| Disclaimer: si sconsiglia la lettura a chi potrebbe essere sensibile a dettagli un po' macabri.
"Non adesso."
Dicevano che ci fosse un mostro nella Foresta. Acromantule, avvincini, serpenti, graphorn, troll, non vi avevano nulla a che fare. Era esattamente un mostro, non poteva essere altro. Non aveva vita propria, non aveva un padre e una madre, non si nutriva per sopravvivere. Non dormiva per riposare, non correva per gioire. Era un mostro e basta. Pura essenza mostruosa, risonanza dei cattivi pensieri. La sua presenza nell'insieme dei fenomeni della vita serviva per terrorizzarti. Ti lasciava guardare i suoi occhi pece, pupille dilatate fino ad inondare le sclere e a riversarsi nel cranio; un mare profondo e ignoto, dove non tocchi, dove il fondo è così nero che non può che continuare all'infinito nel nulla del cosmo stesso. Solo per lasciar sorgere in te l'orrore. Ti perseguitava col suo ringhio. Un richiamo acuto, un sottofondo di note marcescenti che toccavano le radici dell'inferno. Evocava la certezza dei tuoi peccati, l'incorruttibilità della tua appartenenza al male. Io l'avevo visto, o meglio avevo percepito la sua presenza. Costeggiavo la Foresta, quando lo mi accorsi di lui. Ma tornavo anche a casa, a Nocturn Alley, e correvo su per le scale, verso la sala comune. Il mostro era sempre con me, e l'ossessione della sua presenza mi tamburellava sulla testa. La sua onnipresenza non mi straniva, perché a un tratto, quando ne conobbi l'esistenza, sentii la consistenza del filo che ci legava. Mi trovavo in cortile, e delle matricole ascoltavano i racconti di una coppia di spocchiosi del settimo anno. Se ti avvicini troppo alla Foresta lui ti nota e ti prende di mira. Può uscire dal folto del bosco solo di notte e nessun incantesimo protettivo del castello, nemmeno il quadro della Signora Grassa, è in grado di respingerlo. Lui penetra le mura, sale fino in dormitorio e trova il tuo letto seguendo il tuo odore per poi soffocarti nella notte, quando nessuno può sentirti. Lo ascoltai di sfuggita, e nel mentre la parte più razionale di me si domandava quale fosse il fine del mostro nell'uccisione. La risposta doveva stare nel nome stesso. È un mostro, lo fa perché è un mostro. Non c'è altra ragione. Ma c'è sempre un motivo, c'è sempre qualcosa di più profondo, una spiegazione, un legame psichico fra una cosa e un'altra nella testa del mostro, un trauma, la carenza di una componente chimica nel cervello. Però il mostro non viveva per vivere, era il cuore di quel racconto. Il mostro, in genere, è un mostro, punto. Non ha ragioni per essere un mostro. Io invece sì, e siamo divenuti un tutt'uno per completarci.
***
Talvolta mi basta poco per andare in tilt. Una parola sentita a distanza, una crepa nel muro disordinata, un argomento attraente su un libro. Mi fisso su di esso e mi lascio trascinare dalla corrente dei ragionamenti e dalla spirale del fastidio. Più mi fisso, più mi agito, più corro nella mia testa, meno dormo, meno concedo a me stessa di proteggermi dal tumore che ho dentro. Il sentito dire sul mostro della Foresta, benché storia per bambini ribelli, fece breccia in me alla pari di un profondo respiro in un campo di fresie in primavera. Esiste un mostro, esiste qualcosa che può incarnare questo ruolo. Esiste qualcosa da combattere, esiste qualcosa verso cui concentrare il mio odio al di fuori di me. Ed era un toccasana. Passai il mio tempo a cercarlo. Cercavo al di fuori dalla finestra nelle ora di lezione, e la notte dal dormitorio o durante le ronde. Seguivo i rumori della natura, e restavo ad occhi aperti a letto, voltandomi ad ogni scricchiolio finché non mi addormentavo. Non funzionò, non lo trovai. E mi diede fastidio l'idea che si trattasse solo di una diceria. Fu in quel momento che smisi di dormire.
Erano quattro giorni e ventitré ore che non dormivo. Senza il sonno non posso controllare i miei pensieri, senza il sonno non posso distinguere le allucinazioni della Vista. Non sono mai riuscita a darle un senso. Questo tumore che preme contro il mio cervello, come preferisco chiamarlo, pressa, pressa, pressa, al fine di poter sgorgare nella mia vita. Ero riuscita a trovare un tasto di spegnimento. Ogni volta che il formicolio alla nuca avvisava l'arrivo di una visione, io comprimevo le mani contro il collo, trattenevo il fiato e fissavo uno spazio vuoto nel mio cervello. Non si trattava di annullamento meditativo, tutto il contrario. Non acuivo i sensi e non lasciavo fluire l'energia spirituale dell'universo in me. Quello spazio vuoto era solo un buco, come un foro di proiettile da cui invece di entrare luce affiorava l'oblio. Era il nulla, era il rifiuto, era come schiacciare una vena per impedire l'afflusso di sangue al cervello. Non era qualcosa di naturale, non ce l'avevo dalla nascita. Me lo ero procurato io, e sapevo come fosse accaduto e non lo sapevo insieme. Era come se lo avessi dimenticato, e ogni volta che provavo ad indagare trovavo solo il conforto dell'abbraccio di lei e il rimpianto di cento parole non dette. E il pizzicore alla nuca sfumava via nel dimenticatoio. Lo facevo all'occorrenza: in classe, la notte quando mi svegliavo da un sogno, a pranzo, a cena, mentre studiavo, mentre parlavo con un amico. La gente mi chiedeva se andava tutto bene e se, per l'improvviso mal di testa che dicevo ogni volta di avere, non sarebbe stato meglio andare a farmi vedere in infermeria. Rispondevo sempre "non adesso". Però era più difficile riuscire a farlo quando non dormivo. Era maledettamente più difficile.
***
E' stato quando persi ogni controllo e ogni forza di reazione che vidi il mostro. Sembrava la notte giusta per dormire. Una notte di fine aprile, in cui tutte compagne di stanza sonnecchiavano. La buonanotte fu dolce, unanime e col sorriso. Si spensero le luci, tranne quella della luna dalla finestra aperta. Nessuna si mise a leggere sotto il fioco lume artificiale di una bacchetta, e me medesima mi spinsi sul cuscino covando l'idea che finalmente, sotto la stanchezza di cinque giorni di insonnia sarei crollata. Quasi ci riuscii. Chiusi gli occhi e sentii il peso del mio corpo sprofondare nel materasso, intorpidirsi in nome del sonno più profondo e ristoratore. Rimasi in questa condizione per quelle che sembrarono ore, senza spegnermi del tutto. Ancora i pensieri si accavallavano. Il compito di Astronomia di domani, la fatica del risveglio, la corsa per la colazione, i vestiti che ancora non avevo lasciato in lavanderia dagli elfi, i libri che dovevo restituire in biblioteca. Il peso del corpo divenne dolore, divennero spilli conficcati nella carne. Tanto forte da indurmi agli spasmi. Tentai di muovermi, ma ero bloccata, come incatenata. Il respiro si fece intenso, veloce, per affiorare di nuovo sul pelo dell'acqua e sfuggire alla pressione marina. Le mie palpebre si aprirono in uno spiraglio e, sotto lo sgomento del mio intero essere, vidi la sagoma di un uomo. No, non era propriamente un uomo. Era solo una sagoma, ricordava un uomo. Era un corpo umano, bipede, nudo, pelle pallida che emanava gli stessi sbuffi lucenti dei raggi lunari. Non uno spacco per la bocca, non cavità degli occhi, non fori delle narici, non capelli corti o fluenti, non unghie. Sedeva su di me, a cavalcioni, e mi osservava dall'alto, dalla sua testa anonima. Fulmineo, allungò il braccio viscido e mi afferrò il collo bloccando il mio respiro già incapace di accogliere aria. Soffocai, provai a dimenarmi, a urlare, ma dalla mia bocca fuoriuscì solo un rantolo sordo che non avrebbe svegliato nemmeno il gatto. L'orrore mi aveva vinta; tutto ciò contro cui avevo lottato fino a quel momento, il tumore e l'angoscia del vivere, mi vinse senza alcuna fatica. E il mostro avvicinò la testa alla mia.
Mi alzai di scatto, finalmente sveglia in ogni parte del mio corpo. Al posto di un urlo, il grido dei polmoni che divoravano aria. Sudata, dolorante nel corpo, tremante nell'anima, mi voltai in ogni direzione, guardinga come un cerbiatto nella notte della Foresta, ma non vidi nulla. Non volevo restare lì. Mi alzai dal letto barcollando e presi la bacchetta dal comodino. I pantaloncini e la maglietta slabbrata del pigiama erano pezze bagnate sulla pelle per il sudore, e rabbrividivo dal freddo. Aprii il mio baule ai piedi del baldacchino con fretta e scavai in cerca della vestaglia più calda che avessi - il cambio stagionale, dall'inverno alla primavera, pensai che fosse stato l'atto più stupido dello scorso fine settimana. Mi avvolsi nel calore del tessuto caldo e asciutto della lana, sentii tintinnare qualcosa nelle tasche ma non vi badai, e mi fiondai in bagno.
***
Restai piegata sul lavandino, di fronte allo specchio, mentre l'acqua della doccia scorreva per diventare calda. Stentavo a guardare il mio riflesso: il volto di un morto scavato nella putrefazione della sua giovinezza. Le ciocche di cappelli attaccate alla testa, bagnate, le labbra spaccate per i morsi e la cattiva salute. Alzai la testa e seppi in cuor mio che esistevano poche vie di fuga dagli orrori della vita a cui nessuno mi aveva mai iniziato. Con un gesto incontrollato, del tutto spontaneo, mi conficcai la punta della bacchetta sotto il mento. Un incantesimo, forza. Che male c'è. Basta poco. Un taglietto al posto giusto, nessuna maledizione proibita dallo Stato. Gli angoli della bocca tremarono salendo in un sorriso. Sembrava tutto più chiaro, finalmente più dolce, mi sentii finalmente sveglia. Ma c'era il mostro, riflesso nello specchio, talmente vicino alla mia immagine da rassomigliarmi.
Il mio mostro è fatto così. Mi segue da lontano, in ogni dove. Mantiene lo sguardo fisso sul mio passo, sa che io so che lui è lì dietro, e se ne compiace. Stringe il cappio attorno al mio collo, si avvicina sempre più per poi rilasciare la presa e farmi riprendere una boccata d'aria per sopravvivere alla successiva tortura. Mi fa torturare. Mi induce alla rabbia. Era lì quando arsi la pelle di Ariel, ed era presente quando sbilanciai Nelson contro il parapetto della Torre d'Astronomia sullo strapiombo. C'era anche quando per poco non uccisi quell'uomo a Nocturn Alley, nel mondo onirico di Sylvie e nella sporca realtà di Nieve. C'è ogni giorno, ad ogni mio passo falso. C'è anche quando rido e non lo penso, per ricordarmi del mio incedere verso di lui.
Si avvicinava nel riflesso, passo dopo passo con gambe deboli che barcollavano ad ogni falcata. Io rimasi immobile, con la bacchetta piantata sotto il mento. «Non adesso.» Singhiozzai, e scossi la testa sentendo la voce spezzarsi e le lacrime ardenti sulla pelle congestionata dai tremori gettarsi nello strapiombo contro il lavandino. «Ti prego.» Non mi mossi, lo lasciai fare. Mi abbracciò, da dietro, nello specchio, e lasciai che le sue mani viscida da amante inopportuno mi accarezzassero. Non sentivo il suo fiato, non sentivo il suo puzzo da mostro, non sentivo la pressione del contatto sulla pelle. Nello specchio, il mostro mi abbracciava e afferrava il mio polso per portarmi via la bacchetta dalla giugulare. Tremavo e piangevo, e lo pregavo. «Non adesso, ti prego. Non adesso.» Se avesse avuto delle labbra esse mi avrebbero baciato il collo, mi avrebbero sussurrato qualcosa all'orecchio. Resistetti alla presa della sua mano scivolosa per tutto il tragitto fino alla tasca della vestaglia, senza alcun successo. La bacchetta mi cadde dalla mano, la quale sprofondò nella piega del tessuto incontrando il freddo metallo di un piccolo oggetto. Le mie dita lo afferrarono senza sforzo, forse più curiose di me. Scivolai giù, sul pavimento. Il mostro scomparso, gli occhi sul ciondolo all'interno luminoso. In quel momento di strenua lucidità, fu un lampo a riportarmi alla piccola porzione di nulla nel mio cervello mentre portavo il gioiello all'altezza degli occhi. Vorrei dire di aver perso la ragione nell'istante in cui presi ancora la bacchetta, in cui mi trascinai verso la doccia per togliermi la sensazione orribile sul corpo di quel contatto non avvenuto. Egli era scomparso, non c'era mai stato, ma volevo comunque disfarmene. Sotto l'acqua, i vestiti divennero ancora più pesanti. Il getto mi batteva sulla testa e ricadeva dalla fronte sulla piattaforma in marmo sotto i miei piedi. Mi afflosciai su di essa, con le ginocchia al petto, la bacchetta nella destra e il ricordo in bottiglia nell'altra. Sapevo cosa conteneva e non lo sapevo. Un buon amico serve a mostrare le diverse strade per superare un ostacolo. La mia mente, nella sua più complicata semplicità di manifestazione del pensiero, si era fatta strada tra le mie resistenze e si era imposta con l'ultimo impulso corporeo verso la risalita, solito di chi sta per affogare. Aprii la boccetta, la punta della bacchetta sul bordo pronta ad afferrarne il contenuto prima che sgorgasse via come acqua. Se quello era il modo per riuscire a sopravvivere, allora dovevo farlo. Dovevo farlo in quel preciso momento e non rimandare mai più. Il vuoto nella testa riprese a vibrare, lo vidi e mi chiese di essere colmato come un recipiente. Era il richiamo di qualcosa a cui non potevo sfuggire, a cui non avrei mai potuto sfuggire. Era nato con me come un gemello, era vissuto con me in sordina e sarebbe rimasto con me finché la terra non mi avrebbe riassorbita. Ignorarlo era impossibile, governarlo altrettanto. E se l'unico modo per essere era quello di impazzire fondendomi ad esso allora dovevo aprire il mio Vaso di Pandora e lasciare che il mostro mi divorasse. Afferrai il ricordo con la punta del Nocciolo, strattonandolo verso di me mentre tentava di fluire via nell'etere. Lo portai alla tempia e, colma di vita, mi imposi e gli imposi di tornare nella mia memoria. PS: 279 • PC: 254 • PM: 297 • PE: 29,5 • PP: 610 Ovviamente non c'è solo un'immagine, scrollate giù, in nome della mia teatralità.Eh sì, l'ispirazione per i contest a tema giunge sempre a scoppio ritardato. ♡ Inventario: bacchetta, ciondolo a forma di ape (regalo di Gwen), due bracciali dell'amicizia (uno diviso con Gwen e uno con Draven), ciondolo prezioso ricordo contenente il ricordo del momento in cui Oliver è stato travolto dalla profezia durante il Ballo delle Rose e delle Spine (imbottigliato qui). Abilità: Divinatrice base. Conoscenze: fino alla IV classe + proibiti II e III, Mucum ad Nauseam, Colossum, Circumflamma, Floriscus, Vegetatio, Semen, Floium, Antares, Stupeficium, Flagrate, Ludibrium Speculo. Precisazioni: è il mostro della paralisi del sonno + qualche piccolo condizionamento allucinatorio, dovuto alla mancanza di sonno e allo stress in generale. Ogni azione è da considerarsi ipotetica, attendo la convalida del Master.
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