| Estia nessun posto è bello come casa mia | Sulla figura minuta scivola un vestitino amaranto, in morbida taffetà di seta; non ha decorazioni, è a tinta unita, richiama il nastrino rosso avvolto delicatamente alle mani: somiglia ad un gioiello, e nella sua semplicità ha più valore. Chiamano il suo nome, in voce gentile. Un passo, Estia. Un passo ancora. Ma lei, che spesso ha camminato con qualcuno accanto a sé, appare ad un tratto distratta, quasi spaesata. Un passo, le ripetono, e lo scatto sfavillante delle macchine fotografiche riesce a sorprenderla e intimorirla insieme. Accorrono da lontano, le sentinelle del mondo magico – il Settimanale delle Streghe le chiede un sorriso, la Gazzetta del Profeta le chiede una dichiarazione. Sono felice, vorrebbe dire, ma le sembra scontato, forse anche un po' banale. Ha l'espressione di chi vorrebbe essere lì, anche se tutte quelle attenzioni insinuano disagio nel suo cuore. Sulla destra, Estia. No, no, sulla sinistra. Un po' di verve, cara. La bocca senza smorfie, il volto senza smorfie, le mani... Estia, le mani. Le mani senza smorfie. Si interroga, anche lei. Sul significato di quelle parole, sul messaggio di quelle istantanee. Sono ricordi, le hanno detto. Ma c'è altro, c'è sempre altro – La tua, Estia, è una testimonianza, ha sussurrato qualcuno. Sente le loro prospettive di prima pagina, i titoli d'inchiostro che già in molti indagano fin nei dettagli. Alcuni, pensa, sono tanto curiosi: la Conquista degli Elfi Domestici, Scacco Matto alla Discriminazione, La Ribalta delle Orecchie a Punta, e altri, altri, altri ancora. Ma è sorpresa, lo è davvero. Sembra ad un tratto di rappresentare tutti quelli come lei, tutti i suoi amici, i suoi affetti, tutti loro dal primo all'ultimo. Quello è il suo sogno, si dice. Ma è il nostro traguardo, inizia a capire. Di qui, Estia. Accanto all'albero, Estia. Scopre di essere un po' stanca: il vestitino rosso pastello sboccia nei suoi passetti di danza, le pieghe di seta somigliano a fiori d'estate. Cerca il volto di Arrie, il suo migliore amico. Cerca lui tra la folla, tra i giornalisti, tra i bagliori di fotografie, tra altri affetti, tra altri colleghi, tra tanti rappresentanti. Cerca l'Elfo Domestico, uno tra tutti. Arrie è basso, lo è di natura come lei. Ma schiocca le dita, si Materializza di sfuggita sul vistoso cappello di una signorina. Estia sorride, e i giornalisti gongolano. Così, Estia. Proprio così. Allora resta al gioco, perché è un gioco che non è pericoloso; è un gioco che non brucia, che non lascia segni sulla pelle, che non ferisce; è un gioco per loro, è un gioco per lei: un gioco, un sogno, e non ne scopre la differenza. Va indietro nel tempo, mentre Arrie fa smorfie sul cappello della signorina. Una piuma colorata spinge Arrie a trattenere uno starnuto, pizzica il naso, e da lontano sembra pizzicare anche lei. Al centro, le dice qualcuno. Ora al centro. In piedi, sul gradino principale dell'ingresso, la porta in legno azzurro è dietro di lei. Quello è il suo negozio, quello è il suo regno. Quello è il suo posto, lo sa. E nessun posto è bello come casa sua. Un passo, Estia. Un passo ancora. Via il nastrino, via l'ingresso. Cammina da sola, è felice. La porta del Focolare Domestico cigola, è il suono primo. Un passo, Estia. Un passo ancora. Si gira, sorride. A chi lì per lei, a chi lì per lei. Vive il momento, vive il presente. Un passo, Estia. Sempre un passo. La magia germoglia, l'albero fiorisce. Uno schiocco di dita, e la porta si apre. Benvenuta, Estia. Le dice la voce. Una voce che sente solo lei, una voce che immagina. Benvenuti, ripete agli altri. | |
Ariel Vinstav Statuina Bobblehead Spesa totale • 5 Galeoni | Quei primi giorni erano stati sorprendenti, un trionfo su tutta la linea. Aveva spalancato la porta azzurra, l'albero in fioritura aveva intrecciato essenze, profumi e note d'oltremondo in turbinio delizioso, tutto naturale, e così gli scaffali erano stati presi di mira, lo sguardo di chi indagava un manufatto magico dopo l'altro. Il negozio aveva lasciato spazio ad un capannello continuo di clienti, maghi, streghe, talvolta perfino Elfi Domestici in loro compagnia – quelle erano le occasioni che Estia più apprezzava, non mancava mai infatti di fare un occhiolino all'uno oppure di offrire una caramella all'altro, ne era contentissima. Guidava tutti verso le creazioni in esposizione, spiegava che fossero oggetti d'artigianato magico, ad opera tanto propria quanto di altri come lei. Snocciolava caratteristiche, diversi effetti d'incanto, spesso consigli per chi sceglieva generosamente di ascoltarla, e ogni giorno Estia si scopriva più contenta di quanto non fosse stata il giorno prima. Più felice, si diceva, di quanto non fosse mai stata per davvero. Capitavano momenti nei quali altro non faceva che restare al bancone, lasciando ai clienti la giusta libertà di indugiare sugli articoli vintage, così si concedeva di viaggiare indietro nel tempo. Ed era facile, allora, svegliare memorie che non avrebbe potuto dimenticare: quelle più belle, sempre quelle, alla promessa di non essere più triste. Ricordi versatili, ricordi importanti – di quando era stata ammessa alla sartoria della signora Candor, di quando aveva sfiorato delicatamente ago e cotone, unendo il primo con il secondo in un nodo dopo l'altro; di quando aveva scoperto una passione tanto grande per i tessuti, soprattutto per la seta e per la lana, di quando aveva realizzato una coppia di cappellini scarlatti con le sue piccole mani. Ad ogni voce che la riportava al presente, era come tornare ad un sogno che stentava a credere come reale. Con quella stessa fantasia, quello stesso entusiasmo che mai avevano potuto abbandonarla, Estia era pronta. Con gli occhi grandi e azzurri, colmi di emozione per tutti quei primi giorni dall'inaugurazione del negozio, si perdeva talvolta ad osservare i suoi clienti. Aveva l'abitudine di immaginare i loro acquisti, quasi ad indovinarli. Per i clienti che d'istinto le apparivano più cortesi, poi, sceglieva in anticipo grandi fogli colorati per incartarne ogni oggetto – per quella strega pronta ad avvicinarsi al bancone, ad esempio, aveva preso dal cassetto più vicino un foglio rosso, il suo preferito, con un fiocco multicolore che avrebbe fatto la felicità di molti. Non sapeva neanche se fosse un regalo o meno, ma era Natale: inseriva ogni cosa in delicate, bellissime confezioni. Amava decorare tutto. «Grazie, signorina dal grande cuore.» Una voce dolce, molto gentile, accompagnò timidamente ogni gesto della Creatura, rivolgendosi alla strega al bancone. I complimenti per il negozio erano complimenti per lei, per il difficile, grande lavoro che con altri Elfi Domestici e il loro Comitato avevano concretizzato giorno dopo giorno. Quando poi erano complimenti così sinceri, così vivi d'entusiasmo, le riempivano il cuore. L'innata simpatia per la strega la spinse a prendere una manciata bella piena di caramelle, tutte variopinte, tutte dai gusti più dolci della frutta. «Queste per signorina, le rosse sono più buone di altre.» Oh no, non era una casualità se tra quelle ve ne spuntassero ben più di cinque di quel colore. Un gesto semplice, per Estia. Un gesto di apprezzamento e di ringraziamento. Le sue statuine erano sempre a portata di mano, tra l'altro, così non impiegò troppo per realizzarne una nell'esito più artistico in assoluto. Le fotografie che le erano state mostrate, infatti, si rivelarono di grande aiuto: per Estia era come un gioco, come una sfida con se stessa. Un modellino curiosissimo, un ometto tutto d'un pezzo, la testolina vigorosa già ondeggiante. Ad ogni contatto delle mani di Estia, appariva un nuovo dettaglio: la bacchetta magica, il legno intagliato minuziosamente, spariva in uno sbuffo invisibile per lasciare spazio ad una mazza da battitore irta di spine, un po' più alta di quanto non fosse la stessa statuetta (ed era divertente vedere come le manine dovessero impugnarla per non capitombolare buffamente), sfumava così l'attimo seguente in un microfono più piccolino. Si trasfigurava ancora, e tornava bacchetta oppure mazza da battitore spinata, e di nuovo microfono oppure bacchetta, spesso capitava che passasse da una manina all'altra. Un capolavoro di magia, che sarebbe stato ultimato soltanto al benestare della strega. A quel punto il pagamento di cinque Galeoni poté concludere l'acquisto, ma più di tutto Estia si premurò di riscontrare l'adeguata soddisfazione per la statuina. «Torna a trovare tutti noi, buone feste.» Un timido sorriso, e via. | |
Emma C. Green Statuina Bobblehead Spesa totale • 5 Galeoni | Nonostante Estia amasse profondamente consigliare i clienti al negozio, capitava di tanto in tanto – per fortuna non così spesso – di imbattersi malauguratamente in maghi e streghe pieni di pretese. Da parte propria era sempre pronta a rispondere alle domande e alle curiosità degli altri nei riguardi degli articoli in esposizione, ancor più quando si trattava di persone profondamente appassionate all'artigianato. C'era chi voleva saperne di più, chi quasi indagava sui segreti del mestiere, chi interrogava Estia fino all'esasperazione, ma riusciva a cavarsela in quelle situazioni. Provava disagio, invece, quando si rivolgevano a lei come una tuttofare, domandandole dove fosse il proprietario del negozio, a chi potessero parlare per un ordine. Sono io, rispondeva. Non aveva ancora interpretato bene le sue sensazioni: da un lato ne era imbarazzata, dall'altro ne era infastidita. Il naso a punta si storceva involontariamente in una smorfietta, la bocca si tingeva di un sorrisetto forzato, ma i grandi occhi azzurri sfuggivano ogni altro incontro. In verità doveva abituarsi a sua volta, non capitava tutti i giorni di scoprire una Creatura come lei alla guida di un intero negozio, tra quelle mura però c'era una storia che valeva la pena ascoltare. Così si prometteva di raccontarla, di spiegare meglio. Con gentilezza illustrava il progetto alla base del Focolare Domestico, talvolta ne rivelava anche il gioco di parole del nome. Se poi qualcuno dimostrava una certa propensione alla vicenda, e una verve appassionata che le faceva sempre tanto piacere, Estia mostrava rapidamente le informazioni in pergamena sul Comitato degli Elfi Domestici, guidando verso l'indirizzo del Calzino Rattoppato per saperne di più. Quel giorno, però, le domande si erano fatte un po' insistenti, al punto da tingersi di una nota amara dalla voce di una vecchia strega, troppo tradizionalista per spalancare lo sguardo sul cambiamento. Sembrava scrutarla da cima a fondo, sindacando con tutta probabilità in merito al vero ruolo di Estia presso il negozietto. Cosa credeva, quella bisbetica, che forse lei non aveva diritto di essere lì con loro? Che forse non aveva libertà di porsi in prima linea? Estia trattenne ogni istinto al sussurro spiacevole che la vecchietta confidò alla vicina, un'altra strega dall'espressione altrettanto scortese. Voleva comunicare loro di andare via, di posare la boccetta di sale colorato e magico che la più giovane delle due stringeva fortemente nella mano destra. L'arrivo di un allocco risultò una benedizione, la scusante perfetta per congedarsi in fretta. Non offrì loro neanche una caramella, e mentre tornava al bancone per liberare il gufetto dalla missiva che portava, osservò la coppia di streghe con la coda dell'occhio. Sembravano intente a discutere tra di loro, si vedeva però che fossero rapite dagli articoli nei dintorni. Con una carezza sulla testolina del gufetto, recuperando al volo un cookie tutto per lui, Estia poté leggere rapidamente la pergamena. Accanto alla stessa, trovò una fotografia di una ragazzina che avrebbe giurato di aver visto una e più volte al Castello di Hogwarts – non era proprio la studentessa che aveva stregato pochi giorni addietro tutte le armature nei Sotterranei? Ancora si dilettavano in carole natalizie, tra clangori e sinistri cigolii di ferro. Quello che la signorina Emma chiedeva tradì un sorrisetto sul volto gentile di Estia, gli occhioni già vivi di una luce propria. Sapeva come poter realizzare quanto desiderato, anzi non vedeva l'ora di mettersi all'opera. La voce stridente della vecchietta, un po' rauca e tuttora scontrosa, destò di nuovo la sua attenzione. Cinque minuti dopo, senza carte colorate né fiocchi sulla confezione, la coppia passò via con più boccette di sale evanescente di quante il loro diniego per il negozio lasciasse presupporre. «Buh!» Si profuse in una linguaccia, non riuscì a resistervi. Finalmente concentrata, Estia cominciò la realizzazione della statuina. Aveva già un'idea dopo aver letto le parole sul biglietto. Sul bancone, infatti, c'era una curiosissima bambolina che necessitava appena di una revisione prima di essere destinata ad un altro allievo di Godric. Si lasciò ispirare da quella, cucendole una divisa simile sul rosso e sull'oro, in lato lo stesso simbolo del grifone ricamato fin nei minimi punti. I tratti della statuina si resero gentili, il corpicino perfettamente in forma, ma il visetto ingigantito svelava il ghigno un po' birbante della figura di riferimento. A suo agio nella creazione in atto, Estia poté lavorare nel migliore dei modi, approfittando della poca clientela in negozio. La bambolina rifiniva di continuo in caratteristiche incredibili, tanto vicine all'istantanea che aveva ricevuto in allegato da sembrarne una riproduzione esatta. Quando si ritenne pronta per il colpo di scena, schioccò le dita per attingere ad un guizzo di magia: così com'era nell'identità di una studentessa Grifondoro, la statuina sfumò su di sé come in una giravolta che non s'arrestava. I contorni si dispersero, quasi volgendo in uno scintillio di rosso, di oro, di rosa, fino a cambiare interamente in un uragano in miniatura. Sfrecciò di vita propria lungo il bancone, passando da uragano a studentessa e viceversa, un'esplosione energica molto vicina ad una forza della natura. Superò ceste di biglie colleganti, sfilò sotto la gonna di una strega, si arrampicò velocemente lungo il bastone di un vecchietto di passaggio, attirando così sguardi divertiti dall'uno e dall'altro. Quando tornò al bancone, Estia la intrappolò in una confezione in cartone, avvolgendole attorno fogli luminosi delle stesse tinte: un fiocco dorato, splendente come la criniera di un leone, completò il regalo. Lo affidò così in un'ulteriore bustina al gufo, sottraendo cinque galeoni esatti dalla somma in arrivo e accorgendosi soltanto allora di un sacchetto di dolcetti tutti per lei. Ne rimase colpita, gesti come quelli erano per lei preziosissimi. Allegò allora un biglietto a sua volta, ringraziando Emma, dicendole del costo della statuina e augurandole di trascorrere feste felici con chi più vicino al suo cuore. Una calligrafia traballante, quella di Estia. Le -g molto più lunghe, le -o molto più tonde, sembrava la scrittura di un bambino. Quando il gufo sparì all'orizzonte, si concesse un Calderotto dall'omaggio di Emma, e pensò che nessun Natale sarebbe stato più bello. | |
Mary Grenger Bicicletta Cielsereno Orologio magico Spesa totale • 54 Galeoni | La scelta di aprire il negozio proprio il giorno di Natale non era stata casuale. Molti suoi amici dicevano che fosse stata una buona strategia per offrire nuove idee regalo per gli abitanti di tutto il mondo magico, in effetti molti avevano fatto capolino oltre la porta azzurra un po' per curiosità, uscendone poi con tante confezioni colorate e nastrini scintillanti. Il venticinque Dicembre, però, era la data del suo compleanno. Per Estia, infatti, era stato come ricevere il dono più grande di sempre, il dono dei suoi sogni. Non le era dispiaciuto arrivare in ritardo al cenone di Hogwarts, aveva chiesto un paio di ore di permesso per assistere pienamente all'inaugurazione, e tornando poi al Castello a tarda notte aveva sentito le carole dei bambini e della casette del villaggio tutto intorno, immaginando che stessero accompagnando il suo sentiero verso gli affetti più cari. Già il giorno seguente, di prima mattina, aveva scoperto tante lettere sul primo gradino che conduceva al negozio: alcune erano cartoline di luoghi che non aveva mai visitato e che stentava a credere fossero state indirizzate proprio a lei come messaggi di auguri, altre erano da parte di giornali e di editoriali che si erano interessati alla sua storia, altre per sua gioia più intensa erano le prime richieste di articoli da consegnare via gufo. Con il trascorrere del tempo, quello che le era apparso come un vero e proprio idillio finalmente cominciava a sfumare in qualcosa di più concreto. Sei qui, diceva tra sé. Sei qui, Estia. Non le sembrava vero, non pienamente. Più si guardava attorno, più temeva che ad ogni nuovo battito di ciglia tutto potesse sparire, lasciandole soltanto l'idea del sogno. Invece restava, il Focolare Domestico era lì per lei, per loro, per tutti. Prima ad aprire la porta, ultima a varcarne la soglia verso tarda sera, Estia si era ripromessa di concedersi al nuovo lavoro a tempo pieno. Un po' per lei, un po' perché ci teneva moltissimo. All'esordio di ogni giorno, infatti, apprezzava scartare le pergamene che recavano spesso il suo nome, per Estia, a darle conferma di essere presenza fondamentale per il negozio. Un mago tanto generoso, leggeva dal foglietto che le era stato appena recapitato, aveva sentito parlare dal nipote di splendidi orologi artigianali lì in vendita, ne chiedeva allora gentilmente uno in legno che potesse in qualche modo... danzare. Era una pretesa di tutto rispetto, gli articoli erano appena stati posti in esposizione e perfezionarne ogni sortilegio e ogni dettaglio rappresentava una sfida anche per loro. Quando Mary Grenger entrò in negozio, Estia aveva perso la cognizione del tempo, concentrata com'era nella realizzazione di un grosso orologio a cucù in lucente vernice sui colori del giallo, del bianco panna e del nocciola. Signora proprietaria, pronunciato da una voce che le risultava familiare, attirò subito attenzione. «Oh signorina Mary, è tanto gentile.» Seduta su uno sgabello molto alto, Estia si affrettò a mettersi in piedi, dietro il bancone. Un vestitino giallo limone, lungo fino alle caviglie, nascondeva un paio di scarpette dorate, mentre un fiocco in simile tinta unita scivolava dolcemente ad entrambi i polsi, un po' come un bracciale di stoffa. Il volto era leggermente arrossito, le guancette dall'incarnato pallido tutto ad un tratto più rosee. Si vedeva timidamente quanto fosse felice di quelle parole. «Una cosa per me?» Verso quella parte finale, singolare per la voce di una Creatura come lei, Estia portò entrambe le mani al petto, proprio sul cuore. L'orologio in lavorazione, sul bancone, si animò di sfuggita come a rendersi partecipe dell''incredibile momento: una porticina in legno si dischiuse al centro in una melodia passeggera, appena un istante, lasciando che la statuetta di una ballerina in tutù danzasse per magia priva di ogni sostegno. Libera, sospesa a mezz'aria, volteggiò su di sé come una Fata, e rapidamente tornò nell'orologio, come una principessa nel suo castello. Estia, d'altra parte, era profondamente emozionata dal gesto di Mary Grenger, che conosceva dalle riunioni del Comitato e dalla permanenza ad Hogwarts. Aveva occhi solo per lei, per il pacchetto che aveva accolto con un brivido improvviso. Cominciò a scartarlo ancor prima che la Grifondoro potesse continuare, lasciando all'altra il prosieguo della conversazione. Un dono, un dono per lei – il nastro verde bottiglia scivolò via, Estia l'avrebbe conservato nella sua collezione; il rametto di pungitopo e di bacche vermiglie si accostò rapidamente sul bancone, presto aggiunto ad una delle decorazioni floreali nel negozio; infine la carta, rimossa dapprima in un gesto esitante, poi con una sicurezza rinnovata. Il contenuto del regalo – i guanti, il cappello, le sciarpe – lasciò Estia senza fiato. Non si accorse, allora, di aver dimenticato ogni domanda di Mary, non si accorse di non averle detto di essere lei e tutti gli altri Elfi Domestici al Calzino Rattoppato ad aver realizzato gli articoli in esposizione, non si accorse neanche di come la bicicletta gialla e l'orologio in ferro fossero stati già pronti per l'acquisto. Sfiorava la sciarpa sul rosso e sull'oro, ne intrecciava le dita alla lana, e così voluminosa non impiegò che un istante per portarla al volto, solleticare il naso sulla stoffa, infine sistemarla al collo fino a coprirle le orecchie. Gli occhi azzurri, lucidissimi, brillavano di una gioia che non aveva prezzo. Soltanto riprendendosi, le mani tremanti, Estia accennò un inchino. Quando parlò, lo fece in modo breve, la voce che tratteneva un pianto felice. «Estia custodirà sempre regalo.» Sempre, ripeté in singhiozzo, tirando su col naso. Era così riconoscente, così contenta, da aver dimenticato ogni acquisto, e soltanto a fatica – la sciarpa che di tanto in tanto le copriva anche il naso, grande com'era – poté concludere tutto, chiedendo gentilmente cinquantaquattro galeoni. Anche se non era tanto abile con la questione degli sconti come potevano esserlo maghi e streghe, aveva un occhio di riguardo per persone preziose come Mary Grenger. Alcune margherite, recuperate proprio dalle sue tasche del vestitino giallo, si unirono infatti al fiocco color sabbia che aveva posto sull'orologio. Indicò la bicicletta. «Con quella la signorina Mary può volare, ma con il suo cuore può raggiungere la luna.» Un inchino, un saluto di vivo calore. Le mani strette alla sua sciarpa. | |
Camille Donovan Statuina Bobblehead (2) Spesa totale • 10 Galeoni | Era l'ora del tè. Alla vaniglia, all'arancia, alla cannella, poteva essere ogni giorno di un gusto nuovo. Estia lo immaginava come un ritrovo, attendeva infatti l'arrivo di Arrie direttamente dal Calzino Rattoppato, attento a mai scottarsi con la teiera fumante sospesa a mezz'aria, subito dietro di sé. Più del tè, le importava di Arrie. Era il suo migliore amico fin da quando le aveva presentato un nuovo inizio, aiutandola a lasciare il suo triste passato per un posto al sicuro tra le Cucine di Hogwarts. Da allora, complice la vicinanza, il loro affetto era cresciuto a dismisura ed entrambi erano inseparabili come soltanto due anime affini potevano essere. Nell'arco di un'intera giornata, Estia si aggirava tra gli scaffali del negozio. Sistemava un articolo sulla mensola, ne sostituiva uno che aveva appena venduto, curiosava in giro per assicurarsi che tutto fosse perfetto. La mobilia in legno guidava dolcemente i suoi passetti, mentre la sinfonia leggera intorno scivolava nel suono squillante delle sue scarpette di vernice. Spesso altri colleghi, altri Elfi Domestici, le facevano visita per più ragioni: chi per rifornire gli articoli, chi per portarne via alcuni da revisionare, chi per un saluto o per una piacevole chiacchiera in compagnia. Il negozietto era un luogo felice per tutti, non avrebbe potuto chiedere di meglio, ogni giorno era come scoprire un gradino in più sulla strada della felicità. Una parte del suo cuore, però, volgeva sempre verso il familiare bop della Materializzazione, nella tacita speranza di scorgere Arrie. Anche quel giorno, infatti, Estia sollevava di continuo i grandi occhioni azzurri, più distratta dalla sua creazione di quanto non fosse mai stata di recente. Mancava pochissimo, però. L'ora del tè era l'ora di Arrie, per lei. «Oh scimmietta.» Quella era la sua tipica esclamazione di sorpresa, le ricordava i momenti in cui la sua ex padrona Betty Candor si rivolgeva alla figlioletta Dorothy. Scimmietta, piccola scimmietta. Estia aveva compreso soltanto in seguito che fosse un modo affettuoso, un richiamo alla storia di cui la bambina portava il nome da protagonista. Commentava così una scena bizzarra, un gufetto che tentava invano di superare la porta socchiusa del negozio. Con un rapido gesto della mano, lasciò che la magia facesse il suo corso, liberando l'ingresso. Si affrettò allora ad accogliere il gufetto, concedendogli più carezze sulla testolina piumata: nello stesso momento Arrie apparve in negozio, la teiera e le tazzine da tè tutte attorno come una coroncina. Estia sorrise, chiedendo all'amico di sistemare tutto sul retro, promettendo così di raggiungerlo presto. «Bravo, gufetto.» Un colpettino delicato sul becco, sciolse in fretta la pergamena dalla zampetta della creaturina. Non era la prima volta che arrivavano ordinazioni via posta, ma per lei era sempre qualcosa di molto divertente: non aveva mai avuto così tanta corrispondenza in tutta la sua vita, ne era emozionata. Poté leggere tutto d'un fiato le parole di Camille, ne apprezzò così la gentilezza fin dalle prime righe; sarebbe stato bello ritrovare la Tassina e tanti altri studenti al negozio, la scelta di renderlo ad Hogsmeade riguardava anche quella possibilità. La studentessa chiedeva la realizzazione di una coppia di statuine bobblehead, aveva inserito scatti fotografici che di certo sarebbero tornati utili: non c'erano ulteriori indicazioni, ma quelle erano le circostanze che Estia apprezzava tanto. Avrebbe potuto lasciarsi ispirare dalla sua fantasia, la magia innata sarebbe stata dalla sua parte: tra l'altro quel giorno aveva già ricevuto una richiesta di altre statuine, un giovane mago ne aveva ordinata una che potesse vestire l'intera figura di una fitta peluria, un po' come un lupetto. Alla pergamena aveva allegato un estratto di una fiaba che Estia non conosceva, ma che si era ripromessa di leggere entro la sera per concludere il lavoro. Concentrandosi su quello per la Tassina, invece, liberò il bancone e recuperò un paio di statuine abbozzate come ometti. Cominciò dalla fotografia del ragazzo: giovane, di bell'aspetto, slanciato, appariva perfettamente a proprio agio su un divanetto che Estia avrebbe giurato di aver già visto nella Sala Comune Serpeverde, in una e più occasioni del proprio lavoro al Castello. Richiamarne i tratti seducenti sulla statuina non le risultò affatto complicato, guidava con magia l'ago e la seta per ricamarne ogni dettaglio – dai capelli sottili intrecciati gli uni agli altri sulla testolina sproporzionata della bambolina fino alle iridi più vivide negli occhi espressivi, dalla giacchetta di pelle agli stessi pantaloni neri appena strappati alle ginocchia, al grido dell'ultima moda. Pensò all'elemento di spicco tra le mani del ragazzo in fotografia: un libro, un bel volume. Lo fece apparire anche alla statuina, l'attimo seguente già decantava tonanti sonetti di Shakesperare con la voce dello studente. Come vi riuscisse, a lavoro ultimato, era un segreto che non avrebbe mai rivelato. Più si addentrava nella lettura, più capitava che cambiasse registro, opera, perfino lingua, un po' come un artista tuttofare. Ispirata com'era, vi aggiunse poi un casco di motocicletta nella mano sinistra, quella libera – era una statuina un po' eccentrica, un fervido lettore in motocicletta. Perché il casco, di tanto in tanto, si allungava magicamente a formare il profilo di una Harley-Davidson, la bambolina in sella pronta a sfrecciare in un soffio di polvere e fumo. Si dedicò allora alla seconda, studiando a fondo la fotografia e interrogando l'identità dietro il volto della studentessa: era bellissima, non si poteva dire altrimenti, con occhi di un azzurro leggero, all'apparenza granitico, e lunghi capelli dorati ad adornarle il volto. Ad eccezione di quello che al polso somigliava ad un orologio in pietre raffinate, non c'erano dettagli di spicco nell'istantanea: eppure, la ragazza era così incantevole da invitare Estia a dedicarle altrettanta grazia. Ricamò la bambolina delle stesse caratteristiche, l'aspetto impeccabile in proporzione al giocattolino, l'azzurro delle pupille ottenuto con una gemma sullo zaffiro, rimpicciolita fino ad unirsi perfettamente al bianco intorno. I capelli le ricadevano fino alle spalle in boccoli d'oro, i piedi erano tuttora scalzi. Non bastava, non bastava. Ottenne un lungo filo celeste, come il cielo al mattino, così in magia lo lasciò avvolgere alla vita dall'alto. Un filo che presto divenne stoffa, vestì in quel modo la bambolina di un abito raffinatissimo, molto delicato: un altro ricamo, appena floreale, brillò ai bordi fino alle maniche, scivolando fino oltre le caviglie. Scarpette di cristallo apparvero ai piedi, infine un diadema argenteo impreziosì il bagliore d'oro dei capelli. «Ora sei una principessa.» Sistemò tutto in due distinte confezioni, decorate l'una in azzurro pastello, l'altra in bronzo, e si scoprì a scorgere il lettore-motociclista che ammiccava maliziosamente alla splendida principessa. L'attimo dopo, bamboline al sicuro in una bustina più grande affidata al gufetto, Estia prelevò dieci galeoni esatti dal sacchetto e aggiunse una letterina a sua volta. L'ora del té reclamava anche lei, Arrie aveva atteso a sufficienza. Estia ringrazia tanto, spera signorina Camille tornerà presto di persona. Estia ha scelto ispirazione, spera di piacere.
Buon Natale. | |
Alice Wagner Nastro dell'amicizia Scarpette Dorothy Tappeto Volante Spesa totale • 64 Galeoni | C'era un gruppetto di Elfi Domestici alle prese con un tappeto volante un po' birbantello. Chi si affaccendava sulla destra, chi correva sulla sinistra, chi tentava buffamente di fermarne ogni fuga verso l'alto – non era la prima volta che un tappeto impazzisse, soprattutto all'inizio della realizzazione del manufatto magico era stato ben più complicato di quanto si potesse anche solo lontanamente immaginare. Il ricamo da sé non bastava, necessitava un'accuratezza che non aveva paragone: ogni filo, ogni stoffa, ogni punto di cucito, infatti, custodiva vita propria, e tutto doveva essere tessuto attraverso la magia. Era un lavoro estremamente complesso: bastava un ago fuori schema, un unico nodo che non si stringeva adeguatamente al successivo, e il tappeto poteva sfilarsi di scatto sotto gli sguardi più sorpresi. Nelle circostanze peggiori, un po' come quella del giorno, accadeva che la tela fosse conclusa in ogni rifinitura, ma che la magia del volo ne fosse in qualche modo irreparabilmente compromessa. Brutta bestia, infatti, era l'unica espressione che Arrie continuava a borbottare con sempre più fastidio. Non ne poteva più, aveva ragione. Il tappeto quasi dava l'impressione di prendersi gioco dell'Elfo Domestico e di chi con lui, concedeva rapidamente colpetti sui fianchi con i nodi sporgenti del proprio tessuto, talvolta vi si avvolgeva alle gambette come un serpente fino a far perdere ogni equilibrio, altre semplicemente solleticava il naso e le grandi orecchie a punta di chi tra i presenti. Scintillava nel colore dominante del blu di Persia, ma ad ogni ghiribizzo in movimento – ad ogni giravolta, un po' esibizionista com'era – il tappeto sfumava verso il pervinca e il turchese. A dispetto della scenetta divertente, in un angolo del negozio, l'incredibile maestria dei ricami attirava costantemente tanti clienti nei dintorni. In un abitino color prugna, una sciarpa rosso-oro al collo e un paio di scarpette in vernice sul violetto, Estia volgeva occhiate furtive a sua volta, mai celando il sorrisetto divertito sul proprio viso. Prima o poi Arrie e gli altri sarebbero riusciti a bloccare il tappeto, ne era convinta. Nel trambusto di sottofondo, invece, sentì soltanto di sfuggita l'ultima parte dell'interrogativo di una ragazza verso gli orologi nelle teche di vetro. Porgendo i suoi saluti gentili ad una coppia di streghe al bancone, Estia approfittò dei pochi istanti liberi per seguire da lontano Alice Wagner. Non impiegò molto per riconoscerla. Era lei, era proprio lei! «Signorina uragano.» Per fortuna sembrò un sussurro tra sé, entrambe le mani presto sulla bocca per trattenersi. L'aveva detto con divertimento, quasi velata di vivace aspettativa. Ricordava infatti la commissione di pochi giorni prima da parte della signorina Emma Green, quella in fotografia per la bambolina era proprio la strega lì al negozio. Estia desiderò sapere se il dono della bobblehead fosse stato consegnato, se fosse stato apprezzato nei suoi effetti magici più stravaganti – aveva cercato di mettere tutta se stessa nella realizzazione, la statuina aveva strappato tanti sorrisetti quando aveva cominciato a sfrecciare tra i clienti. Con gli occhioni rivolti sul bancone, un po' imbarazzata dalle sue stesse pretese, Estia attese semplicemente l'arrivo della studentessa. Da vicino ebbe la prova certa che fosse proprio la ragazza della fotografia, e le offrì così un paio di caramelle alla frutta già prima che l'altra posasse gli articoli. «Estia ha sentito domanda della signorina sugli Orologi Magici.» Un timido inizio, mentre incartava tutto in confezioni dalle carte pastello. «Tutti per la famiglia, tutti funzionano per legame di sangue, è tanto difficile la magia che Estia e i suoi amici usano.» Concluse con un fiocco scintillante, allontanando velocemente un lembo della sciarpa Grifondoro che aveva al collo: un regalo, quello, proprio di una concasata della signorina di fronte. «Il Nastro è bel regalo per amici, se vicino all'altro nastro, nastri diventano multicolore.» Si aiutò con il listino dei prezzi – quelli erano stati inseriti dai suoi amici maghi e streghe al Calzino Rattoppato, lei non ne era così esperta. Il totale era di sessantaquattro galeoni, era di certo una bella cifra, ma ne valeva assolutamente la pena. Estia ne sembrò ad un tratto stupefatta, era la prima volta che le capitava di ricevere insieme così tante monete d'oro, le lasciò scivolare da una mano all'altra prima di mettere tutto al sicuro nel salvadanaio in porcellana dalla forma di Snaso. «Il tappeto scelto da signorina ha colori belli, è un tappeto bravo.» Guidò indirettamente con lo sguardo verso destra: la ribellione del tappeto blu non era ancora conclusa, Arrie aveva cominciato a minacciarlo con uno spillo. Comunque, Estia sorrise ancora alla Grifondoro. «Non cattivo come quello.» Confermò. L'attimo dopo augurava buone feste, nell'invito di ritrovarsi presto al negozio. | |
Jolene White Statuina Bobblehead Spesa totale • 5 Galeoni +3 galeoni offerta | Oltre le grandi vetrate del negozio, oltre l'albero fiorito di gerbere e denti di leone in tinte d'arancio, i fiocchi di neve si rincorrevano da lunghe ore, agli occhi sorpresi di Estia apparivano danzare in delicate giravolte. Lentamente si agitavano nel turbinio del vento del primo mattino, l'aria così pungente da lasciare un velo cristallino sul tronco al varco d'ingresso; anche i rametti più sporgenti e robusti cominciavano a manifestare segni di cedimento, troppo greve era il peso della neve che si stava accumulando tra le fronde e i germogli in sortilegio. Era uno spettacolo che Estia amava intensamente, la cornice migliore per un Natale altrettanto fiabesco. Come un déjù-vu ne era sopraffatta piacevolmente fin nel profondo, in quel modo che soltanto la memoria più vivida avrebbe potuto cogliere per intero. Per lei, infatti, era come correre, correre velocemente nel tempo, fino a quando era piccolina e viveva ancora con i suoi genitori, le sue sorelle e i suoi fratelli presso l'imponente dimora dei Candor. Era come... era come stringersi alle finestre tutti insieme, nei momenti in cui ogni compito era stato concluso, per osservare le stradine londinesi all'esterno, per giocare con la neve senza la neve, e osare perfino sognare. Quando la neve cadeva, lei audacemente s'alzava – le gambette tozze, i primi passi; le mani paffute, i primi contatti sul vetro gelido delle stanze comuni. Nel salotto, quando la cena era servita, lei continuava a guardare alla finestra. Sperava, un giorno, di essere lì con gli altri, di camminare a sua volta verso quelle fiabe che sua madre, suo padre, perfino la signorina Candor di tanto in tanto le raccontavano. Ogni fiocco, per Estia, era un promemoria. «Signorina Poppins in arrivoo» La vocetta molto buffa di Arrie la strappò da ogni tuffo nel passato. Staccò le mani gentilmente dalle vetrate del negozio, la pelle diafana molto raffreddata dal contatto con il sottile strato di ghiaccio. Dietro di lei, Arrie già sistemava una bambolina tanto graziosa sul bancone: era lei la signorina Poppins, tutta ricamata nei minimi dettagli proprio come una strega bizzarra aveva richiesto la sera precedente. Un abito nero tutto d'un pezzo, in seta raffinata, vestiva la statuina fino a coprirle le caviglie, al di sotto dell'ampia gonna si intravedeva una piega di stoffa invece sul grigio; ai piedi calzava scarpette scure dal tacchetto basso, i bottoni del soprabito erano stretti fino alla camicetta bianca che spuntava poco sopra, un fiore all'occhiello sul vermiglio spezzava la monotonia dei colori. Era tanto carina con quel grosso cappello a mezzo cilindro sul nero e quei guanti in bianco avorio alle mani. Arrie aveva fatto un ottimo lavoro, la commissione poteva andare in porto, tuttavia... mancava un ritocco. Estia schioccò le dita in un soffio di magia, facendo apparire un ombrello finemente ricamato, sul nero, proprio nella mano sinistra della bambolina. Mentre quest'ultima s'animava, testando l'ombrello fino a spalancarlo e sospendersi in volo con lo stesso, un po' come una mini-mongolfiera, la porta d'ingresso tintinnò ad accogliere una nuova cliente. Splendida come tutte le volte in cui Estia l'aveva vista al Castello di Hogwarts, la strega appena arrivata avrebbe potuto fare concorrenza alla più incantevole tra le Mary Poppins del mondo. In un guizzo di fantasia che Estia preferì tenere per sé, d'improvviso immaginò Jolene White negli abitini elegantissimi della stessa bambolina sul bancone. Oh sì, pensò. Non ci sarebbe stato paragone. «Fuori è albero che ha sempre fiori.» Commentò così, Estia. Con gentilezza, con occhi azzurri pieni di emozione, accennando un inchino di gratitudine per le parole dell'altra. Il negozio era già diventato parte di lei, un po' come la casa che non aveva mai avuto: nei complimenti ricevuti, allora, si concretizzava quello in cui aveva sempre sognato. Congedando Arrie con la bambolina di Mary Poppins – non prima che quella sollevasse le tulle della gonna per spiccare il volo alla cantilena di basta un poco di zucchero... –, Estia poté dedicarsi alla nuova richiesta. «Tutto possibile, signorina Jolene.» La conosceva, e nella sua gentilezza che da lontano aveva seguito fin dall'arrivo della strega al maniero scolastico, ne aveva apprezzato ogni gesto. Anche se in poche parole, Estia mormorò grazie per le fotografie e per il disegno. «Pochi attimi e bambolina è pronta, se signorina vuole vedere in giro, Estia subito da lei.» Non aveva problemi a lavorare alla presenza di chiunque altri, ma si trattava di una creazione artigianale e, magia a sé, avrebbe impiegato di certo alcuni minuti. Non bisognava avere fretta per riuscire per bene, quello era l'insegnamento che tanti anni prima aveva ricevuto dall'ex padrona Catherine. Appellò a sé una custodia piena di aghi di una e più lunghezze, una scatola di gomitoli di lana variopinta, infine un fascio di sottilissimi filamenti di seta, che di sfuggita quasi apparivano come capelli. La richiesta non era semplicissima, ma Estia ci teneva molto. La bambolina prese fattezze immediate alla guida dei movimenti naturali delle sue mani. Come la neve volteggiava nell'aria, così ogni gesto di Estia ne seguiva l'esempio leggiadro, più delicato: sembrava di assistere ad un balletto, le braccia che si spostavano appena da destra a sinistra e viceversa, e con le stesse ondeggiavano le pieghe del suo abito violetto; quasi non sfiorava né aghi né stoffe, ma insieme ne erano incantati tutto intorno alla bambolina. Così spuntavano dettagli in passaggi d'incontro, così fiorivano ricami in colori brillanti, sull'oro e sul rosso di una divisa da Quidditch, sull'impronta di un leone che all'ultimo nodo serrò le fauci in silenzioso ruggito; un mantello lungo scivolava alle spalle della bambolina, la seta che si allungava da sé come in vita propria; un nido di fili sfumò sul castano, posandosi di grazia sulla testolina come veri capelli. Mentre l'ultimo gomitolo scarlatto s'attorcigliava su di sé, Estia cambiava lato – in rapidi passetti si portò sulla sinistra, mai sollevando gli occhi dalla bambolina. Concentrata com'era, lasciò che la seta attingesse alla magia innata sulla scia di un talento curato nel tempo: apparve una scheggia di un tronco che si estese nella forma dapprima di una clave e l'attimo dopo in quella di una mazza da battitore. Dettagli incredibili s'intagliavano lungo la stessa: il bordino di una tonalità più scura, le venature del ferro, e così via. La bambolina, magistrale nella somiglianza con la ragazza in fotografia, risultava già pronta. Spuntando con un paio di forbici, Estia tornò all'altro lato. Gli strumenti infine riposavano sul bancone, ma lei... lei osservava attentamente. Grata che non vi fossero altri clienti attorno, poté prendersi un attimo di più. Un manico di scopa – una Firebolt nuova di zecca, non si risparmiò – spuntò sotto il sederino della bambolina, e prima che potesse spiccare il volo, la fermò rapidamente con una mano per sistemarla di nuovo sul bancone. Infine, toccò la bambolina con l'indice. Un colpetto diretto e germogliò così un tentacolo verde, e un altro, e un altro ancora – la statuina, dapprima donna in divisa sportiva e in sella ad una scopa volante, si trasfigurò in un... «Cactuuus» La bocca piegata in una smorfia divertentissima, Arrie era tornato e non aveva potuto ignorare la trasformazione in atto della statuina. Di lì a breve, infatti, il lavoro sarebbe stato concluso: tutto quello che Jolene aveva chiesto era stato possibile da realizzare, forse anche in dettagli più sorprendenti di quanto non fosse stato previsto. Le spine sulla mazza da battitore anticipavano il cactus che la bambolina sarebbe diventata, poi viceversa in un cambiamento repentino. Pochi altri punti da smussare, infine Estia chiamò la strega. Cinque galeoni erano la cifra conclusiva, ringraziò molto per l'offerta che inserì nel salvadanaio del Comitato. Mentre Arrie acciuffava la bambolina in volo sulla sua scopa per chiuderla così in una confezione di cartone, sul verde, lei poté recuperare qualche caramella da offrire a Jolene. «Questa bambolina è molto curiosa. Buone feste, signorina.» Un timido sorrisetto, e via. Mary Poppins tornava alla ribalta, per un attimo apparentemente ingelosita dalle manovre complesse in volo dell'altra bambolina. D'altronde... era facile con una Firebolt, lei aveva solo un ombrello. | |
Vivienne L. Pierce Biglie Colleganti Sale Evanescente Bicicletta Cielsereno Spesa totale • 48 33 Galeoni estinto buono sconto 30% | Colorare le biglie colleganti era di gran lunga tra le cose che più preferiva al mondo, nella semplicità di quei gesti era come ritrovarsi tutti insieme alle prese con un nuovo gioco, uno dei più belli di sempre. Quando arrivavano le grandi ceste di vimini, traboccanti di numerosissime sfere di perla, per Estia era come assistere ad una magia che non aveva confronto e che subito metteva allegria. Così si riunivano al bancone in fretta, più in fretta possibile, a prescindere da ogni impegno – di solito erano lei ed Arrie, entrambi affaccendati tra le tante meraviglie in esposizione al negozio, talvolta capitava che vi si aggiungessero altri Elfi Domestici nei dintorni oppure maghi, streghe e anche i loro bambini. La curiosità attirava indistintamente l'uno dopo l'altro, Estia ne era ogni volta contenta. Anche quel mattino, infatti, aveva atteso Arrie con il cesto di biglie: nella settimana precedente erano andate a ruba, i loro effetti colleganti avevano lasciato il segno nel migliore dei modi e già arrivavano richieste da ogni angolo del paese per acquistarne una, due, tre confezioni in più. Una vecchietta, la sera precedente, aveva confidato ad Estia di come le biglie le avessero permesso in diverse occasioni di raggiungere l'amato nipote direttamente dall'altro capo della cittadella irlandese presso la quale abitavano entrambi. Altro che Materializzazione, aveva continuato. Quella era magia di alto livello, aveva concluso. Le biglie colleganti, un'altra delle sorprendenti idee di Estia, erano nate proprio con l'intento di avvicinare, di realizzare un legame magico che potesse rivelarsi altrettanto speciale. Un legame rapido, istantaneo, così delineato da favorire spostamenti altrimenti per molti difficili, anche impossibili. Una biglia conduceva all'altra, il funzionamento appariva semplicissimo: un po' come la Materializzazione, ripeteva; e molto di più, aggiungeva in sorrisetto. Oltre alla possibilità di raggiungere un luogo, infatti, le biglie destavano interesse per l'eccezione che un'arte magica come la Materializzazione non possedeva in modo nitido. Non sempre era facile individuare una persona: le biglie colleganti ne permettevano l'incontro, a patto di essere portate rispettivamente con sé. Oltretutto erano belle da vedere, rotonde e perlacee com'erano – in coppia avevano un colore unico, così da non essere confuse tra loro. Per quello c'era lo zampino di Arrie, tra gli artigiani del vetro più bravi per davvero. Quando sistemò il cestino sul bancone, le biglie all'interno scintillarono come ovetti di cristallo; sembrava quasi che da un momento all'altro potessero schiudersi in creature d'aria e luce, nei riflessi scintillanti che continuavano a catturare tutto intorno. «Voi iniziate, io va.» Notando alcuni clienti verso il bancone, Estia si allontanò in fretta, le scarpette di vernice azzurra che ticchettavano dolcemente sul pavimento in ceramica. Dietro di sé, come non poté fare a meno di scoprire ad un'ultima occhiata, i suoi amici già avevano dato via ai giochi – un colpetto dell'indice su ogni biglia presa dal cestino e il vetro si tingeva interamente di un colore brillante. Era un lavoro tanto divertente quanto impegnativo, richiedeva molto tempo: una biglia dopo l'altra, una alla volta, andava colorata per magia per poi essere unite e sistemate in ogni singola confezione. Soltanto in quel modo la magia si attivava per bene, Estia aveva impiegato molte settimane prima di averne un prototipo funzionante. Con l'arrivo e i complimenti gentili della strega di fronte, allora, si sentì ancor più contenta, pronta com'era a tornare subito dagli altri. «Tanto piacere di trovare qui, signorina Pierce.» Apprezzava quando aveva modo di associare un nome ad un ricordo, ad un volto ben preciso. La memoria di Estia somigliava un po' alle biglie colleganti, pensò. Conosceva Vivienne Pierce dalla sua permanenza al Castello di Hogwarts: ancor prima che come Prefetto Grifondoro, che di tanto in tanto aveva incontrato anche durante le ronde notturne dell'altra, Estia aveva a cuore chi come lei già in prima linea nel Comitato. «Negozio di Estia accetta buono di Gazzetta, Estia chiede...» Oh sì, i conti. Brutta faccenda, lo sapeva. Anche se in passato aveva avuto occasione di gestire le monete dei maghi, non era mai stata abituata ad averne alcune tutte sue. Certo, i ricavati delle vendite erano per il negozio, per le spese, per nuovi articoli, per fondi per la residenza degli Elfi Domestici e per tante altre buone ragioni, ma galeoni, falci e zellini passavano tra le sue mani in cassa. Era lei ad occuparsene davvero, così impiegava un po' di più e confidava sempre nell'onestà dei clienti. Alla fine, però, carta e piuma alla mano, riuscì a concludere la somma esatta. «Quarantotto galeoni.» Ne sembrò intimorita anche lei, nonostante lì fosse proprio la negoziante. «Con buono è trentatré galeoni, grazie grazie.» Ripeté buffamente l'ultima parola, mentre confezioni in carte pastello avvolgevano da sole gli articoli acquistati da Vivienne. Prima che potesse sistemare anche le biglie, Estia indicò la cesta vicina che ne conteneva moltissime. «Se signorina vuole scegliere colore biglie, tocca e pensa a colore, e colore...» Con la mano destra mimò uno scoppiettio, uno sbuffo, a sottolineare l'idea di un'apparizione. In effetti era proprio così, Arrie e gli altri Elfi Domestici continuavano a sfiorare le biglie che d'improvviso cambiavano sfumatura. Se anche la Grifondoro avesse voluto farlo, quel curioso procedimento sarebbe stato a pochi passi di distanza. Soltanto alla fine, tutto in ordine, Estia sarebbe tornata anche lei alla cesta di biglie, salutando e augurando alla studentessa tante belle cose per le festività. | |
Juliet Little Bicicletta Cielsereno Tappeto volante Spesa totale • 65 Galeoni +10 galeoni offerta | C'erano giorni in cui il negozio si riempiva di così tante persone da somigliare ad una cena di studenti in Sala Grande – alcuni si riconoscevano e scambiavano tra di loro allegre chiacchiere di passaggio, altri semplicemente sorridevano per cortesia, altri ancora sparivano su di sé per apparire l'attimo seguente a passi di distanza, complice la magia materializzante che aleggiava tutto intorno. Quelle situazioni erano sempre molto divertenti: talvolta i clienti si sfioravano appena, altre si scontravano in modo delicato, altre ancora potevano imbattersi in scene più buffe. Per Estia era come trovarsi su una giostra che non smetteva mai di sorprendere, e se gli altri sorridevano, sorrideva anche lei. Quel giorno stringeva tra le mani un bellissimo cesto di vimini, intrecciato in rametti color miele in una maestria che custodiva incanto. Era un cesto traboccante di margherite, un fascio tanto luminoso nelle candide tinte dei petali quanto profumato nella nota zuccherina che si sospendeva intorno. Estia amava profondamente sistemare in negozio i suoi fiori preferiti, e le margherite lo erano di certo: un mazzolino sul bancone in una brocca in ferro battuto, un altro sulle mensole più basse alle pareti, e così via per realizzare un'atmosfera più retro, più mirabile di quanto già non fosse. Nascosta dal cesto, non poté accorgersi dell'arrivo di una splendida civetta. Per fortuna, prima che la poveretta si ritrovasse a beccare inutilmente contro la porta d'ingresso, una giovane strega nelle immediate vicinanze si dimostrò tanto gentile per spalancarne il varco. Affrettandosi verso il bancone principale, Estia ringraziò sommessamente la cliente, ripromettendosi di regalarle alcune caramelle al momento degli acquisti. Poggiò così il cesto sulla destra e si dedicò subito alla missiva che era appena giunta, non prima di aver donato un cookie grande e croccante alla civetta. Sciolta la pergamena, pensò a quanto fosse carina la calligrafia del mittente e cominciò la lettura con una certa predisposizione d'animo. Più si addentrava tra le righe riportate, più sentiva il cuore farsi pieno di un sentimento che non aveva paragone e che sempre portava con sé forti emozioni. Parole come quelle, da parte di Juliet Little, custodivano una grandezza d'animo che non tutti avrebbero potuto vantare; e con l'omaggio dei biscottini dal nome curiosissimo e ancor più con la generosissima offerta della studentessa, verso la fine Estia non poté più celare grossi lacrimoni agli occhi. L'azzurro delle sue pupille si tinse di una sfumatura lucida, molto perlacea, che donò al suo volto un senso di tenerezza tanto profondo da colpire a segno anche alcuni clienti che l'avevano adocchiata. Così, un po' imbarazzata e tanto riconoscente per la pergamena di congratulazioni e di auguri che aveva ricevuto, Estia si allontanò in fretta per raggiungere l'angolo dedicato alle biciclette cielsereno in esposizione, approfittandone in quel modo per non farsi vedere dagli altri clienti e per preparare la richiesta della studentessa. Non avrebbe impiegato troppo, infatti, per scegliere la bicicletta più bella di tutte – tirata a lucido, splendente nei dettagli, tanto meravigliosa nella propria sfumatura violetta, l'articolo attendeva soltanto di sollevarsi in volo. In alto, ancora più in alto, forse proprio come in un... Com'è che aveva detto la signorina Little? Come in un film, forse così. Il tappeto volante, altro manufatto magico unico in tutto il paese, ben presto si aggiunse alla bicicletta – Estia ne scelse uno che fosse stato ricamato magistralmente nelle tempere dello stesso violetto, i ricami si tingevano di lavanda, indaco e pervinca, e verso il centro realizzavano cerchi che osavano sul magenta e sul porpora, fino a scurirsi in un guizzo di blu oltremarino. Era un capolavoro d'arte tessile, attingeva all'incanto orientale in modo magnifico, e Estia si convinse che potesse fare la felicità della stessa Juliet. Il pagamento era una somma molto alta, ben sessantacinque galeoni per i due articoli – ne valevano pienamente il prezzo, la studentessa l'avrebbe scoperto non appena provati gli effetti magici – più dieci galeoni per l'offerta. La risposta che Estia avrebbe scritto, affidandola di nuovo alla civetta, sarebbe stata più diretta e più semplice, non era una grande scrittrice. Ma sarebbe stata di certo piena d'amore e di gratitudine, sul fondo una lacrima ne avrebbe bagnato la carta. Nel cestino della bicicletta Juliet avrebbe trovato tante margherite, i suoi fiori preferiti al mondo. Estia è tanto felice, signorina Juliet ha cuore grande come castello. Estia è tanto sorpresa per regali, tutti ringraziamo. Spera signorina presto bene: Estia consiglia menta piperita più pezzetto di tronco salice, tutto caldo come tè e tutto passa raffreddore e brutta influenza.
Estia ha preparato articoli di signorina, sono tanto pesanti per civetta, ma Estia porta lei stasera in dormitorio di Sala Comune di signorina. Tutto viene settantacinque galeoni con offerta anche, ma articoli sono belli e unici. In cestino di bicicletta, sorpresa per signorina.
Buone feste, e presto guarigione.
Grazie, Estia. | |
Camillo Breendbergh Bicicletta Cielsereno Statuina Bobblehead Spesa totale • 35 Galeoni +2 galeoni offerta | Nel retrobottega risultava esserci stata una certa confusione, o per dirla con le parole di Arrie... un grattacapo. Con gli articoli da portare in residenza, quelli da sistemare negli ultimi dettagli e quelli da revisionare per bene, capitava infatti che vi fossero circostanze molto caotiche – il giorno prima era stata colpa dei tappeti volanti, almeno cinque sospesi dapprima a mezz'aria e subito dopo inseguendo svariate direzioni come in una folle, imprevedibile danza tribale; il giorno prima ancora era stata tutta opera dei prototipi di hula hoop magici, ai quali Estia e altri con lei stavano lavorando da settimane, beccandosi spesso un colpetto sulla fronte o, nei casi peggiori, ottenendo un vero e proprio bernoccolo come quello sulla testolina di Arrie; quella volta, al contrario, c'era di mezzo il sale evanescente. Sembrava che una boccetta fosse accidentalmente caduta durante il trasporto verso le vetrinette del negozio, spezzandosi di netto all'impatto con il pavimento e rilasciando il suo contenuto colorato. Nella frenesia del recupero da parte di alcuni Elfi Domestici, il sale magico altro non aveva fatto che volteggiare lungo l'intera stanza, sospinto da un soffio di vento continuo: in conclusione, infatti, era sparita nel nulla gran parte delle biglie colleganti, degli orologi magici e perfino delle nuove confezioni di nastri dell'amicizia. Un brutto, bruttissimo grattacapo. L'effetto evanescente non poteva essere ripristinato, non sarebbe stato fattibile bloccarne ogni esito ormai in atto. Molto semplicemente, Estia l'aveva già comunicato in una vocetta tra il tono dispiaciuto e quello ben più palesemente divertito, tutti loro avrebbero dovuto soltanto attendere. Nel giro di un'ora piena, d'altronde, gli oggetti spariti sarebbero tornati alle loro postazioni, e nel frattempo avrebbero dovuto sperare che almeno i nastri dell'amicizia arrivassero presto da una scorta di riserva dalla casa d'accoglienza. Era un grattacapo, lo era davvero. Al bancone, appena sovrappensiero, Estia salutò una coppia di clienti e ne approfittò subito dopo per sistemare il fiocco color caramello che indossava al polso come un bracciale. Era molto voluminoso, quasi somigliava ad una ninfea in fiore, ricamato com'era in filamenti più scuri che ne risaltavano un aspetto creativo; il vestitino di taffetà color caffè, in una sfumatura accentuata e raffinata insieme, scivolava altrettanto dolcemente sulla figura di Estia, così lungo e largo da somigliare ad una veste ottocentesca, con le pieghe che coprivano perfino le scarpette di simile tinta unita. Quel modo di presentarsi tanto delicato, nei lavori di ago e cucito che realizzava con le sue mani, era il tratto distintivo di Estia e osservare i clienti che si susseguivano al negozio riusciva ad infonderle nuove idee per prossimi abitini per lei e per i suoi amici. L'arrivo di una coppia di clienti e la voce di uno dei due in particolare, ad ogni modo, riportarono subito la sua attenzione al momento. «Benvenuti, io sono Estia.» Così gentile, portò entrambe le mani al petto e abbassò appena gli occhi, prima di tornare a guardarli. Si soffermò un attimo di più sulla studentessa accanto al giovane mago, riconoscendola in fretta. Aveva memoria di tutti e due, in realtà: anche se passava gran parte del tempo tra il Focolare Domestico e il Calzino Rattoppato, Estia rientrava ogni sera al Castello di Hogwarts. Era quella casa sua, lo era da tanto tempo per fortuna. I suoi abitanti, i suoi studenti, erano volti che impreziosivano i suoi ricordi, e ritrovarli al negozio scaldava sempre il cuore. «P-preside Peverell?» Quasi non poté credere alle sue grandi orecchie. Dalla recente inaugurazione già c'erano state richieste stravaganti, avrebbe potuto elencarne almeno un paio soltanto per quel mattino. Ma il Preside... nessuno ancora aveva mai chiesto una bobblehead per il vecchietto più simpatico di tutta Hogwarts. Per un attimo, infatti, Estia immaginò che potesse essere una battuta, forse uno scherzetto; osservando il mago che aveva di fronte, però, ne comprese presto che fosse un'ordinazione perfettamente seria. Un po' imbarazzata, volse gli occhi al ritaglio di giornale più per curiosità che per altro. Per quella volta Estia poteva andare sul sicuro – conosceva Ignotus Peverell da molto tempo, lavorava per lui alle Cucine di Hogwarts. Gli studenti lì con lei sapevano, ad esempio, che fosse stata proprio Estia a cucinare il primo pasticcio di rognone per il banchetto di festeggiamenti al seguito della nomina del Preside? Oh sì, era stata proprio lei. Spezie al posto giusto, abbondanti fiumi del tè preferito dell'anziano stregone... «Sì.» Una risposta diretta, interrompendo il flusso di ricordi. «Si può fare, signorino. Estia ha bisogno di alcuni minuti e torna.» Passava dalla prima alla terza persona, già più liberamente di molti altri della sua specie: un'abilità, quella, che rendeva Estia davvero sorprendente. Da un lato sentiva di esserne più che capace, di non avere problemi a realizzare tutto quello che d'originale era stato domandato; dall'altro temeva di spingersi oltre il buonsenso comune, nella malaugurata ipotesi che il Preside vedesse la bambolina e ne fosse in qualche modo offeso. No, non poteva essere, e se anche per qualche inaspettata ragione lo studente avesse fatto dono della bambolina al docente, di certo sarebbe stato un regalo semplicemente buffo, molto divertente. Impiegò qualche istante di più per recuperare una forma base in stoffa e tutta una serie di nastrini, cotone e gomitoli di lana, rimuginando sulla richiesta come se ne fosse una questione di vita. Alla fine, per fortuna, si convinse che fosse qualcosa invece da apprezzare, qualcosa che avrebbe messo alla prova anche il suo talento. Più rassicurata nel proprio cuore e già più intenzionata a riuscire nel migliore dei modi, Estia si mise al lavoro. Avvicinò a sé un cuscinetto imbottito, molto piccolo, che fungeva da puntaspilli – sullo stesso, sparpagliati come aculei di un riccio, sfilavano tanti aghi di una e più misura, tre dei quali si sollevarono a mezz'aria ad uno schiocco di dita della Creatura. La tessitura cominciò in quel modo: all'apparenza imprevedibile, all'effettivo ben più ordinata. Un lungo filo di seta, sul nocciola, si portò da sé agli aghi in attesa, l'attimo seguente stringendovisi attorno come spire di serpente. Le mani di Estia guidavano appena da lontano i movimenti, in silenzio impartiva comandi ben delineati e chiamava altrettanto impercettibilmente altre stoffe – la seta, in particolare, congiunse un primo lembo ai restanti ferri da cucito, così realizzando un'armonia di nuovi colori: di nocciola, di camoscio, di giallo paglierino, tinte che sfumavano verso una dolce tonalità crema, tinte eleganti e molto delicate insieme. L'abito che ne comparve in breve si adagiò sulla bambolina sul bancone, vestendola sul corpicino fino a coprire i piedi ancora scalzi, presto però adagiati in soffici pantofole di lana. Le maniche si allargarono leggermente, un cordino sull'ambra già ne abbelliva il tessuto in minimi dettagli; saliva così lungo le braccia come dotato di vita propria, lasciando una sottilissima traccia d'oro che rendeva l'intero abito molto più artistico di quanto immaginato. Soltanto all'altezza del petto la stoffa si dischiuse come una corolla di petali in tinta soffusa, fiorendo in quel modo in una forma d'eccezione – un paio di larghe ali, le tempere del giallo, dell'arancio e del cremisi appena decorate nel profilo di una splendida Fenice. Nell'insieme appariva come una veste da notte, tipicamente da mago. Un'immagine singolare, quella al centro, che richiamava proprio Minerva, la Fenice del Preside di Hogwarts. Nelle ampie maniche, nei bottoni che zampillarono al colletto, tutti gentilmente abbottonati, le pieghe delle stoffe infondevano un senso pacato, quasi di quiete. Estia sembrò quasi tentata di confidare allo studente di fronte che quello fosse proprio il pigiama preferito del buon vecchietto. Capitava infatti che Ignotus Peverell richiedesse qualche scorta di tè pregiato dalle Cucine di Hogwarts, e capitava similmente che lei e altri Elfi Domestici lo ritrovassero in vestaglia da notte. Che fosse veritiero o meno, Estia non ne fece parola. Era evidente, però, che si trattasse di un'opera magnifica, la stessa Fenice lì stilizzata ne sembrava animata per magia, il fremito delle ali danzava nei bagliori delle sete. Concluse con un cappellino lungo da stregone con tanto di pon-pon in lana, sulle stesse tonalità calde dell'abito e delle pantofole; a quel punto era tutta questione di creatività: una barbetta lanuginosa scivolò lungo il volto della bambolina, gli occhi si tinsero intensamente di verde smeraldo, la forma che si adeguava a quella tanto conosciuta del mago di riferimento; capelli bianchi, lucenti e soffici, apparvero sulla testolina sproporzionata, i ciuffi che spuntavano nitidamente da sotto il cappellino da notte. Cominciò già a muoversi, la bacchetta magica rifinita in una mano, una teiera fumante comparsa d'improvviso accanto alla stessa; un borbottio continuo, molto cantilenante, che fin dal primo suono poté ricordare la voce del Preside. «Ottimo, si fa per dire.» Così iniziava. «Un The, e due di zucchero, grazie.» Sembrava volgere appena verso la teiera alle sue spalle, che alla richiesta già rispondeva in sbuffi di vapore; in una giravolta, come un giocattolo, la teiera si trasfigurò in una tazzina di semplice porcellana, sulla stessa la decorazione di una Fenice stilizzata come quella del pigiama della bambolina. Così riprendeva, come perduto in luoghi antichi che solo aveva il privilegio di mirare. «Truva, l'odierna Città di Troia... guazzabuglio di contrada.» Sciorinava condanne verso un'invisibile destinazione, così com'era stato richiesto. Siti archeologici in Turchia, quello il desiderio: per il Docente di Storia della Magia era come convolare a nozze, quasi la bambolina agiva da sé. «Puah! Gli eserciti si fur, mosse il troiano... si fa per dire. Come stormo d'augei... più di cavallette.» La mano al cappellino in gesto teatrale, il pon-pon tirato all'indietro come in un gesto di fastidio. «Auree tazze votavano mirando la troiana città.» Citava Omero. Di scatto all'indietro, verso la tazzina. Il cipiglio minaccioso, le braccia conserte. «Un The, e due di zucchero. O un Cavallino Ronzante del diviiiino Odisseo. Blah.» Quel divino, tra tutti, segnò uno sdegno che mai prima di allora qualcuno avrebbe potuto sostenere di aver sentito pronunciare dalla bocca del Preside, non di certo trattando della Guerra di Troia e del peso storico che aveva avuto nei secoli. Ad ogni modo, la tazzina ne parve impaurita: in un'altra giravolta tornò teiera, e la bambolina già proseguiva verso un altro lato. Ancora lanciando anatemi verso le povere terre turche, e tutto quello che di meraviglioso – «Si fa per dire, ch'anco l'afflitta!» – avevano da offrire. Il pigiama, lungo fino a coprire in parte le pantofole, cominciò allora a contorcersi per magia, lo schiocco di dita di Estia a guidarne un guizzo creativo. Così, la stoffa si tinse di un colore più scuro, raffinandosi in quello che di primo acchito sembrava un abbigliamento da cowboy, e che presto risultò più simile ad un archeologo d'ultima generazione. Sulle sfumature del tronco e della sabbia, in maglietta con bottoni al colletto, pantaloni sportivi e borsello a tracolla, per chi più esperto sarebbe apparso come l'aitante Indiana Jones di Hogwarts. Il cappellino da notte cambiò in uno di stile fedora, la tesa ben più larga con un cordino pendente tutto intorno; le pantofole, rapidamente, si svelarono come stivaletti di pelle. La teiera scomparve, la bacchetta magica stretta nella mano si allungò nella forma di una frusta, presto la bambolina cominciò a sferzarla in aria in stilettate degne di nota. Ad ogni colpetto sentenziava contro i Goblin, la loro legislazione e la loro partecipazione alla storia, contro le loro rivolte e le loro discendenze, contro le problematiche che avevano presentato nel corso dei secoli e nello stesso presente. Un po' come un predicatore fuori di senno, sferzava con la frusta a destra e a sinistra, spostandosi a saltelli a dispetto della veneranda età che dimostrava: la barbetta e i capelli bianchi non erano spariti del tutto, e spesso capitava che da archeologo tornava in pigiama e viceversa. «Un oggetto appartiene a chi lo costruisce... ma non la teiera di tua nonna!» Diceva. «Uno, due, tre, diciassette è il secoletto...» Colpo di frusta. «Bongi il Malignetto, Urg il Rozzetto!» Non erano poi veri nomi? In pigiama, in fretta, la bambolina cominciò a stirarsi la barbetta, attorcigliando l'indice e il pollice attorno alcuni ciuffi e tirandoli con stizza. «Hodrod, Hodrod, Hodrod, che più villico non si può! Chipping Clodbury, chip, chip... più infido di un Goblin di mezza statura!» Oh sì, parlava tantissimo. Un sospiro infastidito, il cappellino sulla testa si spostò in avanti a scivolare sulla fronte, tra quell'aria minacciosa e buffa insieme. «Non si chiamava Ranci il Primo, giovanotto, ma Ranci il Rancido!» Alla fine Estia si ritrovò costretta a fermarlo, la bambolina cominciava ad attirare sguardi di altri clienti. Mentre si affrettava a chiuderla in una confezione di cartone per zittire ogni ripicca, infatti, pensò di essersi spinta forse un po' troppo oltre. Ma fin quando vi fosse stata l'approvazione di Camillo, al quale tornò con gli occhioni imbarazzati e le gote arrossate, per Estia sarebbe andata bene. Con la bicicletta sottobraccio e la bambolina che protestava contro Hierapolis e Hattusa, che no, non erano una coppia di vecchie streghe turche, finalmente la spesa poté concludersi. Erano trentacinque galeoni più l'offerta che apprezzò molto. «Se signorino vuole bambolina solo in pigiama, signorino toglie frusta e bambolina resta come prima. Io immagina più divertimento, ma signorino...» Con l'espressione allarmata, Estia si sporse appena sul bancone, cercando l'altro un'ultima volta. Parlò in un sussurro subito dopo. «Estia vuole bene Preside, signorino non mostra lui bambolina per favore.» Per tutta risposta la bambolina picchiettò contro la scatola. Booongi, gridava. Booongi il Ribelle.
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