Il coraggio è fatto di paura, Privata

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view post Posted on 23/5/2022, 22:43
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Helena Sayuri Whisperwind | 12 anni | I anno | outfit

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L'ultima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure le aveva instillato un dubbio particolarmente insistente: quale era la sua Paura più grande?
Poco più della metà della classe aveva avuto l'onore (e onere) di confrontarsi col molliccio, ma per una questione numerica lei non era rientrata tra i selezionati e le era stata negata l'occasione di conoscersi un po' di più. Già, perché il molliccio, si sa, prende le sembianze della tua Paura più grande e ti costringe ad accettarla, affrontarla, fino a sconfiggerla. Se fosse apparso al suo cospetto, che sembianze avrebbe preso?

Quando aveva poco meno la metà degli anni attuali, aveva paura del buio. Per aiutarla a superarla, ziə Juls le aveva lanciato una sfida: "ogni notte, prima di dormire, rischiarerò la tua stanza con tante piccole stelle luminose. Ogni notte il numero delle stelle diminuirà. Quando ti sentirai pronta, me lo comunicherai e io non accenderò più alcuna stella. Ti sfido ad arrivare a questo giorno entro un mese!". E così, notte dopo notte, luce meno luce, buio più buio, al ventiseiesimo giorno Helena vinse quella sfida (più con sé stessa che con Juls) e riuscì così a sconfiggere la sua paura.

Probabilmente l'unico luogo capace di darle un input e di guidarla verso una risposta soggettiva da scovare in un mondo oggettivo, sarebbe stato il regno dei libri. Magari studiare di più sui mollicci, fare qualche ricerca sulla complessa mente umana o su miti e leggende dell'orrore, avrebbe potuto aprirle un mondo di idee o spunti sui cui riflettere.
Quel pomeriggio si recò quindi in biblioteca, che trovò più affollata del solito. Trovare il suo locus amoenus tra legno e carta non fu affatto semplice; fu solo dopo tanto cercare che scorse in lontananza un tavolo libero in un angolino riservato dietro gli ultimi scaffali in fondo alla stanza, amabilmente rischiarato dalla luce di una grande finestra. Sorrise alla coppia di Grifondoro che l'avevano appena liberato, ricevendo in risposta un «Hai avuto una bella botta di fortuna, trattacelo bene!» dal più alto dei due, che la salutò poi con un cenno divertito.
Soddisfatta, Helena si appropinquò quindi a grandi passi verso il tanto agognato tavolo e, nel farlo, venne affiancata da un ragazzino poco più alto di lei. Pensando che si stesse solo spostando per parlare con qualcuno o cercare un libro nello scaffale in fondo, continuò senza dargli troppo peso.
Quando poi giunsero contemporaneamente alla meta, fu chiaro che anche lui era lì col suo stesso scopo. Senza scomporsi, la Tassorosso osservò prima il giovane mago, poi il tavolo e nuovamente lui. Lo spazio a disposizione era più che sufficiente per accoglierli entrambi, comodamente. «Lo condividiamo?» Un sorriso gentile ed ammiccante rimase in composta attesa del suo assenso.
Il coraggio è fatto di paura


Edited by Helena Whisper - 23/5/2022, 23:58
 
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view post Posted on 24/5/2022, 23:08
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Edmund Artemis Knight | 11 anni | I anno | Outfit

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«Lo condividiamo?»

Quella domanda, così semplice nella sua formulazione, ebbe l'effetto di riportare Edmund con fulminea rapidità alla realtà di quegli attimi, e di ricondurlo con immediatezza coi piedi per terra.

Era entrato in biblioteca poco prima totalmente assorto nei suoi pensieri, o meglio, troppo impegnato a chiedersi cosa ci facessero tutti quegli studenti in biblioteca per occuparsi di altro. Era abbastanza frequente nelle prime ore del pomeriggio rilevare un discreto via vai di ragazzi, tuttavia la biblioteca, grazie al cielo, era un luogo in cui difficilmente mancavano i posti liberi; molti amavano svolgere (chiassosamente) i compiti nelle rispettive sale comuni piuttosto che stravaccati sull'erba e dunque non erano mai in tantissimi ad occupare i lunghi e silenziosi tavoli tra le scaffalature colme di libri.
Quel giorno però non era così; benché un sole luminoso splendesse con maestosa regalità su un cielo turchese con poche nuvole, il vento spirava forte tra le Highlands scozzesi, sferzando senza tregua le spesse mura del castello, e facendosi suono quando il suo alito si insinuava tra le foglie degli alberi sul limitare della foresta e poi sin tra le mura del castello, varcando le piccole fessure tra i vetri e la pietra, col suo appena percettibile fischio.
Un vento quindi che rendeva impossibile lo studio all'aperto, troppo insistente nello scompigliare le pergamene e le pagine dei libri.
Forse era questo uno dei motivi dell'insolito assembramento in biblioteca, forse il fatto che ogni tanto coincidevano per più alunni settimane di studio particolarmente intenso, che mal si coniugava con il vociare incessante delle sale comuni, forse qualche altra imponderabile ragione, sta di fatto che Edmund, alquanto turbato da questa presenza supplementare di folla tra i tavoli, avanzava quasi senza vedere ciò che gli passava accanto ma focalizzato solo sul trovare un angolino tranquillo.

I passi si susseguivano senza troppa cura, mentre la sinistra reggeva i testi scolastici e la destra un uccellino fatto con la carta che aveva raccolto poco prima fuori dall'aula di Storia della Magia e che gli era sembrato ben fatto. Gli occhi chiari palesavano uno sguardo assente, ma in compenso, la mente in quel momento lavorava senza sosta nella sua analisi di ciò che il piccolo corvonero aveva deciso di rendere oggetto di speculazione.

*Beh forse alle 17 inizia qualche allenamento di quidditch e un po' di questi spilungoni si tolgono... Spero proprio che se ne vadano, chissà che qualcuno faccia esplodere dei fuochi d'artificio in sala grande così almeno un po' di curiosi vanno a vedere...
Beh quelli non credo riusciranno a stare zitti più di 10 minuti, magari mi siedo là vicino così quando si levan
Oh maledizione, quello ha litigato con la sua tipa e si è preso il mio posto, ma è possibile in due devono occupare 5 posti!
Ma no, uffa non ci voleva, maledetto!
Forse potrei...*

Totalmente assorto e assorbito dalle sue elaborate elucubrazioni si stava avvicinando a un tavolo che sembrava essersi liberato; i passi muovevano verso quella zona mentre la mente meditava su come riavere il suo solito posto e lo sguardo lampeggiava in quella direzione. In quel momento gli giunse la domanda.
Le parole della ragazza coi colori di Tosca Tassorosso ebbero quindi l'effetto di ridestarlo da questo torpore che ne aveva pervaso la mente, e la sensazione fu piuttosto straniante.
Talvolta succede che, particolarmente stanchi, ci si assopisca durante un convegno o una lezione, la mente ci allontana da lì e ci conduce con dolcezza a lidi lontani cullandoci nei nostri pensieri e nei nostri sogni. Basta però una parola pronunciata con più veemenza delle altre, o una gomitata accidentale del vicino di posto, per scuoterci nel profondo e farci sobbalzare sulla sedia riportandoci a quella realtà sensibile di cui ci eravamo provvisoriamente dimenticati, facendoci sentire straniati e fuori posto, e per qualche attimo, incapaci di mettere a fuoco dove siamo e perché.

E così quella voce dolce e solare scosse il ragazzino coi colori di Priscilla Corvonero, che si ritrovò a fissare la coetanea che stava davanti a lui senza nemmeno rendersi conto come mai. Era una ragazzina dai grandi occhi azzurri e dall'aria simpatica, attendeva la sua risposta sorridendogli, un sorriso aperto e sereno; lì per lì gli sembrò abbastanza effervescente e disinvolta, o perlomeno più di quanto non lo fosse lui, molto più schivo e misurato nei movimenti, e più ancora nelle parole. Gli ci volle qualche attimo prima di rendersi conto che anche lei stava per sedersi lì e che nella sua domanda non parlava del suo tavolo preferito, quello dove ora sedeva il grifondoro dal cuore infranto, quanto di quel tavolo che avevano innanzi, quello appena liberato dagli studenti in via di allontanamento.

Edmund fissò il tavolo e poi di nuovo la ragazzina e abbozzando un sorriso, scosse la testa in senso affermativo mentre le gote si tingevano appena di rosso per l'imbarazzo; era stata molto cortese nei suoi confronti mentre lui non si era nemmeno reso conto della sua presenza lì. Il tavolo era sicuramente abbastanza spazioso per entrambi quindi non sarebbe stato un problema condividerlo, forse non avrebbe avuto lo spazio per distendere i libri dietro quella sorta di muraglia cinese che allestiva di solito ma quello pareva essere un problema sormontabile, piuttosto era lei in quel momento a stare dalla parte della finestra e questo gli diede modo di pensare. Per una "questione pratica" si sarebbe seduta dove si trovava in quel momento, quindi la parte della finestra sarebbe toccata a lei.

Edmund amava sedersi vicino alle finestre per guardare fuori di tanto in tanto e lasciar correre lo sguardo fino alla linea dell'orizzonte, da queste immagini ne traeva pace, ispirazione e concentrazione; si sedeva sempre vicino alle finestre, in classe come in sala comune, celebre per la visione mozzafiato su tutte le pertinenze esterne di Hogwarts. Gli dava un senso di libertà guardare fuori, e lo incuriosivano le mille cose che si potevano osservare, infine era quanto più desiderasse in quel momento, un modo per evadere da quella sala che con troppi studenti dentro gli dava un vago senso di oppressione; sarebbe stata la magra consolazione di quel posto che gli era stato occupato pochi metri più in là.
Eppure era lei a stare da quella parte, e non sarebbe toccato a lui stavolta. Gli stavano dinanzi due possibilità, o chiederle il permesso di sedersi da quella parte, domanda troppo ardita per la sua timidezza, o fare finta di nulla e rimpiangere di non aver tentato di assecondare il proprio desiderio. Ci pensò un attimo soppesando le varie possibilità, scostando con la mano parzialmente impegnata una ciocca di capelli dalla fronte.

«A me piace molto sedermi vicino alla finestra, da lì riesci a vedere fino alla casa del guardiacaccia, però se vuoi siediti pure tu, c'è anche più luce e ci vedi meglio.»

Abbassò lo sguardo subito dopo, insicuro, incerto se fosse stata una buona idea dirle quelle parole, domandandosi se fosse sembrato volesse a tutti i costi quel posto, mostrandosi dunque viziato ed esigente, o peggio, se fosse apparso arrogante e saccente per aver preteso di saper tutto lui... Infondo erano considerazioni talmente ovvie che la ragazza avrebbe potuto benissimo fare da sola per arrivare alla medesima conclusione senza alcun bisogno della nota a margine del presuntuoso corvonero. Gli era costato fare quell'offera eppure ora non era nemmeno sicuro fosse stata una buona idea; anche se le sue intenzioni erano buone, avendo cercato di essere gentile e non sembrarle maleducato o egoista, ora se ne pentiva quasi, chiedendosi se non avesse suscitato invece esattamente l'effetto contrario.

Mentre attendeva la risposta della ragazzina, le iridi chiare si misero a osservare questo e quel dettaglio; tra le altre cose vide che tra le mani la tassorosso aveva il libro di Difesa contro le Arti Oscure, il suo stesso libro. Era di sicuro un alunna del suo anno, l'aveva vista a più di una lezione oltre che allo smistamento, eppure non la conosceva, non ci aveva mai parlato e non ne conosceva nemmeno il nome. Dalla madre Edmund aveva ereditato quel suo essere solitario che lo spingeva a cercare luoghi tranquilli e isolati più di quanto non cercasse la compagnia dei coetanei. E per questo conosceva a malapena i nomi dei compagni di casa. Ora però si interrogava sul nome della ragazza, domanda, quella sì, senza risposta.
Il padre gli ha insegnato che è cattiva educazione dimostrare di non conoscere il nome di chi si dovrebbe conoscere. Probabilmente quella per il padre di Edmund non sarebbe stata una di quelle circostanze in cui riteneva d'obbligo quel principio, ripetendolo sempre al figlio in occasione dei ricevimenti che coinvolgevano alcune note famiglie purosangue, ma evidentemente per il figlio non era così, con delle priorità ben diverse da quelle paterne.

Edmund era incerto se chiederle o meno come si chiamasse, in quel caso avrebbe dovuto presentarsi ed era bravo a presentarsi, ma che figura avrebbe fatto? Altrettanto incerto era se addentrarsi in supposizioni campate per aria, anche in questo caso col rischio di fare una pessima figura, magari confondendola con qualche ragazza che potenzialmente avrebbe potuto non esserle troppo simpatica: no decisamente no, meglio non rischiare!
Ci pensò su giusto pochi istanti prima di trovare, secondo i suoi curiosi canoni, una peculiare soluzione.

«Sei qui per studiare difesa?»

le disse indicando il libro che teneva tra le mani. Il pensiero di Edmund era semplice quanto irrealizzabile forse: il piccolo primogenito della famiglia Knight sperava infatti che a seguito di quelle sue parole la ragazza rendesse maggiormente visibile il libro, nell'illusione speranzosa di potervi leggere il nome da qualche parte.
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view post Posted on 26/7/2022, 20:14
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Helena Sayuri Whisperwind | 12 anni | I anno | outfit

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Il giovane Corvonero aveva percorso l'area centrale della biblioteca passo dopo passo, anche lui senza accorgersi della presenza della tassina. E così al capolinea si trovarono lì, un po' per caso, a reclamare lo stesso tavolo. Alla domanda di Helena sembrò ridestarsi da un qualche sogno ad occhi aperti e si fermò a fissarla per qualche secondo, per poi arrossire alla sua domanda. Aveva un'aria molto buffa ed Hel dovette mordersi l'interno di una guancia per soffocare sul nascere una risata, lì lì pronta a venir fuori. Per una volta non era lei quella nel mondo dei sogni, così immersa nei suoi pensieri da non accorgersi quanto accadeva nel mondo reale. Le piacevano le persone spontanee, essendolo lei per prima ne provava naturalmente una certa simpatia e un certo rispetto.

Il corvetto acconsentì alla condivisione dello spazio senza fare troppe storie, e anzi, con gran sorpresa, le cedette persino il posto migliore. Aveva un'aria leggermente stranita, ma forse si trattava solo del solito pseudo imbarazzo (per alcuni imbarazzo vero e proprio) del parlare con una persona nuova per la prima volta. Non ci diede peso.
«Oh, grazie, sei gentile. Anche a me piace stare accanto alla finestra. Mi fa distrarre un po', ma in modo positivo. È bello potersi perdere in così tanta bellezza, di tanto in tanto...»
E mentre pronunciava quelle parole, soddisfatta, si accomodò, cercando con lo sguardo l'appena citata dimora del guardiacaccia. Dietro un gruppetto di alberi, oltre i giardini, era lì, illuminata per tre quarti dal caldo sole pomeridiano. Il vento spostava con forza le piccole nuvolette grigie che uscivano fuori dal comignolo, mandandole in lontananza a gruppetti da due o da quattro. Probabilmente era in corso qualche lavoro di manovalanza o preparazione di pozioni, o chissà.

Dopo essersi presa quella manciata di secondi per ammirare il resto del paesaggio e prendere confidenza fisica e visiva con la sua nuova postazione, si voltò lentamente verso il nuovo compagno di studi e lo scrutò per un secondo. Conosceva il ragazzino di vista, o meglio, conosceva la sua capigliatura ribelle, la sua nuca e le sue spalle leggermente disallineate, dato che per la quasi totalità delle lezioni lui era sempre lì, ai primi banchi, concentrato ed attentissimo e dalla chiara intenzione di non perdere mai una parola pronunciata dal docente di turno. Non avevano mai interagito direttamente prima di quel momento ma le sembrava di ricordare che il suo nome iniziasse per E. E, qualcosa, Knight. Edwin o Edward, o addirittura Edgard. Se Hel avesse dato adito all'immagine stereotipata del mago inglese purosangue che lui sembrava incarnare alla perfezione, probabilmente il ragazzino avrebbe dovuto avere un nome super aristocratico, upper class, dal sapore antico e dall'incredibile capacità di portarsi sulle spalle nonni e antenati tutti. Magari con un II o IV accanto come Edward IV, re d'Inghilterra. Che, dopotutto, ci stava proprio bene con Knight.

Quelle fantasie onomastiche vennero però bloccate da una domanda riguardo il suo libro, quello di Difesa Contro le Arti Oscure. Hel lo rigirò brevemente tra le mani, avendo cura di non stropicciare la sua copertina perfettamente intatta. Lo osservò inspirando, come a volerci trovare ispirazione soltanto col tatto, poi lo posò sul tavolo, nel mezzo.
«Sì, sono bloccata coi compiti, la parte sui mollicci. Sono venuta qui per cercare delle risposte e spero di poter trovare ciò che fa al caso mio. Il fatto è che...»
Un improvviso squittio catturò la sua attenzione. Si guardò attorno all'erta pensando di vedere da un momento all'altro un topo o qualche altro piccolo quadrupede peloso correre tra la moltitudine di tomi. Non notando nulla di sospetto, riprese, guardinga.
«Il fatto è che sto trovando difficoltà a...»
Di nuovo. Lo squittio poi diventò un lamento e, in una parabola sonora, si fece poi più simile ad un duro grugnito, finché le fu chiaro che non proveniva da un animale bensì da una ragazza corpulenta con la divisa in disordine e il naso appuntito. Il suo sguardo si incrociò presto con quello di Helena e subito la ragazzona lo distolse, quasi con disprezzo. La tassina proseguì abbassando notevolmente il tono di voce, comprendendo il disagio della tizia ma assolutamente non condividendo il modo in cui lei l'aveva appena manifestato. Il disappunto per quel comportamento passivo-aggressivo si tradusse rapidamente sul suo viso in una smorfia derisoria, un po' a volersi far beffa della ragazza e a voler mettere da parte rapidamente questa breve interruzione per poter terminare il suo discorso in santa pace.
«Dicevo che sto avendo un po' di difficoltà perché non ho idea di che forma potrebbe assumere il mio molliccio! Purtroppo non ho avuto modo di incrociarlo a lezione e non penso che alla prossima riproveremo la stessa esperienza. Tu conosci già il tuo?»
Il suo tono era ormai un sussurro.
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view post Posted on 28/7/2022, 18:40
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Edmund Artemis Knight | 11 anni | I anno | Outfit

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LLa visione del panorama allontanò per un po' lo sguardo della Tassorosso dal Corvonero e questi cercò in quegli attimi di moderare il rossore che gli tingeva le gote così come di assumere una gestualità più spontanea e meno impacciata.
Non voleva sembrare così imbranato e insicuro di sé, tuttavia fingere di non esserlo non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose, quindi, tanto valeva.

In ogni caso, la ragazzina parve soddisfatta e, dopo una serie di considerazioni sulle distrazioni "positive", si sedette per guardare oltre gli spessi vetri della finestra. Edmund non mancò quindi di alzare gli occhi e seguire in tutto il suo corso la linea invisibile che dagli occhi di lei conduceva alla capanna del guardiacaccia, il punto in cui lo sguardo e quella linea immaginaria sembravano andare a posarsi.
Fino a pochissimi attimi prima, il Corvonero aveva atteso con apprensione di capire quanto le sue parole fossero state prese in considerazione e quanto la quasi-coetanea avesse apprezzato il suo gesto, incerto se aver detto o fatto la cosa giusta; quando vide le pupille della ragazzina cercare nel bellissimo quadro che la finestra illuminava, prova di sincerità ancor più delle parole, accennò un sorriso, forse dopotutto aveva reso contento quella sconosciuta che da quella posizione privilegiata avrebbe potuto osservare le meravigliose piccolezze del giardino di Hogwarts: i pezzi di carne mangiati dagli animali invisibili, o le bellissime pennellate blu abbozzate dal piumaggio dei Jobberknoll, o chissà quante altre cose ancora...
Avrebbe voluto chiederle molte cose, cosa stava guardando, cosa maggiormente attirava la sua attenzione, quale punto del panorama prediligesse guardare; chissà se la ragazzina preferiva fantasticare sulle misteriose attività del guardiacaccia o studiare nei minimi dettagli lo svolgersi degli eventi... Cosa la nostra testa pensa davanti a un'immagine dice molto di noi, eppure, Edmund preferì non dire alcunché, ascoltare in silenzio l'eco delle parole appena pronunciate dalla studentessa dai colori giallo-neri, pensando e ripensando al loro significato.
Quella frase infatti aveva anche qualcosa di insolito ed Edmund, confortato dal fatto la Tassorosso non stesse guardando nella sua direzione, non riuscì a trattenere le sue perplessità su questo ultimo aspetto come invece seppe fare sul primo.

«Perché? Esistono delle distrazioni negative? Se ti distrai è perché quello che stai facendo non ti piace, quindi va bene che ti distrai! Io trovo sempre un sacco di distrazioni quando mi annoio...»

Ammise con estrema semplicità, illustrando quella che ai suoi occhi era una totale ovvietà. Forse l'avrebbe conosciuto crescendo quanto il concetto di dovere si divarichi talvolta sempre più da ciò che piace, ma fortunatamente per lui, per il momento questa divaricazione non era mai stata tale, e conseguentemente. non aveva mai potuto non trovare interessante gli studi e le letture impostegli, e dal precettore, e dai docenti.

Edmund decise quindi che era giunto il momento di prendere posto accanto alla Tassorosso; allontanò la sedia dal tavolo, vi poggiò sopra il borsone, e si mise ad allineare in un'alta torre al lato sinistro della postazione rimasta libera per lui, i libri che aveva in mano, e quelli che uno ad uno estraeva dal borsone; un muro di cinta che nelle sue intenzioni doveva frapporsi tra lui e qualunque altro crebbe, libro dopo libro, fino a raggiungere un'altezza che sarebbe stata di quasi una decina di pollici maggiore della sua altezza da seduto. In cima alla torre poi depose quell'uccellino di carta che poco prima aveva raccolto e che ora trattava con la delicatezza di un animale ferito. Era rimasto un unico libro nel borsone, e casualmente fu la sua versione del medesimo testo che la ragazzina teneva tra le mani e che faceva ruotare tra le dita. Lo depose nel rettangolo lasciato libero davanti a sé mentre i suoi occhi seguivano nel dettaglio ogni movimento del tomo della compagna di classe. Mentre lentissimamente Edmund passava dalla posizione eretta alla posizione seduta, gli occhi rimasero fissi sul medesimo bersaglio. Pareva il tempo si fosse rallentanto, e la scena scorresse al rallentatore. Pareva uno di quegli arbitri che, mutato il tempo reale in un susseguirsi di lunghi istanti, fissava le involuzioni aeree della palla per stabilirne la posizione finale dentro o fuori la linea di demarcazione. Quando finalmente la palla toccò terra, il tempo riprese a scorrere e i suoni ridevennero tali, i sospiri della ragazzina come le sue parole. La palla cadde fuori, e il punto non gli fu assegnato: il nome della ragazzina era ancora ignoto.

*Ma perché non mette il nome sulla copertina come fanno tutti? Chissà questa come diavolo si chiama... Forse è la Eveline di cui parlano sempre quei due... O no, forse quella era bionda, mah...*

Stava parlando dei mollicci e delle sue difficoltà riguardo all'argomento dell'ultima lezione di Difesa contro le Arti Oscure, confessò ad Edmund di non sapere quale fosse il suo e di essere lì per cercare informazioni, terminando poi la frase con una domanda al Corvonero.
Edmund, dopo aver compiuto più di mezzo giro in senso orario e poi in senso antiorario, per aver modo di scrutare la disturbatrice in modo altrettanto enfatico della Tassorosso, tornò a osservare la vicina di banco oscillando lo sguardo da lei al suo libro: la domanda era apparentemente sulle sue conoscenze, sulla conoscenza del suo molliccio almeno, ma in realtà era una domanda sulle sue paure. Argomento difficile, e molto personale. Il sorriso sparì dalle labbra e gli occhi furono attraversati da un velo di tristezza, le iridi chiare del ragazzo coi colori blu e bronzo si spostò ora sulla finestra e puntava in direzione della foresta. Annuì sovrappensiero:

«Già.
Scoperto stamattina.

In realtà lo sapevo già ma non ne ero sicuro, stamattina ho visto che era proprio quello.»


Tono grave e voce sottilissima. Ritornò con lo sguardo sulla sua interlocutrice cercando di incrociarne lo sguardo per capire quanto (poco) avesse colto di ciò che aveva cercato di farle intuire.

Rimase in silenzio per un po' mentre i ricordi cercavano di portarlo via con sé. Le voci interiori provavano a riaffiorare dall'angolo della coscienza in cui erano state rintanate, erano delle lunghe protuberanze che avrebbero potuto riprenderlo con esse e soffocarlo nella paura più tangibile. Ma si sforzò di rimanere lì dov'era, strinse forte la mano sinistra scaricando il nervosismo di quella guerra sotterranea tra il suo essere e il suo non-essere, si impose di ritornare al presente e al problema della ragazzina. Ora doveva risolvere il suo problema, non rivangare l'accaduto, e quello fu un salvagente per non perdersi tra le ombre mai vinte del tutto. Tossì senza curarsi troppo delle occhiate della medesima finta offesa mentre si guardava attorno, sussurrava qualcosa tra sé e é, forse un modo per far mente locale; tra quelli scaffali c'erano sicuramente quasi tutte le risposte ai dubbi umani, ma quello...
Edmund intravide la soluzione al problema, forse il "suo" modo di risolvere la questione avrebbe potuto non piacere alla ragazzina, non era né semplice, né certo, ma tant'è, dato che aveva esposto a lui il suo problema, avrebbe dovuto accontentarsi di ciò che aveva da dire e del suo modo di vedere le cose.

«Senti... - il nome non lo sapeva e, fastidiosamente, dovette ometterlo - io vengo sempre qui perché il mio maestro mi ha insegnato che qui si trovano le risposte a tutte le domande umane, ma non sono sicuro che i libri ti possano aiutare, secondo me... Per il tuo molliccio...
Vedi, penso che dovresti cercare altrove... Qui dentro!»


Concluse tamburellando con l'indice sulla fronte tra i ricci che gli scendevano più giù degli altri.

«Tu non hai mai pensato a cosa ti fa paura?»

Chiese timidamente sperando di non essere eccessivamente indiscreto; forse era la stessa domanda che gli aveva rivolto lei, ma pronunciata senza giri di parole gli sembrò risuonare incredibilmente tetra. Fortunatamente il pensare veloce e la proprietà di linguaggio non gli mancavano e per riempire il drammatico silenzio interiore che quel quesito aveva provocato in lui forse più che in lei stemperò il clima con una frase di tutt'altro tenore. Le orecchie, fortunatamente in gran parte coperte dai capelli, per alcuni attimi divamparono, ma almeno avrebbe alleggerito la pesantezza di quell'argomento e forse si sarebbe tolto un dubbio.

«Ora però io ho un'altra paura, quella di non ricordare come ti chiami.»

Edmund attese la risposta e in parte quel sorriso appena accennato prima sparito, riaffiorò sulle labbra.



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view post Posted on 25/9/2022, 21:50
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Helena Sayuri Whisperwind | 12 anni | I anno | outfit

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Le distrazioni negative esistono eccome: sono quelle che fanno perdere il filo del discorso sul più bello, o quelle che portano a viaggiare con l'immaginazione quando invece si dovrebbe solo restare concentrati su quanto si sta facendo.
Helena rifletté su tutte le volte che alla scuola babbana si era persa i passaggi più importanti delle lezioni di matematica, la materia che più la annoiava in assoluto. Una volta per un'ape che era entrata dentro il sandwich di Debbie, una volta per la finestra a ribalta finita rovinosamente sulla testa di Miss Riley, una volta perché Alex aveva vomitato nello zaino della compagna di banco e una volta per un dardo di carta e saliva finitole sulla punta del naso dopo un lancio da cecchino professionista. Non aveva mai capito cosa ci trovasse di così spassoso Fabrice Hartley nel tirare ai compagni di classe palline umidicce con le sue biro-cerbottane. Ma a quanto sembrava lui l'aveva capito eccome, perché era da sempre il suo passatempo preferito.
Mentre Helena immaginava di lanciare qualche incantesimo a quel rompiscatole per rendergli quantomeno la metà del fastidio che lui aveva procurato a lei nel corso della sua carriera scolastica babbana, il corvonero apparecchiava il lato opposto del tavolo con libri, su libri, su libri, su libri, come a voler creare una sorta di muraglia cinese per ripararsi da... distrazioni? Occhi indiscreti? La ragazza-topo? Chissà.
Una volta completata l'opera architettonica, sulla cima, come una bella ciliegina sulla torta, un piccolo uccellino di carta si stagliava tranquillo sul suo trono di libri. Sarebbe potuto essere uno dei suoi e per qualche attimo lo guardò con interesse, sporgendosi leggermente per cercare di capire se quelle pieghe avessero incontrato proprio le sue dita o quelle di qualcun altro.
Quando poi arrivò la risposta alla domanda che aveva posto, il tono e lo stato d'animo del corvonero mutarono, colmandosi di malinconia.
Se fosse stato un conoscente o un quasi amico, probabilmente gli avrebbe posato una mano sul braccio o sulla spalla, per consolarlo e dimostrare vicinanza. Se fosse stato un Amico sicuramente si sarebbe sbilanciata con un abbraccio o qualcosa del genere. Ma dato che era un totale sconosciuto, H. si limitò a immobilizzarsi come il più esperto mammifero in materia di tanatosi. Non perché avesse un cuore di pietra, semplicemente perché nonostante si sentisse coinvolta e toccata da quella improvvisa malinconia, non aveva idea di cosa fare né di cosa dire. Posò lo sguardo un po' su di lui, un po' lo lasciò vagare nell'ambiente circostante, come a voler trovare nel pulviscolo un consiglio sul da farsi. Avrebbe tanto voluto chiedergli quale fosse, perché, quale era il motivo per cui era così triste e cosa stesse pensando. Ma l'invadenza era sicuramente una caratteristica che non le apparteneva.
Quando lui riprese a parlare, fu quasi un sollievo.
«Hai ragione, sai? Ma non è semplice capirlo, a meno che tu non sappia esattamente cosa o quale sia...»
Quello appena ricevuto, fu il più ovvio e allo stesso tempo il più saggio dei consigli. Solo lei poteva sapere cosa effettivamente le facesse paura e non l'avrebbe di certo trovato scritto sui libri, nemmeno sul più enorme, complesso e profondo del mondo.
«Ci ho pensato, certo. Ad esempio...» iniziò a contare con le dita «...scoprire che Hogwarts non esiste e questo è solo un sogno, cadere in un pozzo o in una discarica, restare chiusa in un ascensore, dover vivere su una piattaforma petrolifera, perdere i miei animali, che Frances si dimentichi di me, mio padre che...» la numero otto non venne alla luce, perché la sette aveva ormai catalizzato la sua attenzione «...oh...» aggrottò le folte sopracciglia «...questo non sarebbe per niente bello.»
Deglutì, mentre un brividino tra le spalle e la nuca la fece lievemente sussultare. Il contenuto di quella lettera era sempre lì, in un angolo della sua mente, a punzecchiarle il fianco nei momenti meno opportuni.
Si schiarì la voce, accompagnandosi, in modo forzato ma necessario, al ritrovato mood spensierato del corvonero.
«Comunque io sono Heléna!» Chinò leggermente il capo e sorrise a sua volta «Tu invece sei Ed...Edwin...Edward...Edelbertus-aur-o..?» Si portò la mano destra a coprire la bocca, con l'aria ironica di chi si pente di essere colpevole. «Dunque, di Ed sono sicura. Ma il resto mi sfugge»
Inspirò profondamente, cercando di controllare la gamba destra che aveva iniziato a saltellare ritmicamente. Una volta smesso, fu impossibile fermare le dita della mano sinistra che andarono a grattare con insistenza la pelle ai lati delle unghie curate. La coperta è sempre troppo corta.
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view post Posted on 12/10/2022, 11:55
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Edmund Artemis Knight | 11 anni | I anno | Outfit

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Due dialoghi, due liste, entrambe lunghe, entrambe interrotte.
Edmund, con gli occhi fissi sulla coetanea, la ascoltò declinare prima ciò che le faceva potenzialmente paura, poi buona parte dei nomi maschili, escluso il suo, che iniziano con il sintagma Ed.
Due furono le sensazioni che iniziarono a impadronirsi del ragazzino: da un lato avrebbe voluto bombardarla di domande, chiederle moltissimi dettagli su ciò che disse, interrogarla per esempio su cosa fosse una discarica, su perché mai dovesse prendere un ascensore, quali animali aveva, se conosceva qualcuno che era stato su una piattaforma petrolifera, chi era Frances, se pensava che, dal momento che anche lui si trovava ad Hogwarts, anche lui fosse solo frutto di un sogno e perché, su come mai fossero finiti nello stesso sogno, e su molte e molte altre cose ancora, in poche parole su tutto ciò che quelle parole avevano evocato nella mente avida di informazioni.
D'altro canto ancora non conosceva bene quella ragazzina e temeva altresì di risultare indisponente, indiscreto o scortese, o peggio di fare la figura dello sciocco; d'altronde se gli aveva detto tutte quelle cose era perché voleva essere aiutata a comprendere quale di quelle fosse la sua paura peggiore, le domande di Edmund non sembravano poterla aiutare in quella direzione, erano semmai appagamento di una curiosità smisurata. Quindi, tanto era la tentazione di chiedere, altrettanto era il timore di pronunciare a voce alta alcunché, la sensazione di dover stare zitto era altrettanto presente e radicata bilanciando perfettamente la pulsione opposta.

La osservò mentre enumerava quelle ipotesi, e ascoltò il suono delle sue parole, pronunciate con malinconica dolcezza; man mano che Helena continuava a parlare Edmund ne osservò la gestualità provando a immaginarne le emozioni, aveva l'aria di essere una ragazzina piuttosto tranquilla e spensierata ma la lezione sembrava volerla costringere a volgere lo sguardo alle zone più tenebrose dell'animo e, certamente, non sarebbe stato semplice. Lo era per lui, chissà per gli altri. Forse per lei sarebbe stato ancora più difficile, arduo a dirsi.
Fu inevitabile però interrogarsi anche sul sentiero cui quella domanda conduceva, il sentiero prevedeva di vagliare le molte paure di ciascuno, le numerosissime paure che abbiamo talvolta anche timore di nominare, e, in certe occasioni, persino di ammettere; Edmund iniziò a chiedersi se le cose che ci fanno paura siano di più o di meno di quelle che ci danno coraggio, e se sia solo una questione di quantità o anche di qualità. Chissà, forse è da quello che il cappello parlante distingue un coraggioso da un codardo, da quante e quali sono queste e quelle.

E se invece...?

Un'idea iniziò a formarsi nella sua mente, un'idea che riteneva interessante, che avrebbe persino potuto aiutare Helena a discernere. Avrebbe voluto dirgliela, ma forse lo avrebbe preso per pazzo. Raccolse l'uccellino di carta posato sul muro di sinistra e lo fissò, quasi a volergli chiedere consiglio in merito. Ma l'uccellino tacque ed Edmund non poté che imitarlo, decidendo di accantonare l'illustrazione di quell'idea per il momento.
Sarebbe stato decisamente meglio accantonare quell'idea e partire dalla seconda lista, la lista dei nomi.
Questa aveva una natura completamente diversa e, lo snocciolare di tutte quelle possibilità sembrava divertire molto la ragazzina a giudicare dall'espressione buffa che le si dipinse in volto. Edmund si sentì sollevato per non essere l'unico a non ricordare il nome, e il sorriso di Helena contribuì a tranquillizzarlo. Il suo sorriso si sciolse in una risata genuina, stupito da quanti nomi iniziassero con Ed.

«No no, nessuno di quei nomi lì da gallesi, io sono Edmund! Ed-mund!»

Ricevuto il la al prosieguo della presentazione, con fare solenne si alzò in piedi e le porse la mano destra, così infatti era abituato di fare quando qualche nuovo invitato entrava nell'ampio salotto di Villa Knight. Così gli era stato spiegato di dover fare dal professor Wright, alzarsi in piedi era segno protocollare di rispetto verso l'interlocutore, il porgere la destra invece, banale tradizione.

«Scusa non mi sono presentato bene, io sono Edmund Artemis Knight, figlio di Joseph Edgar e di Catherine Héloïse Hewitt, molto lieto di fare la tua conoscenza.
Ma se ti confondi coi nomi puoi chiamarmi solo Ed!»


Edmund le sorrise cercando di essere cortese, un po' imbarazzato, un po' impacciato. E ora? Avrebbe dovuto aggiungere qualcos'altro su di sé?
Forse sì, ma la curiosità è a volte difficile da domare, spesso quando Edmund in un modo o nell'altro si era trovato costretto a "rompere il ghiaccio" e a iniziare la conversazione.

«Ma perché si pronuncia così il tuo nome? Da dove vieni?»

Gli occhi si abbassarono per un momento sulle dita della ragazzina, intrecciate a fare chissà cosa, subito però li spostò di nuovo sul libro appoggiato sul tavolo e infine su di lei, forse non era il solo a non sapere cosa fare con la mano sinistra rimasta libera lungo il fianco.


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view post Posted on 4/2/2023, 20:00
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Helena Sayuri Whisperwind | 12 anni | I anno | outfit

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Le iridi cristalline di lei si posarono su l'origami che il giovane mago rigirò tra le mani, poi sulle sue mani, infine sul suo volto. Si chiese cosa gli stesse passando per la mente e il motivo di così tanto interesse per quell'uccellino, ma non poté darsi spiegazioni e accantonò presto la questione.
“No no, nessuno di quei nomi lì da gallesi, io sono Edmund! Ed-mund!”
La semi-sillabazione le ricordò i fumetti o i cartoni animati, quando due personaggi che non parlano la stessa lingua si incontrano e parlano in modo strano e scandendo le sillabe per cercare di farsi capire, un po' prendendo l'interlocutore per stupido, un po' dimostrandosi tale a propria volta.
Non era quello il caso, senza alcun dubbio, ma comunque l'immagine divertì Helena e la spinse a continuare su quel mood spensierato, facendole abbandonare definitivamente l’ombra di malinconia che le aveva oscurato per un attimo il cuore.
Il ragazzino si alzò e si presentò con l'entusiasmo di un attore che calca il palco per la prima volta, con la solennità e l'esperienza di chi lo fa per la millesima. Lei ascoltò con attenzione, offrendo la sua mano destra e incontrando quella del corvonero.
«Oh, "Ed" penso che sia perfetto, sì!» breve e conciso, senza troppi fronzoli e soprattutto molto meglio del nome completo. Non perché fosse difficile ricordarsi "Edmund" nella sua interezza, ma perché era da sempre convinta che chiamare una persona col suo nome per intero sottendesse una certa distanza e freddezza, oppure addirittura uno stato d'animo di rabbia. Colpa di sua madre, che la chiamava sempre col nome intero quando per un qualche motivo era arrabbiata con lei. Niente di grave, in genere: compiti di scuola (babbana) non completati, disordine per casa, capricci prima di mangiare il minestrone, non adempimento dei propri doveri e così via. Quando invece si rivolgeva a lei con addirittura solo "Sayuri", allora sì che l'aveva fatta grossa! O magari preannunciava un discorso serio e importante, a seconda delle situazioni.
Hel sollevò lo sguardo verso il vuoto, sorridendo tra sé e sé. Considerato il benestare del corvetto per essere chiamato con quel piccolo diminutivo, non poté che esserne soddisfatta e quasi sollevata.
Si alzò a sua volta: «Io sono Helena Sayuri della casa Whisperwind, prima del suo nome, prima e unica erede di Ewan Whisperwind e Yoko Harris, nata il primo di marzo al primo raggio di sole dopo la tempesta. È un piacere conoscerla, signor Knight.»
Il tono pomposo e volutamente ironico andava sulla falsariga di quello di lui, ed era una chiara citazione della presentazione di un grande personaggio di una serie di romanzi babbani che leggeva spesso zia Juls da quando aveva iniziato a frequentare, chissà come, un libraio babbano.
Tornò a sedersi. Si portò una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio sinistro e riprese a parlare: «Sono scozzese, delle Highlands, forse l’avrai capito dal mio accento. La famiglia di papà è una numerosa, antica (e all’antica) famiglia di maghi purosangue scozzesi. Quasi tutti ex Serpeverde, tranne papà ex Tassorosso e zia Juls ex Corvonero. La maggior parte di loro vive a Londra perché chi più chi meno preferisce gli agi della grande città, mentre in Scozia siamo rimasti quasi solo noi “non Serpeverde”. Ma ho anche origini inglesi e giapponesi! I genitori di mia madre sono babbani, nonno inglese e nonna giapponese. È una storia lunga, ma bella» le gote lentigginose si sollevarono appena, andando a strizzarle leggermente gli occhi.
«Comunque, Ed…» evidenziò il suo nome con un tono poco più alto e uno sguardo complice «…puoi chiamarmi come ti viene meglio: Hel, Lena, Ellie, Rolie Polie Olie...» si portò un indice nella rientranza tra le labbra e il mento e si affrettò a ritrattare «No, scherzo, questo no, solo Frances mi può chiamare così!» sbuffò divertita «"Hel" penso vada bene. È un po' come il tuo "Ed", in effetti!» Niente rabbia, niente freddezza.

── · ──

Tra una chiacchiera e l’altra, una pagina del libro e quella successiva, una risata e una pausa, un parere dato e un consiglio ricevuto, il pomeriggio trascorse in modo piacevole e spensierato fino a che il sole non privò gli studenti della sua preziosa presenza e il giorno divenne sera.
«Bene, per me oggi è tutto. Studiare mi ha fatto venire una gran fame, vado a cena!» All’ennesimo crampo allo stomaco, un tonfo di un libro chiuso con velocità sancì il termine di quella fruttuosa sessione di studio e socializzazione. Si alzò, portò con sé il suo materiale, accostò la sedia al tavolo e osservò per un attimo Edmund, in silenzio.
«Grazie» per aver condiviso quel tavolo prezioso in quel pomeriggio affollatissimo, per la compagnia, per il supporto, per averle aperto un varco verso la soluzione al suo quesito, per tutto. Troppo da specificare, perciò non aggiunse altro e lasciò che fosse l'acume del giovane Knight a dargli un significato.
Sparì oltre le alte librerie, ma dopo due o tre secondi, senza poterci nemmeno riflettere, ritornò sui suoi passi a marcia indietro e fece capolino nell’angolo che fino a poco prima era stato il loro spazio di studio condiviso. «Sai che c’è?» inspirò, riflessiva «Dovremmo farlo più spesso. Magari la prossima volta ti insegno anche a fare uno di quelli!» Indicò con uno sguardo l’origami a forma di uccellino, sempre lì, muto e spettatore. «A presto, Ed!»
Un gran sorriso e poi via, verso la Sala Grande. Stavolta per davvero.

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view post Posted on 6/2/2023, 13:41
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Edmund Artemis Knight | 11 anni | I anno | Outfit

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Quando si fissa il cielo, nessuno vede il Sole muoversi. Che egli sia celato dalle nubi o unico viandante solingo del manto turchese, il Sole ci appare sempre fisso, immobile nella medesima posizione.
Eppur si muove, eccome.
Il suo moto è impercettibile, ma continuo; fatto di piccoli spostamenti, impossibili da cogliere agli occhi umani, ma non per questo meno reali: spostamenti talmente rapidi da apparirci paradossalmente assenti, talmente fugaci da apparirci così veloci da poter avvenire solo quando ne allontaniamo lo sguardo per qualche attimo.
Nella sua fissità, il Sole percorre l'eclittica, veloce e inarrestabile. Ma a leggerne le intenzioni, non è atto il cronometro del velocista, strumento concavo quando lo si vorrebbe convesso, quanto l'orologio del maratoneta. È nel lungo termine che ne si può constatare il moto, ammirare quanto significativamente la posizione possa esser mutata, nonostante la sua apparente immobilità.
Quando la Tassorosso si alzò e richiuse sonoramente il volume che aveva di fronte, la palla infuocata non era più alta nel cielo ma si apprestava a sprofondare oltre la linea dell'orizzonte: ne aveva fatta di strada.
Ma a modo suo, anche quell'incontro tra il primogenito dei Knight e Helena Sayuri Whisperwind aveva seguito la medesima sorte. Forse non era si erano detti chissà che, né confidati reciprocamente i più reconditi segreti; Edmund non le aveva detto che aveva paura di essere intappolato dalle radici delle piante, che aveva un fratello, un amico babbano, che la sua civetta portava il nome di un'isola scozzese, e la quasi interezza dei fatti della sua vita, così come Helena non gli aveva detto quale aveva ipotizzato essere la sua più grande paura, cosa sapeva dire in giapponese e chi diavolo era Frances. Eppure, al termine di quel lungo pomeriggio, una lunga serie di impercettibili mutamenti dell'uno e dell'altra, aveva fatto sì che, in ogni caso, la strada fatta insieme gli parve essere molta.
Non sapeva forse tutto di lei, ma aveva collezionato una serie di dettagli che riteneva preziosi. Conosceva il suo tono di voce, la sua calligrafia, come i grandi occhi azzurri erano soliti muoversi quando incuriositi da qualcosa, dentro o fuori le mura del castello. Sapeva che era solare e divertente, che quando era nervosa tamburellava la gamba nel pavimento, che detestava quando la fissavano perché parlava troppo forte e che sapeva ricambiare con delle agguerrite occhiatacce. Che ogni tanto sembrava fermarsi per ascoltare il rumore del vento e che era preoccupata dalle paure che poteva avere; e chi non avrebbe potuto eserlo?

La ragazzina, richiuso il tomo di Difesa contro le Arti Oscure, si alzò dalla sedia e osservò il Corvonero; Edmund non poté che fare altrettanto, per una volta non completamente a disagio nello specchiare il suo sguardo nel placido lago azzurro degli occhi di Helena.
Ai suoi occhi, la Tassorosso aveva il pregio di non sentirsi in obbligo di riempire i silenzi con sfilze di parole rumorose, ma di comprenderne il significato e rispettarne l'inviolabilità; ne sostenne quindi lo sguardo, in silenzio, non in segno di sfida, quanto piuttosto con la sincera curiosità di vedere quanto sarebbero riusciti a dirsi senza parlare.
La salutò con un cenno della mano e quando lei riassunse con un "Grazie" gli intensi momenti di quel pomeriggio, non seppe cosa dire. "Prego" sarebbe stato banale, "Grazie altrettanto" forse ancor di più. Avrebbe potuto dirle che non lo aveva annoiato affatto e che tutto sommato era stato bello fare i compiti con lei, che aveva fatto tutto quello che doveva fare anche se non era da solo, che le sue battute non lo avevano distratto più di tanto ma gli avevano fatto piacere, che lui stava bene da solo ma non voleva dire che quel giorno fosse stato male, e molte altre cose. Tuttavia, incapace di trovare le parole giuste, sopraffatto dalla timidezza, le sorrise imbarazzato. Allargò le mani in un gesto a metà tra il "e di che? Grazie a te!" e il "è stato tutto così facile" e la guardò andarsene via.
Un rimorso lo assalì non appena se ne andò, che figura ci aveva fatto, poteva almeno dirle grazie, e se adesso Helena pensava che le stesse antipatica e non la volesse più vicina a fare i compiti con lui? Avrebbero potuto persino diventare amici se magari fosse stato in grado di risponderle un po' più decentemente.
Sentì però quasi subito la sua voce, e si voltò.

«Dovremmo farlo più spesso. Magari la prossima volta ti insegno anche a fare uno di quelli!»

Edmund spostò lo sguardo sull'uccellino di carta; aveva ascoltato tutto ed era ancora lì, silenzioso e tranquillo spettatore. Prima che Helena potesse aggiungere alcunché, si voltò di nuovo e le parole, stavolta, gli uscirono dalle labbra prima che potesse trattenerle.

«Domani!»

Non seppe dove trovò il coraggio di una risposta tanto impulsiva quanto decisa. Forse semplicemente nella naturalezza di un invito che avrebbe dovuto essere ovvio, o forse nella paura di finire ostaggio delle proprie preoccupazioni.

Salutò definitivamente la coetanea, si rialzò, mise i libri nella cartella, e raccolse l'origami che quel giorno aveva portato con sé. Lo fissò per un po' in attesa gli dicesse qualcosa, un parere, un commento, un verso. Ma quello rimase in silenzio e così Edmund lo conservò tra le dita, che fungevano da gabbietta ma soprattutto da protezione, affinché non si schiacciasse.
Una volta messa la tracolla sulla spalla sinistra si incamminò verso l'uscita della biblioteca diretto alla Torre Ovest, sede della Sala Comune dei Corvonero. Lanciò un ultimo sguardo alla biblioteca, ora deserta, e a quello che solitamente era il suo posto. Ora era vuoto e la coppietta litigiosa era altrove, gli tornò alla mente la faccia da sberle di quel ragazzo grifondoro che non sopportava.

"Beh, mi dispiace per te, ma è stato un bene che hai litigato oggi!"

Edmund guadagnò l'uscita, e affrettò il passo. I passi accompagnavano i pensieri, i pensieri divenivano parole. I piedi solcavano i lunghi corridoi di Hogwarts, il corpo si muoveva da solo in un tragitto ormai fin troppo noto.
La sua testa ripeteva invece instancabilmente una lunga serie di parole udite qualche tempo prima; suonavano bene, gli erano rimaste in testa e non erano male come sottofondo per quella passeggiata.

"nata il primo di marzo al primo raggio di sole dopo la tempesta. È un piacere conoscerla, signor Knight."

E poi, lo facevano sorridere.



── · ──



FINE

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7 replies since 23/5/2022, 22:43   499 views
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