E’ ustionante, acida furia – e tristezza – e senso di insufficienza e colpa – a muovermi, adesso.
Trascino con me Alice nella smaterializzazione che ci porta lontano –
non è vero, in realtà, ci riporta esattamente al nostro punto di partenza.
Io ferita, dalle mie stesse
lampanti colpe, lei sofferente.
Appena ogni
stupida mia molecola torna al proprio posto entro queste
stupide quattro pareti, Alice non la guardo neanche più.
A dispetto dell’inferno in nere fiamme che mi brucia entro il costato, mi muovo comunque silenziosa e lieve: le prendo un’enorme coperta che profuma piano di fiori bianchi e gliela porgo, pur non incrociando mai il suo sguardo, vado oltre la piccola isola della cucina e con gesti automatici metto su un tè.
-M-mi dispiace. Io non so cosa.. o meglio lo so ma non pensavo fosse così-Le sto dando la schiena, ma il viso si gira appena quando mi parla.
O meglio, quando specifica anche che
sapeva.
Torno a fissare il bollitore ricolmo d’acqua sul fuoco, come se tutta la calda rabbia che mi imperversa dentro, potessi riversala lì dentro e far scaldare il tutto prima.
Che pensiero stupido.
Anche questo.
-Da bambina sono quasi annegata in un lago ghiacciato. Non è una cosa di cui parlo spesso. Mi dispiace, non volevo rovinare la nostra uscita, pensavo di averlo superato.-Sto tamburellando leggera quanto nervosa le dita sul bancone quando parla ancora.
Io mi giro e la guardo, finalmente: la osservo, la studio, una parte di me metodica – una così ancora sinceramente preoccupata per questa strega, a tal punto da sfiorare il terrore – una così dannatamente furiosa.
Non riesco a spiaccicare parola, sento solo un morso stretto alla gola che la fa bruciare come non mai – lascio solo scivolare, muta, lo sguardo bicromo sui lineamenti di questa Rosso Oro:
è così terribilmente piccola – e tenera – e bella sotto mille e uno aspetti, a dispetto di tutto ciò a cui potrebbe pensare, persino adesso – rannicchiata su di sé, un po' persa e dispersa, pare impaurita, triste - con queste ciocche di un gelido bianco che le costellano il capo.
Non avrei dovuto invitarla.L’imperativo rimbalza nella mia scatola cranica, ferendomi però il muscolo cardiaco.
Avrebbe dovuto dirmi – COSA – avrebbe dovuto dirmi COSA, io che non sono niente per lei, e mi ostino da mesi a FARE CHE COSA CON LEI – PERCHE’ – HA SEMPRE E SOLO AVUTO RAGIONE AD INCOLPARMI DI TUTTO – DEL MIO ESSERE TROPPO E PER OTTENERE –
COSA-
QUESTO?
… ANCORA?
Mi costringo a non piangere, solo perché – anche questo – sarebbe l’ennesimo troppo, di me, con lei.
Sento ormai l’acqua bollire dietro la mia schiena, mi volto di nuovo e preparo una tazza sola.
Quando è pronta, con il tè infuso le cui volute di profumo iniziano a disperdersi nell’aria – torno dalla Grifondoro e gliela porgo:
-Dispiace a me, Alice.-
-Mi dispiace averti trascinata sino a qui - e non intendo fisicamente, in questa casa, o alla pista – ma in questa stupida, insensata – ancora - cosa?!Non siamo amiche pare, a dispetto di tutti i miei sforzi – anzi, sforzi che sono stati poi probabilmente l’origine di tutto questo gran casino.
Non siamo
niente - niente di più di una docente e di un’allieva – con in mezzo tre incontri, di cui uno casuale, e gli altri due...
Sarò pur io l’insegnante – ma la lezione in questo caso sono io ad impararla – le sue note dolenti mi stanno scavando il petto dall’interno, come un marchio a fuoco.
-Non avrei dovuto - sin dal principio - chiaramente ti avrei evitata – dio – e per ben la seconda volta di fila, si vince per caso un premio? - E non posso prendermela con nessuno se non con me, Alice – avanti, questo lo puoi capire benissimo - io non - non lo sapevo – ma perché avrei dovuto saperlo d’altronde?-Indietreggio di un paio di passi e torno a fissare il vuoto al mio fianco.
-Non avrei dovuto e basta.
Ti avrei evitato tutto questo e ben altro.--Io.. starò da un’altra parte, per un po'. Dormirò lì.
Tu rimani pure, se vuoi e quanto vuoi, riprenditi – per favore, prenditi solo.. cura di te.-Adesso mi pare troppo persino questo, chiedere il minimo sindacale per lei – e [mi pare troppo persino questo] semplicemente
esistere in casa mia, accanto a lei.
Dio, sono tornata la bambina che ha il terrore di esistere vicino a qualcuno perché chi le sta accanto alla fine o muore, o la lascia, o la disprezza e la odia - in ogni caso, chi
mi le sta accanto alla fine dei conti
soffre -
io lei in fondo, non
sono era la portatrice sana del male?
Questa alla fine, ne è solo l'ennesima riprova.
Stupida ed egoista io ad averci provato.
"Sono tornata" - o non ho mai smesso di esserlo.Mi smaterializzo l’istante successivo, perché già sto piangendo, alla fine.
Nel dubbio, starò da Camillo sino all’inizio della scuola.