li ricordasse?
VII.
I due lupi si erano già incamminati lungo il sentiero, lasciando Mya nei pressi della locanda per gli ultimi saluti e un ringraziamento fin troppo sentito all'oste. Anche se a distanza Bellamy riuscì ad ascoltare con estrema chiarezza le loro voci. Il gestore la ringraziava per il giorno precedente, invitandola a tornare quando voleva, la porta del Bjørnehi era sempre aperta per lei. La ragazza strinse con vigore le mani dell'uomo, augurandogli il meglio. Quegli atteggiamenti facevano rabbrividire Bellamy ogni secondo di più. Era lei, eppure non era affatto lei.
Poi la ragazza li raggiunse seguendo i due lungo la strada asfaltata, avrebbero proseguito ancora per qualche centinaio di metri prima di inoltrarsi nel fondo del bosco per non destare sospetti.
Levine fu il primo a riprendere la forma animale, precedendoli lungo la strada del ritorno. Mya con un incantesimo ridusse le dimensioni del suo zaino, così da poterlo trasportare meglio durante la mutazione, ma il lupo nero la fermò afferrandola con delicatezza per il braccio.
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Non stavolta, non sei ancora pronta -
Mya in tutta risposta si lasciò andare ad una risata cristallina, cogliendo alla sprovvista il giovane, che al contrario si era preparato ad una delle sue solite piazzate spavalde. -
Se non ora, quando? Dai Bell mi sento alla grande, magari è proprio di questo che ho bisogno per concludere il mio ciclo. Ci sono vicinissima, lo sai. O hai solamente paura ch'io arrivi prima di te alla tenuta? Perché sai tecnicamente è così che andrebbe – allargando le braccia simulò un volo, ruotando su sé stessa. Di nuovo quell'atteggiamento da brivido, spavalda sì ma circondata da un'euforia che a Bell era sconosciuta, se indossata da lei.
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Se non ti schianti prima al suolo – gli rispose sarcastico, sequestrando il suo zaino minuscolo e precedendola sul selciato del bosco.
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In quel caso avrai l'onore di raccogliere le mie spoglie, dicono che lo stufato di falco sia delizioso. Ne hai mai mangiato uno? - chiese come una bimba curiosa, seguendo il compagno nel fitto del bosco.
-
Ma cosa hai bevuto di tanto letale da scioglierti la lingua? - ribatté il lupo irritato, spingendo con forza ogni passo sul terreno. I suoi stivali lasciavano impronte nette ed evidenti, all'interno delle quali Mya saltellava, presa in uno stupido gioco in solitaria. Le impronte grandi di Bell erano facili da seguire, un passo sicuro su cui avanzare, nessun imprevisto che la sua suola non avesse già saggiato.
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E sì, ne ho mangiati diversi, anche crudi se quella è la prossima domanda. La vostra carne è sopravvalutata a mio parere, siete stoppacciosi, e pieni di fastidiosissime e minuscole ossa. Ho soddisfatto la tua curiosità? -
La ragazza non rispose, troppo presa nella sua avanzata di pedata in pedata, o catturata da chissà quali pensieri. Continuava a saltellare, con quel sorriso scemo piazzato in faccia. Bell si scoprì oltremodo frustrato da quella felicità immotivata che la ragazza irradiava, felicità di cui lui non percepiva l'origine, e ancor più difficile da ammettere di cui non faceva evidentemente parte. Qualcosa era accaduto a Mya, qualcosa che le aveva cambiato la vita, in un modo in cui loro non erano riusciti a fare in due anni. Da quando era arrivata alla tenuta, distrutta e disperatamente aggrappata a quell'ultimo frammento di speranza, i Walsch si erano presi cura di lei, l'avevano accolta nel branco e l'avevano guarita. Prima superficialmente, poi avevano iniziato a curare il suo animo e il suo spirito, ma il passo più grande che le avevano visto fare era stato riconquistare il suo orgoglio e le sue ali, ma mai la felicità. Forse perchè si sentiva straniera, e lontana da casa, ma mai un sorriso tanto sereno era comparso sul suo viso.
In silenzio proseguirono il resto del percorso, accompagnati solo dal mugulare di Mya che con delicatezza solfeggiava musiche antiche, fra le labbra leggermente dischiuse.
VIII.
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Ho trovato questa fra le sue cose – ringhiò il giovane quasi sbattendo la piccola fiala di vetro sul tavolo della nonna, sotto il suo sguardo sorpreso. L'anziana donna allungò le dita ossute e, fra un tremore e l'altro, avvicinò la fiala al viso. Con non poca fatica strappò via il tappo in sughero e lo lasciò cadere sul pianale in legno, annusandone l'essenza.
Nel frattempo un grosso schianto si infranse sulla porta della stanza, accompagnato da una voce rabbiosa –
Bell! Restituiscimela! È mia, questa cosa non ti riguarda, non hai alcun diritto di scegliere per me! Bellamy! Esci subito ! - E giù di pugni furiosi sul legno massello.
Oltre la porta la voce di Mya arrivava ovattata, ma si percepiva chiaramente tutta la sua rabbia, al punto che l'anziana donna con un cenno indicò ad Encke di occuparsene. Il nerboruto uomo non se lo fece ripetere una seconda volta e, presa la strada della porta, la attraversò afferrando la nanerottola prima che riuscisse ad infilarsi nella stanza.
Seguì un acceso diverbio fra i due e i rumori di una decisa colluttazione. Encke doveva aver guadagnato una sonora capocciata sotto al mento mentre cercava di bloccare i movimenti della ragazzina. L'anziana donna riprese ad osservare il liquido ambrato che fluttuava all'interno dell'ampolla, le era bastato sfiorarne una goccia con la lingua per saggiarne la consistenza e la reale entità.
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È Felix Felicis, senza ombra di dubbio – una sola goccia era bastata alla donna per farle provare la sensazione di avere circa un ventennio in meno, con il desiderio appena controllabile di scattare fuori e correre a perdifiato con le zampe nella valle. Ma era abbastanza tenace e matura, da saper gestire quell'effetto della pozione.
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Una pozione della buona sorte? Perché mai avrebbe dovuto … - chiese interrogativo il giovane in direzione della nonna. Per quanto assurdo fosse da credere che la ragazza avesse volontariamente ingurgitato quella pozione, perlomeno questo spiegava tutti i suoi atteggiamenti dell'ultima settimana. In piedi fin dal primo mattino, aiutava nel preparare la colazione per tutto il branco, meditava per ore e si allenava senza mai stancarsi, e senza alcuna lamentela. Condivideva i suoi pensieri con gli altri lupi e si lasciava anche travolgere dall'ilarità generale, dalle storie e dalle opinioni. Aveva persino ottenuto un nuovo record di trasformazione, riuscendo a mantenere la mutazione per quasi un'ora senza ripercussioni. Ma quell'intruglio magico poteva davvero avergli dato quella nuova identità? E se l'aveva fatto, a quale scopo? A Bellamy sembrava un'enorme follia, una menzogna depravata, perché quella che batteva con furia i pugni sulla porta e scalciava e si dimenava rabbiosa nel corridoio, quella era la vera Mya.
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È una pozione rara da trovare, e ancor più da creare, dubito sia stata opera sua, qualcuno deve avergliela procurata mentre era fuori. In quanto al perché lo abbia fatto, non so darti una risposta mio piccolo Bell, molti cercano un'occasione in essa, un riscatto, altri la felicità. -
Il giovane prese la fiala che l'anziana gli porgeva, studiandola anche lui più nel dettaglio e notando nuovi inquietanti particolari. La boccetta era ancora mezza piena, di almeno due dita di siero, mentre il tappo in sughero sembrava avere una certa lentezza nella presa segno che era stato aperto più e più volte. Espresse quel pensiero alla donna. -
Non è una pozione che viene presa tutta d'un sorso? Il suo effetto dura per un giorno solitamente, ma lei ne giova da più di una settimana, come è possibile? -
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Deve averla diluita nelle bevande, o presa in piccole dosi. Il suo effetto sarà stato sicuramente ridotto, ma deve averle permesso di conservarla più a lungo – le rispose la saggia donna, nei cui occhi si era presentata l'ombra di un rammarico, una tristezza delicata e gentile, causata da quella forte empatia che le permetteva di guardare il mondo attraverso il cuore altrui. E le motivazioni di quel giovane cuore piumato, per quanto le fossero sconosciute, la ferivano come se il dolore e la sofferenza fossero suoi.
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Può averne sviluppato una dipendenza? - chiese il nipote, ora più calmo ma ugualmente preoccupato per quella situazione che non sapeva come gestire. -
È probabile, questo giustificherebbe i suoi picchi di furia improvvisi, deve essersi assuefatta alla sensazione che la pozione genera nella sua mente -
Come possiamo combattere la dipendenza? La leghiamo finché non smaltisce l'ultima stilla di pozione? -
L'anziana donna proruppe in una mesta risata, smorzata solo dalle sue limitate capacità respiratorie. Diede un colpo di tosse e tornò a guardare con dolcezza il nipote, ancor troppo giovane ed inesperto per portare quel gravoso peso sulle spalle. Sperava di non raggiungere le beate terre di Cernunnos prima di averlo visto crescere, compiendo il suo destino, lungo il sentiero che gli Dei gli avevano preparato. -
No, mio piccolo Bell, un cuore non si cura stringendolo a morte -
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Il cuore? -
La donna fece cenno al giovane di avvicinarsi, prendendo posto sul bracciolo della sua vecchia poltrona, come quando era più piccolo e lei gli raccontava qualche storia interessante.
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Il cuore di quella ragazza è lacerato Bell, lo abbiamo medicato come e meglio potevamo, ma sta ancora soffrendo, sta ancora combattendo. Qualsiasi cosa sia successa mentre era via deve aver riaperto quelle blande cuciture, e strappato via quel poco di sollievo che a fatica aveva riguadagnato. Ora ti prego, va da lei e poi portala qui da me, ho bisogno di parlarle. -
L'anziana fece cenno al giovane di lasciare la fiala al centro del tavolo, prima di andare.
IX.
Encke borbottò qualcosa a Bellamy prima di sbattere con forza la porta ed estraniare entrambi da quella conversazione. Mya era agitata, si muoveva a scatti nella stanza, avanzava cambiando diverse volte direzione, senza il coraggio di guardare direttamente negli occhi Corinne. Si sentiva osservata, giudicata, trovata fallace. La vergogna la vestiva dalla testa ai piedi, e di fronte a quegli occhi velati dalla cecità si sentiva nuda, senza riparo.
Riconobbe il profilo della fiala sul tavolo e d'istinto ci si lanciò, senza pensarci due volte stringendola fra le mani giunte. L'anziana donna non fece nulla per fermarla, continuando ad osservarla con estrema calma. Quegli occhi ciechi e vuoti la seguivano ovunque, non importava quanti movimenti e spostamenti facesse, Corinne la Vedeva. -
Ti prego, prendi posto – la invitò con quel suo solito tono pacato, ma deciso.
Mya, con le dita ancora strette attorno al vetro della fiala, si sedette sulla poltrona con lo sguardo basso ad osservare le sue stesse gambe. Provava un disagio senza pari, causato anche da quella reazione improvvisa che aveva avuto alla vista del suo tesoro. L'effetto della precedente dose era ormai agli sgoccioli e attraverso le pieghe di quella realtà distorta iniziava ad avvertire l'arrivo dei mostri, che subdoli scivolavano nei pertugi della sua razionalità. Doveva prenderla, altre due gocce, solo altre due gocce sulla lingua e avrebbe superato la sera. I mostri sarebbero tornati nell'oblio della coscienza assopita. Solo due gocce. Le mani tremanti corsero al tappo, che si svitò con un sonoro “pop”.
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Posso sentirli arrivare – disse d'un tratto l'anziana cogliendo alla sprovvista Mya, che rimase con la boccetta a due soffi dalle labbra. Non c'era nessun altro nella stanza a cui potesse essere riferita tale frase, eppure quelle poche parole le erano così familiari. -
Non posso vederli questo è certo, ma immagino siano abbastanza vicini, se senti il bisogno di fuggire con così tanta fretta da non potermi concedere un minuto di più -
Quelle parole giunsero come una coltellata nel petto, provava una profondo rispetto verso Corinne anche se la sua forte empatia spesso la spaventava, incapace di nasconderle anche il più piccolo dei turbamenti. -
Qui sei al sicuro, non possono farti nulla -
A quelle parole gli occhi di Mya si velarono di dolore, trasformando la paura in rivoli d'acqua salata, inarrestabili. Era chiaro a Corinne che quella ragazza stava fuggendo da un nemico invincibile, o che almeno lei riteneva tale, al punto da preferire l'oblio ad una reale resa dei conti. -
Menti – si permise, con tono estremamente oltraggioso e una punta di acida rivalsa, di cui si sarebbe pentita in seguito.
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Può darsi...ma non hai negato il fatto che stai fuggendo, e ne sei consapevole mia piccola piuma. Quel siero finirà prima o poi, e di te cosa rimarrà, questo sai dirmelo? -
Le mani della ragazza tremavano, seppur strette alla fiala come fosse la sua unica via d'uscita da una situazione di impellente pericolo. Il suo cuore aveva iniziato a battere più forte, i mostri graffiavano sulle pareti della falsa realtà in cui li aveva relegati, pronti a sfondare le porte al primo cedimento. Tremava di dolore, e paura, l'orgoglio ormai non le apparteneva più, aveva solo bisogno di allontanare quell'orrore dalla sua testa. Eppure non riusciva a muovere le mani, la fiala era immobile a mezz'aria, il suo profumo spinto nelle narici la inebetiva richiamandola ad un gesto primordiale, necessario. Solo un sorso e tutto sarebbe svanito. Per quanto? Un giorno? Una settimana? Stupidamente aveva cullato l'idea di poter lenire quel dolore diluendolo nel tempo, così che al risveglio dalla pozione avrebbe ritrovato un mondo meno pesante, con più risposte e meno sofferenza. Ma come poteva avere la certezza che i sentimenti funzionassero esattamente a quel modo?
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Da qualsiasi cosa tu stia cercando riparo dovrai fronteggiarlo prima o poi o esso ti accompagnerà ogni giorno della tua vita, come una macchia nera che non puoi lavare via. Non è chiudendo gli occhi che lo vedrai scomparire piccola mia- Di nuovo quella sensazione di essere trasparente agli occhi di Corinne, chiara e limpida come acqua oltre la quale non poter nascondere alcun relitto. Quelle parole furono l'ultimo colpo, assestato contro quelle fragili pareti, che crollarono in un solo momento sotto la spinta dei demoni.
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Fa male Corinne – esplose in un pianto la ragazza, crollando sulle sue gambe e portandosi le mani al viso per contenere quel fiume di dolore pronto a strabordare oltre gli argini. -
Non riesco a fronteggiarlo, non riesco a conviverci, è buio e soffocante. Non vedo più il cielo Corinne, non lo vedo più -
La donna guidata da quella richiesta d'aiuto, si alzò e raggiunse la ragazza abbassandosi a fatica sulle sue vecchie gambe. Non la toccò né sfiorò rispettando quel momento sacro di intima sofferenza. -
Il cielo è ancora al suo posto piccola mia, anche se ti sembra offuscato e irraggiungibile, non ti può essere negato. Sono solo nuvole, e tempesta, ma se non ci passerai attraverso non potrai scoprire il sole che attende al di sopra. - le parole dell'anziana accarezzavano la sua anima, allo stesso modo in cui avrebbero fatto le mani se solo la donna si fosse sporta di poco più avanti. Mya rannicchiata sulla sua piccola figura, continuava ad asciugare le lacrime che imperterrite marcavano le sue guance, brucianti. -
Volaci attraverso mio giovane falco, e narrami ciò che vedi -
In quel momento Mya percepì una tensione diversa calare sull'intera stanza, una forza magnetica ascensionale che bloccava l'aria e il tempo. Corinne era Corinne, ma al contempo sembrava qualcos'altro, come un'immagine eterea o sovrapposta fra due piani dimensionali. Emanava la stessa sensazione avvolgente e familiare che aveva percepito durante il rituale d' ascensione nella dimensione spirituale, o ancor prima indietro negli anni quando aveva conosciuto Ephes, la sua guida. L'anziana donna le prese allora una mano avvolgendola fra le sue, calde e delicate, così esili e fragili. La ragazza tirò su col naso, cercando di calmarsi ma l'aria nei polmoni entrava a fasi irregolari e fra un respiro e l'altro le pareva di soffocare. Chiuse gli occhi cercando di condensare quel turbine di sensazioni in parole.
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Fra le nubi scure rivedo i loro volti, sono freddi come il marmo e i loro occhi sono chiusi. Non possono vedermi, e anche se li tocco non si accorgono di me. Sento stridere del ferro sulla pietra, e un rumore di catene che ciondolano. Ombre oscure si avvicinano ai loro corpi inerti, inveiscono su di loro senza ch'io possa fare nulla. La loro pelle si fa scura sotto i colpi inferti, sangue nero esce dalla pelle straziata, il corpo si scheggia, si spezza, si rompe. Il rumore della morte mi arriva ovattata, come la mia stessa voce che grida, vorrei muovermi ma il rumore di catene che avverto è ai miei piedi. Le catene mi avvolgono le caviglie e credo di non poter far nulla se non guardare. Guardo la morte, ma il dolore è il mio. Loro sono andati, non mi guardano, né mi giudicano, né possono incolparmi. Ma io lo vorrei. Provo dolore perché mi dico che avrei potuto salvarli se solo non avessi avuto i piedi legati, ma guardo in basso e mi accorgo che le catene sono sciolte, lo sono sempre state. Eppure non mi muovo, ancora e ancora, rivedo la loro morte e resto immobile -
Le lacrime erano tornate a inondare i suoi occhi, che ora fissavano il soffitto della stanza, come in uno stato di trance. Quel dolore rivissuto attraverso le parole fu straziante per il suo giovane corpo indebolito, il cuore pompava ad una velocità inusuale, il sistema nervoso era andato fuori controllo. Si sentiva prossima allo svenimento, se solo Corinne non la tenesse ancora vigile con il suo tocco gentile. La verità che Mya cercava era vicina, e per quanto dura potesse essere doveva arrivare ad una realizzazione completa.
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Cos'è dunque che cerca il tuo cuore? - le chiese stringendo di poco la sua mano.
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Perdono – uscì flebile dalle sue labbra massacrate dal pianto e dalla morsa nervosa dei suoi denti. Era la prima cosa che le era venuta alla mente, chiedere perdono per gli errori commessi, per le mani che non aveva allungato in soccorso, per le parole che aveva taciuto e che avrebbero potuto fare la differenza nella vita altrui. E nella sua. Supplicare quel perdono per l'odio che aveva coltivato, egoisticamente, senza mai cercare la vera risposta. Chiedere perdono per la sua stessa esistenza, cancerogena e letale per chiunque avesse incontrato sulla sua strada. Ma c'era davvero perdono per una vita spesa tanto male e nell'errore più assoluto? -
È davvero questo che desideri? Il perdono non puoi averlo da coloro che riposano fra le braccia degli Dei, né chiederlo a coloro che ancora camminano su questa Terra. Il perdono è un atto divino e nessun essere umano può fartene dono se non con un gesto di presunzione e superbia. Tu sola puoi perdonare te stessa, e v'è un solo modo -
La ragazza riuscì a riprendere il controllo del suo cuore, e dei suoi respiri, rallentando la frenetica corsa del suo petto. Chiuse gli occhi, assorbendo la voce di Corinne e facendola sua, mentre la mente adombrata faceva luce su quel piccolo vaso di rame, sigillato, all'interno del quale era nascosto il suo desiderio più profondo. Tremava, ma reciprocò il gesto dell'anziana e strinse le sue dita con un cuore terrorizzato, ma più consapevole.
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Cos'è dunque che cerca il tuo cuore? - chiese per la seconda volta la donna, aspettando la risposta che ormai sapeva essere giunta.
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Redenzione – rispose la ragazza, con gli occhi chiusi e le spalle smosse dai sussulti del pianto liberatorio. Quella consapevolezza faceva male, ma non come una lama sulla pelle, era più simile al dolore provocato da una panacea su una ferita aperta. Un dolore necessario affinchè tutti quei sentimenti strappati cicatrizzassero, mostrandole solamente il ricordo di ciò che avevano significato.
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Apri gli occhi – le disse con dolcezza la donna, sfiorandole una guancia per rapire una lacrima –
e dimmi cosa vedi -
Mya seguì quel comando, quasi a fatica tra il bruciore della pelle irritata dal sale e le ciglia imperlate di lacrime. Ma una luce abbagliante la colpì, quasi costringendola a richiuderli. Oltre le nuvole oscure c'era davvero il sole più mite e gentile che avesse potuto immaginare.
X.
Bellamy l'aveva raggiunta quasi di fretta, con le mani infilate nel giacchetto e il colletto alto per ripararsi dal vento che spirava sulla ripida scogliera. -
Lo fai davvero? - le chiese con tono fintamente dubbioso, e sarcastico.
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Regalo un giorno di felicità ai pesci, sono una persona caritatevole non trovi? - l'ampolla con la pozione dell'illusione chiamata felicità era ancora fra le sue dita, come se in realtà ne temesse il distacco. Era stato bello dimenticare, dimenticare gli errori commessi, dimenticare di aver avuto un passato, niente da rimproverarsi. Ma senza quel passato di lei cosa restava? Una persona che avrebbe continuato a commettere gli stessi errori, momento dopo momento, in un ciclo eterno di perdizione e fallimenti. Stappò la fiala e stendendo il braccio oltre il dirupo lasciò scivolare via il liquido ambrato, che precipitò verso il basso accompagnato dal vento.
Non aveva idea se la felicità esistesse realmente, e se vi fosse il modo di gustarla senza che questa creasse una problematica dipendenza. Ma se avesse voluto darsi questa possibilità, prima o poi, in qualche misterioso modo, il mondo forse l'avrebbe sorpresa.
Happiness is an allegory