Edmund Artemis Knight | 11 anni | I anno |
Outfit «Lo condividiamo?»
Quella domanda, così semplice nella sua formulazione, ebbe l'effetto di riportare Edmund con fulminea rapidità alla realtà di quegli attimi, e di ricondurlo con immediatezza coi piedi per terra.
Era entrato in biblioteca poco prima totalmente assorto nei suoi pensieri, o meglio, troppo impegnato a chiedersi cosa ci facessero tutti quegli studenti in biblioteca per occuparsi di altro. Era abbastanza frequente nelle prime ore del pomeriggio rilevare un discreto via vai di ragazzi, tuttavia la biblioteca, grazie al cielo, era un luogo in cui difficilmente mancavano i posti liberi; molti amavano svolgere (chiassosamente) i compiti nelle rispettive sale comuni piuttosto che stravaccati sull'erba e dunque non erano mai in tantissimi ad occupare i lunghi e silenziosi tavoli tra le scaffalature colme di libri.
Quel giorno però non era così; benché un sole luminoso splendesse con maestosa regalità su un cielo turchese con poche nuvole, il vento spirava forte tra le Highlands scozzesi, sferzando senza tregua le spesse mura del castello, e facendosi suono quando il suo alito si insinuava tra le foglie degli alberi sul limitare della foresta e poi sin tra le mura del castello, varcando le piccole fessure tra i vetri e la pietra, col suo appena percettibile fischio.
Un vento quindi che rendeva impossibile lo studio all'aperto, troppo insistente nello scompigliare le pergamene e le pagine dei libri.
Forse era questo uno dei motivi dell'insolito assembramento in biblioteca, forse il fatto che ogni tanto coincidevano per più alunni settimane di studio particolarmente intenso, che mal si coniugava con il vociare incessante delle sale comuni, forse qualche altra imponderabile ragione, sta di fatto che Edmund, alquanto turbato da questa presenza supplementare di folla tra i tavoli, avanzava quasi senza vedere ciò che gli passava accanto ma focalizzato solo sul trovare un angolino tranquillo.
I passi si susseguivano senza troppa cura, mentre la sinistra reggeva i testi scolastici e la destra un uccellino fatto con la carta che aveva raccolto poco prima fuori dall'aula di Storia della Magia e che gli era sembrato ben fatto. Gli occhi chiari palesavano uno sguardo assente, ma in compenso, la mente in quel momento lavorava senza sosta nella sua analisi di ciò che il piccolo corvonero aveva deciso di rendere oggetto di speculazione.
*Beh forse alle 17 inizia qualche allenamento di quidditch e un po' di questi spilungoni si tolgono... Spero proprio che se ne vadano, chissà che qualcuno faccia esplodere dei fuochi d'artificio in sala grande così almeno un po' di curiosi vanno a vedere...
Beh quelli non credo riusciranno a stare zitti più di 10 minuti, magari mi siedo là vicino così quando si levan
Oh maledizione, quello ha litigato con la sua tipa e si è preso il mio posto, ma è possibile in due devono occupare 5 posti!
Ma no, uffa non ci voleva, maledetto!
Forse potrei...*
Totalmente assorto e assorbito dalle sue elaborate elucubrazioni si stava avvicinando a un tavolo che sembrava essersi liberato; i passi muovevano verso quella zona mentre la mente meditava su come riavere il suo solito posto e lo sguardo lampeggiava in quella direzione. In quel momento gli giunse la domanda.
Le parole della ragazza coi colori di Tosca Tassorosso ebbero quindi l'effetto di ridestarlo da questo torpore che ne aveva pervaso la mente, e la sensazione fu piuttosto straniante.
Talvolta succede che, particolarmente stanchi, ci si assopisca durante un convegno o una lezione, la mente ci allontana da lì e ci conduce con dolcezza a lidi lontani cullandoci nei nostri pensieri e nei nostri sogni. Basta però una parola pronunciata con più veemenza delle altre, o una gomitata accidentale del vicino di posto, per scuoterci nel profondo e farci sobbalzare sulla sedia riportandoci a quella realtà sensibile di cui ci eravamo provvisoriamente dimenticati, facendoci sentire straniati e fuori posto, e per qualche attimo, incapaci di mettere a fuoco dove siamo e perché.
E così quella voce dolce e solare scosse il ragazzino coi colori di Priscilla Corvonero, che si ritrovò a fissare la coetanea che stava davanti a lui senza nemmeno rendersi conto come mai. Era una ragazzina dai grandi occhi azzurri e dall'aria simpatica, attendeva la sua risposta sorridendogli, un sorriso aperto e sereno; lì per lì gli sembrò abbastanza effervescente e disinvolta, o perlomeno più di quanto non lo fosse lui, molto più schivo e misurato nei movimenti, e più ancora nelle parole. Gli ci volle qualche attimo prima di rendersi conto che anche lei stava per sedersi lì e che nella sua domanda non parlava del suo tavolo preferito, quello dove ora sedeva il grifondoro dal cuore infranto, quanto di quel tavolo che avevano innanzi, quello appena liberato dagli studenti in via di allontanamento.
Edmund fissò il tavolo e poi di nuovo la ragazzina e abbozzando un sorriso, scosse la testa in senso affermativo mentre le gote si tingevano appena di rosso per l'imbarazzo; era stata molto cortese nei suoi confronti mentre lui non si era nemmeno reso conto della sua presenza lì. Il tavolo era sicuramente abbastanza spazioso per entrambi quindi non sarebbe stato un problema condividerlo, forse non avrebbe avuto lo spazio per distendere i libri dietro quella sorta di muraglia cinese che allestiva di solito ma quello pareva essere un problema sormontabile, piuttosto era lei in quel momento a stare dalla parte della finestra e questo gli diede modo di pensare. Per una "questione pratica" si sarebbe seduta dove si trovava in quel momento, quindi la parte della finestra sarebbe toccata a lei.
Edmund amava sedersi vicino alle finestre per guardare fuori di tanto in tanto e lasciar correre lo sguardo fino alla linea dell'orizzonte, da queste immagini ne traeva pace, ispirazione e concentrazione; si sedeva sempre vicino alle finestre, in classe come in sala comune, celebre per la visione mozzafiato su tutte le pertinenze esterne di Hogwarts. Gli dava un senso di libertà guardare fuori, e lo incuriosivano le mille cose che si potevano osservare, infine era quanto più desiderasse in quel momento, un modo per evadere da quella sala che con troppi studenti dentro gli dava un vago senso di oppressione; sarebbe stata la magra consolazione di quel posto che gli era stato occupato pochi metri più in là.
Eppure era lei a stare da quella parte, e non sarebbe toccato a lui stavolta. Gli stavano dinanzi due possibilità, o chiederle il permesso di sedersi da quella parte, domanda troppo ardita per la sua timidezza, o fare finta di nulla e rimpiangere di non aver tentato di assecondare il proprio desiderio. Ci pensò un attimo soppesando le varie possibilità, scostando con la mano parzialmente impegnata una ciocca di capelli dalla fronte.
«A me piace molto sedermi vicino alla finestra, da lì riesci a vedere fino alla casa del guardiacaccia, però se vuoi siediti pure tu, c'è anche più luce e ci vedi meglio.»Abbassò lo sguardo subito dopo, insicuro, incerto se fosse stata una buona idea dirle quelle parole, domandandosi se fosse sembrato volesse a tutti i costi quel posto, mostrandosi dunque viziato ed esigente, o peggio, se fosse apparso arrogante e saccente per aver preteso di saper tutto lui... Infondo erano considerazioni talmente ovvie che la ragazza avrebbe potuto benissimo fare da sola per arrivare alla medesima conclusione senza alcun bisogno della nota a margine del presuntuoso corvonero. Gli era costato fare quell'offera eppure ora non era nemmeno sicuro fosse stata una buona idea; anche se le sue intenzioni erano buone, avendo cercato di essere gentile e non sembrarle maleducato o egoista, ora se ne pentiva quasi, chiedendosi se non avesse suscitato invece esattamente l'effetto contrario.
Mentre attendeva la risposta della ragazzina, le iridi chiare si misero a osservare questo e quel dettaglio; tra le altre cose vide che tra le mani la tassorosso aveva il libro di Difesa contro le Arti Oscure, il suo stesso libro. Era di sicuro un alunna del suo anno, l'aveva vista a più di una lezione oltre che allo smistamento, eppure non la conosceva, non ci aveva mai parlato e non ne conosceva nemmeno il nome. Dalla madre Edmund aveva ereditato quel suo essere solitario che lo spingeva a cercare luoghi tranquilli e isolati più di quanto non cercasse la compagnia dei coetanei. E per questo conosceva a malapena i nomi dei compagni di casa. Ora però si interrogava sul nome della ragazza, domanda, quella sì, senza risposta.
Il padre gli ha insegnato che è cattiva educazione dimostrare di non conoscere il nome di chi si dovrebbe conoscere. Probabilmente quella per il padre di Edmund non sarebbe stata una di quelle circostanze in cui riteneva d'obbligo quel principio, ripetendolo sempre al figlio in occasione dei ricevimenti che coinvolgevano alcune note famiglie purosangue, ma evidentemente per il figlio non era così, con delle priorità ben diverse da quelle paterne.
Edmund era incerto se chiederle o meno come si chiamasse, in quel caso avrebbe dovuto presentarsi ed era bravo a presentarsi, ma che figura avrebbe fatto? Altrettanto incerto era se addentrarsi in supposizioni campate per aria, anche in questo caso col rischio di fare una pessima figura, magari confondendola con qualche ragazza che potenzialmente avrebbe potuto non esserle troppo simpatica: no decisamente no, meglio non rischiare!
Ci pensò su giusto pochi istanti prima di trovare, secondo i suoi curiosi canoni, una peculiare soluzione.
«Sei qui per studiare difesa?»le disse indicando il libro che teneva tra le mani. Il pensiero di Edmund era semplice quanto irrealizzabile forse: il piccolo primogenito della famiglia Knight sperava infatti che a seguito di quelle sue parole la ragazza rendesse maggiormente visibile il libro, nell'illusione speranzosa di potervi leggere il nome da qualche parte.
Il coraggio è fatto di paura