Perché di questo sole si ha paura, Divinazione II

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view post Posted on 23/4/2022, 13:32
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Disclaimer: si sconsiglia la lettura a chi potrebbe essere sensibile a dettagli un po' macabri.

ISiikZ9"Non adesso."

Dicevano che ci fosse un mostro nella Foresta. Acromantule, avvincini, serpenti, graphorn, troll, non vi avevano nulla a che fare.
Era esattamente un mostro, non poteva essere altro. Non aveva vita propria, non aveva un padre e una madre, non si nutriva per sopravvivere. Non dormiva per riposare, non correva per gioire.
Era un mostro e basta. Pura essenza mostruosa, risonanza dei cattivi pensieri.
La sua presenza nell'insieme dei fenomeni della vita serviva per terrorizzarti. Ti lasciava guardare i suoi occhi pece, pupille dilatate fino ad inondare le sclere e a riversarsi nel cranio; un mare profondo e ignoto, dove non tocchi, dove il fondo è così nero che non può che continuare all'infinito nel nulla del cosmo stesso. Solo per lasciar sorgere in te l'orrore.
Ti perseguitava col suo ringhio. Un richiamo acuto, un sottofondo di note marcescenti che toccavano le radici dell'inferno. Evocava la certezza dei tuoi peccati, l'incorruttibilità della tua appartenenza al male.
Io l'avevo visto, o meglio avevo percepito la sua presenza. Costeggiavo la Foresta, quando lo mi accorsi di lui. Ma tornavo anche a casa, a Nocturn Alley, e correvo su per le scale, verso la sala comune. Il mostro era sempre con me, e l'ossessione della sua presenza mi tamburellava sulla testa.
La sua onnipresenza non mi straniva, perché a un tratto, quando ne conobbi l'esistenza, sentii la consistenza del filo che ci legava.
Mi trovavo in cortile, e delle matricole ascoltavano i racconti di una coppia di spocchiosi del settimo anno.
Se ti avvicini troppo alla Foresta lui ti nota e ti prende di mira. Può uscire dal folto del bosco solo di notte e nessun incantesimo protettivo del castello, nemmeno il quadro della Signora Grassa, è in grado di respingerlo. Lui penetra le mura, sale fino in dormitorio e trova il tuo letto seguendo il tuo odore per poi soffocarti nella notte, quando nessuno può sentirti.
Lo ascoltai di sfuggita, e nel mentre la parte più razionale di me si domandava quale fosse il fine del mostro nell'uccisione. La risposta doveva stare nel nome stesso. È un mostro, lo fa perché è un mostro. Non c'è altra ragione. Ma c'è sempre un motivo, c'è sempre qualcosa di più profondo, una spiegazione, un legame psichico fra una cosa e un'altra nella testa del mostro, un trauma, la carenza di una componente chimica nel cervello.
Però il mostro non viveva per vivere, era il cuore di quel racconto. Il mostro, in genere, è un mostro, punto. Non ha ragioni per essere un mostro.
Io invece sì, e siamo divenuti un tutt'uno per completarci.

***

Talvolta mi basta poco per andare in tilt. Una parola sentita a distanza, una crepa nel muro disordinata, un argomento attraente su un libro. Mi fisso su di esso e mi lascio trascinare dalla corrente dei ragionamenti e dalla spirale del fastidio. Più mi fisso, più mi agito, più corro nella mia testa, meno dormo, meno concedo a me stessa di proteggermi dal tumore che ho dentro.
Il sentito dire sul mostro della Foresta, benché storia per bambini ribelli, fece breccia in me alla pari di un profondo respiro in un campo di fresie in primavera.
Esiste un mostro, esiste qualcosa che può incarnare questo ruolo. Esiste qualcosa da combattere, esiste qualcosa verso cui concentrare il mio odio al di fuori di me.
Ed era un toccasana.
Passai il mio tempo a cercarlo. Cercavo al di fuori dalla finestra nelle ora di lezione, e la notte dal dormitorio o durante le ronde. Seguivo i rumori della natura, e restavo ad occhi aperti a letto, voltandomi ad ogni scricchiolio finché non mi addormentavo.
Non funzionò, non lo trovai. E mi diede fastidio l'idea che si trattasse solo di una diceria. Fu in quel momento che smisi di dormire.

Erano quattro giorni e ventitré ore che non dormivo. Senza il sonno non posso controllare i miei pensieri, senza il sonno non posso distinguere le allucinazioni della Vista.
Non sono mai riuscita a darle un senso. Questo tumore che preme contro il mio cervello, come preferisco chiamarlo, pressa, pressa, pressa, al fine di poter sgorgare nella mia vita. Ero riuscita a trovare un tasto di spegnimento. Ogni volta che il formicolio alla nuca avvisava l'arrivo di una visione, io comprimevo le mani contro il collo, trattenevo il fiato e fissavo uno spazio vuoto nel mio cervello.
Non si trattava di annullamento meditativo, tutto il contrario. Non acuivo i sensi e non lasciavo fluire l'energia spirituale dell'universo in me. Quello spazio vuoto era solo un buco, come un foro di proiettile da cui invece di entrare luce affiorava l'oblio. Era il nulla, era il rifiuto, era come schiacciare una vena per impedire l'afflusso di sangue al cervello. Non era qualcosa di naturale, non ce l'avevo dalla nascita. Me lo ero procurato io, e sapevo come fosse accaduto e non lo sapevo insieme. Era come se lo avessi dimenticato, e ogni volta che provavo ad indagare trovavo solo il conforto dell'abbraccio di lei e il rimpianto di cento parole non dette. E il pizzicore alla nuca sfumava via nel dimenticatoio.
Lo facevo all'occorrenza: in classe, la notte quando mi svegliavo da un sogno, a pranzo, a cena, mentre studiavo, mentre parlavo con un amico. La gente mi chiedeva se andava tutto bene e se, per l'improvviso mal di testa che dicevo ogni volta di avere, non sarebbe stato meglio andare a farmi vedere in infermeria. Rispondevo sempre "non adesso".
Però era più difficile riuscire a farlo quando non dormivo. Era maledettamente più difficile.

***

E' stato quando persi ogni controllo e ogni forza di reazione che vidi il mostro.
Sembrava la notte giusta per dormire. Una notte di fine aprile, in cui tutte compagne di stanza sonnecchiavano. La buonanotte fu dolce, unanime e col sorriso. Si spensero le luci, tranne quella della luna dalla finestra aperta. Nessuna si mise a leggere sotto il fioco lume artificiale di una bacchetta, e me medesima mi spinsi sul cuscino covando l'idea che finalmente, sotto la stanchezza di cinque giorni di insonnia sarei crollata.
Quasi ci riuscii. Chiusi gli occhi e sentii il peso del mio corpo sprofondare nel materasso, intorpidirsi in nome del sonno più profondo e ristoratore. Rimasi in questa condizione per quelle che sembrarono ore, senza spegnermi del tutto. Ancora i pensieri si accavallavano. Il compito di Astronomia di domani, la fatica del risveglio, la corsa per la colazione, i vestiti che ancora non avevo lasciato in lavanderia dagli elfi, i libri che dovevo restituire in biblioteca.
Il peso del corpo divenne dolore, divennero spilli conficcati nella carne. Tanto forte da indurmi agli spasmi.
Tentai di muovermi, ma ero bloccata, come incatenata. Il respiro si fece intenso, veloce, per affiorare di nuovo sul pelo dell'acqua e sfuggire alla pressione marina. Le mie palpebre si aprirono in uno spiraglio e, sotto lo sgomento del mio intero essere, vidi la sagoma di un uomo.
No, non era propriamente un uomo. Era solo una sagoma, ricordava un uomo. Era un corpo umano, bipede, nudo, pelle pallida che emanava gli stessi sbuffi lucenti dei raggi lunari. Non uno spacco per la bocca, non cavità degli occhi, non fori delle narici, non capelli corti o fluenti, non unghie. Sedeva su di me, a cavalcioni, e mi osservava dall'alto, dalla sua testa anonima. Fulmineo, allungò il braccio viscido e mi afferrò il collo bloccando il mio respiro già incapace di accogliere aria. Soffocai, provai a dimenarmi, a urlare, ma dalla mia bocca fuoriuscì solo un rantolo sordo che non avrebbe svegliato nemmeno il gatto.
L'orrore mi aveva vinta; tutto ciò contro cui avevo lottato fino a quel momento, il tumore e l'angoscia del vivere, mi vinse senza alcuna fatica. E il mostro avvicinò la testa alla mia.

Mi alzai di scatto, finalmente sveglia in ogni parte del mio corpo. Al posto di un urlo, il grido dei polmoni che divoravano aria.
Sudata, dolorante nel corpo, tremante nell'anima, mi voltai in ogni direzione, guardinga come un cerbiatto nella notte della Foresta, ma non vidi nulla.
Non volevo restare lì.
Mi alzai dal letto barcollando e presi la bacchetta dal comodino. I pantaloncini e la maglietta slabbrata del pigiama erano pezze bagnate sulla pelle per il sudore, e rabbrividivo dal freddo. Aprii il mio baule ai piedi del baldacchino con fretta e scavai in cerca della vestaglia più calda che avessi - il cambio stagionale, dall'inverno alla primavera, pensai che fosse stato l'atto più stupido dello scorso fine settimana. Mi avvolsi nel calore del tessuto caldo e asciutto della lana, sentii tintinnare qualcosa nelle tasche ma non vi badai, e mi fiondai in bagno.

***

Restai piegata sul lavandino, di fronte allo specchio, mentre l'acqua della doccia scorreva per diventare calda. Stentavo a guardare il mio riflesso: il volto di un morto scavato nella putrefazione della sua giovinezza. Le ciocche di cappelli attaccate alla testa, bagnate, le labbra spaccate per i morsi e la cattiva salute. Alzai la testa e seppi in cuor mio che esistevano poche vie di fuga dagli orrori della vita a cui nessuno mi aveva mai iniziato. Con un gesto incontrollato, del tutto spontaneo, mi conficcai la punta della bacchetta sotto il mento.
Un incantesimo, forza. Che male c'è. Basta poco. Un taglietto al posto giusto, nessuna maledizione proibita dallo Stato.
Gli angoli della bocca tremarono salendo in un sorriso. Sembrava tutto più chiaro, finalmente più dolce, mi sentii finalmente sveglia.
Ma c'era il mostro, riflesso nello specchio, talmente vicino alla mia immagine da rassomigliarmi.

Il mio mostro è fatto così. Mi segue da lontano, in ogni dove. Mantiene lo sguardo fisso sul mio passo, sa che io so che lui è lì dietro, e se ne compiace. Stringe il cappio attorno al mio collo, si avvicina sempre più per poi rilasciare la presa e farmi riprendere una boccata d'aria per sopravvivere alla successiva tortura.
Mi fa torturare. Mi induce alla rabbia.
Era lì quando arsi la pelle di Ariel, ed era presente quando sbilanciai Nelson contro il parapetto della Torre d'Astronomia sullo strapiombo.
C'era anche quando per poco non uccisi quell'uomo a Nocturn Alley, nel mondo onirico di Sylvie e nella sporca realtà di Nieve.
C'è ogni giorno, ad ogni mio passo falso. C'è anche quando rido e non lo penso, per ricordarmi del mio incedere verso di lui.


Si avvicinava nel riflesso, passo dopo passo con gambe deboli che barcollavano ad ogni falcata. Io rimasi immobile, con la bacchetta piantata sotto il mento.
«Non adesso.» Singhiozzai, e scossi la testa sentendo la voce spezzarsi e le lacrime ardenti sulla pelle congestionata dai tremori gettarsi nello strapiombo contro il lavandino.
«Ti prego.»
Non mi mossi, lo lasciai fare. Mi abbracciò, da dietro, nello specchio, e lasciai che le sue mani viscida da amante inopportuno mi accarezzassero. Non sentivo il suo fiato, non sentivo il suo puzzo da mostro, non sentivo la pressione del contatto sulla pelle. Nello specchio, il mostro mi abbracciava e afferrava il mio polso per portarmi via la bacchetta dalla giugulare.
Tremavo e piangevo, e lo pregavo.
«Non adesso, ti prego. Non adesso.»
Se avesse avuto delle labbra esse mi avrebbero baciato il collo, mi avrebbero sussurrato qualcosa all'orecchio.
Resistetti alla presa della sua mano scivolosa per tutto il tragitto fino alla tasca della vestaglia, senza alcun successo. La bacchetta mi cadde dalla mano, la quale sprofondò nella piega del tessuto incontrando il freddo metallo di un piccolo oggetto. Le mie dita lo afferrarono senza sforzo, forse più curiose di me.
Scivolai giù, sul pavimento. Il mostro scomparso, gli occhi sul ciondolo all'interno luminoso.
In quel momento di strenua lucidità, fu un lampo a riportarmi alla piccola porzione di nulla nel mio cervello mentre portavo il gioiello all'altezza degli occhi. Vorrei dire di aver perso la ragione nell'istante in cui presi ancora la bacchetta, in cui mi trascinai verso la doccia per togliermi la sensazione orribile sul corpo di quel contatto non avvenuto. Egli era scomparso, non c'era mai stato, ma volevo comunque disfarmene.
Sotto l'acqua, i vestiti divennero ancora più pesanti. Il getto mi batteva sulla testa e ricadeva dalla fronte sulla piattaforma in marmo sotto i miei piedi. Mi afflosciai su di essa, con le ginocchia al petto, la bacchetta nella destra e il ricordo in bottiglia nell'altra.
Sapevo cosa conteneva e non lo sapevo.
Un buon amico serve a mostrare le diverse strade per superare un ostacolo. La mia mente, nella sua più complicata semplicità di manifestazione del pensiero, si era fatta strada tra le mie resistenze e si era imposta con l'ultimo impulso corporeo verso la risalita, solito di chi sta per affogare.
Aprii la boccetta, la punta della bacchetta sul bordo pronta ad afferrarne il contenuto prima che sgorgasse via come acqua. Se quello era il modo per riuscire a sopravvivere, allora dovevo farlo. Dovevo farlo in quel preciso momento e non rimandare mai più.
Il vuoto nella testa riprese a vibrare, lo vidi e mi chiese di essere colmato come un recipiente. Era il richiamo di qualcosa a cui non potevo sfuggire, a cui non avrei mai potuto sfuggire. Era nato con me come un gemello, era vissuto con me in sordina e sarebbe rimasto con me finché la terra non mi avrebbe riassorbita. Ignorarlo era impossibile, governarlo altrettanto. E se l'unico modo per essere era quello di impazzire fondendomi ad esso allora dovevo aprire il mio Vaso di Pandora e lasciare che il mostro mi divorasse.
Afferrai il ricordo con la punta del Nocciolo, strattonandolo verso di me mentre tentava di fluire via nell'etere. Lo portai alla tempia e, colma di vita, mi imposi e gli imposi di tornare nella mia memoria.

PS: 279 • PC: 254 • PM: 297 • PE: 29,5 • PP: 610



Ovviamente non c'è solo un'immagine, scrollate giù, in nome della mia teatralità.
Eh sì, l'ispirazione per i contest a tema giunge sempre a scoppio ritardato. ♡

Inventario: bacchetta, ciondolo a forma di ape (regalo di Gwen), due bracciali dell'amicizia (uno diviso con Gwen e uno con Draven), ciondolo prezioso ricordo contenente il ricordo del momento in cui Oliver è stato travolto dalla profezia durante il Ballo delle Rose e delle Spine (imbottigliato qui).

Abilità: Divinatrice base.

Conoscenze: fino alla IV classe + proibiti II e III, Mucum ad Nauseam, Colossum, Circumflamma, Floriscus, Vegetatio, Semen, Floium, Antares, Stupeficium, Flagrate, Ludibrium Speculo.

Precisazioni: è il mostro della paralisi del sonno + qualche piccolo condizionamento allucinatorio, dovuto alla mancanza di sonno e allo stress in generale. Ogni azione è da considerarsi ipotetica, attendo la convalida del Master.
 
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view post Posted on 11/6/2022, 14:53
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Il Fato

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C'era un mostro, ma non nella Foresta. La Foresta era fatta di alberi e foglie cadute sul terreno umido, cespugli di rovi e funghi velenosi raccolti intorno a tronchi su cui colava la resina. La Foresta era fatta di materia: ciò che faceva male poteva pungere o avvelenare, gli animali più pericolosi avrebbero potuto snudare le zanne schiumanti di rabbia. Ma nessuno di quei pericoli avrebbe mai inseguito qualcuno fin sotto le coperte. Checché se ne dica, è ben raro che qualcuno perda il sonno per via dei mostri della Foresta. E per i mostri della propria mente? Quello è tutto un altro discorso.

***

Lo scroscio della doccia riempiva il bagno altrimenti silenzioso – battendo contro ai tuoi timpani accentuava uno strisciante senso di isolamento, chiudendoti dentro ad una bolla di rumore che spezzava la monotonia della notte. Dapprima gelido, il getto d'acqua s'intiepidì con il passare dei minuti, man mano che il flusso dei tuoi pensieri ti trasportava verso l'ignoto. Qualsiasi verità si agitasse dentro alla boccetta che tenevi tra le mani, pareva che il mostro ti volesse spingere verso di essa. Tu, allora, decidesti di assecondarlo, e presto fu troppo tardi perché un ripensamento improvviso potesse interrompere il dipanarsi degli eventi: la mano già impugnava la bacchetta, e il filo argenteo apparentemente così innocuo già sfiorava la pelle sottile della tempia, pronto ad esservi riassorbito nello spazio di un unico battito.
Forse la tua mente provata dalla stanchezza e dalla paura dimenticò la prudenza, lo spirito di autoconservazione che ci frena quando i mostri ci prendono per mano e cominciano a guidarci. Quando si imbocca un simile sentiero, non ne può uscire niente di buono; così, almeno, si dice.

L'inconfondibile olezzo dolciastro delle rose ti investì all'improvviso, trasportando con sé immagini e suoni ad un tempo familiari ed estranei, in un dejavu dall'insolita chiarezza. Man mano che si dipanava una scena dopo l'altra, il ricordo si incastrava nella tua storia, riempiendo con precisione millimetrica il vuoto con cui avevi voluto sostituirlo.
Una tiepida notte d'estate, il campo di Quidditch trasfigurato in un enorme roseto a cielo aperto; i tuoi compagni di scuola si muovevano in abiti fruscianti e completi scelti con cura – animavano la pista da ballo o la osservavano dai margini, raccolti come te intorno ai tavolini scarsamente illuminati.
Oliver e Megan, re e reginetta del Ballo delle Rose e delle Spine, vennero chiamati a danzare in pista. La musica suonò per loro, erano belli come i protagonisti di una fiaba. Poi qualcosa si spezzò, e l'interno scenario precipitò in un territorio d'incubo.
Le rose appassirono, sbriciolandosi fragili; cristalli e strumenti musicali esplosero in una cacofonia inaspettata, e già qualcuno gridava, accrescendo la confusione e il panico, che presto presero il sopravvento.
Nel ricordo, ti concedesti solo pochi istanti di esitazione, prima di farti spazio verso il centro della pista. Lì, ti aspettava la visione spaventosa di Oliver spezzato, il corpo che aveva assunto pieghe innaturali sotto alla pelle nera di capillari spezzati. Lui parlò, dando voce alla sua profezia di fiamme e di morte, ma era difficile afferrarne a pieno il senso.
Ricordasti il dolore provato, e le lacrime che avevano preso a scorrere sul tuo viso prima che Oliver cadesse a terra, che tu lo raggiungessi, che infine scappassi lontano in cerca di aiuto. Ricordasti la confusione e la sensazione di allarme, la paura mista a senso di colpa, il torrente di emozioni che ti investì in quegli attimi d'incubo.

Era questo, questo che il mostro voleva da te? Che sapessi di nuovo? Che provassi nuovamente e a pieno il dolore di quella notte?
L'acqua continuava a battere sulla tua testa. Aveva inzuppato la vestaglia di lana, che ora, calda e pesante, premeva come una creatura viva sulle tue spalle. Il vapore aveva cominciato a saturare l'aria della cabina, rendendoti più difficile il respiro. Un ronzio sommesso si era installato nelle tue orecchie, e sotto di esso lo scroscio dell'acqua sembrava sempre più distante. Ti sentivi debole, oppressa dalla stanchezza delle notti prive di sonno, dalle allucinazioni, dalle emozioni troppo forti rivissute quando l'equilibrio era già fin troppo precario. Il polso si era fatto irregolare e debole; come un filo teso fino allo stremo, il tuo corpo minacciava di spezzarsi, e la mente si faceva meno lucida. Mantenere gli occhi aperti ti costava uno sforzo attivo; quando infine questo cedette, e le palpebre cominciarono a calare, scivolasti nell'oblio.

***

Eri tornata nel ricordo. Questo ti parve di capire, perché l'ambiente era pressoché lo stesso, se non per poche differenze: i contorni della pista apparivano meno nitidi, le forme semplificate dei tavolini si perdevano in una sfocatura priva di dettagli, come se si trovassero ai margini di uno sguardo puntato sul centro della pista da ballo. Allo stesso modo, nessuno dei volti dei tanti invitati era pienamente messo a fuoco, fronti e nasi e bocche perdevano la loro specificità per amalgamarsi in un generico concetto di faccia. Per qualche motivo, simili dettagli non ti creavano disturbo: da una parte rispondevano perfettamente alla logica di quel mondo, dall'altra passavano in secondo piano rispetto al pandemonio che infuriava tutto intorno.
Era un caos di urla e rumore di vetri infranti – lo stesso appartenente al ricordo, che qui si protraeva senza accennare a diminuire. Gli studenti correvano da una parte e dall'altra, totalmente presi dal panico. Calpestavano rose appassite e frammenti di bicchieri, si spintonavano nella foga di scappare chissà dove. L'affollamento non accennava a diminuire.
Qualcuno ti urtò una spalla, e tu barcollasti da una parte. Istintivamente sapevi di star indossando la stessa camicia e gli stessi pantaloni di allora, ma per qualche motivo erano bagnati, caldi e appiccicosi. Nessuno sembrava averci fatto caso, nessuno badava a te, che ti trovavi appena ai margini di quella tempesta furibonda, il cui occhio si trovava da qualche parte dietro al muro di persone. Se avresti voluto raggiungerlo, ti saresti dovuta fare strada a suon di gomitate e spingere più forte di tutti gli altri. Forse sarebbe stato più semplice scappare, approfittare della tua posizione per allontanarti ancora di più da qualunque cosa stesse accadendo in pista, e che come una nube temporalesca pesava greve sugli animi di tutti i presenti. Forse allontanarti avrebbe fatto sparire anche il ronzio.
Se ne stava lì, alla base di tutti gli altri rumori; monotono, posato sempre sulla stessa nota, aveva una sgradevole qualità insistente, come se si potesse insinuare attraverso i padiglioni auricolari fino a fare il nido dentro alla tua testa. Assomigliava al ronzio delle api – anzi, no, delle vespe, come se un intero nido di vespe fosse cresciuto al centro della pista e avesse seminato tutta quella confusione. Eppure, degli insetti nessuna traccia. Tutto ciò che volava in aria erano i petali neri delle rose, trasportati da un vento che non si faceva sentire sulla pelle, ma che spingeva quei rimasugli di fiori verso la folla, verso la pista da ballo.



Eccoci qui! Perdona il ritardo, d'ora in poi proseguiamo più spediti.

Casey si rimpossessa del proprio ricordo, quindi adesso la fiala ritorna vuota.
Ciò che segue dovrebbe essere chiaro, ad ogni modo per qualunque cosa sai dove trovarmi.
Buon gioco!
 
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view post Posted on 10/11/2022, 16:05
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Disclaimer: si sconsiglia la lettura a chi potrebbe essere sensibile a dettagli un po' macabri.

È tutta colpa dell'incertezza della Vista.
No, è tutta colpa del fulmine che dicono mi abbia colpita anche se non mi ricordo nulla.
No, è tutta colpa mia.

Non respiro. La richiesta di ossigeno viene dalle mie viscere con ferocia ma io non voglio ascoltarle. Non voglio respirare. Strano a dirsi dato che mi sono dimenata sotto la stretta del mostro alla mia gola. Strano a dirsi dato che non ho sempre fatto che lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere all'aggressione altrui. Ora, che vedo ancora un volta immagini ed emozioni, voglio solo che tutto cessi all'improvviso, compresa questa esistenza.
Il vapore s'ingrossa e mi strozza, gli occhi cedono sotto il peso del mancato sonno e il desiderio di oblio, e non posso far altro che pregare che mi accolga. L'acqua calda mi scivola addosso, mi aggrappa i vestiti al corpo, ed è forse l'unica cosa che mi culla in questo andirivieni di angosce.

Oliver. L'ho lasciato solo. Oliver. L'ho visto morto. Sono scappata, ho avuto paura, e io ero il suo prefetto, ero sua amica, ero già Veggente e potevo capire. Potevo stringergli la mano, restargli accanto, donargli conforto, aiutarlo, trasportarlo, fargli capire che l'amavo, sostenerlo, dargli compagnia e supporto, asciugargli via le lacrime e il sangue.
Questi sono i pensieri e le immagini che cominciano ad inondarmi il cervello mentre le sottili spire argentee del ricordo mi penetrano la tempia. Sembrano parassiti che si aggrappano alla mia vita per scansare ancora una volta la morte. Ed in effetti è questo, per me, la Vista: un cancro.
Il vuoto si colma. E fa male, male, male, non solo perché le memorie lo inondano con la stessa potenza di uno tsunami, ma perché erano stati sfilati dalle dita amorevole di lei e ora, ritrovandoli, ho cancellato anche l'ultimo dei suoi gesti affettuosi nei miei confronti.
Mi sento vuota e piena insieme, e non posso far altro che cedere e chiudere le palpebre in preda all'asfissia.

Mi ricordo di questo nero, quello dietro alle palpebre che schermano i miei occhi. Sono una culla per la mia anima, la zona neutrale della mia esistenza, dove io e il mostro non siamo altro che due nazioni in pace. Solo che, la maggior parte delle volte, quando le palpebre di carne si chiudono, quella impalpabile del cancro si riapre.
Annaspo con la paura in corpo. Credevo di aver trovato pace, credevo di aver finalmente esalato l'ultimo respiro. Invece mi ritrovo ancora una volta nel mio inferno personale.

Oliver.

Sembra tutto ok. I miei piedi toccano l'erba dei prati di Hogwarts e ne respirano l'aria senza sentirne l'odore.
Sembra tutto ok perché la visione idilliaca di un momento di festa ci rende tutti più quieti. C'è un ballo, tanti vestiti svolazzanti pieni di dettagli estetici che riempiono gli occhi. I corpi avvinghiati in una danza, le rose e le spine che si attorcigliano lungo i padiglioni, le gambe dei tavoli e delle sedie e sui bordi delle pedane. Ci si potrebbe trovare al sicuro in un luogo ed una situazione del genere, e forse nemmeno ci si porrebbe domande sulla propria sicurezza qui, sospinti verso l'ebrezza dei piaceri in un momento di comunione mondana.
Ma i miei vestiti, che erano quelli del ricordo, parlano chiaro: sono fradici, appiccicosi, mi costringono le pelle sotto il loro raggrinzimento, come in un misto fra il sudore che avevo un tempo e l'acqua che ora mi scorre addosso.
Il mio cuore parla chiaro: so cosa sta per accadere, ma mi sento quasi cementificata al suolo dall'orrore che provo nel riviverlo. So che è un ricordo, so che non può essere modificato. So che non posso fare niente.
Il mio cancro, lui che mi costringe a rivedere tutto, mi sussurra maligno all'orecchio che non ho bisogno di lui per sapere cosa sta per accadere. Ma lui ne è la causa. Lui, entità al di sopra di tutte le nostre vite, ha scelto per Oliver e lo ha sfranto in mille pezzi e gocce di sangue calpestando il suo libero arbitrio.

Mi avvicino, perché così feci. Vidi Megan e la vedo adesso, mentre tutti gli altri volti sfumano, e le viscere che in questo sogno non ho si contraggono. Vidi Oliver e lo vedo adesso, gonfio di lacrime in gola e di gemiti in petto perché non avrei mai potuto evitare il suo incedere verso tale sorte e ancora non saprei come evitarlo.
Poi accade, e la sua voce si spezza in una cantilena profetica e oscura cui non riesco a dare ascolto. Osservo il suo corpo in volo scomporsi in mille fratture, la pelle, gli occhi, la bocca, il naso, le orecchie colorarsi di rosso.
Non voglio vedere. Voglio solo fuggire. Così feci, col presupposto di cercare aiuto dell'infermiera del castello. L'esplosione dei cristalli e dei boccioli mi investe, così le urla e i corpi dei presenti sfigurati dalla mia mancanza della loro memoria. Mi paro gli occhi, mi avvolgo la testa con le braccia, e voglio solo urlare: Basta, basta!

Qualcuno mi urta e io barcollo. Questo lì, però, non era mai accaduto. C'è qualcosa che non torna.
Non sono più nel ricordo, o perlomeno, non lo sto più solo vedendo. Lo sto ripercorrendo, lo sto affrontando perché, mentre l'acqua scorreva e i fili argentei serpeggiavano in me, le forze mi sono venute a mancare. Sono scivolata in sogno, o forse è la morte, e ora ci vivo dentro. Non so cosa possa essere più orribile fra il rimpossessarsi di un ricordo e il ritrovarcisi all'interno per riviverlo.
Quando accadde, anni addietro, fui una dei primi a raggiungerlo. Presi a gomitate gli astanti, le barriere di studenti che curiosi gli stavano attorno. Lo vidi in faccia e volli solo scappare trovando una scusa. Non sono mai più tornata, nemmeno dopo in infermeria per assicurarmi che ce la facesse. Sapevo che c'entrava la Vista, sapevo che ne fosse la causa già all'epoca. L'idea che ciò potesse accadere anche a me mi ha imposto di ignorare tutto.
Non mi muovo. Non perché non voglio, ma perché credevo che il ricordo mi avrebbe automaticamente spinta sino a lui come già feci. Invece, forse proprio perché questo non è un semplice ricordo, ho forse ancora un po' di libero arbitrio.
Cosa posso fare? Forse dovrei chiedermi, invece, cosa voglio fare. I petali neri che ci vorticano intorno sono un vessillo di morte. Penso che adesso, di fronte a questa unica altra occasione, io voglia solo poter guardare ancora una volta il viso del mio amico e tentare di redimere la più orribile debolezza che abbia mai avuto. Costi quel che costi.
Mi sarei avvicinata, e avrei scaraventato via gli impedimenti fra me e lui per poterlo raggiungere.

PS: 279 • PC: 254 • PM: 297 • PE: 29,5 • PP: 610



Ovviamente non c'è solo un'immagine, scrollate giù, in nome della mia teatralità.
Eh sì, l'ispirazione per i contest a tema giunge sempre a scoppio ritardato. ♡

Inventario: bacchetta, ciondolo a forma di ape (regalo di Gwen), due bracciali dell'amicizia (uno diviso con Gwen e uno con Draven), ciondolo prezioso ricordo contenente il ricordo del momento in cui Oliver è stato travolto dalla profezia durante il Ballo delle Rose e delle Spine (imbottigliato qui).

Abilità: Divinatrice base.

Conoscenze: fino alla IV classe + proibiti II e III, Mucum ad Nauseam, Colossum, Circumflamma, Floriscus, Vegetatio, Semen, Floium, Antares, Stupeficium, Flagrate, Ludibrium Speculo.


Tutte le scuse sono state mandate in pvt. :pioggia:
 
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view post Posted on 7/3/2023, 19:27
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Il Fato

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Decidendo di attraversare la folla, hai deciso di farti forza e con la stessa di raggiungere la persona che ti ha procurato tutta l'entropia di emozioni che ti stava pervadendo. Quello che stavi provando derivava dal filo argenteo di quel ricordo, che con apparente semplicità aveva iniziato a divorarti mente e corpo. Allo stesso tempo, tutte quelle emozioni giungevano incontrastate da un ronzio continuo proveniente da chissà dove, era ancora lì pressante che si faceva largo nella tenebrosa pioggia di petali e schegge appuntite. Ma il tuo desiderio ardeva con irruenza: raggiungere quello che in memoria era il Caposcuola Grifondoro, dominato da una magia più grande di lui; tanto grande che potevi rivederlo volare nel cielo ad un'altezza inusuale, osservare il suo dolore in tutta pienezza. Nella caligine di quelle immagini, risaltava il vermiglio di un corpo oppresso, l'antociano di una gola interrotta, e per quanto provassi ancora a raggiungerlo la distanza non sembrava accorciarsi. Spingere per farsi strada diventava sempre più faticoso, la gente che gemeva di paura appariva infinita e più camminavi, urtando con forza o urlando con foga, più le grida degli astanti si affievolivano. Le persone si fermavano, diventando tramezzi insormontabili. All'inutilità delle braccia gli occhi diventavano padroni, ma alzarli significava scorgere ancora la Voce, essenza dell'amico che tentavi invano di raggiungere.

***
La quantità di quella massa di corpi che in apparenza si moltiplicava, avrebbe inevitabilmente allontanato la forza che ti aveva spinto all'inizio. Le braccia diventavano deboli e le gambe sempre più rigide, come se il tuo stesso organismo ti stesse dicendo che fosse inutile continuare (-2PC, -2PM). Dando retta a quei cedimenti potevi percepire, lontano come un altro ricordo, la pelle bagnata dall'acqua corrente, l'odore del vapore caldo nelle narici e la pressione delle ginocchia piegate sul tuo ventre.
Avvertivi la pesantezza dei vestiti bagnati anche in piedi, tra la folla dove – se fossi stata ferma anche solo per un singolo istante – avresti percepito in maniera più incisiva e reale la sensazione provata sulla tua spalla: qualcuno ti aveva urtato e spostato, senza tutta la difficoltà che tu invece riscontravi adesso, tentando di farti largo tra le spalle altrui. Quanto era stato violento quel tocco? Era stato il Mostro che ancora ti invitava maliardo? Forse desiderava solo allontanarti dai tuoi affetti, dalle persone che ti erano sempre state vicine. All'inizio era facile per Lui distrarti e portarti ovunque desiderasse; poi hai imparato ad assopirlo, rinchiudendolo da qualche parte, ma data la prepotenza con cui sempre voleva rendersi libero, il dolore che Lo alimentava era solo diventato più netto.

Alla fine dei conti il ricordo aveva occupato il suo posto, nuovamente fra gli altri, e vivido potevi ripercorrerlo in qualsiasi momento. Il confronto con quello che stavi attualmente vedendo non era contestabile.
Provando ancora ad avanzare o anche solo guardandoti attorno, le immagini di una corsa disperata si mescolavano alla massa di corpi, che adesso completamente ferma non sembrava più tale. Mentre la Voce risuonava lontana, la gente si era avvolta da rovi formando nitide piante rosacee ricche di cinorrodi così come di spine. Ormai era difficile, se non impossibile, tentare di farsi largo senza pungersi. Lo stesso alla tua destra, i rovi erano così folti da non consentire nemmeno all'immaginazione di capire cosa ci fosse oltre di essi.
Dietro di te una strada dritta, apparentemente quella appena percorsa, dove le persone toccate poco prima per trovare il tuo spazio erano adesso solide pareti: non più vestiti e carne umana, ma fiori e fronde vegetali. Se avessi deciso di percorrere questa via, sarebbe diventato un sentiero barricato che proseguiva per infiniti chilometri, ogni passo ti avrebbe allontanato dalla sua fine.
Alla tua sinistra invece, scorgevi una serie di vie, corridoi di viticci e possibilità. Potevi attraversarle correndo, gridando o camminando in silenzio. A cosa andavi incontro?
Ti era parso di vedere qualcuno o qualcosa che si muoveva oltre quelle strade. Sembrava una figura familiare, oppure era solo la suggestione del momento e delle emozioni che, con fitta prepotenza, riuscivano a mostrarti qualsiasi cosa? Indiscutibilmente, fra la disperazione e la paura, si era fatto spazio anche il dubbio che quello che stavi ricordando non era quello che avevi vissuto; quello che stavi vivendo non era quello che ricordavi.


 
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view post Posted on 14/4/2023, 09:21
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Credo di aver giaciuto rannicchiata fra i rovi e le persone per non so quanto tempo. La pressione delle ginocchia al petto non allenta anche se sono in piedi; gli occhi sfarfallano sulle evoluzioni dell'ambiente che mi circonda anche se li tengo chiusi.
Pensavo di essere morta e che la mia anima fosse piombata in un limbo mentale costruito sul mio rammarico, ma il richiamo schietto del reale si aggancia a me col ricordo dei vestiti bagnati e del loro peso. La mia reazione di fronte a questa piccola lanternina di speranza è contorta. E' un sospiro di sollievo mozzato dall'immediata consapevolezza di dover lottare ancora.
Mi sono fermata non appena la possibilità di raggiungere Oliver sì e mostrata vana. La profonda fatica che avviluppa il mio corpo ostacola ogni passo, e mi esaurisce. Se pensavo di poter riscattare me stessa ripercorrendo qualcosa di già avvenuto mi sbagliavo di grosso. Non si può cambiare il passato, non posso mutare le mie azioni, non posso compiere evoluzioni laddove non ci sono premesse.

Le persone diventano muri e rovi. Il ricordo è attecchito, ha ritrovato il suo posto. Uno spazio vuoto si è colmato e ora i simboli della mia testa, che ho imparato a riconoscere analizzando i nottuari scritti, ne prendono possesso. Labirinti, nodi e pungiglioni sovrastano l'area concretizzando di fronte ai miei occhi il motivo per cui mi ero affidata ad una boccetta e alla bacchetta: il dolore e la paura mi stringevano in una morsa di spine mentre mi ostinavo a vagare per corridoi senza uscita.
Se devo essere sincera non so dove altro andare.

Sento un urto. Sale l'angoscia. Lo spintone è così forte da spostarmi. Io sono annientata e non posso far niente, ma l'esterno può agire su di me. Mi chiedo se venga da questo sogno amorfo o dal bagno in cui sto semplicemente dormendo. E' lui? E' il mio mostro che trova spazio in entrambe le mie realtà? Sono inerme al cospetto delle sue scelte.

Eppure, se questo è un sogno e si svolge nella mia mente, sono stata io a crearlo. Non ho creato le memorie, le uniche cose che non posso cambiare. Ma, anche se questa potenza oscura e minacciosa che si è infiltrata dentro di me, che scuote la mia tranquillità, che mi costringe a vivere di rabbia e paura, il mio sogno è nel mio dominio. Forse, se convoglio tutti i miei sforzi su tale intento, posso decidere io cosa far accadere qui dentro.
Questo mostro, parassita nel mio corpo, mi ha costretta a non compiere un gesto estremo per continuare a vivere dentro di me. Si nutre dei miei orrori, si nutre della mia ira e mi impedisce di ragionare lucidamente.
E' semplicemente lui il colpevole.

La voce profetica grida parole che non ricordo. Quando le ascoltai persero di significato non appena generate dalle labbra spaccate di Oliver. Il potere arcano che lo travolse rese ben più importante raccogliere le ultime gocce di sangue che lo tenevano in vita.
Mi chiedo se non sia stato questo il momento in cui il mostro si è fatto strada nella mia carne. E mi convince supporre che lui abbia a che vedere con la maledizione di Oliver.

Vedo fiamme dove non ci sono. Vorrei che l'infezione che ha colpito il mio ricordo, e che mi colpì all'epoca generando i miei sentimenti, venga disinfettata col fuoco. Scaglierei la mia ira su questi corpi stretti nei rovi e li libererei dalla morsa del mostro.
Ma sarebbe inutile. Anche se ne fossi in grado e riuscissi davvero a contrastare i simboli della mia mente, non estirperei le radici di questo male.

Un fruscio mi chiama. Volgo la testa a sinistra e noto il corridoio di viticci. Il labirinto di rose del ballo adesso è quello dei miei pensieri. Il mostro avvelena le piante con le mie ombre e la sua malattia. Forse non è ancora riuscito a violare tutto. Posso ancora salvarmi.
La via svelata appare intoccata. Prospera e viva si apre di fronte a me come l'unica strada percorribile. Al suo interno qualcosa si muove: una figura familiare, che sfugge prima di darmi la sua totale immagine.
È lui, mi convinco. Una spinta dall'interno —una speranza— mi sussurra che si tratta del mio mostro, l'origine dei miei mali.
Il mio corpo etereo è già pervaso dal fuoco dell'ira. Voglio controllo, voglio vendetta. Voglio uccidere il mostro perché questo è il suo ruolo: il cattivo da combattere, l'antagonista della mia storia. Annientato il mostro, tutto tornerà come prima.
Mi lancio al suo inseguimento con cautela, testando la forza delle mie gambe. Cerco la bacchetta, che nel ricordo possedevo.

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Inventario: bacchetta, ciondolo a forma di ape (regalo di Gwen), due bracciali dell'amicizia (uno diviso con Gwen e uno con Draven), ciondolo prezioso ricordo contenente il ricordo del momento in cui Oliver è stato travolto dalla profezia durante il Ballo delle Rose e delle Spine (imbottigliato qui).

Abilità: Divinatrice base.

Conoscenze: fino alla IV classe + proibiti II e III, Mucum ad Nauseam, Colossum, Circumflamma, Floriscus, Vegetatio, Semen, Folium, Antares, Stupeficium, Flagrate, Ludibrium Speculo.
 
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view post Posted on 17/5/2023, 08:17
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Fermarsi era la soluzione più sicura, e la più facile. Continuare avrebbe significato altro dolore, alleviato dal contrasto con lo scorrere dell'acqua sul tuo corpo, che ancora percepisci come il calore di qualcosa di molto più profondo, ma che sempre diverge con il freddo che gli abiti fradici ti stanno procurando.
Hai consapevolezza di cosa ti circonda, anche se le immagini che gli occhi ti mostrano sono offuscate; l'oscurità nella visione periferica nasconde la totalità di quel luogo, ma sai dove ti trovi ed il ricordo recuperato ti suggerisce di cercare una persona che possa aiutare il tuo Caposcuola. In un primo momento il pensiero si era diretto verso una bambola, tanto preziosa quanto fragile, ed avevi urlato il suo nome per vederla accorrere tra tutti verso un corpo ormai inerte, scomparso oltre le masse vegetali.
«Nieve! Chiamate Nieve!»
Riecheggia la tua stessa voce nella tua stessa testa; poi avevi realizzato che c'era anche qualcun altro di più indispensabile, con le conoscenze che solo un'infermiera poteva dare. Ma ignori quelle azioni consapevole ormai di ciò che avevi vissuto al ballo e delle differenze con quello che ti stava succedendo. Dunque resti immobile, diventando un piccolo fagotto perso nella vastità di un giardino e circondato da pareti le cui spine non consentono un appoggio sicuro; non c'è nulla che può darti una certezza.
Nemmeno il fuoco può bruciare via quel contagio.

Quando ti alzi però, sei sicura di avere capito qualcosa, di avere trovato la certezza. Percorri quei corridoi vegetali, rincorrendo qualcosa che non si rende mai completamente visibile. Ogni angolo di quei passaggi nasconde la sua figura, che si adatta al tuo andamento senza essere mai raggiungibile: corre alla tua stessa velocità e rallenta alla tua stessa stanchezza, mostrando sempre la stessa parte del corpo, che ancora vedi sfocata e priva di dettagli.
Ciò favorisce la suggestione e rende facile per la tua mente costruire qualsiasi cosa, o peggio rende buio ogni pensiero ed ogni ipotesi su chi o cosa stai seguendo. In alcuni momenti quella figura sembra avere una schiena più lunga del normale, come se avesse quarantatré vertebre; in altri invece la stessa schiena è ricurva e sono le braccia ad essere lunghe tanto da toccare terra, come zampe anteriori di una creatura altresì mostruosa. Cosa provi durante l'inseguimento? L'ignoto in cui ti stai inoltrando ti colma forse di paura e allo stesso tempo viene bilanciato dal conforto di non riuscire a raggiungere nemmeno questo obiettivo. Può la frustrazione farsi largo quando, nuovamente, non riesci a concludere un'intenzione? Quella situazione incrementa la tua rabbia o ancora la fierezza di sapere esattamente cosa stai facendo, come parole su un diario, sormonta tutte le altre sensazioni?

***

Prima che di nuovo potessi anche solo pensare di fermarti o di fare qualsiasi altra cosa, la figura che insegui si arresta e finalmente si rivela: le fattezze sono umane, le curve disarmoniche e spigolose, i capelli bianchi che lentamente, mentre la testa ruota, stanno per mostrare un volto noto. L'oscurità è ancora padrona dei tuoi occhi e quel corpo, quei movimenti, sono familiari ma ancora non riesci a ricondurli a nessuno, fino a quando con sollievo metti a fuoco. Gli occhi sono cerulei, prevalentemente verdi, e riesci di certo a darle un nome: Nieve, che in tutta risposta ti osserva senza dire una parola e lentamente, così come si era mostrata, riprende ad allontanarsi tra quei corridoi.
Un fruscio, per l'ennesima volta, ti sfiora la spalla: dietro di te un'altra figura. Una donna dalla pelle diafana e i capelli ramati, le forme giovanili esaltate da un abito con una morbidezza tale da essere l'opposto a tutti gli aculei che ti circondano. L'infermiera ti guarda con preoccupazione, sembra sapere esattamente cosa stai provando ed è lì pronta per aiutarti. Le urla della pista da ballo riecheggiano nel ricordo e diventano richiamo per quella donna, la quale si precipita a fornire soccorso.
Rimasta sola e costretta a scegliere ancora, nel silenzio che gli istanti ti procurano, il rintocco di una campana in lontananza rimbomba fin dentro le tue ossa.



 
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view post Posted on 23/5/2023, 06:36
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L'inseguimento perdura fra le urla. Ogni passo mi induce a fortificare la mia teoria che il mostro sia lì con me e che sia proprio lui a ciondolare nel labirinto. Deforme, arranca e precede i miei passi. Irriverente, imita i miei movimenti, come per depistarmi.
Mi sento sfiorare nuovamente e un brivido mi costringe a voltarmi. Miss White si manifesta in un'eterea imitazione dei miei ricordi, e preoccupata risponde a quel che io le dissi, dirigendosi verso il centro della pista.
Sì, ricordo. Trovai lei per prima. L'urgenza chiedeva il rinforzo di un esperto in materia medica. E poi, poi…

«Nieve! Chiamate Nieve!» La mia voce la chiama come un'eco. Ormai ho solo una memoria lontana di lei, assente da tempo immemore a scuola. Quando è stata l'ultima volta che l'ho vista?
Scosto i pensieri. Brucia di nervosismo questo corpo, di qualsiasi essenza sia fatto. Il mostro sfugge, affrancandosi dei miei vincoli al ricordo.
Mi lancio ancora. Il mio carburante è l'ira, il motore la vendetta. Necessito fin nel profondo la mia più totale libertà.
Sì e originato qui, il mostro? In questo labirinto, fra queste spine. Mi ha governato con la paura, si è insinuato nel mio cervello con una magia a me ignota. È lui che provoca le visioni e le stravolge. È lui che induce il mio stesso cervello a mentirmi e a provocare le allucinazioni. È lui che mi rende folle, rabbiosa, che mi separa dal mio raziocinio. È lui che mi impedisce di avere pieno controllo di me.
Non vuole darmi tregua, perché lui si nutre della mia paura.

Aumento il passo ma non mi sposto. La fiamma che ho dentro comincia a vacillare non appena mi accorgo che nulla si muove. È come se fossi arrivata alla fine dell'area senza una parete di separazione. E il mostro è oltre di essa, salvo.
Mi arresto e sgrano gli occhi non appena fa per voltarsi per sbeffeggiarmi. Lunghi capelli bianchi cadono dietro al suo volto e occhi chiari si accendono nella nebbia del ricordo.
Nieve? Perché sei qui?
È vero, ti ho chiamata, ma… io quella sera non ti ho trovata nel labirinto. A dire il vero… io mi sono accasciata, forse proprio qui, e mi sono lasciata divorare dalla paura — è stato questo il momento esatto in cui il mostro si è impossessato di me?
Da dove salti fuori? È impossibile che tu faccia parte di questo ricordo. Che cosa sta succedendo? Ignoro, e questo mi paralizza.
Improvviso, un pensiero arresta la mia inutile corsa. Non posso andare verso ciò che non appartiene al mio ricordo. Se non ho mai incontrato Nieve allora non posso raggiungerla. Io mi sono fermata qui o in uno dei cunicoli senza uscita del labirinto. Dopo sono tornata direttamente al castello in coda agli ultimi studenti. E allora…
È la sua tattica di fuga. Il mostro si nasconde in ciò che io non posso ricordare. È una strada senza uscita a tutti gli effetti. Lui è più forte di me.
No. Questa è la mia testa, e qui comando io.
Devo trovare un modo per intrappolarlo e costringerlo a fronteggiarmi.
Chiudo gli occhi.
Mostro, mostro, mostro. Dove posso incatenarti? Dove non ci sono scappatoie per te?
I muscoli del mio volto — se così ancora si possono chiamare — si contraggono nello sforzo di ricordare. Immagini di quando ho inveito contro di lui, ricordi di quando mi hanno chiamata mostro.
L'orfanotrofio. Sara che mi grida di aver rovinato tutto, il naso di Johanna che scricchiola sotto il mio pugno, Suor Maria Orsola che mi invita ad andarmene se non voglio seguire le sue regole. Dentro e fuori Hogwarts. Nelson che veniva spinto contro la ringhiera della terrazza, l'uomo che voleva aggredire Nieve, Megan e Draven che mi odiavano, Sirius che bruciava vivo…

Il duello. Ho una vaga memoria, ma quest'ultima immagine pulsa nella mia testa.
Ricordo il volto di Sirius che brucia e poi la luce che trapassa il mio corpo come una ghigliottina in ferro ardente. E poi… il nulla.
È lì che ti incontrai davvero per la prima volta, mostro. Nel buio della mia mente. Orizzonte nero. Vuoto. Assenza del pensiero.
È tornato a volte nei miei sogni quel luogo, quando ero tanto stanca da cedere sotto il peso stesso del mio corpo. L'ha creato il bruciante desiderio di oblio, lontano dai pensieri che notte e giorno non danno tregua alle mie ossessioni.
Se il luogo in cui mi trovo è davvero la mia mente, allora io posso ritrovarlo.
Il nero dietro le mie palpebre. Senza dare ascolto alla paura, senza congiungere i pensieri per partorirne di nuovi nel caos della loro macchia informe, lo ricerco.
Mi annullo, in una concentrazione non-concentrazione. È solo il nero, che lentamente vince sulle macchie luminose che appaiono, si ampiano e scompaiono sulla superficie interna delle mie palpebre. Forse sono quelle eteree del mio sogno, forse sono quelle di carne chiuse sotto il getto della doccia, ma non ci bado. Medito, e lascio andare via tutto.
L'ira mi fa credere di poter controllare tutto. Anche se il mio cuore batte forte e pauroso per l'azzardo che sto per compiere — forse una vana fantasia — io mi butto. E che l'oblio mi accolga.

PS: 279 • PC: 252 • PM: 295 • PE: 29,5 • PP: 610



Inventario: bacchetta, ciondolo a forma di ape (regalo di Gwen), due bracciali dell'amicizia (uno diviso con Gwen e uno con Draven), ciondolo prezioso ricordo contenente il ricordo del momento in cui Oliver è stato travolto dalla profezia durante il Ballo delle Rose e delle Spine (imbottigliato qui).

Abilità: Divinatrice base.

Conoscenze: fino alla IV classe + proibiti II e III, Mucum ad Nauseam, Colossum, Circumflamma, Floriscus, Vegetatio, Semen, Folium, Antares, Stupeficium, Flagrate, Ludibrium Speculo.



Il "luogo nero" cui faccio riferimento è descritto nella seconda parte di questo.
Non so, anche se non sono sicura al 100% compio questo azzardo. :fix:
 
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view post Posted on 14/6/2023, 19:15
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Il Fato

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Chiedo scusa in anticipo se i termini utilizzati in questo post urtano la sensibilità di qualcuno.

Casey, sentiti libera di esplorare o meno gli aspetti che ho tenuto in considerazione.
Non sei propriamente sulla strada giusta, ma non è un problema: sta a te decidere dove andare.



Le sagome indistinte che coprono i tuoi occhi sono un moto caotico di buio e luce, fiamme ed ombre, ma sono immagini che, seppur note a qualsiasi essere vivente, puoi vedere esclusivamente tu; nessun altro sarebbe in grado di vedere lo stesso incendio.
È un susseguirsi di movimenti senza scampo, qualsiasi tentativo di soffermarsi su una singola ombra fa spostare tutte le altre, rendendo impossibile fermare le pupille. Normalmente in quello stesso moto oculare rapido si muovono i pensieri, istinti e soggezioni, fuori da ogni controllo. Ma per te il buio rimane pressante, ha origine dalle palpebre e si estende al resto del corpo. Ha vita propria e riesci a percepire quell'oscurità dapprima come una totale perdita di sensibilità: ti sembra di non possedere più nè braccia, nè gambe, come se fossero al di fuori di te stessa e quanto maggiore è lo sforzo di concentrarsi sul nulla, minore è la possibilità di riuscirci (-2PC, -2PM). Senti il tuo organismo quasi fosse lontanissimo dalla tua testa, come se viaggiassero a velocità diverse, sei capace di riconoscerlo?
Dopo, la percezione di tutta quella oscurità cambia e ti sfiora come una stoffa leggera, quasi una carezza, ma lentamente si trasforma in un abbraccio la cui ostilità si incrementa, appesantendo quelle lenzuola. Stringe ogni forma del tuo corpo e ti consente di sentire di nuovo le braccia lungo i fianchi, le gambe strette tra loro. Opprime senza però farti perdere il respiro, avvolge il tuo torace con forza e preme sul petto ricordando indumenti che ti hanno lasciato segni indelebili. Gli stessi che hai indossato per evitare che ti meritassi il nome di "strega". Ma questo non cambia quello che la Natura ha scelto per te. Puoi ignorarlo, ma sarà sempre lì come monito della scelta di qualcun altro.
La rabbia non è sufficiente, il desiderio di vendetta non basta e tutto questo si riversa nelle tue viscere, aggrovigliando il tuo ventre in un dolore pulsante: una dismenorrea familiare che distoglie ogni altro tuo tentativo e ti fa perdere gli ultimi granelli di concentrazione. Non esiste più "il nulla", c'è tutto il resto. Ogni sensazione, ogni percezione; ogni emozione, ogni suono ed odore. Non puoi riaprire gli occhi, per quanto ci provi restano chiusi da una polvere invisibile che sembra avere incollato tutte le tue ciglia. L'unica cosa che puoi fare è sentire.
Non c'è una definizione giusta o sbagliata di cosa voglia dire; sentire è ciò che ci rende vivi.
Il profumo delle rose, l'odore del sangue. Il suono di una campana che, puntuale, continua a ritoccare. E ancora l'odore della polvere, il profumo del mare, con un ronzio sempre familiare. In tutte queste percezioni l'oscurità continua ad avvolgerti, a stringere ogni fibra della tua pelle e dietro le palpebre si mescola alla luce, facendo proseguire quella obbligata danza di due fuochi.

***

Quando finalmente le ciglia sciolgono il vincolo che impediva agli occhi di riaprirsi, tutta quella oscurità che ti abbracciava famelicamente si rivela essere davvero delle coperte, miste agli abiti ed al disordine abituale di un appartamento a Nocturn Alley. Conosci bene quella stanza ed il tuo corpo sa esattamente quali movimenti fare per potersi risvegliare.
Le lenzuola sono però la tua unica fonte di calore, oltre di esse c'è solo il freddo. Cosa riesci a controllare quando sotto le palpebre vedi le fiamme e sopra il tuo corpo senti il gelo?

Non sei però sola in quella stanza, due occhi felini ti osservano come unici giudici capaci di decifrare. È questo un nuovo ricordo oppure è soltanto un altro sogno? Ti sei alzata e trascinata fino alla finestra perché dovevi capire, osservare quale strada il felide aveva deciso di percorrere.
In qualche modo raggiungi il davanzale e credi nuovamente di sapere cosa vedrai, ma oltre il vetro nessuna luce ti abbaglia e nessuna strana figura si mostra. Ancora una volta un lungo corridoio, pareti di rose e di spine compongono un labirinto in attesa che il giocatore torni ad attraversare quelle vie, corridoi di viticci e possibilità. Mentre risuona ancora, in lontananza, una campana.


 
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