Divine violence
Astra in sanguine
La notte si contorce come una bestia in gabbia, ombre che si rintanano sotto i cuscini e stille di luce che fuggono la stanza; ho gli occhi aperti, spalancati sul vuoto. Osservo la finestra, un tempo perfetta, ora scheggiata in più punti. Reca con sé l'impronta di un litigio che mi appartiene e che mi ritrova in avanscoperta. Colpa mia, è questa l'accusa che mi tiene sveglio. Disteso, vigile, cerco il soffitto, dove si annidano i fantasmi. Il mio respiro è un soffio compromesso, il petto costretto al rimorso; ho l'impressione di aver raggiunto un confine invalicabile, di non poter né tornare indietro né avanzare. Sentirsi incompleto, come in attesa, è forse l'unica cosa che mi resta e che mi ancora al presente. Le mani carezzano le travi di legno, divorate a loro volta da tarli — benché atipici, intessuti di stregoneria. C'è un ché di travolgente, stanotte. Somiglia alla quiete che anticipa la tempesta, una sensazione che a malincuore mi è familiare e mi manda in tensione. La pelle è tesa sottilmente, la carnagione diafana di chi ha respinto il sole. Allungo il braccio, oltre la notte. E ti cerco, Penny. Stento a credere che dopo quanto accaduto tu sia rimasto in dormitorio, senza scappare. Eppure, non ci rivolgiamo parola, neanche un cenno di saluto. Mi hai visto indagare le trame future — il Cristallo, in una nebbia caotica che ha infranto la sfera; e le Rune di biancospino, alle striature del tramonto calante. Mi hai seguito, da lontano; e io, che voglio credere di conoscerti, ti ho lasciato fare, finché il silenzio non è stato insopportabile. Non ho idea se il pericolo che avverto possa riguardarti. Non ho idea di cosa possa esservi, oltre l'Eclissi. Il sole è un cadavere esangue, si tinge di rosso, poi si spegne; l'oscurità, stavolta, è trattenuta invero dal battito di palpebre. Ho paura, Penny. Ma è una sensazione che mi frena e desidero per la prima volta affrontarla. Stanotte, allora, ti cerco. Sei accanto, nell'altro letto. Com'è sempre stato, tra noi. Al chiarore delle stelle d'esordio, la mia mano è spettrale; si rende tangibile, affinché anche solo sfiorarti mi conceda assoluzione, e mi offra infine l'illusione che tutto vada bene — almeno per te, di me non m'importa più. Nel tepore momentaneo, solletico l'unico velo che veste la tua figura. E tu, subito, ti tiri indietro, via da me. Forse, mi dico, è solo uno scatto inconsapevole.
Mi lasci solo.Il Ballo dell'Eclissi di Sangue è in risveglio. In alto, le tinte del crepuscolo consumano il giorno — è un simulacro di tenebre cremisi. La notte avanza in eterno, ho la sensazione che porterà con sé il Cambiamento.
Ho sviscerato il futuro in ogni modo, nella prigionia di una teca di cristallo, nelle foglie di tè sul fondo di una tazza, nei tarocchi dimessi dal tempo e dalle ingiurie di cui sono responsabile. Nulla, oltre l'essenza della cera, del glicine, del fuoco. Mi convinco sia la malinconia, oramai matura — per l'abbandono, per la fine dell'anno scolastico, per il rientro indefinito del mattino seguente. Ho una valigia già pronta, senza destinazione. Dove andrò, domani, è una domanda irrisolta. Il tempo dell'Eclissi acuisce i Sensi, è voce comune; e io, che ho creduto fosse una bugia, mi accorgo di essere stato in errore. In visibilio, l'Occhio conferma di voler trascinarmi via: respingerlo, oggi, è un'impresa che mi ha relegato per ore in dormitorio. Di fronte lo specchio, in bagno, è come se fossi l'ombra di me stesso: sangue, ferite, geometrie mai rimarginate, la pelle è una tessitura che spezza l'equilibrio. Eppure, è un'illusione incauta sul Vetro dell'Apparenza. Mi allontano, e tutto si ripristina in ordine. Vesto pantaloni scuri, mocassini di color terra bruciata; il torace, scoperto, reca l'impronta di pasti saltati, e dell'abbandono fisico cui ho costretto il corpo — pur di impegnare la mente. Quest'abito mi è molto prezioso, un mantello intessuto di stelle, di sole e di luna: è una veste ricamata a mano, nelle tinte dorate e d'avorio, che scivola delicatamente; una fascia ramata la cinge, sopra l'ombelico. Anelli alle dita, soli e lune in perla d'argento. Il tassello mancante, mi dico, è la corona di spine che ho abbandonato sul lavandino. Potrei rintracciarne le gocce vermiglie, di sangue oramai trattenuto dal legno di biancospino — è un memoriale, questo, che mi rimanda al Ballo delle Rose e delle Spine e che per anni, volontariamente, è stato nascosto in armadio. Ora... è un richiamo, forse una simbologia. Lascio che scorra oltre il capo, l'adagio al collo e le schegge di legno mi pungono la pelle; mi accorgo di aver trattenuto il respiro, involontariamente. Nel guizzo di tensione, mi è impossibile dimenticare il passato: è stato un ballo che non si è concluso, e il Cerchio — mi ripeto — è in ritorno. Come finirà, come potrà ripristinarsi, è confuso.
Il cielo, ora, è una tela che ricorda i bordi dipinti dei tarocchi, mentre proseguo verso la pista da ballo. I giardini sono in armonia pura, è uno spettacolo che funge, per me, come estasi; avrò tempo per ammirarne ogni incantesimo, di girovagare tra gli stand, di festeggiare.
Il banchetto di
Evviva Lo Zufolo è molto semplice, ma è coloratissimo. Su un tavolo di legno si sparpagliano tanti cofanetti in tinte cremisi e oscure, alcuni già aperti per svelare le copertine dell'ultimo album della band The Hobgoblins,
Half-Blood. Il titolo sfuma oltre la raffigurazione di un mezzobusto di statua, occhi velati da una benda di sangue: le stesse statuette, come decorative, sono agli angoli del bancone. Ai lati vi sono strumenti musicali in vendita: maracas, ukulele, una schiera di bongo dell'eclissi, e così via. Corni d'argento, intagliati in lupi e zanne di cristallo e di legno, inglobano e rilasciano fasci di luce e di buio, in un chiaroscuro che è vinto dalla magia. Ombre rosse, danzanti, sfilano tra i primi curiosi, mentre corone di raggi d'eclissi sfumano in lungo e in largo.
Ho un disco tra le mani, lo sistemo con cura mentre scocco un'ultima occhiata a James, il mio collega. Ci daremo più volte il cambio. Ho voglia di perdermi, di confondermi tra la folla. Ho voglia di ritrovare me stesso.