| Fresco e pungente, il profumo degli aghi di pino le pizzicava il naso, trasportato dal vento autunnale che si divertiva a solleticarle le guance e a scompigliarle le ciocche castano scuro sfuggite dalla coda con cui aveva raccolto i capelli. Fece un respiro profondo, lento, chiudendo gli occhi mentre un sorriso disteso si delineava sulle sue labbra: la Scozia in autunno era meravigliosa. Non appena aveva avuto il via libera per prendersi un paio di settimane di pausa dal lavoro non aveva esitato a lasciare la caotica capitale magica, e zaino in spalla, un libro e il minimo necessario per fare escursioni, era partita. Aveva atteso trepidante per mesi la possibilità di visitare le terre dove le radici della sua famiglia erano germogliate, ma nonostante le insistenze dei suoi parenti, subito disponibili ad accompagnarla in quell’avventura, aveva rifiutato ogni possibile compagnia. Era un viaggio che sentiva di dover fare da sola, senza esitazioni, senza possibilità di essere trattenuta davanti alla curiosità che sicuramente l’avrebbe spinta a fare delle scelte avventate. Non aveva stilato un itinerario preciso, ed escluse le zone più popolate, aveva deciso di lasciarsi trasportare dalle emozioni che giorno dopo giorno sarebbero state la sua guida. Una sensazione particolare, pungente, era la causa del suo arrivo nei pressi di Allthenesis, un piccolo villaggio che si snodava sotto lo sguardo morbido del monte Càrn Eige: la Scozia del Nord l’aveva accolta come una madre severa che non vede il figlio da mesi, incapace di nascondere nel volto irrigidito il sollievo di abbracciarlo nuovamente e la gioia del ritrovarsi. Nel cielo grigio ferro, occupato da una distesa di nubi presagio di pioggia e temporale, i raggi del timido sole autunnale si facevano spazio tra uno spiraglio e l’altro, scivolando tra le foglie che ingiallivano sotto lo sguardo triste delle amiche sempreverdi. Seduta su una panchina di legno al limitare del bosco, osservava incuriosita le case del quartiere magico che si delineava di fronte a lei, appena dall’altro lato della strada. Un movimento catturò il suo sguardo, e con una punta di divertimento, incapace di abituarsi a certi aspetti della magia nonostante gli anni trascorsi ad Hogwarts, si ritrovò ad osservare un innaffiatoio sospeso a mezz’aria che con aria pomposa spargeva la sua acqua su un vaso di fiori azzurri posato fuori da una finestra. Facendo scorrere lo sguardo con più attenzione lungo la via, notò che le macchie azzurro cielo erano una costante sulla facciata delle case. Si alzò dalla panchina, incuriosita, e recuperato lo zaino attraversò il lastricato di pietre, avvicinandosi a una delle abitazioni. Dopo pochi passi il profumo dolce e delicato dei fiori prese piede su quello pungente del bosco che si stagliava alle sue spalle, e non riuscì a trattenersi: azzerò la distanza tra lei e la finestra più vicina, incurante della possibile invasione della privacy degli abitanti della casa, e allungò la mano per accarezzare i piccoli fiori azzurri che facevano timidamente capolino da un vaso bianco. Morbidi al tatto e delicati alla vista, sotto i suoi occhi assetati di dettagli si delinearono le delicate sfumature cerulee, pronte a rievocare il cielo primaverile insieme all’essenza dolce che sprigionavano i petali. Avvertiva il desiderio impellente di poterli osservare più da vicino, ma proprio mentre muoveva un ultimo passo per avvicinarsi maggiormente il rumore secco della finestra che si apriva la fece sobbalzare e con uno scatto raddrizzò la schiena, facendo un passo indietro. Lo sguardo incuriosito di una ragazza si incrociò con il suo, mentre la cute sul volto di Jane assumeva rapidamente una sfumatura color ciliegia. Attimi di silenzio rimasero sospesi tra le due ragazze, simili per età a prima vista ma diverse nell’aspetto: i capelli color del grano della sconosciuta si contrapponevano a quelli scuri di Jane, gli occhi del medesimo azzurro dei fiori del vaso. La ragazza le sorrise, gentile, mentre la medimaga cercava nell’imbarazzo in cui era sprofondata le parole giuste per scusarsi per la sua intromissione. « Io… ecco… volevo solo… » balbettò poche sillabe senza un vero senso, il rossore sul volto che ormai andava assumendo una sfumatura rubino, la bocca secca per la vergogna. Si guardava i piedi, intimidita dalla mancata reazione della ragazza davanti a sé e a disagio per l’ennesima pessima situazione in cui la sua curiosità l’aveva spinta. « Sono bellissimi, vero? » alzò timidamente lo sguardo quando la voce armoniosa della ragazza giunse alle sue orecchie: stava ancora sorridendo. « E il loro profumo non è da meno! Così delicato e al tempo stesso così… » « …dolce. » ancora con il volto arrossato, l’ex corvonero riuscì finalmente a pronunciare una parola di senso compiuto senza balbettare, incoraggiata dall’atteggiamento gentile della ragazza. « Esattamente, dolce. Non sei da queste parti, vero? » la giovane inclinò la testa, cercando di osservarla meglio. Jane si lasciò squadrare, nonostante si sentisse in soggezione, consapevole che in fondo era lei quella che aveva avuto la geniale idea di invadere una proprietà privata. « No, sono solo di passaggio. Vengo da Londra. » Quando nominò la capitale magica lo sguardo della bionda si illuminò, « Londra, davvero? Sono anni che desidero andarci! Ti andrebbe di bere qualcosa? » prima ancora di ottenere una risposta aveva estratto la bacchetta e aperto la porta, con una noncuranza che stupì Jane. Non indossava nulla che facesse intendere le sue origini magiche, eppure la strega sembrava aver intuito le sue capacità senza averne prova. Indifferente al fatto che non conoscesse la ragazza, pervasa dalla fiducia che il suo atteggiamento cordiale emanava, esitò solo un istante prima di spostarsi dalla finestra e dirigersi alla porta d’ingresso. Appena varcò la soglia, il profumo intenso dei fiori la colpì in pieno, disorientandola lievemente. « Vieni pure, sono di qua! » La voce della giovane risuonò alla sua sinistra, e dopo attraversato un piccolo ingresso bianco candido, spoglio ad eccezione di un mobiletto scuro, Jane svoltò l’angolo, ritrovandosi in cucina: il legno chiaro dominava la scena, ogni venatura sembrava pronta a raccontarne la storia. Agli occhi risaltava la fattezza pregiata, antica, tramandata di generazione in generazione. « Ti va una tazza di caffè? » Le parole della ragazza le fecero distogliere lo sguardo dall’ambiente, attirando la sua attenzione sul tavolo su cui la strega era appoggiata. Prese posto sulla sedia che le indicava, lasciando scivolare lo zaino sul pavimento: ancora prima di poter ringraziare una tazza blu scuro era stata riempita e posata davanti a sé, mentre dalla credenza uscirono un piatto e una fetta di torta, decorata da una particolare glassa azzurra. Solo un lieve rossore era rimasto sulle guance di Jane, stupita da tanta gentilezza. « E’ davvero troppo… grazie. » la mano scivolò a stringere la ceramica scura, alla ricerca del calore che il liquido emanava, « Ti chiedo scusa per prima, ma non avevo mai visto questa tipologia di fiori in vita mia ed, ecco… ero curiosa di osservarli da più vicino... Mi chiamo Jane, comunque. » Cercò di rimediare alla mancanza di educazione con una spiegazione a grandi linee, la giovane pronta a rispondere con un sorriso alle sue giustificazioni. « Non ti preoccupare, posso capirti. Io sono Aileen, piacere di conoscerti. » prese posto di fronte a Jane e con un gesto deciso della bacchetta aprì nuovamente le ante della credenza, dalle quali uscirono un mortaio color ghiaccio e una ciotola di legno colma di fiori azzurri. « Non li hai mai visti a Londra, vero? Immagino che tu non ne conosca la storia. » Jane scosse la testa mentre sollevava la tazza, per poi bere un sorso di caffè caldo: era forte, amaro, e lo trovò la perfetta sintesi di quello che aveva potuto vedere del territorio scozzese fino a quel momento. « Questi sono fiori di lino. Solitamente non è una pianta di facile coltivazione in Scozia, nonostante prediliga il clima temperato. Allthenesis è l’unico paese qui nel nord dove puoi trovarlo. » Una domanda prese forma nella mente della medimaga, ma non fu necessario darle voce. « Posso raccontarti il perché, se ti fa piacere. » La strega annuì, entusiasta per la proposta, la gratitudine pronta a rivelarsi nel tono di voce, « Se non è un disturbo per te, mi piacerebbe molto. ». Una forchetta scattò improvvisamente fuori da un cassetto, posandosi accanto alla mano libera di Jane dopo averla punzecchiata con delicatezza. Aileen rise piano davanti alla scena, coprendosi la bocca con una mano, « Penso che ti stia dicendo che il dolce merita un assaggio, e non sono assolutamente di parte a concordare con lei. Del resto, l’ha fatto mia madre. Siamo d’accordo, quindi. Poi, se vorrai, mi racconterai tu qualcosa di Londra. » La ragazza si sistemò più comodamente sulla sedia mentre Jane afferrava la tazza con entrambe le mani, pronta ad ascoltarla. « La presenza dei fiori di lino ad Allthenesis si intreccia con la storia di questo villaggio, e con quella della mia famiglia. Alcuni più che storia osano definirla una leggenda, ma sarei ingrata nei confronti dei miei avi se seguissi questo ragionamento. Secoli fa, quando ancora nelle nostre terre la magia non doveva essere nascosta dalla luce del sole, quando streghe e maghi vivevano in armonia con chi non aveva poteri, un inverno spietato iniziò a mietere vittime. Faceva freddo, un freddo strano, diverso dal solito, pungente, crudele. Nemmeno la magia sembrava essere in grado di aiutare gli abitanti di Allthenesis che giorno dopo giorno erano costretti ad affrontare il dolore della perdita dei propri cari, l’abbraccio infido della fame, il graffio spietato del gelo. La disperazione era diventata la quotidianità, ogni giorno sembrava di essere più vicini al burrone dell’arresa, alla fine di tutto. Allthenesis pareva ormai destinata all’oblio. » Aileen interruppe il suo racconto, abbassando lo sguardo sulla fetta di torta ancora intonsa: Jane si sforzò di staccare gli occhi dal volto della giovane, nonostante si sentisse catturata dalla storia, e prese un boccone di dolce, portandolo alla bocca. La ragazza e la forchetta non mentivano, era spettacolare. Soddisfatta dai gesti della medimaga, la strega riprese a parlare. « La speranza però è un seme forte, resistente, capace di germogliare nel terreno più ostile, nel momento più inaspettato. E’ quando tutto sembra perduto che nasce, improvvisa e dolce. Quella volta fiorì nel cuore di una giovane strega, che un giorno capì di non essere disposta ad arrendersi, di voler lottare per il suo villaggio. L’alba aveva appena iniziato a schiarire il cielo quando uscì di casa, senza essere vista da nessuno, diretta nel cuore del bosco che circonda il paese. La notte precedente aveva nevicato, e questo rendeva ancora più difficoltoso il suo avanzare tra gli alberi, tra i sospiri gelidi del vento e il freddo feroce che le mordeva le ossa. Nemmeno uno degli incantesimi conosciuti sembrava essere in grado di aiutarla a scaldarsi. Camminò per ore nella neve alta, senza arrendersi, senza fermarsi: quando arrivò al centro esatto del bosco ormai aveva le labbra cianotiche, le punta delle dita bluastre, il respiro affannoso. Ma lo sguardo era luminoso, fiero, perché ad attenderla c’era la vera Speranza. » con gesti lenti, Aileen avvicinò a sé mortaio e pestello, iniziando a triturare una manciata di fiori di lino dopo averli recuperati dalla ciotola. « Al centro del bosco di Allthenesis c’è una radura, con piccolo lago dalle acque cristalline, apparentemente disabitato. E’ proprio sulle sponde di quello specchio d’acqua che la giovane trovò Lei ad attenderla. Ban-dia Màthair, la Dea Madre. Aggraziata, di una bellezza eterea, la pelle candida come la veste che indossava: si mimetizzava perfettamente con l’ambiente circostante, ad eccezione di un particolare: una corona di fiorellini azzurri che le decorava il capo, unico contrasto con i capelli nivei. Una ghirlanda di semi di lino. » Ormai rapita dalla narrazione, Jane non riusciva né a bere né a mangiare, e guardava Aileen emozionata, consapevole dell’unicità di quello che stava ascoltando. « La ragazza si inginocchiò di fronte alla dea, supplicandola di aiutare il villaggio ormai sull’orlo della fine. Non si conoscono esattamente le parole che pronunciò, ma si narra che nell’udirle la Dea Madre scoppiò a piangere, lacrime ghiacciate solcarono le sue guance mentre il suo cuore divenne pesante. Acconsentì di aiutare gli abitanti, ma questo gesto rappresentò solo un barlume della sua grandezza. E sai perché? Non chiese nulla in cambio. » Aileen afferrò un’altra manciata di fiori dal contenitore in legno, continuando a sminuzzarli con gesti delicati ma precisi. Il silenzio scese sulla cucina e sulle due giovani, interrotto solo dal rumore del pestello sul marmo del mortaio. Jane attese, speranzosa che ci fosse un continuo, desiderosa di conoscere il legame della famiglia di Aileen con la storia di Allthenesis. « Era il 24 dicembre quando la Dea Madre benedì il nostro villaggio con la sua generosità. E da quell’anno, quel giorno è dedicato alla Dea e alla sua bontà. Anche i Babbani, nonostante nel tempo abbiano dimenticato la nostra esistenza, festeggiano Ban-dia Màthair con una festa a lei dedicata. E’ quasi una fiera, che attira pochi turisti, ma devo ammettere che ha la sua bellezza. » si fermò, interrompendo i movimenti ritmici che avevano fatto le sue mani fino a quel momento, e avvicinando a sé con un gesto della bacchetta una bottiglia di vetro colma a metà di un liquido trasparente. Con un movimento delicato fece scivolare i fiori sminuzzati al suo interno mentre il contenuto iniziava a vorticare, ipnotico. « Noi streghe e maghi, invece, continuiamo a ringraziare la Dea, ma a modo nostro. Un’ora prima dell’alba del 24 dicembre usciamo di casa, indossando le vesti tradizionali bianche come la neve, ghirlande di fiori di lino decorano i capi delle ragazze e delle donne. Seguendo una fila di lanterne magiche, visibili solo a noi, ci rechiamo nel cuore del bosco, nella radura dove la fanciulla secoli fa incontrò la Dea Madre. Intorno ad un falò dalle fiamme azzurre, intoniamo il nostro inno di ringraziamento, le stesse parole che gli abitanti di Allthenesis cantarono per la prima volta in passato. Le fiamme si spengono non appena il sole sorge, e alla nascita del nuovo giorno sotto la guida del cerimoniere spargiamo la cenere sulle rive del lago, insieme alle ghirlande. Infine, beviamo tutti un bicchiere di Màthairni, un liquore di nostra produzione, brindando alla Dea un’ultima volta prima di tornare alle nostre case. » Con un sorriso Aileen indicò la bottiglia che aveva appena riempito, svelando il mistero. « Purtroppo sarà pronto tra un paio di mesi e ogni anno ne produciamo di nuovo, altrimenti te lo avrei fatto assaggiare. Allora, com’era la torta? » La brusca interruzione del racconto disorientò Jane, che fino a qualche istante prima aveva vissuto sospesa nelle trame della storia di Aileen, intrecciata ai fili che la strega aveva mosso sapientemente per tenere ancorata la sua attenzione. Ci volle un secondo più del normale per riuscire a rispondere, le labbra secche e la voce debole. « Era… era buonissima, davvero. Non ho mai assaggiato una glassa così dolce e delicata al tempo stesso. » a conferma delle sue parole vi erano le poche briciole rimaste sul piatto. Bevve velocemente un sorso di caffè, ormai tiepido, innumerevoli domande che le affollavano la mente e che cozzavano tra di loro per prendere voce. Come prima dell’inizio della storia però, Aileen anticipò ogni sua mossa, ogni suo quesito, e riprese a parlare. « E’ una ricetta di famiglia, che viene tramandata di madre in figlia. Proprio come la preparazione del Màthairni. » chiuse con un tappo di sughero la bottiglia appena riempita, che con un saltello goffo prese il volo, sparendo dietro l’anta di un armadietto. « Ho iniziato a seguire mia madre nella preparazione di questo liquore quando avevo dieci anni. A undici, ho ottenuto il permesso di affiancarla nella preparazione del falò per Ban-dia Màthair. Solo a diciassette anni ho avuto la possibilità di indossare la veste del cerimoniere. Già, è proprio così Jane… » Un sorriso aveva mosso le labbra di Aileen in risposta allo sguardo della medimaga, che era scattato verso di lei quando aveva iniziato a collegare i fili tra di loro, « Ti ho appena raccontato la storia di come Allthenesis fu salvata dalla Dea Madre. Di come una semplice ragazza con il suo coraggio riuscì a salvare il villaggio. La storia della mia famiglia... la mia storia, in fondo. Perché quella giovane era una mia antenata. » La strega spostò una mano a raccogliere un piccolo fiore azzurro sfuggito al mortaio, lo sguardo fiero e malinconico al tempo stesso. « Sono stata cresciuta ascoltando questa storia fin dalla culla, mi hanno insegnato i miei doveri, il peso della mia eredità e come onorarla al meglio. Mi hanno educata a ringraziare la Dea, e a tramandare i suoi insegnamenti. Generazione dopo generazione, le donne della mia famiglia ricordano il gesto della nostra antenata e narrano la storia della salvezza di Allthenesis a chi non la conosce. » Una tazza vuota fece capolino dalla credenza, posandosi davanti ad Aileen mentre un bricco versava del caffè bollente al suo interno: la ragazza bevve con calma la bevanda, in silenzio, osservando Jane in attesa di una qualsiasi reazione. La medimaga, da parte sua, si sentiva sopraffatta dalle emozioni più disparate e non riusciva ad ordinale con precisione. Era grata ad Aileen per aver condiviso con lei la sua storia e quella del suo paese, sentiva prepotente il desiderio di trovare una connessione più intensa con quel luogo così magico, così denso di leggenda e di potere. Non sapeva nemmeno da dove iniziare il suo discorso, ma avvertiva che la semplicità era forse la strada migliore da scegliere. « Io… non so che dire… grazie Aileen. Grazie, davvero. » Allungò la mano per stringere quella della giovane strega seduta davanti a sé, una stretta che cercava di esprimere tutto quello che provava. Per le altre domande, era certa, ci sarebbe stato modo e soprattutto, tempo.
contest a tema, settembre 2021 Words of Magic | Body, n° 3 | miscellanea, n° 5
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