Take Flight, Concorso a Tema - Agosto

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view post Posted on 31/8/2016, 22:56
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Castello di Hogwarts - luglio di un anno prima


Con delicatezza Mya chiuse la piccola porta della sala comune, lasciando che questa tornasse ad incastrarsi perfettamente nella sagoma delle botti, sparendo completamente alla vista. Ai suoi piedi se ne stava una ingombrante valigia scura, sigillata da grandi cinte in cuoio, sormontata da una seconda valigia più piccola e una gabbia in ferro vuota di modeste dimensioni.
Tutt'intorno viveva uno strano silenzio morto, che si spingeva lungo i corridoi e ammantava ogni pietra delle pareti. Era luglio, le lezioni erano terminate da circa un mese ed anche i più temerari avevano ormai lasciato il castello, per far ritorno alle loro case e ai loro affetti. Mya sorrise, per la prima volta non infastidita da quel silenzio cieco, trovandolo quasi confortevole. Forse perchè il frullar d'ali di Amina, sopra la sua testa, spezzava in maniera irriverente quella quiete e riempiva l'aria. Mya sollevò appena il viso, lasciando che il piccolo uccellino grigio le sfiorasse il naso con le minuscole zampine. Rise, non sentendosi affatto sola.
Il suo gatto invece, che la tassina vedeva sempre a intervalli regolari che andavano dal semplice "sfamami" al "ho lasciato un ricordo sulle scale, puliscilo", non sembrava essere nei paraggi. La gabbia pulita e vuota era pronta ad accoglierlo, ma lui era chissà dove ad osservare quadri.
Poco male, pensò, lo avrebbe incontrato strada facendo. Spinse le valigie più vicine al muro, così che non ingombrassero il passaggio, e si avviò lungo il corridoio. Sarebbe tornata a prenderle più tardi, prima dell'ultimo saluto.

A passo calmo risalì la rampa di scale che portava dai sotterranei fino al piano terra, fermandosi poi sul pianerottolo, con le mani giunte dietro alla schiena e lo sguardo indeciso di chi non sa quale direzione prendere. Da dove poteva iniziare? Quel castello pullulava di ricordi, ovunque poggiasse lo sguardo ne trovava uno ad attenderla, come un disegno su un vetro appannato che ostinatamente non voleva svanire. A quel pensiero il suo sguardo ruotò di poco, in direzione del grande portone del castello. Sul lato sinistro erano posizionate le grandi clessidre segnapunti, oramai del tutto vuote dopo che gli smeraldi avevano quasi sfiorato il coperchio, decretando per quell'anno scolastico la vittoria di Serpeverde.
Non che le fosse mai importato particolarmente di quella competizione, nè di quegli stupidi dogmi sulle casate, i loro fondatori e i loro credo così radicati, lasciarseli dietro era la cosa che fra tutte meno le sarebbe mancata. Quel che invece aveva attirato la sua attenzione pochi secondi prima era stato ben altro. Con passo cadenzato si avvicinò alla finestra di fianco alle clessidre e si portò più vicina al vetro. Il tempo fuori era limpido, cielo terso, qualche nuvola passeggera, l'erba lasciata più alta e non curata ondeggiava sotto il soffio delicato del vento estivo. Mya dischiuse le labbra e lasciò che il suo respiro caldo scivolasse sul vetro, appannandolo e nascondendo per un breve istante la vista esterna. Ma nessun sole sghembo comparve davanti ai suoi occhi.
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Uno dei primi ricordi importanti viveva ormai solo nella sua memoria.
Memoria di un pomeriggio d'autunno di molti anni prima passato davanti a quella stessa finestra, facendo la conoscenza di una eccentrica caposcuola dai capelli di fiamma, sbadata e divertente, scaltra e orgogliosa, con la quale era nato un profondo legame di complicità e comprensione, destinato poi a svanire negli anni a seguire. Come tanti altri dopo di lei.
Mya non aveva mai davvero imparato a metabolizzare quegli abbandoni, l'odio era sempre stato il sentimento più facile da alimentare. Ma poi il tempo l'aveva portata ad andare avanti, senza abbattere l'ostacolo ma semplicemente saltandolo per proseguire. E lui restava lì, immobile al centro di un percorso, come un'ombra pesante dalla quale non si riusciva ad allontanare nemmeno volando. Quegli abbandoni non metabolizzati nel tempo avevano mostrato i loro frutti, acidi e dannosi, e prima che se ne fosse resa conto la sua vita si era già sgretolata, in frammenti d'identità.
Prima che il velo di umidità abbandonasse del tutto il vetro Mya vi poggiò sopra un dito, ridisegnando lo stesso simbolo che aveva impresso insieme a quella ragazza sulla finestra, con tutta l'ingenuità dei suoi anni. La ragazza si discostò infine dal vetro, osservando quel piccolo sole dai raggi tremolanti svanire insieme al suo respiro.
*Addio Jè*


La strada verso la tappa successiva fu estremamente breve. Con una spinta decisa Mya aprì il grande portone ed entrò nella Sala Grande, vuota e silenziosa anch'essa. I quattro lunghi tavoli di legno erano sgombri e dalle grandi finestre laterali filtravano fasci di luce ambrata, nella cui scia danzavano universi di polvere. Un fantasma attraversò la porta alle sue spalle, facendola sussultare lateralmente; sembrava timoroso, come se qualcuno fosse sulle sue tracce. Ma cosa poteva mai temere un fantasma se la morte stessa aveva già passeggiato sul suo cadavere? L'incorporeo signore si guardò due o tre volte attorno, poi con uno slancio deciso si tuffò verso l'alto, sparendo oltre il soffitto.
I fantasmi, abitavano quel castello da secoli, chi poteva dire quante cose avessero visto e quanti segreti celassero? Quanto sapevano di quel castello, delle sue trame e dei suoi nascondigli, dei suoi tradimenti e dei suoi intrighi. Stupidi ficcanaso, pensò, eppure si sentì stupida a non aver mai valutato l'idea di approfittare della loro conoscenza per avere risposte a tante delle domande che l'avevano assillata. Ma ora non aveva più alcuna importanza.
Avanzò nella sala e si posizionò all'estremità dell'ultimo tavolo, quello sulla destra che fiancheggiava le finestre. Poggiata di schiena ad esso, con i palmi delle mani sul bordo a puntellarla, guardò prima verso la pedana rialzata, poi verso le finestre. Con la mente cercò di riportarsi a quel tempo, alla lei undicenne. Eccitazione? Aspettativa? Curiosità? C'era tutto, lo ricordava bene, a quell'età in fondo l'entusiasmo non mancava mai. La Mya ormai adulta guardò oltre la grande vetrata, scorgendo la sagoma del sole stagliata nel cielo, identica a quella del suo ricordo, solamente più alta e più intensa. Ricordava cosa aveva visto, tre uccelli nel cielo, cosa aveva provato, invidia, e cosa aveva desiderato, volare.
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Si ritrovò inconsciamente a sorridere pensando a quanto il destino fosse strano, al modo in cui inconsciamente l'aveva guidata attraverso gli anni, per scelte e sentieri fino al giorno in cui quelle ali le erano spuntate davvero. Un desiderio infantile, che germogliando nel tempo l'aveva trasformata. Qualcun'altro avrebbe potuto facilmente dare la colpa allo stesso Fato per avergliele poi strappate crudelmente, ma non Mya. Sapeva che quello ricevuto da Cernunnos era stato un dono, qualcosa di cui avrebbe dovuto prendersi maggiore cura, ma aveva esitato e non era più stata in grado di guardarsi dentro senza provare ribrezzo. Ciò che aveva perduto era stata colpa sua, sua e di nessun fato avverso. Non era stata capace di prendersi cura di quel dono, così come non era riuscita a prendersi cura di Horus, e il risultato era stato perderli entrambi.
*Non piangerti addosso, io non ti asciugo* si canzonò mentalmente, ma il suo viso non lasciava trasparire nemmeno l'ombra di un rimpianto, era serena e un delicato sorriso le increspava appena le guance. Si sentiva bene, merito forse di quella partenza ormai alle porte, di quell'aria che sentiva cambiare.
Spirava attraverso i corridoi, filtrava dalle aperture delle finestre aperte, correva verso i soffitti, ma sembrava avere origine in lei. Un vento in tumulto, che quasi danzava all'interno del suo petto.
Si discostò dal tavolo, lanciando appena uno sguardo alla seduta che, di lì ad un paio di mesi, avrebbe ospitato il cappello parlante. "Non mollare l'osso" aveva detto lo strambo copricapo sei anni prima ad una ragazzina con la schiena dritta, le spalle alte e una buffa vertigine sulla frangetta. "Non mollare l'osso". E forse era proprio quello che la tassorosso stava continuando a fare. Non mollare mai, qualsiasi sia la sfida, qualsiasi vento avverso ti si pari davanti, prosegui senza indugiare.
*Grazie* fece con un leggero inchino, per poi tornare verso il portone.


Quel giorno Mya si sentiva la signora del castello. Non c'era davvero anima viva in giro per i corridoi; aveva pensato di incontrare almeno il custode, ma quel grezzo uomo di sicuro era nel suo stanzino a fare la muffa insieme al suo gatto. Quell'uomo non andava mai a casa, probabilmente non ne aveva una, ed Hogwarts doveva aver finito per adottarlo, come un fantasma o un gufo. Solo più brutto e più fetido.
Era già arrivata al terzo piano, dopo aver trascorso alcuni minuti nell'aula di trasfigurazione al primo piano. Si era seduta al suo solito posto, in fondo alla stanza vicino alla finestra, e si era fatta trasportare dai ricordi attraverso tutte le lezioni, da quelle più noiose a quelle più avvincenti. Aveva ricordato tutti gli oggetti rotti durante le simulazioni, tutti i segni degli incantesimi lasciati sulle pareti, che il professore non aveva voluto cancellare perchè rappresentavano un segno del loro passaggio, una memoria. Ne aveva accarezzati alcuni prima di congedarsi, non li avrebbe rivisti per chissà quanto tempo.
E così era giunta al terzo piano, facendo mente locale sulle stanze presenti. Ricordava esserci solo l'aula di incantesimi e l'ufficio di una docente, ma non legava un ricordo particolare a nessuna delle due, per cui decise di proseguire verso il quarto. Proseguì lungo il corridoio fino a raggiungere una seconda rampa, ma prima di posare il piede sul primo gradino la ragazza si fermò, cambiando repentinamente direzione verso l'accesso ad un secondo corridoio. Lo ricordava bene quel corridoio che portava verso il nulla. Ampio un paio di metri, pietra su tutte le pareti e delle finestre che affacciavano sul giardino del castello. Ma sui muri nessuna porta, nessun accenno di muratura, di strano ingranaggio o altro. Poteva essere stato un errore di costruzione, un cambio di progettazione o più semplicemente un mistero che nessuno aveva ancora svelato. Sul lato destro, incastrata fra due alte finestre se ne stava la statua di un gargoyle che fissava il muro vuoto sul lato opposto. Era brutto esattamente come lo ricordava, ma con gli anni che erano trascorsi era semplicemente diventato più piccolo e minuto, e meno minaccioso. La ragazza si avvicinò al mostro di pietra, gli diede le spalle e si accovacciò a terra, come la se stessa di sei anni prima.
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Seguendo il filo di quel ricordo estrasse la bacchetta evocando tre piccoli fuochi bluastri che presero a danzarle attorno, lanciando bagliori verso le ombre alle sue spalle. Ora era esattamente come nel suo ricordo, si sentiva una primina stupida che fa cose stupide per ingannare il tempo, o perchè semplicemente non ha le abilità per concedersi di più. Era bello credere anche solo per un istante che il tempo potesse essere riavvolto, e poi bloccato. Quanti litigi ora le apparivano futili, altri solamente divertenti, quante crepe non aveva visto, quante parole aveva travisato e quante ancora erano state di troppo.
Lo aveva incontrato lì.
In un giorno che evidentemente aveva girato l'umore ad entrambi, due caratteri forti si erano scontrati, insultandosi gratuitamente e opponendo quasi con fierezza le loro maschere dure. Il primo scontro aveva lasciato cicatrici su entrambi, e da quel singolo insignificante attimo si erano impressi l'uno nella vita dell'altro senza nemmeno accorgersene.
Nemici, insofferenti, dubbiosi, poi il bisogno di comprendersi, di sentirsi meno soli, complici, alleati, poi la dichiarazione, e il rifiuto da parte di lei di quel sentimento che in realtà era sbocciato nel cuore di entrambi. Ma che solo uno di loro due aveva avuto il coraggio di affrontare.
Lei lo aveva ferito più e più volte, con superficialità, e a volte con crudele consapevolezza. Ma nonostante tutto avevano continuato a crescere insieme, continuando a rigettare quei sentimenti, e semplicemente tendendosi la mano quando l'altro aveva più bisogno.
E ora che Random era scomparso dalla sua vita quella cicatrice aveva continuato a pizzicare, ma di un sentimento ogni giorno diverso. Dopo la battaglia di Hogwarts, dopo il risveglio in ospedale e il ritorno al castello Mya non lo aveva più visto. Aveva chiesto di lui, lo aveva cercato, ma il suo nome non era apparso fra i morti della follia, quindi c'era ancora la possibilità che fosse altrove, vivo e finalmente libero. Avrebbe voluto ringraziarlo, ogni giorno, per essere rimasto al su fianco durante la battaglia, per averla salvata e averle guardato le spalle, sempre, in ogni circostanza. Ma non lo aveva mai fatto, aveva ormai armadi pieni di parole non dette, tante da non aver nemmeno più spazio per gli scheletri.
Mya non era mai stata del tutto sincera con lui, come le volte in cui aveva visto la tristezza e l'incertezza attraverso i suoi occhi grigi, ma era rimasta in silenzio senza mai chiedere nulla. Come aveva fatto con Horus, alla stessa identica maniera, aveva voluto rispettare quel silenzio. E aveva ottenuto lo stesso, deludente, risultato.
Ma era anche per lui che questo nuovo viaggio stava iniziando, Random era un'altra piuma che la ragazza stava mettendo nelle tasche della sua giacca, fra la polvere e i ricordi.
Si sollevò da terra, pronta a proseguire la sua visita. Si incamminò lungo il corridoio in direzione delle scale, ma prima di girare l'angolo si voltò un'ultima volta.
*May we meet again*.

Arrivata al quarto piano del grande castello Mya si ritrovò a dover scegliere tra due delle tappe più interessanti, nonché luoghi più vissuti in assoluto. Verso sinistra si giungeva al club dei duellanti, dove la tassorosso aveva passato tanti pomeriggi a difendere l'onore sul filo della sua bacchetta. Duellare le era sempre piaciuto, fin da piccola le sfide erano state linfa vitale per il suo ego. E con l'adolescenza quel lato caratteriale non si era affatto smussato, anzi si era evoluto. Non aveva mai avuto importanza il risultato, vincere o perdere non aveva valore. Sentire il dolore dei lividi, l'irritazione del veleno che le urticava la pelle, il bruciore delle ustioni, il cuore che martellava forte e l'adrenalina in circolo. Era solo quello a farla sentire terribilmente viva.
Almeno fino al giorno della terribile battaglia avvenuta un anno prima. Tutto era cambiato dopo l'evento, fuori e dentro di lei, aveva osservato la morte passeggiare fra di loro e recidere senza rimorso la vita di ragazzi più giovani di lei. Aveva provato nel petto un dolore che non era il suo, il suo viso si era macchiato di un sangue non suo, le sue mani non avevano potuto nulla. Si era sentita impotente, spettatrice inerme, pedina fuori gioco sulla scacchiera di un giocatore che non era lei. Alle volte le capitava ancora di ricordare il calore di quel piccolo corpo straziato pesantemente accasciato fra le sue braccia come pietra , quel calore che si faceva più tiepido del sangue stesso, ultimo soffio di vita. E così il duello aveva perso la sua bellezza, il suo fascino, così come l'innocenza tutto era stato ottenebrato da una pesante consapevolezza.
La vita chiedeva un tributo, la forza in cambio dell'innocenza, la consapevolezza in cambio della semplicità.
Un tributo che anche lei alla fine aveva deciso di pagare.
La ragazza voltò dunque il capo verso destra e i suoi piedi la condussero senza pensare troppo verso la biblioteca.
Discostato il grande portone con cautela, si mosse all'interno della grande stanza con passo felpato, come di abitudine per rispettare il silenzio sacrale di quel luogo. Ma non c'era nessun abitante da disturbare, nè alcuno studio da interrompere. C'era solamente lei, i libri e la polvere.
Quante ore aveva passato in quel luogo? Quante ne aveva perdute rincorrendo quel folle desiderio di conoscenza? Lo studio, le ricerche, gli approfondimenti, elaborando teorie, scavando nel passato attraverso quei libri che per anni erano stati gli unici compagni cui avesse davvero dato conto. Parlavano e non chiedevano nulla in cambio, offrivano sapere e conoscenza arricchendola di giorno in giorno, ma tirando le somme ora Mya si rendeva conto che di vere Risposte non ne aveva davvero trovate.
Delusa? Non riusciva a capirlo.
Si spostò verso la zona ovest dove le alte librerie si interrompevano lasciando spazio ad un ampio tavolo di quercia, sul quale aleggiava solo la polvere, illuminata dalla luce che filtrava attraverso le grandi vetrate laterali. Attraverso quella polvere le parve di scorgere il fantasma di una ragazza poco più bassa di lei, con un paio di grandi occhiali sul naso e il viso immerso fra pagine e pergamene, mentre un fortino di libri la accerchiava totalmente, isolandola da tutto e tutti.
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La vide alzarsi più e più volte, facendo spola fra il grande tavolo e il muro di fondo della biblioteca, segnando alcuni punti su di una mappa affissa alla parete. Come per seguire quel ricordo anche la tassina nel presente si spostò verso il muro, ma non appena uscì dal fascio di luce e polvere, il ricordo del passato svanì lasciandola da sola, in piedi davanti alla mappa.
Sorrise, mentre gli occhi scorrevano sui vari punti rossi che aveva quasi dimenticato di aver lasciato segnati sulla piantina del Regno Unito. Sorrise, pensando a quanto vicina alla verità fosse arrivata.
Con delicatezza iniziò a staccare le puntine rossastre accumulandole all'interno del palmo della mano sinistra, fin quando una di queste non la punse con determinazione. Un dolore che stimolava un nuovo ricordo, ma Mya in silenzio continuò la sua opera. Lasciò le puntine in un portapiume sul tavolo e tornò al muro per staccare definitivamente la mappa dal muro. La arrotolò ordinatamente e la lasciò al banco vuoto della bibliotecaria, quasi come regalo per la riservatezza che le aveva dimostrato negli anni.
Fatto ciò se ne tornò verso la porta, pronta a proseguire il suo viaggio, ormai quasi giunto al termine.


Torre di astronomia.
Mya aveva lasciato per ultimo quel luogo, forse perchè il più lontano dalla sala comune strutturalmente parlando, o forse perchè era il più significativo e importante. Sentì le gambe tremare appena messo piede sull'ultimo scalino, ma si decise a non rallentare l'andatura, attraversando l'arco, l'aula ed uscendo sulla balconata. Il vento estivo era tiepido in quei giorni ma particolarmente intenso a quell'altezza, con forza le scompigliò i capelli e sembrò sospingerla leggermente verso sinistra. Mya si lasciò guidare da esso, come non faceva da molto. Si avvicinò al parapetto, vi poggiò sopra entrambe le mani e chiuse gli occhi inspirando profondamente. Avvertì l'odore intenso dell'erba e dei fiori che crescevano ai limiti della foresta, e quello più pungente ed aspro della vegetazione che circondava le rive del lago. Il profumo del sottobosco si mescolò a quello dell'acqua, e a quello del vento che proveniva dal sud.
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Fu come distaccarsi dal corpo, spiccare il volo come aveva fatto tante e tante volte da quello stesso luogo, ma questa volta fu solo l'anima ad allontanarsi verso il cielo. Aveva la forma di un piccolo rapace dalle piume castane, le lunghe ali dispiegate ad accogliere il vento, scivolava fra le correnti ridiscendendo verso il lago, virava oltre le mura in ombra del castello e poi riprendeva il volo verso l'alto, superando i pinnacoli delle torri per poi fermarsi a mezz'aria nel tipico volo sospeso dei gheppi. Mya non voleva aprire gli occhi per non far morire quell'immagine, insieme a quel turbine di sensazioni così familiari e così nostalgiche. Ma sapeva di doverlo fare, era rimasta imbrigliata al passato e ai rimorsi per troppo tempo.
Riaprì gli occhi lentamente, scoprendo che il mondo era ancora lì, immobile come l'aveva lasciato. Prese a muoversi verso destra, scivolando con la mano lungo il parapetto, quasi non volesse perdere quel contatto flebile che si era creato fra vita ed irrealtà. Arrivò al limite opposto della balconata e si fermò, discostandosi leggermente da essa come a voler lasciare lo spazio per una figura invisibile ai più. Con delicatezza sollevò il braccio sinistro, portando la mano destra in alto come ad accarezzare il nulla, il vuoto o il vento stesso.
*Se c'è una strada che riporta al Cielo, io la percorrerò fino in fondo, anche se per farlo dovessi bruciarmi fino all'ultima piuma. La troverò*

[...]

Il viaggio di commiato era ormai giunto al termine, Mya ne aveva approfittato per entrare un'ultima volta in sala comune per salutare Tosca (e assicurarsi che tenesse la bocca chiusa circa gli eventi che l'avevano vista protagonista negli anni passati).
Ormai non c'era più molto da dire o fare, aveva raccolto tanti ricordi, lasciato andarne altri, e aveva tolto dalla vista qualsiasi cosa la riguardasse. La lettera di richiesta di sospensione dagli studi, compilata in doppia voce da suo padre, si trovava già sulla scrivania della preside, che per quanto impensierita da quella scelta l'aveva firmata. Afferrò la gabbia di ferro ancora vuota, la piccola valigia e incantò il grosso valigione affinchè la seguisse nel percorso. Midnight se ne stava già davanti al portone, deciso più che mai a ritardare il momento in cui sarebbe dovuto entrare in quella stupida e angusta cosa di ferro. Mya lo raggiunse e tutti e tre, ragazza, gatto e uccellino, uscirono dal grande portone dirigendosi con calma e in assoluto silenzio verso la stazione del treno.
Lasciavano Hogwarts, per un tempo che andava oltre le semplici vacanze estive. Lasciavano Hogwarts senza sapere se effettivamente vi avrebbero fatto ritorno.
Ogni cosa aveva il suo tempo. Quello che stava vivendo ora, stava per terminare per aprirsi ad un nuovo scenario. Non aveva mai creduto al detto delle porte che si chiudono e dei portoni che si spalancano, era solo un modo conveniente per l'essere umano per evitare il fardello dei rimpianti, convincendosi di essere destinati a qualcosa di migliore.
Mya non lo sapeva cosa stava cercando, più che un portone lei stava semplicemente cercando un sentiero che la portasse fuori da quel tempo morto, bloccato, un passo dietro l'altro, a testa alta, con in spalla tutti i suoi errori, le sue scelte, i suoi sbagli. Non aveva idea di dove quel viaggio l'avrebbe portata, a molte o poche miglia, ma aveva davvero importanza? Continuare ad avanzare ogni giorno, senza più freno, senza più stare a valutare i pro e i contro di ogni stupida cosa come aveva fatto negli ultimi anni, avanzare correndo e rallentando, sentirsi liberi di scegliere le tappe giorno per giorno senza fare piani. Quel desiderio aveva già iniziato a far sfrigolare le piume della sua anima, prese dalla frenesia della partenza, dell'ignoto che le si parava davanti e dalla speranza racchiusa in quel cuore ricoperto ormai solo di cicatrici e suture malconce.
Quella porta che molti chiudevano, lei la stava lasciando leggermente socchiusa, affinché il sottile spiraglio di luce che da essa fuoriusciva, potesse sempre riportarla a casa. In un modo o nell'altro.
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CITAZIONE
- Le immagini inserite nel post sono collegate alle role cui si fa riferimento.
- È lungherrimo e probabilmente sarà andato anche fuori tema, ma diciamo che serviva a me per riagganciarmi al background xD
- Chiedo perdono per le ultime righe illegibili, ma se le selezionate il problema sparisce ♥ (SCUSATE NON AVEVO TEMPO PER MODIFICARE ULTERIORMENTE LA GRAFICA)
- Andate in pace


 
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